Dentro e fuori dall’uscio della conoscenza.
Il piede nella porta
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 19 ottobre 2023)
Viviamo dentro emozioni. Più precisamente, siamo emozioni. Esse si mostrano attraverso noi, e noi necessariamente ne siamo espressione. Dunque, l’equazione è facile: il mondo, la realtà, tutto non è che un’emozione.
Paura e panico sono emozioni che impediscono di uscire di casa, che ci impongono uno status segretamente alienato, frustrato e timorato, ovvero ostacolano l’equilibrio con noi stessi. Sono imposizioni di vita e di realtà. Ma le due emozioni citate, eclatanti, che tutti sappiamo riconoscere ed elencare, intendendole nelle loro espressioni apicali, hanno forma anche piatta. In dosi minori, non arrivano a immobilizzare o a farci compiere scelte sprovvedute. Silenti in noi, si annunciano e non si fanno avvertire, sono croniche, ci accompagnano qualunque strada si stia facendo, non percepite dai radar della consapevolezza.
Prendiamo ad esempio un individuo ideologizzato, – cioè dentro una specifica emozione – che non significa vada per strada col libretto rosso in una tasca e l’Hazet 36 sottobraccio. Finché le idee in cui crede e si identifica lo informano, esse saranno parte di lui; finché vorrà difenderle o diffonderle, finché le altre e opposte lo toccheranno direttamente e necessariamente lo coinvolgeranno, tutto, ma proprio tutto ciò che vivrà, esprimerà la sua fede, condurrà la sua biografia, giudicherà la sua coerenza. I suoi pensieri saranno mattoni per costruire la realtà che considera corrispondente alla sua fede; anche quelli contraddittori, in quanto nient’altro – dirà – che questioni cui rimediare o sensi di colpa, cioè manifestazioni della sua genuina fedeltà alla propria ideologia, quindi a se stesso.
Se i sentimenti hanno un carattere binario, nel senso che tutti i tipi sono riconducibili a una sola coppia di opposti, ovvero, come il bianco e il nero, di attrazione e repulsione, le emozioni sono molteplici, come i colori. Per quanto in quantità varino da individuo a individuo o da situazione a situazione, ognuno ne esperisce sfumature personali, piccole variazioni che ci inducono a corrispondenti letture personalizzate della realtà, con qualunque unità di misura lo si voglia ponderare. Se i sentimenti sono legami, che implicano una relazione, le emozioni no. Esse possono essere ponti di comunicazione, e antenne per chi si muove sulle lunghezze d’onda dell’empatia. Che non significa ascoltare l’altro ma assumere la sua emozione.
Lievi sfumature o grandi differenze delle emozioni inducono a comportamenti e scelte obbligate, onde per cui realizziamo una sola delle possibili, teoriche scelte che avremmo avuto a disposizione. Per quelle alternative, sarebbero servite altre emozioni. Nonostante ciò sia una considerazione piuttosto popolare, se non totalitaria, si tratta in realtà di una superstizione. Credere di avere più opzioni è solo un fanciullesco senno di poi, basato sull’inconsapevole visione di un mondo del tutto assente al momento della scelta o prevaricato da altre visioni: dentro l’emozione del razionalismo über alles, infatti, il singolo individuo finisce per applicare al prossimo un ventaglio di opzioni del tutto chiare a lui che le ha enunciate, ma del tutto ignote o impossibili da cogliere per l’altro.
Pari gravità di lettura del reale accade quando siamo portatori sani – ma senza la consapevolezza di esserlo – del meccanicismo, del riduzionismo, del determinismo e della loro corrispondente filosofia, il materialismo. Infatti, una popolare emozione è quella che ci fa credere nella scienza quale unico criterio attendibile di ricerca della verità. La descrizione della realtà, operata da chi vanta di averla comprovata tramite metodo scientifico, è pronunciata con assoluta fermezza e – nonostante Popper – è assunta come pienamente, anzi, dogmaticamente attendibile dalla vulgata, a sua volta partecipe della medesima emozione o incantesimo.
