Il Re di Tavolara 2 (2-2)
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(3)
Altro che Calanques
A fine maggio 2018 la “missione” di Giuliano continua. Ma questa volta è riuscito a coinvolgere anche me, incuriosito non solo dalle rocce verticali sull’acqua ma anche dalla storia di Tavolara e dalla possibilità di conoscere il suo amico Re.
Nel tardo pomeriggio del 27 Stenghel gentilmente mi viene a prendere all’aeroporto di Olbia. Naturalmente, già nel breve tragitto per la sua casa di Monte Petroso, mi racconta subito che proprio quel giorno era stato alla parete sud-est con tre amici, il giovane Fabio Bullio, Sergio Coltri e Giuliana Steccanella. Giuliano aveva attaccato subito un suo vecchio progetto, che inizia con una traversata ascendente a dir poco impressionante e a picco sul mare selvaggio. Conoscendola già (è la prima lunghezza di Luce nel Mondo), era riuscito a completare il tiro con difficoltà di VI e con la protezione di un solo chiodo. Sarà per l’andamento in traversata, sarà per l’ambiente a dir poco minaccioso (se non si ha confidenza), Giuliana dichiarava subito di non voler seguire su robe del genere. I quattro ripiegavano perciò su un altro disegno di Giuliano, tra la via Buona Notizia (a sinistra) e la Realtà di un Sogno (a destra), aprendo così un nuovo itinerario che chiameranno via Giuly. Usciti dalle difficoltà, avevano traversato a sinistra sulle roccette e raggiunto la via di calata su Infinito Blu. Ma, al momento di recuperare le corde della seconda (e ultima) calata da 60 m, il nodo che le univa si era incastrato in una fessura. Il Re di Tavolara era già in arrivo con il gommone, i tre amici avevano fretta perché avevano da prendere il traghetto che li avrebbe riportati a casa, dunque le corde rimanevano lì, mentre Giuliano prometteva che le avrebbe recuperate i giorni dopo, con me.
Istituto Luce, 1958
Confesso che sono tanto più intimorito dai programmi bellicosi e accattivanti di Giuliano quanto più lui mi proietta addosso la sua foga, un ardore che difficilmente ho visto in altri, una forza direi sovrumana.
Sten, come lo chiamano gli amici, non ha dubbi. Più pensa ai rischi che ha corso in montagna nei tempi passati, più si convince “di avere un angelo grande che lo ama, che lo guida, ma soprattutto che gli vuole indicare un cammino”. In altri momenti, scherzando ma non più di tanto, mi confida “d’essere in missione per conto di Dio”.
Conosco la storia del lungo cammino di sofferenza della sua vita, ma anche questa sera non possono mancare quegli accenni che riescono a tramutare una normale conversazione in una sola accorata e condivisa emozione: “Il mio pensiero vola a Serenella, a tanti anni prima quando i dottori sentenziarono che, a causa di un tumore non operabile, le rimanevano pochi giorni di vita e per la creatura che portava in grembo, soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarla. Un fatto che sconvolse la nostra esistenza, un dolore immenso, profondamente ingiusto. E mi perdo in ricordi: la terribile diagnosi, gli ultimi anni assieme, i tanti sacrifici per dare alla mia famiglia le certezze necessarie: la casa, due risparmi, gli studi di Serenella, il diploma in pianoforte e soprattutto il fatto che saremmo diventati genitori. Invece c’era quella tremenda sentenza di morte.
È stato per noi un periodo doloroso, pieno di problemi e avversità, un lasso di tempo molto difficile, ma per un grande miracolo nacque mia figlia Chiara e quasi due anni dopo Serenella ci lasciò, lasciandoci il grande dono della consapevolezza di un Dio che ci ama. Con la morte nel cuore e la mia bambina da crescere ho dovuto ricominciare da capo.
Da allora mai più avrei immaginato che sarei ritornato a vivere, ad amare con l’arrivo di mia moglie Nicoletta e di Martina, e a sognare ancora nuove vie e grandi avventure. Chi l’avrebbe detto?”.
Stemma e bandiera dei Bertoleoni
Sten ha dedicato più di vent’anni al prossimo lontano, la sua associazione Serenella Onlus (vedi anche https://gognablog.sherpa-gate.com/alpinismo-e-solidarieta/) è l’esempio di come ciascuno di noi dovrebbe comportarsi di fronte alla sofferenza nel mondo, senza aspettarsi nulla dalle istituzioni, in una catena seriale di generosità individuali che superano qualunque interesse personale, con il rischio però d’esserne soverchiati nel profondo, il rischio di abdicare alla propria coscienza sostituendola con le forze e le energie a noi di gran lunga superiori. Quelle che ci esaltano ma che in un nonnulla ci possono schiacciare.
La mattina dopo, 28 maggio, il cielo è grigio e promette pioggia, magari non tanta, ma pur sempre bagnata. In compenso il mare è liscio come l’olio, dunque non abbiamo alcuna difficoltà a salpare con il gommone di sua proprietà dal porticciolo di Cala Finanza e in breve approdare al molo di Spalmatore di Terra. Lì Giuliano conosce e saluta tutti, anche il cane (cui riserva molte feste). Chiede a un ragazzo di accompagnarci alla scogliera e di riportare indietro il gommone. E così in pochi minuti, con lo sguardo fisso prima ai ruderi dei forni della calce (le calchere) e poi, girata Punta La Mandria, alle scogliere verticali della parete sud-est, è già il momento di buttarsi goffamente sugli scogli con tutto il nostro materiale, già imbragati. L’atmosfera è, se possibile, ancora più cupa mentre saliamo qualche decina di metri detritici, fino a un attacco da lui scelto. L’operazione al cervelletto da me subita cinque anni fa per l’asportazione di un neurinoma ha sancito i miei problemi di equilibrio di allora. Nulla è cambiato, ma nulla è peggiorato. Di fatto ho difficoltà a muovermi soprattutto sul terreno facile (I e II grado), mentre dove ci sono da usare tutti e quattro gli arti ho solo i problemi di un allenamento inesistente (per via di altri problemi infiammatori…).
