Il Tien Shan cinese

Il Tien Shan cinese
(nuove vie e grande potenziale in una zona poco frequentata)
di Anatoliy Djuliy
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2007)

La catena del Tien Shan centrale in Cina, a sud e ad est dei confini con Kirghizistan e Kazakistan, è una regione poco conosciuta con molte vette inviolate da 5000 metri fino a quasi 6800 metri di altezza. La prima spedizione alpinistica di successo in questa regione risale probabilmente al 1977, quando i cinesi scalarono i pendii meridionali soggetti a valanghe del Tomur, cioè il Pik Pobeda 7439 m. Altre spedizioni si possono contare sulle dita: durante gli anni ’80 e ’90, le spedizioni giapponesi hanno tentato la via cinese sul Tomur e hanno fatto quattro tentativi di scalare lo Xuelian Feng 6637 m, prima di riuscire nel 1990. Ci sono state spedizioni francesi e giapponesi a Kashkar 6435 m. A parte i miei viaggi, questo è tutto. Mentre i campi base sotto il Khan Tengri e le altre vette presso i ghiacciai di Inylchek, a nord e ad ovest del confine, sono pieni di alpinisti ogni estate, il Tien Shan cinese vede spesso passare anni senza alcun visitatore.

Il pilastro meridionale (alto 2500 m) del Peak Voennih Topografov (Peak of the Army Topographers) 6873 m. In nero la via di salita, in bianco la discesa. La via presenta un lungo tratto orizzontale e i salitori ne stimano una lunghezza di 5 km di arrampicata. Foto: Anatoliy Djuliy.

I gruppi sotto la mia guida hanno condotto tre spedizioni nella regione, nel 2002, 2004 e 2006. Abbiamo completato più di 10 traversate di passi alti, la maggior parte delle quali molto complesse, e diverse prime ascensioni. Nel 2002 abbiamo completato un trekking di 270 km su sette passi, dalla Cina al Kirghizistan e ritorno. Nel 2004, siamo riusciti in una traversata di 16 giorni del Kashkar, probabilmente facendo la prima salita di quella vetta. Poi, nel 2006, abbiamo attraversato le vette del Peak 5853 m e del Peak 5960 m, e abbiamo completato l’obiettivo che ci aveva stuzzicato da quando l’avevamo visto per la prima volta quattro anni prima: la ripida cresta meridionale, alta 2500 metri, del Peak of the Army Topographers 6873 m.

Vista sullo Kashkar 6435 m da un campo alto della traversata del massiccio di Vizbor. La spedizione di Anayoliy Djuliy nel 2004 effettuò la probabile prima ascensione del Kahkar, che era già stata tentata almeno due volte, tramite una lunga traversata in quota di 16 giorni. Foto: Anayoliy Djuliy.

Dozzine di vette allettanti rimangono inviolate in quest’area, ma il Tien Shan cinese è di difficile accesso per molte ragioni. Non ci sono infrastrutture turistiche: niente alberghi, niente portatori, pochi cavalli per il trasporto dei carichi. Ottenere i permessi per la regione richiede diversi mesi e alcune aree potrebbero essere vietate. Non esiste un servizio di soccorso, quindi se hai problemi sei da solo. Il meteo vicino al Pobeda, la vetta più settentrionale del mondo di 7000 metri, può essere estremamente variabile, con venti da uragano e nevicate quasi ogni giorno. La scorsa stagione, tuttavia, la neve è stata straordinariamente scarsa e il risultato sono stati ghiacciai fortemente crepacciati e cornici altamente a rischio.

Abbiamo volato da Mosca a Urumchi il 15 luglio 2006 e la sera del giorno successivo, dopo un volo di due ore, avevamo raggiunto la città di Aksu, a sud della catena. Al mattino, dopo aver acquistato del cibo fresco e del carburante, ci siamo recati al villaggio di Talak per iniziare il nostro avvicinamento. L’approccio di 40 km al campo base fu problematico. Siamo stati abbandonati dal capo della nostra carovana di cavalli, naturalmente con i suoi animali, e solo il 24 luglio è stato organizzato il nostro campo base e abbiamo potuto iniziare ad attuare il nostro piano.