Il sortilegio emozionale ci contiene e guida fin quando non si prende coscienza della sua influenza. Fino ad allora ne siamo preda, e a lui consacriamo tutta la nostra energia, bellezza, creatività. L’emozione diventa vera e propria egregora e la sua forza determina ciò che facciamo come la dipendenza fa con il dipendente, come l’aguzzino con la vittima.
Nessun argomento razionale può aprire o scardinare l’invisibile portone che ci rinchiude nella cella dell’inconsapevolezza dell’emozione che siamo. Solo l’accadimento in noi di altre e opportune emozioni può offrirci il ponte per passare l’abisso che ci isolava da noi stessi.
Così, può accadere di prendere coscienza che pensavamo, parlavamo e vivevamo entro il bozzolo dorato dell’autoreferenzialità della scienza e della sua inconsapevole elezione a dogma; nonché, giocoforza, del limite della logica e della razionalità; quindi ancora, della realtà come oggetto nel quale credevamo di muoverci come entro un salotto, a sua volta composto da altri oggetti, ognuno dei quali, da lì asportato e portato in laboratorio, avrebbe mantenuto la sua natura, ragione e identità.
Osservare codesta deriva meccanicistico-scientista è il passo che, nell’aprire i catenacci, ci permette di considerare la realtà come organismo, poiché essa ci ha fatti e ci contiene, poiché non ne siamo una parte, bensì un’espressione, e poiché nulla è indipendente e tutto è in relazione. Una presa di coscienza, questa, che ci farà inorridire, dal momento che finora ci eravamo creduti neutri osservatori del reale.
Se la scienza scientista, quella convinta che la sua linea di ricerca possa condurre alla verità e alla conoscenza, fosse meno arrogante – è un ossimoro – avrebbe chiaro il limite del campo logico in cui va sempre a giocare, avrebbe chiaro che per occuparsi di origine della vita e della conoscenza, dovrebbe prima riconoscere l’origine di se stessa, avvedersi della propria autoreferenzialità, quindi di quanto sia piccolo il mondo racchiuso nel suo regolamento logico-razionale, buono per l’amministrazione della vita, ma fuffa per la vera conoscenza.
Riconoscere in che termini, nel sottoregno scientista della scienza, la conoscenza non sia che fuffa, prima di essere un eureka, è uno shock. Dal buio della nostra assoluta certezza di essere proprietari di noi stessi – certi di sapere perché abbiamo studiato, convinti di essere nel giusto perché abbiamo un’etica e inseguiamo la virtù, perché seguiamo la retta via in quanto detentori del buon senso, piuttosto che abdicare al titolo di degni probiviri della scienza –, ci dimeniamo come anguille nel secchio sotto lo sguardo del pescatore che, tirandoci fuori dall’acqua, ci ha svelato che, oltre al mondo che credevamo, ce n’era un altro.
Avvedersi che l’oggettività della realtà e della conoscenza non era che una bufala, passa attraverso fasi contraddittorie che ognuno, sempre per le solite emozioni, elabora a suo modo, tramite percorsi individuali che avanzano e ci fanno evolvere secondo motivazione personale.
L’emancipazione prima e poi la libertà dal conosciuto cognitivo permette quindi l’accesso a dimensioni della vita non più castrate e costrette entro il limitato campo della logica. Il mondo alogico, quello della magia, ovvero della cosiddetta scienza suprema, diviene disponibile. E così, come prima ci perdevamo nel dilemma dell’uovo e della gallina, cercando con accanimento scientifico l’origine di tutto, ora possiamo riconoscere che eravamo gli arbitrari autori tanto del dilemma quanto dell’accanimento, e che quel tutto non sta nelle regole del piccolo scienziato a cui ci piaceva tanto giocare. È proprio la logica duale a creare tanto la domanda quanto a impedirne una risposta soddisfacente. Il paradosso ci avverte sulla sua fallacia se estesa a dio della conoscenza.
Ora potremo comprendere che era proprio quel costretto modo di procedere a impedirci di essere anche il mistero, anche il tempo, anche gli altri, anche la realtà che vediamo e che ora sappiamo essere una nostra creazione.