Non preoccupatevi, non ho intenzione di proseguire con il bollettino medico, dirò solo che Sten non fa a tempo a fare pochi metri su un grazioso speroncino di roccia bianca e molto ben lavorata che inizia a piovere. Per un momento ho la speranza che lui ripieghi, quanto meno che si aspetti un po’ per vedere come butta… figuriamoci, quello sale rapido e preciso una quarantina di metri usando due cordini per proteggersi. C’è da dire che la pioggia, pur bagnando la roccia, in realtà non aumenta se non di poco la difficoltà, per l’assenza totale di lichene e per la sua estrema rugosità. Quando lo raggiungo, so già che è del tutto inutile accennare a una ritirata. Giuliano si è fermato qui anche perché c’è in posto un cordone blu con tanto di anello metallico di calata. E infatti, guardando in alto, si capisce il perché. Sale una dozzina di metri ancora accettabili, poi è sotto un risalto nerastro, dove invece la pioggia che sta cadendo aumenta le difficoltà eccome. Qualche esitazione, poi l’infissione di un buon chiodo, quindi il passo vero e proprio, difficile, fino a poter mettere un altro chiodo… e poi ancora, su terreno appena più facile. Fermo alla mia sosta lo guardo salire e vedo l’uomo che oggi non può cadere: la sua esaltazione è pari alla sua prudenza, il che di solito ha dell’incredibile. Ma lui è “in missione di Dio”. La terza lunghezza è tutta in obliquo a sinistra, anche lì il genio di Stenghel si mostra nella sua singolarità. Un chiodo e un friend per una trentina di metri. Quando tocca a me, il non aver la corda davanti fa sì che m’infastidisca anche il per nulla pesante zainetto che ho sulle spalle. Qui siamo sotto alcuni strapiombi, per questo piove un po’ meno, ma noi comunque siamo già bagnati abbastanza. La via continua a sinistra su un tiro indimenticabile, entusiasmante per la sua qualità e per l’assenza di infissi di qualunque tipo, solo spuntoni e clessidre. Abbiamo raggiunto ora l’ultima lunghezza di Parole e pensieri a Martina, la via che Sten ha fatto con sua figlia Chiara due anni fa: sotto a uno strapiombo fessurato pende un rinvio, evidentemente dimenticato dalla poveretta in difficoltà…
Concludiamo con l’ultima lunghezza esaltante di Lasciami volare e ci ritroviamo alla fine della parete verticale e sul bordo di una fascia di rocce e cenge. La vetta è ancora abbastanza lontana Sono visibilmente contento, anche perché ha smesso di piovere: Sten mi chiede cosa ne dico… “Altro che Calanques!”, rispondo.
Abbiamo ora tre possibilità. O traversare a destra per una decina di minuti fino a raggiungere l’inizio delle calate a doppia, o puntare alla vetta o, ancora, traversare lungamente a sinistra per raggiungere la via delle Scale e i suoi cavi d’acciaio. So bene che questo per me è il terreno più ostico, questa facile arrampicata dove il mio difettoso equilibrio mi svantaggia e mi rallenta. Sono però troppo curioso di andare a vedere il vecchio percorso dei pastori, così gli chiedo di rinunciare alla vetta e a recuperare le corde del giorno prima (le avremmo prese un’altra volta).
– Va bene, ci vorrà un’oretta per arrivare alla via delle Scale. Poi magari da lì andiamo alla via degli Angeli, la ferrata smantellata, e ci caliamo giù di là, tanto per farti vedere dove passava…
Iniziamo una marcia che non presenta alcuna difficoltà ma richiede attenzione, equilibrio. Mi concentro, lo seguo, ma è subito evidente che vado più piano. Mi rivedo quando, una volta, su questo terreno sembravo uno stambecco. Ho paura di farmi male, proprio qui.
Re Carlo I, la regale consorte Maddalena Favale e le tre Principesse del Mare. Hale, 1904
Diventare vecchio mi permette di ritrovare quel timore che m’incutevano gli ambienti verticali e selvaggi prima che mi diventassero così familiari. Un ritorno alle origini, con un corpo che non è più lo stesso e con una mente che riscopre la paura. Massi appuntiti, le buche tra di loro, radici, sterpaglie, arbusti fioriti, saliscendi, qualche passo di arrampicata. Sono in alta tensione, e intanto Giuliano mi parla di alcuni fiori velenosi, del fatto che vuole chiamare il nostro nuovo itinerario via Guya (che è mia moglie), o delle capre dell’isola, sue amiche. E mentre scendo un risaltino, improvvisamente un appiglio mi si stacca, io perdo l’equilibrio e, senza più quella reazione istantanea che avrei avuto un tempo, mi ritrovo a cadere all’indietro e ad atterrare di sedere qualche metro più sotto, fare una capriola e di ritrovarmi in piedi. Giuliano vede la scena e si precipita da me, chiedendomi atterrito se mi posso muovere. La corda che ho sulla schiena ha certamente attutito, ma la fortuna che ho avuto di non atterrare su nulla di aguzzo è stata a dir poco miracolosa. Nessuna ferita, neppure un’escoriazione, solo una botta sulla natica destra. Sono illeso ma scosso, Sten è sollevato e io sono ben disposto ad accettare (come lui suggerisce) che siano stati i suoi Angeli a proteggermi, quelli stessi della ferrata cui lui tiene tanto.
Con attenzione triplicata continuiamo la nostra marcia di su e giù, fino ad attraversare il canale di sfasciumi dove passa la vera via delle Scale. I cavi sono stati messi più discosti dal fondo del canalaccio, giustamente per evitare possibili cadute sassi, specie quelli mossi dagli escursionisti. Con un’ultima salita arriviamo ai cavi d’acciaio che seguiamo in traversata e in discesa fino a un boschetto. Un cartello di legno indica che da qui si può raggiungere l’ex-ferrata degli Angeli.
– Vuoi che andiamo a vederla? – mi chiede.
– Preferisco scendere per la via delle Scale, se non ti spiace, così vedo come è fatta e se è il caso di approvarne il “rifacimento”.
Scendendo, prendiamo nota mentale di tutto ciò che non va, dal tipo di infissi alle attaccature, dalle interruzioni del cavo in punti critici a passaggi da migliorare con qualche gradino: e alla fine ci troviamo vicino al mare, a Punta La Mandria. Volendo potremmo seguire per una trentina di minuti un sentiero fino ai ristoranti, ma Giuliano preferisce telefonare che ci vengano a prendere sulla scogliera.
E’ Tonino I in persona che viene con il gommone, veniamo presentati non appena goffamente salto sul natante. L’uomo decisamente desta interesse e, dopo poco, all’ombra di una tettoia incomincerò a intervistarlo in compagnia di una birra. Una chiacchierata che durerà circa un’ora, ma che poi riprenderemo il giorno dopo e quello dopo ancora, per un totale di 255 minuti di registrazione. E’ bello vedere che pian piano l’uomo si lascia andare e ci fa confidenze che lo stesso Giuliano dice di non aver mai udito da lui.
