Il numero chiuso

Il numero chiuso

Nel febbraio 2020, alla lista di coloro che ritengono che l’ambiente montano possa meglio essere preservato limitandone l’accesso con divieti e ordinanze, si è aggiunta la voce autorevole del presidente francese Emmanuel Macron.

Al cospetto di un’assai smagrita Mer de Glace, ghiacciaio che nelle Alpi è secondo solo allo svizzero Aletschgletscher, Macron ha annunciato le sue misure per la salvaguardia dell’ambiente mescolando la benemerita istituzione di nuovi parchi nazionali e l’impianto di 250.000 ettari di nuovi boschi alla regolamentazione del turismo in quota, più propriamente alla limitazione di accessi al Monte Bianco.

La questione dell’affollamento oggi riguarda solo il Monte Bianco (e marginalmente anche il Cervino), ma va da sé che domani il modello sarà esportato anche sugli altri Quattromila, nonché su tutti i massicci a grande frequentazione turistica.

Se ne è cominciato a parlare ormai due anni fa. Si parlava di una folla tra i 300 e i 500 alpinisti che ogni giorno transitava: a pagare le spese del turismo in quota era soprattutto il rifugio Goûter sulla via normale francese al Monte Bianco, alle prese con un sistematico superamento del numero massimo di ospiti a causa dell’arrivo imprevisto e continuo di alpinisti senza prenotazione. Una situazione divenuta ingestibile, con reazioni verbali se non fisiche, da parte degli ospiti inattesi nei confronti del gestore del rifugio o di alcune guide alpine prese a pugni da coloro cui avevano contestato un comportamento scorretto.

Anche il numero dei morti e dei soccorsi aveva superato il livello di guardia: c’era chi si avventurava nella salita con equipaggiamento ridicolo, con bambini, con cani o in altre maniere che per la loro originalità hanno avuto il disonore della cronaca.

Nel luglio 2018 la Prefettura dell’Alta Savoia introduceva il divieto di accesso alla via normale a tutti coloro che non avessero prenotato un posto letto in uno dei rifugi della Voie Royale, ovvero il Nid d’Aigle, il Tête Rousse e il Goûter.

Nello stesso tempo Jean Marc-Peillex, sindaco di Saint-Gervais, annunciava per la stagione 2019/2020 l’introduzione di un vero e proprio permesso di scalata, in stile himalayano. A questo progetto di Peillex, il più combattivo paladino del numero chiuso, non è stato dato seguito. Confermato invece l’obbligo di prenotazione in rifugio, da effettuarsi online prima dell’apertura della stagione delle ascensioni. Questo equivale a una sorta di numero chiuso, dipendente dalla capienza del Goûter, 214 persone per notte.

Ulteriori limitazioni sono state introdotte poi per il campeggio fuori dalla Tête Rousse, consentito a sole 40 tende preinstallate, disponibili su prenotazione. Regole da seguire per non incorrere in sanzioni penali e amministrative decisamente pesanti comminate dall’apposita Brigade Blanche. Provvedimenti, come sottolineato dalle autorità, resi necessari “per la salvaguardia non solo dell’ambiente ma anche della incolumità delle persone”.

Le dichiarazioni di Macron sono state senza dubbio un forte segnale di attenzione alla montagna, ma certamente non sufficienti per ottenere approvazione nel mondo ambientalista. Tutelare l’ambiente d’alta quota con interventi sul posto non basta infatti a salvare i ghiacciai alpini. Per rallentarne lo scioglimento servono drastiche misure di riduzione delle emissioni, in Francia come nel resto del mondo. Clément Sénéchal, responsabile della campagna per il clima di Greenpeace France, ha commentato che “l’esemplarità di uno stato inizia rispettando l’Accordo di Parigi. Ma il governo si limita ad azioni insufficienti”.

La vetta del Monte Bianco e, più bassa, quella del Monte Bianco di Courmayeur, dietro alla quale spunta l’Aiguille Noire de Peutérey. Foto: Stéphane Boulenger.

In ogni caso, l’introduzione della prenotazione obbligatoria al rifugio del Goûter scatenava polemiche a non finire. Mentre Peillex annunciava tronfio che “si era a una svolta storica”, Hervé Barmasse commentava: “Se il sindaco di St-Gervais arriva ad una scelta così drastica è perché anche dove l’aria è più sottile la brutalità, la maleducazione e l’inciviltà di alcune persone ha raggiunto un limite intollerabile. Ma imporre un permesso e l’obbligo di passare la notte in rifugio non sono garanzia di sicurezza. I divieti non servono a far cultura della montagna, ma a lavarsene le mani quando le cose diventano ingestibili e non si ha voglia di investire in informazione e prevenzione. Inoltre togliere la libertà di frequentare la montagna, che è un bene comune, e appartiene a tutti coloro che la rispettano e la amano, è un attacco ai valori dell’alpinismoVietare l’accesso alle montagne significa togliere la libertà. Il sindaco di Saint-Gervais esulta, e parla di “giornata storica”, ma questa è la più triste nella storia dell’alpinismo”.