Le doppie cornici che il team ha incontrato durante la discesa dal Peak Vizbor, una salita di “riscaldamento” durata 9 giorni. Foto: Anayoliy Djuliy.

Il nostro campo base era vicino a un breve affluente occidentale del ramo orientale del ghiacciaio di Chonteren, a un’altitudine di circa 3800 m. Questo era da tre a quattro ore di distanza dalla cresta sud del Peak of the Army Topographers, ed era solo circa un’ora sotto la sella di 4500 metri dove avevamo programmato di terminare la nostra traversata del Peak 5853 m e del Peak 5960 m, che in seguito chiamammo Peak Vizbor West e Peak Vizbor. Questo massiccio si trova a sud della vetta orientale del Pobeda, separando le forcelle est e ovest del ghiacciaio Chonteren.

La nostra traversata del Massiccio di Vizbor ha coperto circa 18 km di andata e ritorno dal campo base: 10 km dalla sella di 4600 m all’inizio al colle di 4500 m all’estremità. La via è stata più difficile del previsto, con passaggi su ghiaccio fino a 70° e tratti su roccia fino al IV+ UIAA che hanno richiesto molti tiri in assicurazione. Abbiamo impiegato nove giorni per l’impresa, due o tre giorni in più di quanto avevamo programmato, e abbiamo raggiunto la vetta del Peak 5853 m il 29 luglio e del Peak 5960 m, più a nord-est, il giorno successivo. Abbiamo battezzato il massiccio in onore di Yury Vizbor, il famoso poeta, cantante e attore russo, e siamo tornati al campo base il 2 agosto dopo una difficile discesa lungo un costone roccioso.

Il Peak of yhe Army Topographers dall’ovest, visto dall’approccio al Chonteren Pass 5488 m. I russi hanno salito la prominente cresta che conduce diritta al punto più alto (la vetta subito oltre quella in primo piano). Il Peal 6747 m è subito dietro. Foto: Anayoliy Djuliy.

Al campo avevamo con noi una chitarra e durante i giorni successivi di riposo, rimontaggi e relax imposto dalle intemperie, le canzoni di Yury Vizbor risuonarono intorno al nostro campo. Ben acclimatati e riposati, abbiamo portato un carico alla base della cresta sud dell’Army Topographers il 6 agosto, quindi abbiamo lasciato definitivamente il campo base il giorno successivo, allestendo un bivacco a 4400 metri, direttamente sotto il versante orientale della cresta. Avevamo costeggiato la parete inferiore scalando una cascata di ghiaccio a destra di un bastione roccioso.

Il primo campo sul crestone meridionale del Peak of the Army Topographers, a circa 5050 m. In secondo piano, a meridione, è il Chonteren Glacier. Ci sono voluti due giorni e 22 lunghezze per raggiungere questo punto. Il team ha poi dovuto traaversar su una cresta orizzontale per altri due giorni prima di raggiungere il punto in cui la parete si raddrizza verso la cima. Foto: Anayoliy Djuliy.

La nostra prima sfida è stata raggiungere la cresta quasi orizzontale a circa 5000 metri. Ci sono voluti due giorni e 22 tiri in arrampicata, per lo più non molto difficili ma dispendiosi in termini di tempo a causa della neve fresca e dei tratti ghiacciati. La roccia era molto affilata e salendo su una corda fissa mi ferii a un ginocchio: non avrei mai pensato che da un ginocchio potesse fuoriuscire così tanto sangue. Durante il secondo giorno di arrampicata abbiamo raggiunto la cima della cresta, solo per scoprire che era larga solo 60 centimetri, con nessuna possibilità per un bivacco! Abbiamo proseguito lungo la cresta per diversi tiri difficili, uscendo sotto alcuni imponenti gendarmi di roccia per raggiungere un possibile bivacco contro un cornicione, in tarda serata, quando la neve ha cominciato a cadere. Dopo diverse ore di lavoro, siamo riusciti a livellare uno spazio abbastanza grande per due tende. Era buio pesto quando abbiamo finito.