Re Carlo I, con parenti collaterali a bordo della nave Vulcan
Il giorno dopo, con Giuliano, la moglie Nicoletta e una coppia di loro amici, andiamo a piedi fino a Punta La Mandria. Ci mostra i reticolati della famiglia Marzano, il cancello d’ingresso della strada per la base militare e i relativi cartelli di divieto, la linea di confine che parte da qui e sale come una fucilata alla cresta di Monte Petrosu, lasciando le vette principali ai Marzano; e poi il modo per aggirare le recinzioni, insomma le furbizie che erano necessarie alle varie comitive di escursionisti diretti alla Ferrata degli Angeli. Senza entrare nella strada militare (che tra l’altro adesso, almeno fino alla galleria, militare non è più perché disegnata nel terreno Marzano. Ci fu una causa allo Stato, che la famiglia vinse). Continuiamo per il sentiero che passa sopra alla costa e accanto ai ruderi dei forni. Un sentiero che non esisteva più, ma che è stato fatto ripristinare da Tonino I. Qui ci passava il carro a buoi, carico del materiale roccioso raccolto nei pressi della Cresta di Monte Petrosu e destinato a diventare calce. Ci soffermiamo un po’ allo spiazzo della grotta del Gregge, dove Giuliano ha posto una Madonnina. La posizione è superlativa, tra il mare e le rocce incombenti, in questa sottile striscia di macchia profumata. Discutiamo di come si svolgesse e di come dovesse essere duro quel lavoro: saliti ancora un po’ per un ripido sentiero, mi mostra un canalino giusto sopra alla mulattiera che abbiamo appena percorso. Dal luogo di raccolta delle pietre, un carro trainato da un bue portava per una settantina di metri di strada (di cui ancora adesso si vede il muretto di sostegno, a dispetto dei danneggiamenti apportati dal custode dei Marzano, Pasquale Floris, nel 1994) le rocce fino all’orlo del canalino: il materiale petroso era gettato giù fino alla mulattiera. Da qui mi mostra anche dove passava la Ferrata degli Angeli. Mi ricorda che in un anno pare sia salito di qui un migliaio di ferratisti. Capisco davvero quanto sarebbe importante per lui che la Ferrata degli Angeli venisse ripristinata, con tutti i crismi di una buona realizzazione e con la benedizione anche mia, che tendenzialmente sono contrario a qualunque ferratura di luoghi inospitali, dove sono passati solo gli alpinisti e mai i pastori, né i cacciatori. Credo di capire che sia un po’ il suo scopo segreto, quello di convincermi della bontà del suo progetto e della necessità che l’isola abbia la possibilità di una salita alla vetta che non sia nel “proibito” terreno Marzano. Perché così vogliono gli Angeli (quelli che mi hanno salvato, penso io).
Al ritorno ci racconta della croce che era in vetta. Assai pesante e di metallo era stata portata lassù da Bobo Habel e compagni, ma negli anni Novanta era stata smantellata di nascosto. Sten non ha dubbi su chi siano stati i responsabili, accusa apertamente Pasquale Floris. Ma la sua “missione” è anche di pace e non dispera un giorno di riuscire a convincere chi di dovere a rimettere in vetta la croce (che nel frattempo è letteralmente svanita nel nulla). E’ stato proprio il Floris (in seguito a una litigata con i suoi datori di lavoro) a spifferare tutto ciò che era successo e quanto era in progetto, ma senza alcuna garanzia di verità.
Fabio Bullio, parete sud-est, prima ascensione della via Giuly. 27 maggio 2018. Foto: Giuliano Stenghel
Mercoledì 30 maggio splende il sole, gli accordi serali prevedevano una sveglia presto e una partenza di conseguenza alla volta di Tavolara per un’altra prima ascensione. Purtroppo non mi sento pronto, sento dentro di me che oggi devo stare fermo e non posso accondiscendere al contagioso entusiasmo di Sten. Ci ho rimuginato la notte e ho anche da tempo imparato ad ascoltare molto attentamente queste voci interiori. Dopo una bella passeggiata a Cala Girgolu, andiamo a Tavolara, ma solo per mangiare e per parlare con Tonino, per la terza puntata. La sera sarà movimentata dall’arrivo di Chiara, la figlia, con due sue amiche e dalla comparsa degli amici Marco Marrosu e Nicola Lanzetta, muniti di camper. Faccio un primo per tutti (in totale siamo in dieci), mentre Nicola fa una grigliata di melanzane e una di carne varia. Quella sera il vino scorre di più, le idee di Giuliano, ora più nette, fanno attrito su quelle mie e di Marco, anche lui paladino di una Sardegna intatta. Nessuno si scompone, perché avere idee diverse e rispettarsele fa parte dell’amicizia tra uomini liberi che si stimano.
Il giorno dopo, giovedì 31, siamo in quattro ad affrontare ancora le rocce del Muse di Tavolara. Mi sento più protetto, lo confesso volentieri. Ancora più protetto quando, sbarcati nei pressi della prima lunghezza di Luce del Mondo, quella traversata ascendente che la Steccanella ha rifiutato, capiamo in tre che Giuliano ha proprio intenzione di salire di lì. E siamo in tre a dire, con differenti sfumature, che forse “non è il caso”. La codardia divisa in tre è più sopportabile. Ma c’è la necessità di recuperare le famose due corde, dunque occorre fare una salita che permetta di scendere per la calata a doppie. Giuliano trova un’altra soluzione, mentre a malincuore vedo Marco e Nicola diretti a ripetere la nostra via Guya, ma anche intenzionati a raddrizzarla per un’evidente fessura.
Tonino, Re di Tavolara e Alessandro Gogna, 28 maggio 2018
Sono ancora da solo con i miei pensieri, ma presto vengo rapito dalla bellezza di ciò che sto facendo. La prima lunghezza è su roccia quasi marrone, porosa, stupenda; poi obliquiamo verso una grotta. Mentre comodamente lo assicuro, lo vedo fare evoluzioni su e giù alla ricerca di un passaggio che ci permetta di raggiungere la cengiona sulla quale è sistemato l’ancoraggio della doppia con le corde incastrate: alla fine risolve girando uno spigolo a destra ed effettuando un’ardita traversata (VI-) che gli fa raggiungere una fessurina e poi la cengia. Dopo lunga traversata a destra, troviamo ancora terreno vergine tra le varie vie e risaliamo un’ultima parete grigio-bianca su roccia scolpita.
Anche i ragazzi intanto hanno completato il loro itinerario, i tre tiri della variante dei Sardi. Ci ritroviamo all’inizio delle doppie, recuperiamo quelle di proprietà di Sergio Coltri e aspettiamo al sole cocente l’arrivo del gommone: saranno Nicoletta e Chiara a prenderci, con una manovra d’attracco perfetta.
Il mattino dopo è giorno di partenza per quasi tutti. All’aeroporto di Olbia il mio volo è prima del loro e, prima di salutarci, chiedo a Giuliano: – Che nome le diamo?