Porsi domande analitiche, oltre a generare l’impotenza di sentire ed essere il mistero, impedisce anche di vedere, accreditare e relazionarsi al mondo delle forze che si muovono nelle situazioni e ne inducono gli esiti, di constatare i propri punti di forza e di vulnerabilità, di riconoscere attraverso il sentire come sfruttare i primi e ridurre i secondi, sebbene non si tratti di processi lineari, prevedibili, pianificabili, logici.
Così, col piede della consapevolezza nella porta del cielo, non intravediamo più oggetti, ma l’evidenza che era proprio una certa emozione a impedirci di vedere l’assurdità di poter spiegare l’universo con la scatola del piccolo scienziato aperta sul tavolo, con le quattro regolette imparate alle lezioncine della scuola, industrialmente formati per replicare. Veri stampini che, pur credendosi liberi e padroni della nostra immaginazione, non possiamo che ridondare nel già detto, nel già visto e conosciuto, con la sola eventuale opzione creativa di perfezionarlo e nulla più. Educati anche per condannare coloro che, invece, meno teleguidati dalla sola lunghezza d’onda di questa tecnologica cultura, creano, sanno di creare, sanno riconoscere i limiti e la necessità di quanto accade e per questo sono considerati eretici, idonei al rogo dell’inquisizione degli esperti, dei baroni, dei presidenti, dei bigotti, del potere.
Diversamente dal determinismo, dal meccanismo causa-effetto, dal tempo lineare della meccanica classica, dalle probabilità quantificate, nella fisica dei quanti troviamo la tendenza, l’eventualità, la possibilità inqualificabile. La fisica quantistica induce a una filosofia che permette di cogliere il valore della magia. Nessuna delle due gioca sul campo logico-razionale. Le regole divengono insieme al gioco stesso. La comunicazione non ha ponti industriali-razionali uniformati, ma sempre occasionali-creativi personalizzati. La realtà non è fuori, ma dentro. Entrambe sono oltre l’uscio. Lo vede chi ha messo il piede nella porta.
Del resto le emozioni non sono un salto nel tempo, come tutti abbiamo sperimentato? Ovvero, non realizzano la principale irreversibilità, data per certa, della fisica classica?
Dal tempo della deriva razional-illuminista, la conoscenza oggi è solo conoscenza tecnica, parcellare, specialistica; non ha in sé nulla che possa permettere di emanciparsi dalle ragioni della sofferenza, anzi. Nessun accumulo di questo tipo di conoscenza potrà mutare lo stato di sofferenza in cui consumiamo una vita di superficie, simile a un palco dove, in tempi differenti, recitiamo i ruoli, anche contradditori, dettati dalle emozioni. L’erudizione non ha nulla a che fare con la forza – semmai con il potere materiale – con la bellezza, con l’armonia, con la creatività. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza non allude alla via dell’accumulo di dati, ma a quella delle consapevolezze; non soltanto allo studio fine a se stesso, frainteso come conoscenza, ma alla contemplazione che ci mostra l’infinito che siamo.
La conoscenza è già in noi. Riuniti al nostro sé, emancipati dal nostro io, possiamo coglierne a piene mani, possiamo navigare in tutti mari e con tutti i tempi, realizzando le migliori scelte. La conoscenza acquisibile, cognitiva, tanto più è creduta la sola, tanto più ci allontana da noi stessi e ci consegna alle ideologie, alle superstizioni, agli incantesimi. E ci porta alla cultura di sofferenza che conosciamo.
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Caro Fabio,
grazie per la dettagliata risposta. Vorrai perdonarmi se non ho letto i dialoghi riportati, ma trovo più importanti le opinioni espresse al riguardo.
Cara Grazia, per quanto riguarda il Crovella – da me a volte detto scherzosamente Krovellik e dai colleghi Caterpillar, per sua stessa ammissione – ora sai che lui è una scheggia impazzita del GognaBlog: non c’è niente da fare. Rassegnati.
… … …
Alessandro è stato criticato altre volte. Per esempio, ricordo il buon Roberto Pasini che gli contestò – giustamente, a mio parere – di aver pubblicato articoli di negazionisti dell’Olocausto, quasi nostalgici di Adolf Hitler. Vedi “Tutto ciò che sapete sulla II Guerra Mondiale è sbagliato – I e II” del 21 e 24 settembre 2023.