Favorevole invece Reinhold Messner: «Sono contrario alla chiusura delle montagne, ma dico pure che la montagna non regge più la massa enorme di gente, spesso impreparata, che la vuole salire. Per questo condivido la decisione francese, limitare l’accesso per aumentare la sicurezza».

La blindatura del “monte più alto delle Alpi” è al fine di garantire la sicurezza delle persone e difendere l’ambiente di questo delicato sito naturale, ma il prezzo da pagare è il sacrificio della libertà di frequentazione.

In questa operazione si sono mescolati con faciloneria, ma anche con improntitudine, due ordini di problemi:

– il primo, è l’affollamento delle montagne, tema che riguarda non solo una via per il Bianco, ma anche altre montagne delle Alpi (si pensi, per esempio, al Cervino), e non solo (si pensi agli Ottomila, per esempio l’Everest);

– il secondo, è la pericolosità della via del Goûter, di cui si discute da molti anni, visto il ripetersi degli incidenti con morti e feriti.

E’ un escamotage quello del sindaco Peillex di attribuire all’affollamento le disgrazie che si sono verificate in questi anni; il “canalone della morte” è così chiamato perché la sua pericolosità è stata denunciata fin da quando i primi salitori cominciarono a percorrere questa via.

E’ pura follia pensare di correlare la sicurezza nel percorrere questa pericolosissima via al numero chiuso coincidente con i posti del rifugio del Goûter.

Forse che si può impedire a qualcuno di salire al rifugio anche al di fuori di questo numero? Tra i punti fondanti della Repubblica Francese compare al primo posto la parola “Liberté”: come si può pensare di impedire a chiunque voglia, a suo rischio e pericolo, di salire e di bivaccare fuori del Goûter o di continuare la salita senza fermarsi in questo rifugio, o, semmai, di scendere?

L’ascesa si può tranquillamente fare dalla Tête Rousse”, diceva Christophe Profit, guida alpina locale e leggenda degli anni ’80”.

Peillex insomma sottopone gli alpinisti che vogliono salire al Bianco per la via del Goûter a un duplice sopruso:
– il primo, perché impedisce di salire a chi intenda proseguire, o di bivaccare evitando il rifugio;
– il secondo, perché costringe a prenotare il rifugio, dove solo il pernottamento costa 150 euro.

Nel 2017 le guide francesi avevano proposto “di smantellare tutte le facilitazioni presenti sulla via normale francese al Monte Bianco in modo da non permettere l’ascesa al tetto delle Alpi agli alpinisti meno esperti…”. Una soluzione radicale che in tutta evidenza non ha alcuna speranza di applicazione.

Si può credere alla buona fede del sindaco di Saint-Gervais, per difendere i valori, la sicurezza, ed evitare la futura Disneyland. Ma divieti e regolamentazioni non battono le mode. È Disneyland perché c’è una mania comune di voler andare in cima al monte Bianco perché è la montagna più alta. Quindi è necessaria una lunga operazione culturale, con convegni, serate, libri, facendo pensare la gente, ragionando su questa assurda corsa al record e sulla sconsiderata voglia di salire tipo quella che hanno i clienti di molte spedizioni commerciali in Himalaya. È una battaglia che va combattuta a livello di idee, di cultura, non a colpi di divieti che non portano niente.

Affollamento e cambio climatico stanno cambiando le nostre abitudini. Dobbiamo imparare che la montagna è luogo di libertà ma non è il posto dove possiamo fare quello che vogliamo.

Noi non sventoliamo la parola libertà per proteggere un nostro business. Perché non abbiamo alcun business da proteggere! Caso mai sono gli amministratori che proteggono l’enorme business legato alla salita del Monte Bianco. Il ragionamento degli operatori turistici alla fine è del tipo: più gente, più soldi. Più sicurezza, più gente ancora e quindi ancora più soldi!