– Avresti qualche idea? – fa lui.
– Che ne dici di Via degli Uomini leggendari?
Quattro chiacchiere con il Re
L’Italia non riconobbe mai la loro sovranità. Del titolo dei Bertoleoni non c’è traccia in alcun documento ufficiale. Tonino I ha il volto abbronzato e i capelli spettinati dal vento. Lo puoi incontrare dietro un timone, mentre manovra un barcone carico di turisti in infradito, ma anche lo vedi pranzare nel suo ristorante, davanti a una bella spaghettata di pesce, sempre misurato. Quando sparisce immagini che sia andato a concedersi un sonnellino, ne ha tutti i diritti. A me è parso subito come un vecchio amico, un uomo con tanta dignità e molte cose da raccontare. Da qualche particolare ci si accorge che è una vera e propria star. «Ecco, quello è il re» esclamano i più curiosi con il dito puntato. Lui sembra non accorgersene. «Spesso la chiamano leggenda, ma questa è una storia vera» afferma però con orgoglio. Antonio Bertoleoni, per tutti Tonino, è un uomo dai modi gentili, che porta la corona nel cuore, non sulla testa. Mi ha parlato con precisione dei fatti che dimostrano che il suo avo fu davvero nominato re di Tavolara da Carlo Alberto di Savoia in persona. La sua storia fascinosa una volta è stata raccontata in prima serata da Raidue: «Però non sono riuscito a vedermi in televisione, sono andato a letto presto» ricorda ammiccando.
Un giorno si aggirava come sempre in pantaloncini e ciabatte; una turista arrivata da Parigi di certo non sapeva nulla del regno e del re. E quando se l’è trovato di fronte, passeggiando a mezzogiorno sulla spiaggia bianca di Spalmatore di Terra, gli ha chiesto: «Scusi, su questo lato dell’isola è possibile fare il bagno?». Tonino sorride e risponde senza formalismi di corte: «Certo, l’autorizzo io». Ma la parigina ribatte un po’ stupita e quasi indispettita: «E lei, scusi, chi sarebbe?». Tonino non si offende per l’irriverenza transalpina e spiega: «Io sono il re di Tavolara».
Alessandro Gogna, prima ascensione della via Guya, parete sud-est, 28 maggio 2018
All’inizio dell’intervista chiede semplicemente: “Bene, di cosa devo parlare?”.
“Dì quello che ti piacerebbe venisse detto di te” lo incoraggio.
Giuliano Stenghel indica con il braccio la direttiva del confine Marzano-Bertoleoni
“Qui arriva tanta gente – confida Tonino – ma non ci sono occasioni mondane. L’unica è quella del festival cinematografico Una Notte d’Italia, che si fa dal 1991. “A me il festival piace molto – dice Tonino – ma è un bene che duri solo tre giorni. Tavolara è l’isola del silenzio… Certo che col tempo le cose cambiano. Il business importante diventa il turismo. Quando i turisti hanno iniziato a visitare con costanza Tavolara ci è venuta in mente l’idea di aprire il ristorante e di organizzare il servizio di traghetto. Ora le cose vanno abbastanza bene. Anche in questo caso però, il maestrale è il nostro peggior nemico. Quando soffia forte non si vede nemmeno un cliente…”.
“Oltre a noi – spiega Tonino – c’è la famiglia di un mio cugino, i Molinas. Hanno costruito una casa in un terreno che gli ha regalato mio padre, ci vengono d’estate. Dall’altra parte, vicino al mio ristorante e quello di mia sorella, c’è la tenuta dei Marzano. Un tempo la loro villa era nostra, poi fu venduta ai Tamponi, che oggi sono ancora i proprietari di Molara, e in seguito la proprietà passò ai Marzano. Ogni tanto va a trovarli qualche personaggio politico… Gianfranco Fini per esempio è venuto più volte”.
“Poi – continua il Re di Tavolara – circa un quarto dell’isola, è in mano alla NATO. Abbiamo ottimi rapporti con i militari che ci lavorano. Spesso ci vengono a trovare e non abbiamo mai avuto problemi”.
Tonino è probabilmente l’unico sovrano che si fa chiamare con un nomignolo e che nel corso della sua vita si è spaccato la schiena facendo l’operaio ai forni di calce prima e come ristoratore poi. «Sono probabilmente il re più ordinario del mondo. L’unico privilegio di cui godo sono i pasti gratis», dice il sovrano, riferendosi al fatto che ora il ristorante è gestito dal figlio Giuseppe.
«Noi siamo nati scalzi e liberi – dice con una punta di ironia – nella mia vita ho sempre lavorato, ancora oggi mi sveglio all’alba. Dalla primavera all’autunno abito sull’isola, durante l’inverno a Porto San Paolo, ovviamente in via Tavolara».
Il divieto di accesso
Le recinzioni nell’isola di Tavolara hanno sempre alimentato polemiche. Già nel 2005 fa Piero Serra, del Partito sardo d’azione, protestò per la situazione esistente nell’isola, di fatto off limits per la sua gran parte, con reti e cartelli minacciosi e con vigilanza armata. Vittorio Marzano, il maggior proprietario con la sua famiglia dell’isola, aveva replicato sottolineando come la zona sia accessibile a chi chiede il permesso, ma il problema vero è che «dietro le polemiche si nascondono interessi di natura commerciale».
«C’è la spinta di operatori turistici – sostiene Marzano – che vorrebbero utilizzare Tavolara per escursioni guidate a pagamento. Salire di prepotenza a Punta Cannone? Dobbiamo impedirlo e vigilare».
Nella vicenda era intervenuto Antonio Fideli, presidente dell’Associazione escursionistica Isola di Tavolara. «Non è vero – dice Fideli – come sostiene Vittorio Marzano […] che l’accesso sia consentito ai visitatori che chiedono il permesso. Noi, che siamo un’associazione senza fini di lucro, abbiamo fatto una richiesta all’inizio di febbraio, sottolineando l’intenzione di varare un calendario di visite guidate a Punta Cannone. Nella lettera ho anche specificato il mio ruolo di ispettore capo del corpo forestale della regione».
La risposta è stata negativa. «Ho ricevuto una lettera firmata dall’avvocato Infelisi, in cui si ribadiva il diniego assoluto della famiglia Marzano, quali proprietari della loro porzione immobiliare nell’isola di Tavolara, a escursioni e passaggi di estranei. Una replica secca, in cui si parla anche di un’anomala commistione fra la mia qualifica di presidente dell’Associazione e la funzione di ispettore capo della forestale».
