Il rifugio che accoglie
di Enrico Camanni
(editoriale pubblicato su Dislivelli.eu, febbraio-marzo 2021)
La distinzione tra rifugio o albergo si fa sempre più labile. Oggi il rifugio è un luogo che accoglie e rifocilla l’escursionista, ma è anche un crocevia d’incontro di scambio. E come sempre, più la città è distante, più il rifugio acquista senso.
Spesso ci si chiede: ma quello è un rifugio o un albergo? La domanda è legittima perché la distinzione appare sempre più aleatoria, ma un modo per distinguerli esiste. Se le parole hanno un senso, anche il più solido rifugio di montagna dovrebbe essere un ricovero provvisorio. Un rifugio è sé stesso nella bufera, nel temporale, nella notte, nel bisogno. Per qualcuno nella catastrofe. Quando il 21 dicembre 2012 la profezia Maya paventò la fine del mondo, ci fu chi si preparò a fuggire in un rifugio di alta montagna.
Per converso, se il senso del rifugio è un bisogno che deriva dall’incertezza ambientale, la certezza ne nega la funzione. Per esempio, uno dei peggiori nemici del rifugio contemporaneo è la conoscenza anticipata delle condizioni del tempo. I gestori hanno dovuto arrendersi: ormai la gente sale solo se fa bello. Il nuovo dio si chiama “meteo”; maschile o femminile, a scelta. Ora sono le previsioni a guidare le partenze e i ritorni degli escursionisti e degli alpinisti, non più gli scongiuri e i segni del cielo. Nelle sere d’estate c’è ressa nei rifugi delle Alpi e degli Appennini, ma solo con l’alta pressione. Se fa brutto non sale più nessuno. Le previsioni meteorologiche e i capricci delle isobare riempiono i discorsi degli avventori e svuotano i dormitori dei rifugi. Il tutto esaurito diventa un tutto è perduto se c’è una perturbazione in arrivo e il rifugio resta vuoto quando piove o tira vento. È così poco moderna la montagna con il brutto tempo! Non c’è più chi tortura le carte da gioco aspettando una schiarita, chi accarezza le lacrime di pioggia dietro il vetro, chi intona una canzone per allietare gli animi e chi, semplicemente, accetta la montagna in qualsiasi condizione.
Dunque sono cambiate le forme del rifugio, con architetture talvolta avveniristiche e rivoluzionarie, ma prima di tutto sono cambiati i significati. Nel Novecento i riti romantici sono stati rimpiazzati da un cerimoniale sempre più laico e disincantato, e con il nuovo millennio è arrivato il rifugio cablato e programmato, prenotazione obbligatoria. Per contro il rifugio è diventato popolare e “democratico”. I rifugi che in passato erano esclusivo ricovero degli alpinisti, luoghi selettivi e iniziatici, sono oggi crocevia di incontro e confronto tra categorie molto diverse di avventori: turisti, escursionisti, trekker, biker, runner, climber. Il pubblico si è ampliato e differenziato: chi sale per dormire e salire più in alto, il giorno dopo; chi sale e basta, perché il rifugio è la sua “vetta”; chi cammina da rifugio a rifugio, usandolo come posto tappa.
Il moderno turismo alpino ha eletto il rifugio a casa del turista curioso e l’ha trasformato di conseguenza, dotandolo di ottime cucine e altri conforti. A volte troppi. I progettisti non lo concepiscono come un romantico spazio di attesa prima della scalata, ma come un luogo di passaggio, permanenza e scambio, utilizzando materiali, arredi e soluzioni abitative funzionali al turismo intensivo. Soluzioni che guardano sempre più alla valle che sale e sempre meno alla montagna che sta su, ma che permettono talvolta al rifugio di trasformarsi in sede di eventi, performance artistiche e laboratori culturali e ambientali. Il rifugio resta fortunatamente il simbolo del turismo leggero e rispettoso: il così detto turismo “ecocompatibile”. Innanzi tutto perché di solito ci si sale a piedi, mischiando sudore e curiosità, guadagnandosi un piatto di pasta o una fetta di crostata. Poi perché il rifugio si trova nei posti migliori, alti, panoramici, i più lontani dall’inquinamento luminoso delle città e i più vicini alla luce delle stelle. È la notte che fa di un rifugio un luogo diverso dagli altri, quando il silenzio avvolge la montagna e ci si sente finalmente soli, con il rumore del vento e le voci degli animali.
Il ruolo più propositivo del rifugio contemporaneo è probabilmente quello del posto tappa, che accoglie e rifocilla l’escursionista alla fine della sua giornata di cammino e gli permette di attraversare montagne, colli, genti, paesi, riconoscendo le comunanze e le diversità dell’ambiente, rimandando il più a lungo possibile la discesa a valle. Più la città è distante, più il rifugio è accogliente.
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Come descrivere un rifugio che NON accoglie? Insuperabile Luca Visentini in”Pale di san Martino”ed 1990. S puo’anche dire il nome, tanto da allora la gestione e’ passata di mano e migliorata .
Rifugio Volpi al Mulaz m.2571..”..la garantita frequentazione estiva incoraggia una gestione lunatica ed intimidatoria..”cosa gli avranno combinato..mistero!.