Noi invece parliamo di libertà perché siamo contro i divieti a livello morale, viscerale, profondo. Perché siamo convinti che l’alpinismo stia cambiando, anche nostro malgrado, dunque dobbiamo vedere il buono che c’è nel cambiamento, non solo quello che non ci piace. Potrà non piacere a molti, ma la velocità, la leggerezza, la solitudine, le cose nuove attirano. Chi ha fatto cose nuove in montagna ha sempre raccolto nuove sfide, andando oltre.

Non possiamo vietare, imbrigliare. Non si può dire “proibito” a uno sciatore estremo e neppure imporgli un particolare abbigliamento e una precisa attrezzatura. Non si possono proibire né il free solo né la tuta alare, imponendo cintura e corda o la vela del parapendio.

L’amministratore deve limitarsi a diffondere educazione, rispetto e, soprattutto, conoscenza (nel tentativo di diminuire l’ignoranza, al momento direi sconvolgente).

Dobbiamo rifiutarci di pensare che il numero chiuso sia oggi introdotto coscientemente come anticamera della salita a pagamento, ma questo esattamente succederà, purtroppo, proprio come già è nei paesi asiatici dove si paga un consistente permesso per salire le cime. E non mi sembra francamente che il salato fee che le spedizioni devono pagare per l’Everest (ma anche per le altre vette) abbia risolto la drammatica situazione alpinistico-ambientale che grava sia sul versante tibetano che su quello nepalese.

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Il numero chiuso ultima modifica: 2021-01-14T05:48:36+01:00 da GognaBlog

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23 pensieri su “Il numero chiuso”

  1. In Val Badia a La Villa, in zona Gardenaccia, c’è una ferrata di recente costruzione che si chiama Les Cordes. Si trova proprio sopra a un sentiero piuttosto trafficato d’estate. Dalla ferrata (secondo me orribile) cadono molti sassi proprio sul sentiero. Sui due lati del sentiero interessato dalla caduta sassi (prima non ci cadevano perché non c’era la ferrata) ci sono due ceste piene di una trentina di caschi che gli escursionisti indossano per superare il tratto pericoloso lasciandoli nella cesta dall’altro lato. Le ceste sono sempre rifornite di caschi perché il traffico si equivale nelle due direzioni e nessuno protesta, anzi. Servizio estremo? Personalmente avrei risolto il problema non creandolo, ovvero non costruendo la ferrata, ma tant’è….

  2. D’accordo con Crovella, stavolta.
    Se posso. vorrei aggiungere una nota generale: quando si affronta un problema si dovrebbe prescindere dai casi particolari per sostenere l’una o l’altra posizione.
    Intendo dire che mi pare abbastanza ovvio che il Cervino o il Dente del Gigante non possono in alcun modo fornire un esempio; e in realtà non sono nemmeno il problema, ma al massimo un esito estremo di una situazione, che va affrontata o risolta altrove.
    Nella fattispecie l’affollamento invasivo e inquinante delle terre alte (alcune), che credo derivi dalla ideologia che le vuole mettere a reddito e perciò deve facilitarne l’accesso e offrirne un “godimento” immediato per tutti, facile da raggiungere in breve tempo, purché ovviamente si paghi.
    In realtà è una ideologia profondamente radicata in tutti noi che è da combattere: che ci sia dovuto ciò che ci fa comodo.
    Cioé banalizzato e banalizzante, di breve durata. Quindi rapidamente obsoleto e perciò da sostituire con uno nuovo, ma egualmente accattivante e veloce.
    Un tempo si imparava a sciare con sei corsi fino ad avere le tre stelle d’oro, adesso in un paio di giorni si deve poter scendere da qualunque pista.
    Per passare un quinto ci voleva un annetto, se si era bravi, poi sono arrivati gli spit e al 6a ci si arriva in un paio di mesi. Il passo successivo e pretendere di poterlo fare dovunque, cioé che le vie debbano essere “addomesticate” (ma solo per la sicurezza, neh…)
    Che si arrivi sempre in un rifugio (o almeno un ristoro) e che ci sia sempre posto (e mica che si mangi solo il minestrone).
    Che la strada arrivi comoda e ci sia parcheggio dove inizia il sentiero interessante e che i punti pericolosi siano attrezzati.
    Se si vuole cambiare qualcosa occorre iniziare a togliere qualcosa.
    Offrendo magari qualcosa d’altro, rendendo interessante una fruizione differente 

