Il sentiero si crea

Il sentiero si crea
(Val Clarea – dicembre 2024)
di Daniele Mazzucato

Le vacanze di Natale, quanta attesa per la stagione delle cascate su ghiaccio. Sono giorni che col mio socio piemontese controlliamo le condizioni sui siti e cerchiamo info sui social; le gelide colate sembrano formate meglio nel “mio” Nord-est, mentre nel “suo” Ovest sono tardive, c’è qualcosina in Valle d’Aosta, ma saranno prese d’assalto in questi giorni. Inoltre, le temperature si sono alzate parecchio nelle ultime 24-48 ore, con zero termico a 3000-3200 m.

Che fare allora? Ci sentiamo il 26 dicembre 2024, appena dopo i pranzi luculliani delle feste per decidere e si va all’avventura; carico la macchina sia di attrezzatura da ghiaccio che da roccia e mi avvio ad occidente a “cercar battaglia” tra le Cozie e le Graie.

Gran Rotsa, il Pilone Centrale

Stabiliamo di iniziare con un po’ di arrampicata, in Val di Susa ci sono decine di pareti assolate, ben chiodate e roccia stupenda. Già da diversi anni vengo da queste parti e nel cuneese a trovare confidenza con gneiss e granito, le placche e i diedri netti che le formazioni magmatiche hanno plasmato in queste aree, e dunque ci fermiamo a Borgone nella Falesia degli Artisti a rimettere le scarpette su 5/6 monotiri, dove riprendere l’aderenza non è affatto semplice, né immediato. Sul posto, il mio amico Elio Bonfanti, trova due conoscent,i Enzo e Valeria, che diventano i nostri compagni del giorno successivo in Val Clarea, sopra il bellissimo borgo romanico di Susa, alla Gran Rotsa, una magnifica palestra di roccia realizzata qualche anno fa e mantenuta con il supporto dei comuni limitrofi. Un caffè veloce dalla Mary al bar Doo Clòo a Giaglione (riferimento eno-gastronomico del luogo) pronto ad affrontare la nuova linea di salita che Elio ha aperto questa estate, sopra la falesia, in una parete ancora inesplorata. La “prima” invernale (ha ha ha….) !!!

Susa, Arco di Augusto

La via, nominata la via Perfetta, affronta 5 lunghezze del Pilone Centrale su uno gneiss-granitoide (o gneiss-minuto) chiamato anche roccia dell’Ambin, molto simile al granito, meno rugoso e regolare, con grossi cristalli affioranti; una pietra bella davvero, lavorata, contraddistinta da placche e muri verticali. Per arrivarci bastano 30 minuti dalla macchina: un breve tratto pianeggiante lungo Lou Gran Blalhie (un canale irriguo del Quattrocento scavato interamente nella montagna), per risalire poi il ripido bosco e giungere alla base di uno stretto canyon che delimita due contrafforti. Quello di sinistra è appunto il Pilone Centrale, a quota 1200 m).

Lou Gran Blalhie in versione primaverile e la targa storica posata nel 1914

La via originaria inizia sul diedro a manca, ma noi decidiamo di affrontare da subito una variante d’attacco più impegnativa (6b) da integrare a friend, in un’evidente fessura perfettamente verticale rispetto lo spigolo. La partenza è all’ombra nella forra con un freddo pungente, ma come usciamo dalla prima sosta, per montare sulla splendida seconda lunghezza (6a+), il sole viene ad abbracciarci e sento già il bisogno di aprire la giacca dal caldo opprimente. Due friend per uscire dal tiro e, approdato in sosta, urlo verso il basso al compagno la soddisfazione per una scalata di eccellenza su un posto magnifico. Altre tre filate di corda per giungere in vetta, più facili, ma straordinarie per bellezza e logica. La via Perfetta, appunto!!