L’Associazione non si era arresa. «Abbiamo avviato una raccolta di firme nei tre comuni dell’area protetta: Olbia, Loiri Porto S. Paolo e San Teodoro, e scriveremo ai sindaci, al ministro dell’ambiente, a Berlusconi, a Soru e alla Murrighile (Anna Pietrina Murrighile, allora presidente della provincia di Olbia-Tempio, NdR). Vorremo insomma educatamente poter essere messi nelle condizioni di visitare l’isola con gli escursionisti e le scuole».
In tempi più recenti (2016) Roberto Copparoni, ambientalista, segretario dei Verdi per la Provincia di Cagliari, sostiene che Tavolara è un po’ il paradigma di una diffusa situazione, dove i sardi, vincolati dalle servitù militari, industriali, minerarie ed energetiche che invadono il territorio e soprattutto “paralizzati dal servilismo verso le famiglie più potenti”, siano continentali o sarde, risultano “incapaci di essere padroni in casa loro”.
Copparoni è arrivato a queste conclusioni mentre, assieme all’Associazione Amici di Sardegna, passeggiava nell’unico sentiero praticabile dell’isola, quello per Punta La Mandria, delimitato da reti metalliche, cartelli di proprietà privata e divieti d’accesso. Copparoni scrive: “… la NATO ha occupato più della metà del territorio (non è esatto, NdR), mentre la potente famiglia Marzano (che fin dall’era fascista ha sempre avuto posizioni di forte influenza nei palazzi romani) possiede a Tavolara un’importante struttura (anche questo non è esatto, i Marzano sono proprietari di una villa e della maggior parte del territorio, NdR)… Solo una piccola parte dell’isola è rimasta a coloro che a pieno titolo dovrebbero essere i veri proprietari di Tavolara, la famiglia Bertoleoni, di cui Tonino risulta essere l’erede legittimo se non altro per usucapione. Ci sarebbe poi anche un altro vincolo determinato dalla presenza di un Ente parco, l’Area Marina Protetta di Tavolara. Ma questa è un’altra storia…“.
Copparoni poi sposta il tutto su un piano regionalistico che qui interessa poco, ma che è il caso di citare proprio per non incorrere nello stesso errore: “Quanto alla potente famiglia Marzano di Tavolara, ricordo che in Sardegna abbiamo altre famiglie che sarde non sono, ma che di fatto sono in grado di far legiferare quello che vogliono, magari proprio da sardi, e di consolidare in questo modo il proprio potere con la collaborazione di tanti residenti”.
E continua: “I sardi, pur di avere lavoro, sono disposti a tutto con buona pace dell’identità e dell’autodeterminazione. Sacrificano tutto, affetti, ambiente, territori, storia e tradizioni, ipotecando persino il futuro di quelli che verranno… I fatti lo dimostrano quotidianamente. Per fortuna a Tavolara c’è il Festival del Cinema che ci ricorda quante contraddizioni presenti la Sardegna a cominciare da un ente Parco (non esiste alcun ente Parco, solo l’Area Marina Protetta, NdR) che a mio avviso non controlla proprio nulla […] tutti possono arrivare sull’isola, perché non esiste alcun monitoraggio degli arrivi: centinaia di natanti transitano in area protetta e approdano un po’ dove si vuole in barba ai vincoli delle aree A, B, C. Colpiscono i tanti panfili e le numerose imbarcazioni da sogno alcune delle quali ricordano persino l’Andrea Doria e il Titanic tanto sono grandi e lussuose. Come vorrei che un giorno i Bertoleoni, ovvero i sardi (ma non erano corso-genovesi?, NdR) si riprendessero tutto e riacquistassero una piena soggettività… Secondo voi sarà mai possibile?”.
Il divieto di transito nelle proprietà dei Marzano è stato difeso, al di là dei cartelli e delle recinzioni, con le unghie, con i denti, con le armi e con le denunce.
In realtà non esiste una normativa che prenda in considerazione le esigenze turistiche. In relazione ai beni di interesse storico e artistico, il Codice Civile fa un generico rimando alle disposizioni delle relative leggi che, attualmente, sono principalmente rappresentate dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Il detto codice si occupa di accesso ai fondi contenenti beni culturali in due soli articoli ed esattamente all’art. 38 e all’art. 140. Il primo stabilisce che i beni culturali dei privati che siano stati restaurati o sottoposti a interventi conservativi col concorso dello Stato nella spesa o per i quali siano stati concessi contributi, devono essere resi accessibili al pubblico con modalità da stabilire mediante convenzioni tra proprietario e Ministero; il secondo prevede che possano essere assoggettati a visita da parte del pubblico i beni di interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico che rivestano interesse eccezionale, tale essendo quello dichiarato con apposito atto del Ministero.
Grotta del Gregge di Punta La Mandria, Tavolara. Alessandro Gogna e Giuliano Stenghel, 29 maggio 2018
E’ dunque scontato che, al di fuori delle due particolarissime ipotesi previste dalla normativa appena esaminata, per l’accesso ai monumenti di proprietà privata debba farsi riferimento al principio generale in tema di proprietà fondiaria e cioè a quello secondo il quale il proprietario può vietare l’accesso di estranei nel proprio fondo.
Detto principio, peraltro, subisce un’importante deroga in tema di attività venatoria giacché nello stesso Codice Civile si stabilisce che il proprietario del fondo non può opporsi all’accesso per l’esercizio di detta attività, a meno che questo non sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia, cioè con un una recinzione o un muro alto almeno un metro e venti. La visita ai monumenti archeologici, ma ovviamente anche la visita turistica, è tutt’altro che un’attività di tipo venatorio. E’ surreale, ma già da qui è evidentemente erroneo il comune convincimento secondo il quale l’accesso ai fondi privati sarebbe consentito quando non sia presente un muretto alto almeno un metro e venti… perché è già sufficiente a renderlo illecito solo il fatto che sia chiuso o vi sia un espresso divieto.
Occorre aggiungere per completezza che l’ingresso abusivo nei fondi altrui chiusi da recinti, fossi, siepi vive o altri stabili ripari è punibile anche penalmente, dietro querela della persona offesa, con una multa fino a € 103,00 inflitta dal Giudice di Pace a seguito di processo.
E’ evidente che questa situazione è inaccettabile. E’ anche vero che alla data odierna il reato in questione è nell’elenco di quelli che le prossime riforme dovrebbero depenalizzare ancorché, non perciò solo, rendere lecite. Non si comprende perché in una proprietà privata si possa esercitare attività venatoria e non una turistica (ovviamente rispettosa, di certo ben più rispettosa della caccia…). Si parla del fatto che il passaggio sia lecito allorché esista nella proprietà privata un sentiero vecchio di almeno dieci anni… se ne dicono tante. Ma ciò che rimane è l’amara constatazione che siamo governati da leggi vecchissime che risalgono ancora al tempo di quando il turismo neppure esisteva. E per questo in tanti si sentono giustificati a fregarsene dei divieti, di fronte a cotanta ed evidente inadeguatezza della normativa. Nessuno può accettare, oggi, che solo per il fatto che non ritiene gradita qualsiasi attività in quella zona il proprietario sia autorizzato a impedire l’accesso ad altri.