  3. Concordo. Iniziamo a NON PEGGIORARE ULTERIORMENTE le cose (quindi NO a nuovi bivacchi/rifugi, NON a nuovi impianti, NO a nuove strade in quota ecc ecc ecc). Assodato questo, dopo inizieremo, cum granu salis, a togliere qualcosina. Non saranno subito le corde fisse del Cervino, ma per esempio qualche migliaio/milioni di paline segnaletiche “a prova di stupido” dai sentieri le toglierei, così già tagliamo fuori chi non si avventura sui sentieri se non ci sono ‘ste benedette paline… In tal modo, progressivamente, piano piano arriveremo a liberare dalle corde anche il Cervino: ci vorranno anni, probabilmente decenni, e di conseguenza prenderà lo stesso tempo il fenomeno di ripulitura della frequentazione umana. Ma intanto iniziamo, piccoli passettini, quasi in sordina, ma consolidiamoli e una volta incamerati saranno la base per il passettino successivo. PS: i chiodi a pressione sul Cerro Torre costituiscono un fenomeno intrigante (io stesso ho letto a fondo sul tema), ma riguardano un luogo a noi lontano e soprattutto una schiera limitatissima di individui che lo frequenta. Io mi limiterei a preoccuparci delle nostre vallate, sia alpine che appenniniche (le prime ovviamente sono più a rischio perché più turistiche) e, a scalare, le nostre spiagge, i nostri fiumi, i nostri laghi, i nostri parchi, perfino i nostri giardini comunali… Su queste cose, che stanno proprio sotto i nostri piedi, dovremmo preoccuparci… a salvare l’Himalaya o la Patagonia ci penseremo dopo, sennò salviamo là e qua viviamo in un “immondezzaio” (il concetto va inteso soprattutto in termini ideologici: mluna park consumistico e inquinato).

  4. Tornare indietro è difficile e forse anche fuori dal tempo.
    Il problema e che non si fa nulla per fermarsi dove siamo e si continua a sfruttare in modo intensivo e ad aggredire wuel poco che rimane libero.

  5. I chiodi a pressione del Torre e le corde fisse e scale del Cervino non mi sembrano la stessa cosa.
    Si puo essere contrari e critici per lo stile nei confronti di Maestri, ma i chiodi del Torre li ha messi l’apritore della via. Le corde e le scale del Cervino non credo siano state messe e lasciate da Carrel e Whymper per risolvere la via.
    I pressione della Maestri non sono di fondo in cima,  come invece le corde al Cervino, determinando  nella pratica una sorta di via  ferrata  con tanto di bivacco.

  6. Cio’che e'”legale”non sempre e’ “giusto”.Poi a conforto c’e’il fatto che piu’leggi ci sono e piu’ sono dettagliate , piu’e’difficile a chi ha compiuto il compitino sulla carta ( o pc)verificare, controllare e sanzionare chi crede di essere nel “giusto”anche se fuori dal”momentaneamente legale”.Il bello e’ che poi legifera chi non e’ mai stato in situazione vera.Basti vedere quanti continuano ad usare il telefonino in mano mentre guidano, tenere i piccoli liberi senza seggiolino..un buon motivo di autoregolamentazione e’il fastidio che un turista prova per gli altri turisti..sogna, incentivato da foto  o racconti e riviste,il”tutto per te”.Poi si ritrova  con una folla chiassosa…ed allora va alla ricerca d’altre mete.Esempio: quando vogliono venderti un’auto, te la fanno vedere in spot sola su strada dritta che porta verso il mare o i monti lontani, che  fiancheggia un lago..nella neve ecc.ed accanto o di fronte non hai altre auto..Ricordo che in bassa stagione  estiva appena iniziata ,mi levai lo sfizio di raggiungere in funivia il belvedere al Sas Pordoi.Prima corsa mattutina ..solo. Foto a manetta(mica tanto allora si andava a pellicola da dispositive costose)  in un silenzio quasi totale. .dopo un’ora si formo’  in basso il carico per un secondo  trasbordo.. piombo’ una trentina di persone che  cominciarono a pestare sul tavolato,  vociare, urlare, tracannare fiaschi e addentare paninazzi..ed allora me la svignai  con la successiva discesa..svanito l’incanto.Quando riguardo quelle diapositive di panorama..mi ritorna il fastidio, non riesco a eliminare l’effetto visivo estetico dalle sghignazzate dei gitanti poco incantati dal medesimo panorama.
     