In cima al Pilone, alla vista di Valeria ed Enzo che seguono, Elio ed io scrutiamo le pareti verso l’alta valle alla ricerca di altre linee da scalare. Da quassù il panorama è mozzafiato e scorgiamo un numero infinito di nuove placconate argentee ergersi alla nostra sinistra, quasi da non credere. I pensieri partono veloci e tra noi due non c’è tempo di mettersi tanto a discutere, abbiamo già deciso di andare a mettere il naso laggiù domani. Rapida discesa per sfasciumi, però arriviamo alla “parete nascosta” dove l’amico sabaudo sta realizzando altre linee e così ci “tocca” provare altri due tiri, di cui uno tutto nuovo interamente a friend su una fessura obliqua, da ripulire per bene. Il sole scende e il freddo si fa subito sentire; dunque, riprendiamo il sentiero sino alle macchine e ritorniamo da Mary, per la birra e i saluti, poi a Torino con meritata cena al Monte dei Cappuccini al cospetto della Mole Antonelliana illuminata a festa.

Pilone Centrale, prima lunghezza della via Perfetta

L’indomani si riparte: trapano, batterie, punte, 20 fix da 10 mm, qualche anello di sosta, martello, sega e accessori vari, ripercorrendo la Val di Susa sino a Giaglione. Entro da Mary che mi saluta come se mi conoscesse da sempre (mi sento già un “local”), un caffè veloce veloce perché non c’è tempo da perdere e poi, abbandonata l’auto al solito posto, su per il bosco usando il medesimo bivio della via Perfetta. Iniziando a piegare sempre più a sinistra, però, mi rendo conto che stiamo entrando in un labirinto vegetale mai calpestato da anima viva, come confermato anche dal mio socio. Le betulle bianche e la faggeta lasciano spazio a castagni enormi su pietraie ricoperte di fogliame e arbusti secchi; la spoglia foresta è punteggiata di agrifogli verdissimi e, man mano che il bosco si impenna, ecco le querce rimpicciolire ed imperare il cirmolo. Quanta fatica con lo zaino stracarico, ma in poco più di un’ora a piedi, siamo baciati dal sole caldo in cima ad una delle spettacolari lavagne granitiche viste il giorno prima. Il panorama è ancor più incredibile di ieri.

Gran Rotsa. Il Pilone Centrale e le bastionate sottostanti
Il Pilone Centrale nel mezzo, le nuove placche esplorate a sinistra

Abbiamo roccia vergine ovunque, sopra, sotto, a destra, a sinistra, la testa rischia di impazzire a scegliere dove iniziare e decidiamo di calare due doppie per osservare la situazione con la punta del naso. Tagliamo qualche ramo per rendere più agevole la discesa e la risalita, e giunti alla base di una cengia terrosa cominciamo a fare i conti con la placca che sembra davvero tosta. La scrutiamo per bene e piazziamo una prima sosta ad anello per proteggere la fuga, poi iniziamo a forare la pietra durissima, e qui di punte ne bruceremo assai.

Attrezzato il primo tiro di 30 metri, ci rendiamo conto che la difficoltà in libera sarà certamente elevata data la povertà di appigli e appoggi, ma spostiamo l’attenzione al tiro successivo che ci riporterà sopra la grande lastra dalla quale ci siamo calati. Protetta la seconda lunghezza con pochi spit (li abbiamo terminati) e lasciato qualche foro per risparmiarci la fatica domani, Elio scende e inizia a tracciare un sentiero di discesa con gli ometti e tagliando gli arbusti secchi di traverso sul ripido pendio, mentre io serro tutti i bulloni degli ancoraggi.

Ad un certo punto del pomeriggio, appena la palla dorata in cielo ci saluta dietro il crinale, il freddo inverno reclama il suo regno e dobbiamo rivestirci in fretta e portarci a valle. Elio inizia a scendere rapidamente, tuttavia rimango fermo un attimo, sento il bisogno di respirare quell’aria tersa, fredda e sottile. La luce è ancora piena dietro la dorsale che segna l’orizzonte, il silenzio è totale, la solitudine mi pervade ed un senso di benessere si impadronisce di me, facendomi capire quanto sono fortunato a godere di tanta bellezza. Un vero privilegiato.