La metà della giornata successiva, il 10 agosto, è stata spesa a trasportare carichi e recuperare le 16 corde che avevamo fissato sotto. Quindi siamo stati in grado di fissare quattro corde sui gendarmi di roccia oltre il nostro bivacco del cornicione. Abbiamo iniziato a capire che questa salita avrebbe richiesto molto più tempo del previsto. Avevo programmato sei giorni di arrampicata più sei giorni per via del clima del Tien Shan. Dato che l’arrampicata si stava rivelando lenta, avremmo dovuto ignorare il meteo.

Salendo sulle corde fisse verso il punto cruciale della parete terminale, tra i 6300 e i 6400 m. Più in alto si nota la fascia biancastra di marmo, uno strato assai friabile. Foto: Anayoliy Djuliy.

In tutto, ci sono voluti tre giorni per attraversare il crestone orizzontale, a un’altitudine di circa 5100 metri, prima che la cresta si impennasse verso l’alto. Era un’arrampicata fastidiosa, difficile con i nostri pesanti zaini, andando su e girando attorno ai gendarmi e lungo i lati di ripidi cornicioni e pendii ghiacciati. Ci siamo accampati una volta lungo la cresta, poi abbiamo trovato un buon punto di bivacco sotto il crepaccio terminale alla base della parete superiore.

Abbiamo fissato tutte le nostre corde sopra a questo campo nei due giorni successivi, in condizioni di tempo molto brutto: neve e vento forte. La pendenza non era così forte, ma l’arrampicata era delicata e ha richiesto molto tempo. A quanto pare, tuttavia, tutto questo non bastava per essere chiamato avventura e era un’avventura sufficiente, e quindi Nikolay Kolya Dobrjaev è riuscito a danneggiare il suo orologio e il tubetto del carburante di uno dei fornelli. Un evento banale normalmente, ma che lì poteva significare il fallimento. Hai mai provato a riparare un fornello nel mezzo di una lunga salita in montagna? È un compito divertente. Vladimir Vovka Leonenko e io abbiamo portato il fornello nella nostra tenda, e all’inizio l’osservavamo con aria ebete, chiedendoci da dove cominciare. Ma dopo tre ore, con l’aiuto di una lima, un chiodino, del nastro adesivo e della supercolla del nostro kit di riparazione, il lavoro è stato fatto, tutto ha funzionato e dunque avevamo di nuovo due fornelli. Perché avevamo anche un chiodino nel nostro kit di riparazione? C’erano molte cose inaspettate lì dentro. Solo un anno prima, con l’aiuto di due di quei chiodi, avevamo riparato alcuni stivali di plastica che erano caduti a pezzi.

Il 15 agosto, il nostro ottavo giorno di salita, eravamo pronti a spostare il nostro campo verso l’alto. Venti tiri sopra il bivacco della crepaccia terminale, abbiamo trovato un buon punto di bivacco a circa 5800 m. Nonostante il tempo molto brutto, abbiamo continuato a salire e a fissare corde, puntando alla ripida parete rocciosa che inizia intorno ai 6100 m. Abbiamo spostato il nostro campo a circa 6010 m il 17 agosto e abbiamo fissato diverse corde al di sopra.

Il Peak 6571 m visto da sud-ovest. Foto: Otto Chkhetiani.

Al sole ma con un freddo terribile, abbiamo iniziato a lavorare sulla parete terminale la mattina successiva. L’arrampicata è stata molto difficile e Kolya ha condotto molto lentamente usando molta artificiale; stavo congelando. Dopo due tiri, un’arrampicata più facile ha portato attorno a una torre di roccia e all’ora di pranzo eravamo già a quasi 6400 metri. Eravamo entrati nella zona dei marmi, e quel marmo era qualcosa! Era difficile trovare un posto per un chiodo, la roccia si sbriciolava sotto mani e piedi, e a volte cadeva in pezzi enormi. Durante l’assicurazione, mi sono girato e ho voltato le spalle alle rocce che cadevano. Tutta l’arrampicata sulla ripida parete inferiore e attraverso la testata superiore è stata di V e VI. Kolya finalmente raggiunse il bordo superiore della parete, ma io non mi sentivo di seguirlo. Ero troppo congelato. Siamo scesi rapidamente al nostro campo a 6010 metri. La parete terminale era stata scalata.