  7. Sono d’accordo con l’ultimo messaggio di Cominetti. Tornare indietro e’ sempre piu’ difficile e comunque la proposta, restando in tema dell’articolo, mirerebbe a diminuire l’afflusso in alta montagna, facendo anche un po’ di selezione sulle reali capacita’ dei pretendenti. Il che’, appunto, non e’ detto che sia il fine di altri, che nella valle ci vivono e che da essa ne traggono guadagno. La cosa certa e’ che cercare di salvaguardare entrambe le cose, cioe’ guadagno e frequentazione ordinata ( tramite restrizioni e regole varie) non sembra possibile, le due cose alla fine collidono. E a mio avviso alla fine bisogna scegliere. Certo sarebbe fantastico che si proponessero montagne pulite con mezzi leali, anche quello potrebbe essere motivo di attrazione. A me piacerebbe che certe vie e vette magnifiche non fossero imbrigliate di corde, sarebbero ancora piu’ belle ed alpinisticamente interessanti. Cio’ non vuol dire che togliere le corde dal Cervino laverebbe la coscienza di coloro che hanno creato lo scempio che ci sta alla base che e’ ben peggio a ben vedere…  purtroppo cio’ che oggi ha rovinato certe montagne e ne determina l’affollamento ha radici ben piu’ in basso, in fondovalle.

  8. Io scommetto che, quelli che toglierebbero le corde dal Cervino per un sacco di buoni motivi a cui potrei aderire ideologicamente anch’io, hanno protestato energicamente quando sono stati tolti i chiodi a pressione di Maestri dal Cerro Torre. Eppure si tratta di due montagne “simbolo” particolarmente belle e difficili (anche se di difficoltà differenti) che mal si prestano a una banalizzazione dovuta alla troppa attrezzatura fissa per raggiungerne la cima.Io sono tra quelli che hanno esultato quando sono stati tolti i chiodi dal Torre, ma sinceramente le corde sul Cervino le lascerei, anche se un Cervino senza corde non nego che mi piacerebbe.Si tratta però di due mondi diversi e comunque, come sempre in questi casi (incluso quello delle piste e impianti da sci che molti vorrebbero cancellare dalla faccia delle Alpi, forse anch’io), ci si scontra con la difficoltà nel “tornare indietro” a situazioni che comporterebbero la perdita di sistemi economici più o meno consolidati.
    Togliere i chiodi di Maestri dal Torre ha comportato solo un po’ di polverone tra gli alpinisti ma non ha influito sulla vita di chi risiede ai suoi piedi, mentre levare le corde dal Cervino sconvolgerebbe l’economia di diverse valli, inclusa quella svizzera (!) della Mattertal. E chi glielo dice ai magnapatate di Zermatt? 
    Quando si è ottenuta una cosa è difficile, se non impossibile, rinunciarvi per l’uomo della strada che non è di certo un alpinista illuminato da ideali etici e puri.

  9. Di togliere le corde dal Cervino ne sento parlare da anni, ma non lo si fa perche’ alla fine credo, purtroppo, che si pensi che anche questo ridurrebbe l’afflusso in valle di turisti che consumano, dormono in hotel ecc ecc.

    che la  ragione sia puramente economica mi sembra evidente!!

  10. Quando decenni fa i telefonini erano rari e neppure i rifugi avevano il telefono a filo, vigeva il regolamento “chi prima arriva prima alloggia”.Poi gli escursionisti sforniti dei recenti mezzi ancora riservati ad   elite del soldo,cominciarono a trovarsi di fronte ad un   “tutto prenotato”, pur vedendo il rifugio ancora semivuoto…ma dotato di radiotelefono con pannello fotovoltaico ed antennina. Ricordo che  in un caso del genere rimediammo una ospitata non in camerone ma in sottotetto..con numerosi barattoloni di pummarola vuoti appesi con manici di fil di ferro a dei chiodi sulle travi.Di notte si scateno’ un temporale ed i buatti cominciarono a riempirsi..il tetto aveva delle falle.   Quindi , dovevamo a turno svuotare i recipienti in uno scarico che finiva  in un tubo che portava sotto.In pratica  dovevamo salvare i piani sottostanti con letti e piumoni  e pure pagare. Decenni dopo quel rifugio venne ristrutturato , reso abbordabile da impianti tranne una rampa finale e divento’ un alberghetto..In un’altro hanno   un gadget attiguo a stazione terminale di cabinovia. Per chi vuole provare un’esperienza unica, il rifugio mette a disposizione la “vasca botte”. Si tratta di una  tinozza in legno forma dibotte  utilizzata proprio come una vasca.L’acqua in invernomica si raggiuge dopo aver infranto un crostone di ghiaccio 
    E’riscaldata da una stufa a legna così ci si può immergere anche in inverno, sorseggiando un calice di bollicine e regalandosi momenti di puro relax in un’ambientazione da sogno. La vasca  è molto richiesta, quindi va prenotata con largo anticipo. Abbondano foto…ma non dico il posto. Sullo sfondo a poche decine di metri …pinnacoli con alpinisti e climber.In annata 2020/21..sara’ rimasta vuota.
     