Esco dai miei pensieri e rincorro l’amico che è già qualche centinaio di metri sotto, non lo vedo ma sento il rotolare dei massi che sta scaricando per rendere sicuro il sentiero. Evitiamo la traccia di salita del mattino e puntiamo diretti a fondo valle, certi che da qualche parte incroceremo il Gran Blalhie. Con accuratezza alziamo nuovi ometti di sassi per rendere chiara la discesa, che vorremo utilizzare come accesso unico alla zona appena esplorata, e questo percorso si apre “naturalmente” sotto i nostri piedi, quasi guidati dai benevoli spiriti abitanti della foresta; eccolo, infatti, il nastro d’acqua sotto i nostri occhi.

Il sentiero si crea…***
Lascio una piramide di ciottoli sul bordo del Blalhie e un piccolo castello di legni secchi, ad indicare l’intersezione con il sentiero e individuare il punto esatto dove entrare nel bosco per la risalita. Riprendiamo la mulattiera che costeggia il canale osservando una piccola chiusa idraulica, che serve a scaricare acqua a valle in caso di piena. Poco oltre arriviamo al bivio per la via Perfetta ed in breve alla macchina. Il tempo di salita del mattino lo abbiamo certamente ridotto grazie a questa traccia.

Domani è il mio ultimo giorno qui, torno a Padova per Capodanno, anche Elio raggiungerà la famiglia per San Silvestro; ci resta il tempo per posizionare gli ultimi spit, una buona spazzolata della roccia e provarla in libera “rotpunkt”. Prontissimi al mattino seguente, un Mary coffee e su per il nuovo tracciato che in 50 minuti ci riporta alla base della liscia parete dove abbiamo abbandonato imbraghi e corde. Con noi sale anche Paolo Stroppiana, un suo amico di vecchia data e co-autore della Via Perfetta, curioso della nostra piccola avventura, che ci aiuta a pulire la roccia e fare alcune foto durante la nostra prima salita. Il sole è tornato caldo e intenso a farci compagnia e chiedo l’onore di fare il primo tentativo di scalata. Elio acconsente e mi prende le due mezze nel tuber finché metto le scarpette; inizio con movimenti i più leggeri possibili e la placca si rivela subito impegnativa; carico di entusiasmo resisto bene fino al 5° spit, ma poi non trovo appigli sufficienti per le dita, e anche i piedi sono su appoggi sfuggenti e minimi.

Fortunatamente il rinvio è appena piazzato e resto appeso agilmente. Mi rimetto in sesto e trovo la soluzione, ma appena due fix dopo si ripete la scena e ricorro al secondo resting. Comincio a ridere e guardo in basso la faccia del socio che non ha ancora capito se sto facendo i capricci o il muro è così duro. Sono a metà del tiro e la frazione successiva – appena dopo un movimento decisamente impegnativo su microprese – mi sembra più docile e giungo in sosta. Elio mi dice che non intende procedere da secondo, ma vuole provare da primo e mi cala. Ok, gli dico, appena a terra mi esprimo con un 6c e l’amico mi guarda perplesso.

Riparte lui e, replicando movimenti simili ai miei, con passaggi quindi obbligati, va in resting mezzo metro sopra il punto dove mi sono arenato e con analogia poi chiude il tratto. Lo raggiungo in sosta, ci guardiamo in faccia e confermiamo il 6c. Affronto il secondo tiro, sopra la sosta i successivi due spit di 6b, poi in 6a fino alla sommità. Termino con il calar del sole, Elio sale rapido ma inizio a raffreddarmi avvolto da una semplice maglia e lesti ci caliamo alla base con una lunghissima doppia da 60 m, giusto in tempo per infilarmi la giacca prima del congelamento.