E’ del giugno 2018 il ripristino del muretto di recinzione della proprietà che s’incontrava a quota 150 m nella salita alla vetta per la via normale. Era stato parzialmente distrutto dal tempo, dalle capre e anche dagli escursionisti. Ora è altro 30 cm, ed è la firma di un padrone che afferma d’esserci.
Chi frequenta l’isola teme che i proprietari vogliano elevare un muro alto due metri attorno al loro fondo. Vittorio Marzano, amministratore unico di Fiamma 2000 spa, un’azienda leader nel Lazio e in Sardegna per installazione e rifornimento d’impianti alimentati a GPL, ha di certo le possibilità di farlo, specie ora che è sindaco di Olbia (per la terza volta) uno come il berlusconiano Settimo Nizzi.
Giuliano Stenghel sulla prima lunghezza della via degli Uomini leggendari, 1a ascensione, 31 maggio 2018
Già si pensa a come rintuzzare il progetto di recinzione: è facilmente sostenibile che le capre dell’isola, oggi protette integralmente, non avrebbero libera circolazione. Anche se è assurdo che per lottare per la libertà degli uomini ci si debba servire della libertà degli animali…
Ma perché tanto accanimento? Si potrebbe pensare che, come in tanti altri casi, i proprietari siano preoccupati di poter essere ritenuti responsabili in caso di incidenti. Ma non sembra che siano mai state accampate queste motivazioni. E, in ogni caso, mi pare che un’azione ad alta intenzionalità come scalare una parete basti e avanzi a fornire il nesso causale con l’incidente, escludendo per converso ogni rapporto di causalità con la proprietà e la conduzione del fondo. Un cacciatore che si spara in un piede dentro un fondo privato non può chiedere il danno al proprietario…
Sulla Ferrata degli Angeli (oggi smantellata)
Le ferrate
Altra problematica scottante a Tavolara è quella relativa alle ferrate. Riassumendo, sono presenti dei cavi di acciaio e altre opere sulla cosiddetta via normale, esiste la via delle Scale ed è esistita la via Ferrata degli Angeli.
Già una quindicina di anni fa il nuorese Pasquale Floris, l’allora custode delle proprietà Marzano, aveva completamente distrutto in zona Canale delle Gradinate una vecchia rampa sostenuta da muretto, a quota 250 m sulla via normale: un’opera antica, testimonianza d’altri tempi, che certamente era servita anche al re di Savoia Carlo Alberto nella sua visita venatoria all’isola. Lo scopo della distruzione può essere puro vandalismo come anche dimostrare che non esiste neppure traccia di un passaggio storico. Massimo Putzu, tra l’altro denunciato dai Marzano il 16 agosto 2017 per violazione di terreno privato, al posto della rampa in muratura aveva sistemato una scala ‘e fustas (legni di ginepro sovrapposti), per permettere il passaggio. Ebbene, è di pochi giorni fa la notizia: Enzo Lecis ha riscontrato l’asportazione dei tronchi. Proseguendo, più in alto, ha constatato la sparizione dei cavi d’acciaio nella traversata (sotto al pilastro ovest di Punta di Lucca) che porta in zona Pianizzola, quella che fa da base alle rocce sottostanti alla Bocchetta del Cannone. Lecis, è poi salito lungo i cavi d’acciaio della via normale (ancora in posto), accorgendosi poi che era stata asportata la catena per la calata in doppia. Oggi, grazie a Lecis, la via è ancora percorribile perché lui stesso ha ripristinato la discesa e ha messo due corde fisse (una in corrispondenza della scala ‘e fustas e l’altra nell’accesso a Pianizzola). Ma è chiaro che tutto ciò può essere provvisorio, e occorrerà pensare a un sistema di attrezzatura “mobile”, che costringa le comitive a qualche manovra in più ma che inibisca ulteriori disarmi selvaggi.
Ma, al di là del fatto che non è oggi accettabile che s’impedisca la salita alla vetta di Tavolara con questi sistemi e che sia dunque necessario ripristinare quanto di attrezzato c’era in precedenza, il dibattito sulle altre ferrate è certamente ben vivo. Personalmente ritengo che la via delle Scale, ben sistemata a regola d’arte e non come attualmente è, abbia tutti i requisiti per poter diventare una seconda via normale, con il vantaggio di svolgersi in ambiente ancora più selvaggio e in terreno di proprietà dei Bertoleoni e dunque inattaccabile. La via delle Scale, quando sarà sistemata, è giustificata per tante ragioni, prima fra tutte quella di percorrere un vecchio itinerario tradizionale. Questa potrebbe essere realizzata con l’uso di qualche scala ‘e fustas, proprio come si faceva una volta. Sui quasi seicento metri di dislivello e almeno mille di sviluppo, non sarebbero più di 200 metri i cavi da porre. Le necessarie varianti al percorso originario, a volte sensibilmente da esso discoste, unitamente all’ultima parte dell’itinerario che sarebbe opportuno si svolgesse sulla parte finale della cresta, la più panoramica, possono ben meritare l’appellativo di Nuova via degli Angeli. Non credo che questi possano o vogliano prendersela perché il nuovo itinerario a loro dedicato non è più esteticamente perfetto come quello del 2016, poi smantellato. Non me ne vogliano i moderni degustatori di evoluzioni adrenaliniche nel vuoto dei risalti verticali se sono e rimarrò contrario a opere che vanno oltre l’escursionismo e si appropriano di terreno alpinistico con dispendio di materiale invasivo. A Tavolara, due sentieri attrezzati dovrebbero bastare e avanzare.
Giuliano Stenghel sulla terza lunghezza della via degli Uomini leggendari, 1a ascensione, 31 maggio 2018
Il ragionamento di fondo è che non si vede perché TUTTI debbano essere messi in grado di raggiungere la cima. Non sono assolutamente d’accordo con coloro che sostengono che gli ambientalisti impediscano la felicità agli altri vietando de facto il raggiungimento della vetta garantito per tutti. Ciò vale per tutte le montagne del mondo, come la cima del Cervino, del Monte Bianco o dell’Everest. Una religione, questa della montagna a tutti, di cui mai e poi mai sarò missionario. Sono dell’opinione che chi vuole difendere un ambiente naturale deve avere dalla sua parte la maggioranza delle persone, ma credo pure che non si può imporre la propria religione.