  11. Caro Paolo,
    benché apprezzi l’intento del tuo testo e sia anch’io a favore di una maggiore informazione piuttosto che ai divieti, in veste di guida posso assicurarti che suggerire a qualcuno che non è avvezzo al mondo della montagna di possedere equipaggiamento e conoscenze adeguate non da risultato alcuno. È necessario, se mai, fornire un elenco dettagliato delle attrezzature e delle competenze. Teniamo conto che un certo numero di individui considera le Hogan delle calzature sportive. E non aggiungo altro.
     
    Detto questo, sono d’accordo con Carlo e Enri: l’unico modo per far selezione, è rendere meno accessibile. 
     
     

  12. Per rimanere un po’ in tema dell’articolo, la cosa che trovo discutibile e’ pensare che con divieti o restrizioni si migliori la sicurezza in montagna e la salvaguardia della natura. Non e’ cosi. Come ho letto, non si puo’ pensare che l’accesso alla montagna sia permesso solo a coloro che prenotano prima degli altri. O cose simili. O impedire a salire sul Bianco anche a chi ne avrebbe le capacita’ per farlo senza rifugio. Questa visione vuole la gestione della montagna, in qualche modo decidere chi puo’ andare chi no. E non va bene. La montagna deve vivere di selezione naturale e per questo l’unica strada e’ eliminare le facilitazioni. Non ha senso sponsorizzare rifugi e poi lamentarsi perche’ sono troppo affollati. Di togliere le corde dal Cervino ne sento parlare da anni, ma non lo si fa perche’ alla fine credo, purtroppo, che si pensi che anche questo ridurrebbe l’afflusso in valle di turisti che consumano, dormono in hotel ecc ecc. 
    Pero’ cosi facendo si ottiene spesso l’esito opposto e cioe’ afflusso di inesperti e non all’altezza. Per rimanere all’esempio del Cervino, basterebbe togliere la corda della Cheminee, credo che il flusso verrebbe tagliato in un attimo del 90%. Per non parlare di intervenire sul rifugio del Gouter o sulla funiva del Torino. Vorrei vedere l’affollamento di alpinisti ai Satelliti o salire la Kuffner senza il rifugio torino o senza la funivia… ormai e’ cosi. Poco da dire, negli anni questo aspetto non e’ stato considerato e ora troppa gente arriva dove non dovrebbe arrivare. Pero’ qualche cosa che inverta la tendenza la si puo’ fare. Togliere una funivia e’ un conto, togliere una corda fissa un altro.

  13. Si Benassi, anche se la strada si fermasse a Valtournenche, ma chi stabilisce allora dove devono finire le facilitazioni? Io parlo di soluzioni praticabili,

    non lo so dove devono finire le facilitazioni e penso che il 95%  dei praticanti dai professionisti ai dilettanti non  vorrebbero lo smantellamento delle attrezzature del  Cervino.
    E’ altresì vero che anche la presenza di un solo chiodo è una facilitazione e pensare di ripristinare quello che trovarono i primi esploratori è impensabile e assurdo.
    Ma diverso è una montagna  completamente attrezzata dall’inizio alla fine con funi, cavi e scale e con tanto di  bivacchi superattrezzati sul lato italiano e svizzero.
    Non  è forse un pò troppo facilitato…?

  14. Un tempo c’erano attivita’e mode (jeans, eskimo, occhiali a goccia, musica rock..protesta giovanile nelle varie denominazioni, le sostanze..  )che  si rivestivano di  un alone romantico e vagamente elitario..anarchico.Poi il capitalismo fiuta l’affare e se ne appropria, facendoci una barca di soldi.Lo stesso e’accaduto ed accade alla montagna.. se ne allarga il consumo( e spesso l’iniziativa investitrice di capitali non viene dai montanari , usati come grimaldello o teste di legno ,  ma dal di fuori) ma si continua a far credere che sia attivita’che eleva e distingue dalla massa.Tanto che differenza c’e’ in una foto autoscatto o selfie , tra chi ha raggiunto un acima faticando ed uno che  ci e’arrivato in funivia.Basta scegliere lo sfondo, alzare la piccozza, indossare lo stesso piumone e per una cerchia si e’alla pari. Tutto banalizzato.Chi vuole emergere e ‘costretto ad alzare l’asticella..(.il K2 in inverno..e magari in cannottiera..o col cronometro).