Commento di Roberto: “Ci sono dei limiti che a mio parere non si possono superare nel dare spazio ad alcune infamie. Qualunque sia la motivazione”.
E ancora: “Non capisco la pubblicazione di questo testo qui ma questo è già successo in passato. Gogna tira dritto con la sua linea editoriale ‘eretica’ e alcuni di noi tirano dritti per la loro, esprimendo con garbo ma anche decisione la loro contrarietà. A ciascuno il suo e ciascuno se ne assume la responsabilità”.
Risposta di Alessandro: “Certo che me ne assumo la responsabilità. La responsabilità di monitorare sempre cosa scorre nelle fogne, quantità e qualità“.
Inoltre, nell’introduzione Alessandro aveva scritto: “Si sottolinea che la Redazione di GognaBlog è fortemente critica verso il seguente testo, che riportiamo solo perché impressionati da tanta temerarietà. Non diamo giudizi di questo genere così spesso: se lo facciamo è perché perfino Totem&Tabù può trovarsi talvolta a disagio nel dare spazio a ciò che è di immensamente difficile dimostrazione“.
Commento di Marco Lanzavecchia: “Disgustoso. Fortemente critici ma spalate merda nel ventilatore”.
Mio commento: “Alessandro, perché non pubblichi qualche sano racconto di fantascienza? Sarebbe piú credibile (e piú divertente)”.
Io giudico un essere umano nel suo insieme – pregi e difetti – e nel suo contesto storico e sociale. Per me questi sono peccati veniali che non scalfiscono affatto il mio giudizio su Alessandro Gogna, che ora ribadisco: è una persona di assoluti princípi democratici, ma troppo tollerante verso chi è in malafede o non se lo merita affatto (come nel caso presente del negazionista Ron Unz – questo sí negazionista!).
P.S. Scusate la divagazione, ma ritengo che fosse necessaria.
Caro Gianni, sarebbe bello che ognuno di noi rammentasse di non prendere mai troppo sul serio alcunché 🙂
Ciao Fabio,
ho scritto che nessuno si azzarda a scriver male di Alessandro poiché sinora (sono sul blog da pochi anni) non mi è mai capitato di leggere commenti negativi.
Sono d’accordo per cancellare i messaggi che esprimono i sentimenti che hai elencato. Ricordo che all’inizio, in uno dei primi articoli che ho commentato, Crovella è stato davvero poco gentile nei miei confronti, così mi rivolta ad Alessandro che ha risposto che non aveva letto niente di che. Inutile dire che ci sono rimasta male.
N.B. per il mio commento precedente (n.19). Volevo aggiungere una faccina col sorriso, per non essere preso troppo sul serio, ma mi è scappata…
“e ogni volta un fisico muore”…e ciò non è necessariamente un male…
Tranquillo Matteo, sono ancora vivo, nonostante la fisica quantica di Merlo. Male o bene che ciò rappresenti.
Grazia, quella che tu chiami “certezza” in realtà è soltanto una tua opinione.
Se Alessandro dicesse spropositi, io gli obietterei (senza offendere nessuno): “Caro Alessandro, mi dispiace, ma stavolta hai detto uno sproposito. E perché hai detto uno sproposito? Per le seguenti ragioni: punto 1; punto 2; ecc.”.
Per esempio, piú volte l’ho elogiato per i princípi democratici che dimostra di possedere e per la sua tolleranza, ma l’ho anche disapprovato perché questa tolleranza a mio giudizio è eccessiva.
In altre parole, io censurerei tutti i commenti con offese e quelli pieni di astio, di livore, di disprezzo, di rancore o addirittura di odio. Tutto ciò anche se dovessero partire dalla mia penna: mi sforzo sempre di evitarli, ma so che potrebbe succedere senza che sul momento ci se ne renda conto.
Ciao Giuseppe,
grazie per il tuo dettagliato commento!