Marco Marrosu, noto alpinista e botanico sardo, aggiunge che Tavolara non è una montagna ma un’isola in mezzo al mare, quindi un ambiente necessariamente più fragile. Sottolinea che è zona protetta, dunque non è giusto (anzi, è illegale) che ognuno ci faccia quello che vuole fottendosene dei proprietari, delle procedure di tutela/sicurezza e di chi gestisce ufficialmente l’area.
Con l’aiuto dell’avvocato Riccardo Innocenti, elenco qui le procedure ipotizzabili per l’apertura di una nuova via ferrata che abbia tutti i crismi della legalità:
– ottenere l’autorizzazione all’uso dal proprietario del fondo ove la ferrata insisterebbe (o in subordine acquistare il fondo);
– assicurarsi di avere libero accesso alla ferrata attraverso terreni pubblici e privati;
– interfacciarsi con il Comune nel cui territorio è presente la ferrata (il passo più importante) al fine di comunicare le attività che s’intendono porre in atto.
Il Comune potrebbe chiedere di:
– eseguire una perizia geologica (eseguita da un geologo abilitato) che attesti la stabilità della ferrata;
– eseguire eventuali lavori per la messa in stabilità della ferrata che la predetta perizia evidenzi come necessari (disgaggi) che vengono certificati dai soggetti abilitati a farli e successivo collaudo in loco degli stessi lavori (seguendo la procedura amministrativa prevista per i lavori di messa in sicurezza);
– presentare una Comunicazione di inizio lavori (CIL) o, in alternativa, presentare una Comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) o, in alternativa, presentare una Denuncia d’Inizio attività (DIA);
– presentare un piano per la sicurezza;
– nominare un coordinatore per la sicurezza (sia in fase di progettazione che in fase d’esecuzione);
– dettagliare il piano dei lavori che s’intendono eseguire;
– eseguire i lavori tenendo conto di tutte le prescrizioni richieste nella fase autorizzativa da parte del Comune.
Giuliano Stenghel (sopra) e Alessandro Gogna sulla 3a lunghezza della via degli Uomini leggendari, 31 maggio 2018. Foto: Marco Marrosu
Solo dopo questa fase si potrà passare al posizionamento degli ancoraggi (certificati CE) che comunque andranno posizionati a distanze ravvicinate per ridurre al minimo le conseguenze di una caduta); il posizionamento degli ancoraggi deve essere fatto a regola d’arte secondo le indicazioni dei costruttori degli stessi ancoraggi e secondo le più recenti norme tecniche disponibili. Gli stessi ancoraggi è bene che siano sovradimensionati rispetto alle reali esigenze.
In seguito all’esecuzione dei lavori sono sempre possibili azioni per il risarcimento di danni a titolo di responsabilità extracontrattuale (art. 2043 Cod. Civ.) nei confronti di chi ha posizionato gli ancoraggi se gli stessi non sono stati infissi a regola d’arte o con materiale non omologato o in maniera tale da non preservare in maniera sufficiente gli esiti di una caduta. Come è possibile un’azione contro il Comune o contro il proprietario se è stato consentito un accesso pubblico a un’area a rischio per la caduta di sassi o frane senza emettere e pubblicizzare apposita ordinanza d’interdizione della stessa zona.
Il Comune potrebbe considerare “lavori” ogni attività che si svolge in ferrata o considerarli “lavori in economia” se a eseguirli fosse lo stesso proprietario; con tutte le conseguenze in termini di autorizzazioni e prescrizioni; oppure si potrebbe ottenere dall’Ufficio Tecnico del Comune una dichiarazione che i lavori prospettati non hanno bisogno di alcuna autorizzazione.
Va pure considerato che nel caso di Tavolara ci sono vincoli ambientali e paesaggistici che esulano dalle competenze del Comune. Ciò ovviamente è valido in tutta Italia, ma Tavolara è zona ZPS (Zona a Protezione Speciale) dunque tra quelle individuate dalla Direttiva 79/409/CEE, recepita con legge 157/1992, che individua in Italia circa 280 siti dove l’arrampicata è espressamente vietata (a causa della nidificazione degli uccelli) e può venire ammessa solo con apposita disposizione dell’Ente chiamato a vigilare sul rispetto della normativa.
In generale, anche i SIC e gli ZSC impongono analoghe aree di rispetto simili alla ZPS. Altri vincoli possono essere posti anche da leggi regionali o dagli enti di tutela ambientale come: parchi nazionali, regionali, provinciali e suburbani. Al riguardo, prima di iniziare qualsiasi lavoro, va accertata l’effettività dei predetti vincoli ambientali.
Bibliografia
Blackwoods Edinburgh Magazine, The Island of Sardinia, July 1849;
Di Crollalanza, Giovan Battista, Giornale araldico-genealogico-diplomatico, vol. I, Real Accademia araldico-italiana, Fermo 1879;
Ferrero della Marmora, Alberto, Itinéraire de l’ile de Sardaigne pour faire suite au Voyage en cette contrée, 1860;
Fioretti, Ovidio, La Corona senza reame, Almanacco di Cagliari 1989;
Geremia, Ernesto – Ragnetti, Gino, L’Isola dei Re, Mursia, Milano 2005;
Graziani, Graziano, Stati d’eccezione, ed. dell’Asino, Roma 1912;
Meissner, Hans Otto – Bartsch, Jochen, Unknown Europe, London and Glasgow, Blackie & Sons, 1963;
Gogna, Alessandro, Mezzogiorno di Pietra, Zanichelli, Bologna 1982;
Gogna, Alessandro, La pietra dei sogni, Versante Sud, Milano 2014;
Murineddu, Antonio (a cura di), Gallura, Fossataro, Cagliari 1962;
Papurello, Alfredina, Tavolara Signora del Mare, Carlo Delfino, Sassari 2012;
Pasquin Valery, Antoine-Claude, Voyages en Corse, à l’ile d’Elbe et en Sardaigne, 1837;
Pasquin Valery, Antoine-Claude, Viaggio in Sardegna, Ilisso, Nuoro 1999;
Stenghel, Giuliano, Nonno, perché abbiamo i denti d’oro – Il sogno di Tavolara, 2009;
Tribuna Araldica, Famiglie di Genova, estinte e viventi, nobili e popolari, ed. Europea di Araldica, parte 1, Genova 1983;
Vuillier, Gaston, The Forgotten Isles: Impressions of Travel in the Balearic Isles, Corsica and Sardinia, 1896.