In un’altro rifugio privato delle vicinanze..proibito accostarsi se non con consumazione obbligatoria consistente. Con un caffe’ solo rapida sosta in piedi con tazza in mano per foto e poi..o pussi via o compri souvenir o ordini pranzo a 4 portate.
https://www.ladige.it/montagna/2021/08/20/rifugi-egidio-bonapace-lascia-il-segantini-la-sat-cerca-un-nuovo-gestore-1.2978309
chi vuole e ritiene di avere i titoli , risorse famigliari e soldi …segua le istruzioni..e chieda consulenze gestionali finanziarie al fine di 1-non rimetterci 2-sopravvivere 3- ricavarci un utile soddisfacente.
Altro che rifugio gestito alla buona: https://www.ladige.it/montagna/2021/08/17/svolta-nella-sat-una-srl-per-gestire-i-rifugi-facchini-strumento-operativo-che-non-cambiera-la-nostra-natura-1.2976617
Ci vorra’ un gestore laureato in Management&marketing?Con corso di antincendio, pronto soccorso e indossante i dpi.
Sara’per evitare grane che …arrivano i funghi in barattoloni confezione grandi comunita’ coltivati ,gia’precotti…scalda e gusta( magari un tocco di aglio prezzemolo freschi)?
Grazie Grazia per il suo articolo senza sfronzoli educativi.
Sul tema “rifugi”, lascio parlare Popi Miotti, che già si è espresso qui sul Blog:
https://gognablog.sherpa-gate.com/nostalgia-vecchi-rifugi/
(A titolo personale: che nostalgia per i vecchi rifugi senza wifi!)
N. 2..aggiunta :all’interno e nelle camerate, legno di cirmolo. Almeno una o due camerette doppie isolate dalle cameratone.. e in caso di sovraffollamento sia concesso il locale invernale aperto a prezzo inferiore…. anche uno stand a telone stagionale o gonfiabile a igloo. Scarponi e calzettoni ad asciugare accanto a stufe o caminetti , purche’ non indossati da due settimane.
Credo che anche per questo tema valgano molte delle considerazioni fatte per la montagna sacra. La selettivita’ determina il fatto che vi sia un rifugio o un albergo. Per stare alla zona che frequento, sotto il Bianco, direi che certamente i rifugi Bonatti, Elena ed Elisabetta, per esempio, sono simil alberghi. Da li’ non parti per alcuna cima o quasi, sono posti tappa per i tour del Bianco o perfino posti dove le persone prenotano le ferie. E’ cosi, avvicinamento breve, tutti i confort, soprattutto per chi ha nelle gambe max 1/2 ore di cammino e alle 12 in punto vuole polenta. Tutto questo aumenta enormemente l’affollamento. Valgono i discorsi gia’ fatti. A mio avviso quindi il rifugio non e’ tutto questo. Sempre in zona, il Boccalatte, quando aperto, e’ un rifugio nel vero senso della parola. Per rimanere a posti molto noti, mi era capitato qualche anno fa di dormire al Mezzalama, perche’ l’Ayas piu’ in alto pieno, e devo dire che l’ho trovato vecchia maniera, inclusa notte insonne per vicini di materasso russanti… ( tra l’altro se poi si va come e’ capitato a noi nella zona della Roccia Nera, permette, condizioni permettendo, di tirare dritto fra i seracchetti per arrivare al plateau sotto il Rossi e Volante senza dover fare tutto il giro sotto il Polluce).
Amo il rifugio che evoca il suo nome: legno a copertura dell’esterno e legno all’interno, dalle pareti alle panche (non le sedie) e gli sgabelli. Amo il rifugio con il camino su cui mettere ad asciugare abiti e scarponi. Amo il rifugio con il gestore barbuto e a volte scontroso, quello che serve poche piatti ma cucinati con amore, un solo tipo di vino, la polenta e le uova.
Amo i rifugi con le mensole piene di libri, riviste, mazzi di carte consumati dall’uso e l’energia di mille mani.
Amo i rifugi con le camerate e i letti a castello, un’unica sala comune dove si mangia, si ride, si chiacchiera e ci si raccoglie per il dopo o per quello che c’è stato prima.
Amo il rifugio che si può raggiungere solo a piedi dopo essersi riempiti occhi e spirito di meraviglie e fatica.
Accoglie di piu’il rifugio nuovo firmato da archistar o quello con look tradizionale?Nelle foto abbiamo i due esempi. Sul web ho cercato e trovato:esistono coperture e rivestimenti che imitano le scandole di legno o le lastre, con scelta di colori e tipologia,pure con dettagli sulle specifiche tecniche di peso, quantita’ per metro quadrato, resistetenza a vento e raggi solari , istruzioni e filmati circa il corretto montaggio e sottofondo, disposizione e fissaggio.ecc.Invece vedo che predomina il rivestimento e copertura in lamiera.In certe zone i rustici hanno tetto di lamiera ondulata, arrugginita e spesso di recupero da bidoni vari tagliati ed appiattiti ed inchiodati.Visti dall’altro non offrono un bello spettacolo, sanno di sciatteria e di tempi grami passati di miseria anteriori al boom anni 60. Spesso il vento li stacca e accartoccia, in quanto non fissati opportunamente.