Paolo si è già inoltrato nella boscaglia da mezz’ora; recuperiamo e avvolgiamo le corde impolverate, mettiamo in ordine frettolosamente gli zaini e giù per la ripida discesa fino al canale. Siamo di nuovo soli io e il compagno di merende. Ci abbracciamo, esultanti, contenti, soddisfatti di questa piccola scoperta, ma grande nello spirito.

Porteremo altri amici a ripercorrere i nostri passi, per quella via che abbiamo chiamato Il sentiero si crea, a testimoniare che la voglia di avventura (a pochi passi dalla civiltà), un pizzico di fortuna (con un tempo strepitoso a fine dicembre), il tornar bambini (l’euforia di giocare sui sassi), la spensieratezza (a conquistar l’inutile) aprono “sentieri” nuovi nell’anima che rendono felici e sorridenti, danno gioia al cuore ed un senso all’amicizia. Emozioni che si ricordano per sempre.

Grazie, Elio. Grazie alle “mie” adorate montagne.

*** Il sentiero si crea camminando è il titolo di un libro di Osho, a cui inconsciamente ci siamo ispirati e parla dello spirito Zen e del cammino come metafora della vita.

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Il sentiero si crea ultima modifica: 2025-02-17T05:50:00+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Il sentiero si crea”

  1. 4@Daniele…”emozione infantile”frase che da sola vale un tesoro ,ma se le soffitte son troppo vecchie  piene e polverose si fatica a ritrovarla…

  2. Pur con i limiti dell’autore “artigianale”, ma proprio per questo genuino e spontaneo (qualità che io apprezzo moltissimo), ho trovato il testo piacevole e gustoso. Non si può pensare di pubblicare un articolo al giorno pescando esclusivamente fra i capolavori dell’editoria di montagna. Anzi io condivido l’apertura a scritti non conosciuti di persone non (o non troppo) conosciute, altrimenti finiremmo nel girarci sempre e solo negli stessi articoli, quelli 2noti e stranoti”, che verrebbero riproposti decine di volte. Inoltre i gusti dei lettori sono i più vari possibili ed è corretto che si pubblichino proposte di natura differente se non molto differente fra di loro, altrimenti verrebbe un tazebao solo per pochi sistematici lettori che amano quel “tipo” di articoli. Quindi viva la biodiversità editoriale e soprattutto porte aperte ad articoli che non siano la solita solfa di “avventure estreme su pareti estreme in luoghi estremi” (tipologia di articoli che mi ha stufato e che io non leggo nemmeno più…). Giusto quindi che vi sia un turn over  degli articoli proposti, “girando” nei temi, negli autori e, perché no?, a volte anche nella “qualità” editoriale (parlo in generale, non con riferimento al presente articolo)… senza sempre frignare e protestare, come se venissero frustrate le legittime “pretese” dei lettori.

  3. Mi sento di esprimere una forma di riconoscenza a Miroslaw e Ratman, poiché è stato proprio il banale gusto di raccontare l’emozione infantile di un modesto dolomitista poco avvezzo alle valli piemontesi, che ancora si diverte ad ascoltare silenzi e scalare fuori dalla folla, senza nessuna velleità. L’obiettivo sperato è che qualche lettore si possa incuriosire di luoghi e alle sue bellezze, almeno come un ospite le ha percepite, e ringraziare un amico che lo ha portato. Un piccolo inno certo, forse anche alla banalità, ma – nelle intenzioni – alla normalità di cui a volte nutro il bisogno, quando siamo avvolti, anche nel nostro bellissimo mondo, da tanto inchiostro versato su dispute e dissertazioni.

  4. Miroslaw è molto severo perchè rispetto ai molti che non sanno scrivere, tipo tale gpp, il tutto non è troppo indigesto, però …… però,  per essere a tiri in croce alla gran rotsa troppe parole.

  5. Certamente non si tratta di epica Bonattiana o di un impresa sulla Dawn wall ma credo piuttosto che dare delle medaglie che sia più importante analizzare quanto c’è di banale nella vita di ognuno di noi.

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