Ingresso del cimitero di Tavolara
Da internet
http://www.famedisud.it/lisola-sarda-di-tavolara-e-la-bizzarra-leggenda-del-regno-piu-piccolo-del-mondo/
https://it.wikipedia.org/wiki/Bertoleoni_di_Tavolara
https://it.wikipedia.org/wiki/Tavolara
https://www.tpi.it/2018/05/22/tavolara-regno-bertoleoni-sardegna/
https://www.nauticareport.it/dettnews.php?idx=18&pg=6231
http://www.luoghimisteriosi.it/sardegna/tavolara.html
http://www.europinione.it/strano-caso-regno-tavolara/
http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/09/04/SZ1PO_SZ103.html
https://www.youtube.com/watch?v=fqrET5gQi6U (sul cimitero di Tavolara).
9
Racconto molto interessante sia dal punto di vista storico culturale che alpinistico. Ben fatto!
La conoscenza e quindi la scoperta ha come prassi il coniugare l’interesse per la memoria storica di cui sono permeati i luoghi e l’attività alpinistica (rispettosa dell’ambiente) nei luoghi stessi. L’alpinista produce cultura e mantiene vivo l’alpinismo.
Il tutto..Fantastico , Isola e particolari…grazie..Alessandro…!
BELLOOOOOOOOOO !!
Due storie incredibili! Sembrano di un altro Paese. Grazie Alessandro e grazie Giuliano.
Dopo aver letto la prima stesura dell’articolo di Alessandro Gogna gli ho mandato un messaggio:
“Ciao Alessandro, forse la notte è davvero il momento migliore per “lavorare”, un momento magico, di certo un momento di notevole importanza per leggere e per scrivere. Per me la notte è un insieme di frammenti di vita nel quale il tempo scorre nel migliore dei modi, insomma è l’unico periodo mio, solo mio, dove trovo tempo e tranquillità per capire ed esprimere ciò che mi porto dentro. Stamane mi sono alzato prestissimo e ho letto di getto il tuo lungo “racconto”, anzi l’esposizione cronologica dettagliata dei momenti salienti della vita di Tavolara e delle persone che ne hanno e, tuttora ancora condividono, quest’isola di rara bellezza. E’ impressionante come sei riuscire a cogliere, per usare una metafora, l’aria che respiri su Tavolara e come spieghi e descrivi minuziosamente la situazione, esponendo nei particolari, in maniera concisa, ma molto esauriente la sua storia”.
Nel breve periodo di vacanza trascorso assieme a scalare sulle splendide rocce della zona del “Muse” – scogliera Sud-Est – , abbiamo aperto alcune vie che Alessandro ha descritto minuziosamente, omettendo però il suo coraggio e la bravura nel seguirmi, bravura che traspare dalle immagini nei lunghi e difficili traversi. D’altronde Gogna, non più giovane, anche se con poco allenamento e con qualche mancamento fisico – come dice lui – , è sempre una leggenda dell’alpinismo e il talento si vede.
La vacanza prosegue nel migliore dei modi, tra arrampicate e mangiate, fino a quando non esageriamo con qualche bicchiere di buon vino e il vino veritas, nel vino è la verità. Una sera in particolare, dopo una cenetta cucinata a casa mia proprio da Alessandro, abbiamo avuto uno scambio di idee, sarei poco sincero se dicessi che ci siamo confrontati serenamente, anzi ci siamo addirittura scontrati – non è stato facile per me urlare a perdifiato per rafforzare le mie convinzioni e per di più con un problema alle corde vocali – . Tra i miei ospiti anche Marco Marrosu, noto alpinista sardo e naturalista. Ciononostante anche le discussioni più accese possono essere costruttive e alla fine, ci siamo intesi sull’importanza di un percorso alternativo alla vetta di Tavolara: la “Nuova via degli Angeli”, lungo l’antica via “delle scale” per poi deviare, e non soltanto per motivi di sicurezza, sul magnifico, panoramico ed esposto crinale.
E’ pur vero che il mio esordio sull’isola, quindici anni fa, non è stato dei migliori: una guardia armata, Pasquale Floris che, tutti sostengono, abbia divelto la Croce in vetta, mi ha bloccato e intimato di non proseguire. Per buona sorte, in un secondo tempo, ho conosciuto Loredana Marzano, proprietaria, con il fratello Vittorio, di gran parte dell’isola, e onestamente, devo confessare che non solo mi ha concesso il passaggio nella sua proprietà per raggiungere la cima, ma mi ha invitato nella sua villa per parlare di Tavolara; dall’incontro è nato un legame di stima, che è sfociato nella fiducia di affidarmi i giovanissimi figli nella scalata fino a Punta Cannone – punto più alto dell’isola – . Anche Loredana con il mitico leggendario pilota Cesare Florio, il signore dei motori e la nipote, sono saliti con me fino a pochi metri della sommità – costretti purtroppo a ripiegare a causa del peggioramento del tempo – .
Tonino Bertoleoni, “re di Tavolara” é anche lui proprietario di una più esigua parte dell’isola e di uno dei ristoranti dove si approda. Non mi dilungo sulla sua vita e sulla storia della sua famiglia – ci ha già pensato Alessandro nel suo racconto – tuttavia mi sento in obbligo di confermare la maggioranza dei giudizi positivi sulla sua persona e quanto sia per me importante la sua preziosa amicizia: è un amico leale e generoso, un uomo onesto, integro e forte con il quale ho condiviso momenti di grande intensità. E’ soprattutto un uomo anziano, stanco di conflitti, voglioso di pace, soprattutto per la sua famiglia.
A proposito di Madonnine…Eravamo tanto numerosi il giorno che è stata portata la statua della Madonna in vetta, in sostituzione della Croce strappata e portata fin lassù dall’alpinista germanico Bodo Habel. Successivamente ne è stata poggiata un’altra per una bambina morente e per la moglie di Tonino, Maria Pompea: una preghiera di guarigione, un atto d’amore che, per quanto possa da qualcuno criticato, credo non sia mai da biasimare.
“Sono in missione per conto di Dio!”, è una battuta, non voglio paragonarmi ai Blues Brothers del celebre omonimo film, ma è anche il modo per testimoniare la mia fede e i valori più profondi che sono in me. Dopo anni di frequentazione delle rocce e degli abitanti di Tavolara, ho la presunzione di essere diventato l’anello di giunzione tra queste famiglie in continuo disaccordo e allora… come Martin Luther King sosteneva: “I have a dream”, anch’io ho un sogno: che la famiglia Marzano e la famiglia Bertoleoni un giorno possano incontrarsi e degustare un bicchiere di buon vino assieme, davanti a un a caletta di sabbia bianca e acque cristalline e turchesi, dove Tavolara si specchia, brillando con un riflesso tremulo.
Sarà difficile, forse irrealizzabile, ma si sa che il bene è più forte del male e nulla è impossibile a Dio e… ai Suoi Angeli!
Bel reportage! Che storia particolare ha quest’isola…