Quel che penso a proposito della facoltà di appiccicare etichette e fornire opinioni su può bene applicare ai commenti espressi da Lorenzo (immagino siano suoi frutti), ma sono certa che nessuno sul blog si azzarderebbe a esprimere opinioni così nette e taglienti su testi di Alessandro.
Am I right?
“e ogni volta un fisico muore”
…e ciò non è necessariamente un male…
🙂 🙂 🙂
Grazia, alcune opinioni espresse sarebbero anche interessanti.
Tuttavia, potrebbero essere formulate senza tirare in ballo, in modo completamente arbitrario e del tutto fuori luogo, la meccanica quantistica.
A pensar male (che si fa peccato ma spesso ci si azzecca 🙂 ), verrebbe l’idea che questa ossessione per i quanti, derivi dal desiderio di dare una patina scientifica alle propre opinioni.
E, invece, l’effetto ottenuto è proprio l’opposto: ridicolizzare e rendere indigesti concetti altrimenti interessanti.
Come è già stato fatto notare più e più volte in passato (e non solo da me, che sono solo un semplice tronista – a proposito: come si colloca l’appellativo di “tronista” o l’allusione al fatto che “c’è chi la nonna non l’ha avuta” con la questione “del fatto di non avere davanti il tuo interlocutore” o di “non conoscerlo di persona” ?).
Sia chiaro, Merlo è libero di parlare quanto vuole di fisica quantica (come la chiama lui, e ogni volta un fisico muore). E allo stesso modo, chi commenta è libero di far notare che trattasi di “parole in libertà“, anche se non ce l’ha davanti.
Quanto al “cercare di andare in profondità“, mi trovi talmente d’accordo che mi piacerebbe vedere applicato questo concetto anche alla meccanica quantistica (e agli argomenti scientifici in generale).
Mie visioni, naturalmente 🙂
Gianni, io rimango della mia idea che si tratti della visione di Lorenzo, che non credo voglia pretendere di offrire una conoscenza assoluta.
Ho riletto il testo (che avevo già letto un paio di volte) e fatico a riassumerlo come hai fatto tu, visto che descrive anche sentimenti ed emozioni.
So che non è semplice cercare di andare in profondità di qualcosa che ci sembra lontano dalla nostra visione, ma credo che a volte ne valga la pena.
Grazia. Non ho scritto cosa penso che non vada? A me sembra di sì, ma ci riprovo.
La fisica quantistica (che, detto per inciso, è da circa un secolo parte fondamentale e universalmente accettata della “scienza ufficiale”, e su cui si basa la quasi totalità delle tecnologie che usiamo quotidianamente) è un insieme articolato di modelli teorici logicamente fondati e razionali, in cui compaiono elementi nuovi rispetto alla meccanica classica; tra i quali il rilievo che in essa acquistano le valutazioni di probabilità quantificate rigorosamente determinabili, e che portano a previsioni controllate di risultati sperimentali che sono verificati con un grado di esattezza quantitativa mai visto prima nella storia della scienza. Cioè più o meno esattamente il contrario di quanto Merlo pretende che essa sia.
sim sala bim, abra cadabra, supercalifragilisticoespiralidoso, ala kazam…
Gianni, mi dispiace ma anche ora non hai scritto cosa pensi che non vada e non si deve necessariamente sviluppare un trattato per questo!
Come hanno fatto altri prima di questo tuo commento (ringrazio tutti!), si può perlomeno aggiungere un’opinione, se pensi che qualcosa espresso sia sbagliato. Altrimenti a che serve il blog?
Devo ammettere che ammiro Lorenzo per la sua volontà di condivisione.
@5, Fabio. Tutto bene, grazie, ho ricominciato a arrampicare, quindi come convalescente direi che me la cavo benone.
@2. Grazia. Non credo sia questo blog la sede dove pubblicare un saggio sui principi della fisica quantistica per giustificare il mio commento al testo di Merlo al riguardo. E non è questione de “la mia verità” contro “la verità di qualcun altro”. Non c’è nessuna “verità” in discussione: ci sono evidenze, ci sono opinioni (e tra queste, opinioni condivisibili, opinioni discutibili e opinioni spregevoli) e ci sono semplicemente sciocchezze. E soprattutto: non mi sto “facendo forte del fatto di non avere davanti il mio interlocutore”. Non ho nessuna difficoltà a ripetere davanti a qualunque interlocutore che asserire che la fisica quantistica “non gioca sul campo logico-razionale”, e che ha a che fare con la “possibilità inqualificabile”, equivale ad emettere parole in libertà.