  15. Attenzione: la mia preferenza per la selezione naturale, conseguente alla montagna meno comoda, non sarebbe la mia scelta ideale a tavolino. Fosse per me, metterei un numero chiuso molto rigido ed elitario, basato non sulla capacità tecnica, ma sulla concezione della montagna. Il punto però è: come lo definiamo il numero chiuso in termini oggettivi? con quali criteri? economici? giuridici? diamo patenti (stile URSS vecchia memoria)? E poi: chi decide? con quale legittimità? a favore di chi? solo dei “bravissimi”? allora gli alpinisti medi o medio-bassi sono esclusi per definizione? oppure solo a favore dei professionisti (che portano clienti anche non bravissimi)? ma allora capiterebbe come la recente ordinanza in VdA. Poi, ancora: come si amalgamerebbe il tutto con il quadro giuridico-costituzionale nel suo complesso?…. ecc ecc ecc
     
    Insomma si entra in un ginepraio da cui non se ne esce più. Meglio puntare a smontare (progressivamente) l’attuale sovrastruttura antropica. Una montagna meno comodo e più severa fa in automatico selezione, anche senza impegolarsi in diatribe giuridico-corporativistiche. Nessuno metta né divieti né obblighi: lasciamo alla Natura che faccia lei. Alla fine sono giunto a questa conclusione. Ci vorrà del tempo, ma piano piano la folla si allontanerà dalla “nuova” montagna (quella meno comoda e più severa) e resteranno solo gli appassionati genuini, che potranno essere degli ottavogradisti come dei quartogradisti, ognuno avrà i suoi spazi a disposizione.
     
    L’eccesso antropico è invece una grave forma di inquinamento, non solo in termini diretti (rifiuti, impianti, elicotteri ecc ecc ecc), ma soprattutto in termini concettual-ideologici. La gran parte della folla che si allontanerebbe dalla “nuova” montagna (quella meno comoda) è costituita da “consumatori consumisti”, i famosi cannibali.
     
    I cannibali non amano la montagna scomoda e severa. I divieti ufficiali, invece, non li fermerebbero, anzi. Perché i cannibali hanno soldi e voglia di spendere per i permessi, sono smanettoni e prenotano su internet con maggior efficacia, vivono principalmente di status symbol e per esempio per loro esiste solo il Cervino, dove si accalcano come mosche: per cui se glielo “togli” – no attrezzatura via, no Capanna Carrel, no altre facilitazioni… alla fine si demotivano e si dedicano ad altri sport…
     

  16.  Credo che quelle persone non avrebbero rinunciato se avessero dovuto partire a piedi da Cervinia camminando meno di 2 ore in più per raggiungere l’Oriondé.

    Sicuramente è così.
    Ma se non ci fossero l’appoggio della Carrel e la NON poca facilitazione delle attrezzature, sarebbe assai diverso l’impegno di salire il Cervino.

  17. Tutti interventi condivisibili ma per arginare il problema dell’affollamento immediatamente, forse il numero chiuso è la mossa più efficace. 
    Nell’articolo ho letto che il “canale della morte” è pericoloso indipendentemente da quante persone vi transitano, ma la ritengo un’inesattezza dal pinto di vista pratico. Infatti più persone devono raggiungere ciò che vi sta a monte e maggiore sarà il rischio che qualcuno venga centrato da un sasso.
    E’ vero che un accesso meno comodo e meno comfort dei rifugi, servizi, ecc. limiterebbe le presenze, ma oggi cosa facciamo? Chiudiamo il trenino? Danneggiamo il rifugio? E’ tornare indietro che è difficile. L’estate scorsa sono stato un paio di volte al Cervino per la normale italiana prenotando alla Carrel. Nonostante le restrizioni per il virus e i posti quindi ancora più limitati, il numero delle persone che avrebbero fatto meglio a non essere lì era consistente ma credo non esagerato. Credo che quelle persone non avrebbero rinunciato se avessero dovuto partire a piedi da Cervinia camminando meno di 2 ore in più per raggiungere l’Oriondé. 

  18. Dino Buzzati scrisse un racconto”Le montagne sono proibite”.Oggi siamo al “vietatino”. “Permessino” con prenotazione, a pagamento.Si sono inventate tutte le agevolazioni; infatti c’e’ chi ,arrivato ad un rifugio comodamente , si lamenta che non  trova le ostriche fresche, dell’odore forte  di minestrone o crauti! !A volte c’e’piu’ campo in cima che  in fondovalle..con tutti i gestori di telefoni con la loro brava antenna ripetitrice..e tocca sorbirsi le dirette verso parentado , a voce squillante dei vicini ,conquistatori dell’inutile.Il peggio e’captare involontariamente  non  entusiastiche emozioni, ma questioni di corna, condominio, fisco..avvocato..resoconti di mangiate o feste  alla moda.Comunque ci sono montagne non griffate, che attendono  visitatori ed offrono solitudine.