“Qualunque scienza sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” [terza legge di Clarke]
Più che logica, Lebowsky (@3), direi che la fisica è sperimentale.
La matematica è logica (o, meglio, la logica costituisce un fondamento razionale della matematica).
La fisica usa la matematica e la logica come strumenti per formalizzare e dedurre le prorie teorie.
Ma qualsiasi teoria fisica, anche quella formalmente più affascinante (per così dire) non può esimersi dalla verifica sperimentale.
Se la teoria della meccanica quantistica non riuscisse a modellare e a prevedere (in determinate condizioni e con un certo grado di accuratezza) i risultati degli esperimenti, sarebbe già stata (scientificamente) cestinata da tempo.
E qui sta la differenza fra scienza e magia: nella scienza osservi e verifichi, nella magia credi (come avviene nelle religioni).
Senza peraltro che vi sia alcuna accezione negativa nel credere, ma a ciascuno il suo àmbito: è quando si fanno improbabili mescoloni che saltano fuori i risultati più esilaranti 🙂
So cosa sia la scienza, non so cosa sia la magia.
Tutto quello che non capisco posso chiamarlo magia, ma non serve a nulla: continuo a non capirlo.
Con questo non ho detto che la magia non esista, anzi!
Grazia, la mia opinione è che la fisica sia una scienza, non una magia. In quanto scienza, si muove rigorosamente nel campo della logica.
La logica umana, per la nostra natura, è limitata e fallace, però bisogna procedere su quella strada: scienza e non magia.
P.S. Detto ciò, apprezzo tantissimo l’etica e la filosofia, che però sono altra cosa dalla scienza.
Fabio, anche tu obbietti ma non illustri la tua verità.
Attendo fiduciosa che qualcuno abbia il coraggio di esporre la propria tesi, che non può essere solo scrivere che quel che ha esposto Lorenzo non va bene!
Scrivere che “la fisica quantistica induce a una filosofia che permette di cogliere il valore della magia” può provocare un coccolone in un docente della materia.
Considerato che il povero Battimelli è convalescente per un problema analogo, mi sembra una raffinatezza di crudeltà propinargli una lettura del genere. Almeno che si avverta: “Questo articolo può nuocere gravemente alle vostre coronarie”.
Gianni, tutto bene?
Lorenzo, apprezzo il tuo anticonformismo e, spesso, l’originalità del pensiero, ma – lasciatelo dire – questa volta hai esagerato.
Caro Drugo, questo è il tuo nome?
Non ti stai intromettendo: il Gognablog promuove gli scambi.
Ognuno di noi non può che illustrare la propria visione e la propria esperienza. Come potrebbe essere diversamente?
Grazia, mi intrometto e da genuina capra mi permetto:un autore se dice che le radici di una conifera crescono in aria e i rami sotto terra, non esprime una opinione.La fisica quantistica è fisica. Ergo è logica. Ed è razionale.(ovviamente non per me che da capra manco capisco un’acca di quella classica).
Caro Gianni, anche stavolta mi colpisce la crudezza del commento, forte del fatto di non avere davanti il tuo interlocutore.
L’autore di un testo, non solo Lorenzo nel particolare, offre la propria visione personale di una data realtà e questa non è discutibile. Al massimo si può commentare illustrando la propria idea, cosa che non leggo nel tuo commento.
“Diversamente dal determinismo, dal meccanismo causa-effetto, dal tempo lineare della meccanica classica, dalle probabilità quantificate, nella fisica dei quanti troviamo la tendenza, l’eventualità, la possibilità inqualificabile. La fisica quantistica induce a una filosofia che permette di cogliere il valore della magia. Nessuna delle due gioca sul campo logico-razionale.”
Pietà. Almeno avere una vaga idea di ciò di cui si parla. Parole in libertà.