  19. Come si sa abbondantemente, io sono un convinto sostenitore dell’impostazione “più montagna per pochi“. (ovvero: più spazio a disposizione per un n umero inferiore di individui). Però al fine di scremare l’accesso antropico alla montagna non ci vogliono divieti, prenotazioni, balzelli, lacci e lacciuli burocratici ecc ecc ecc, ma semplicemente rendere (molto) meno comodo l’accesso stesso alle montagne (meno strade, meno impianti, meno rifugi, meno indicazioni, meno attrezzature di ogni tipo ecc). Se, per salire in vetta al Bianco dalla normale francese, si dovesse partire a piedi da Chamonix (cioè no trenino) e pernottare in un rifugio vecchio stile (solo zuppa di cipolla la sera e una tazza di tè al mattino, niente telefono, niente wifi, niente doccia ecc ecc ecc), la fila si assottiglierebbe in modo automatico.
    Non volendo dilungarmi a ripetere cosa che ho già scritto, per chi fosse interesato all’esposizione completa del mio punto di vista sul tema, segnalo il link ad un mio specifico articolo:
    https://www.caitorino.it/montievalli/2020/04/03/restrizioni-montagna-quale-modello-il-futuro/
     
    Buona giornata a tutti!

  20. Pienamente d’accordo, Paolo Gallese! Io forse farei un passo in più..non c’è soccorso! Per nessuno…affiliati e non, paganti e non…la responsabilità è solo e unicamente mia..sono socio del CAI perchè credo (credevo?) nei principi che lo muovono (muovevano?) e non per avere dei servizi (assicurazione soccorso alpino)! 

  21. Io sono un convinto sostenitore di una nuova Legge che consenta l’esposizione di una serie di cartelli di altissimo valore educativo, dal seguente contenuto. 
    “Benvenuti nel comprensorio naturale di ……… State entrando in un’area wilderness. L’accesso a questa zona presuppone una adeguata dotazione personale, vestiario e attrezzature adatti, una buona preparazione tecnica, fisica e naturalistica. Da questo punto siete soggetti unicamente alla vostra responsabilità, fermi i divieti stabiliti dalle leggi e regolamenti vigenti in materia di tutela ambientale. Non sono previsti soccorsi se non quelli gestiti dalle organizzazioni abilitate e alle quali dovete essere affiliati, previo pagamento delle quote individuali previste. 
    In quest’area la Natura, i suoi ritmi e fenomeni, non vengono in alcun modo mitigati o regolati da interventi umani. Pertanto non è possibile garantire la vostra sicurezza.
    Qualsiasi evento o incidente, danni a cose o persone, ricade sotto la vostra responsabilità. 
    Le comunicazioni attraverso devices elettronici non è garantita. La cartellonistica non sempre disponibile. Si raccomanda una adeguata capacità di orientamento. 
    Firmato: il Sindaco ecc. ecc.”

  22. Hervé Barmasse commentava: “[…] I divieti non servono a far cultura della montagna, ma a lavarsene le mani quando le cose diventano ingestibili e non si ha voglia di investire in informazione e prevenzione. Inoltre togliere la libertà di frequentare la montagna, che è un bene comune, e appartiene a tutti coloro che la rispettano e la amano, è un attacco ai valori dell’alpinismoVietare l’accesso alle montagne significa togliere la libertà. Il sindaco di Saint-Gervais esulta, e parla di “giornata storica”, ma questa è la più triste nella storia dell’alpinismo”.
    Il pensiero è supercondivisibile, tuttavia ha un “ma”.
    È un ma che ne inficia le buone intenzioni. Riguarda la quantità.
    Differenti contesti muovono i fili delle energie a loro modo.
    Ogni contesto esprime tacite tendenze.
    I grandi numeri tendono all’esigenza e alla generazione di norme, e sollecitano eventualità che i piccoli numeri sollecitano meno o per niente.
    Anche se quanto esprime Barmasse fosse soddisfatto il problema non cambierebbe, sarebbe semmai posticipato.
    Da non dimenticare che i grandi numeri non sono una quantità definitiva e universale “ma” relativa al contesto.

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