La mattina del 19 agosto, malato di laringite, Anatoly Gorin annunciò che sarebbe rimasto al nostro bivacco mentre i restanti quattro di noi avrebbero continuato a salire. Abbiamo preso cibo e gas per due giorni. Nel pomeriggio avevamo riguadagnato la sommità della testata, ma il marmo innevato sopra era ancora troppo difficile perché il capo-cordata potesse portare il suo zaino. Finalmente abbiamo raggiunto un pendio di neve che speravamo fosse facile, ma la neve era alta fino alla cintola e abbiamo dovuto scavare una trincea fino a del ghiaccio sotto un ghiacciaio pensile. Temendo molto le valanghe, abbiamo continuato a fissare corde. Infine abbiamo guadagnato una cengia di neve tra alcuni seracchi a circa 6480 m.

Dopo una notte difficile con tutti e quattro in una tenda da tre, ci siamo diretti verso la cima sotto una leggera nevicata. Salendo in due cordate, abbiamo trovato ghiaccio e roccia facile fino a quando non abbiamo dovuto scalare un’altra fascia di marmo sgradevole di 100 metri. Un terreno più facile ci ha portato all’altopiano innevato in cima intorno a mezzogiorno, dove abbiamo trovato due affioramenti rocciosi, ciascuno con note contenenti i nomi degli alpinisti dal lato kirghiso del confine. Abbiamo lasciato i nostri nomi su uno di loro e abbiamo iniziato la discesa.

Il tempo era leggermente migliorato: soffiavano venti quasi da uragano, che disperdevano la nuvolosità. Potevamo vedere il percorso di ritorno alla nostra tenda. Che era stata sepolta fin quasi alla sommità e leggermente danneggiata. Abbiamo liberato la tenda e costruito una piattaforma per la nostra seconda tendina da parete (singola), dove Kolya si è offerto volontario per dormire da solo. Ci siamo accoccolati nelle due tende, ma nessuno ha dormito. Le tende venivano costantemente sbattute dal vento.

Il Peak 6769 m visto dall’Upper Tugabed’chi Glacier. Foto: Otto Chkhetiani.

Presto sentii qualcosa che non andava nel mio respiro: era come se stessi soffocando. Mi sono reso conto che probabilmente eravamo stati sepolti e che si stava accumulando anidride carbonica. Mi sono seduto e ho iniziato a vestirmi, quindi ho subito messo la testa fuori. Il vento infuriava, ma mi sentivo subito meglio. La tenda era semisepolta. Dopo 30 o 40 minuti di scavo, sono tornato dentro e l’aria era notevolmente migliore, ma non riuscivamo ancora a dormire – dio solo sa perché no.

Kolya stava camminando attorno alla sua tendina solitaria e scavava. Dopo un po’ è caduto nella nostra tenda con le parole: “Sto morendo!” Allora gli abbiamo spiegato ridendo i sintomi della sua “morte”, quella sensazione di soffocare. Avendo imparato questo, Kolya si riprese un po’. Lo mettemmo in mezzo a noi e subito si addormentò. Fino ad allora era rimasto seduto tutta la notte, temendo di addormentarsi e di non svegliarsi più.

Alle prime luci ci siamo preparati a continuare. Nevicava e non c’era visibilità. Alla fine abbiamo trovato i chiodi che avevamo lasciato in cima alla headwall e abbiamo iniziato a calarci in doppia. Le corde si erano ghiacciate, e a volte questo complicava la discesa, ma, dopotutto, eravamo diretti verso il basso, non verso l’alto. Lungo il percorso abbiamo rimosso le corde più o meno intatte, ma abbiamo lasciato alcune corde da 11 mm nella parte inferiore della muraglia, troppo pesanti per essere sollevate. Al nostro campo di 6010 metri, Tolya stava bene. Avevamo tempo per proseguire, ma non abbiamo avuto né la forza né la voglia.

Al mattino, abbiamo considerato le nostre opzioni. Non avevamo voglia di rifare in senso inverso la cresta orizzontale, che avrebbe potuto richiedere altri tre o quattro giorni, quindi dopo aver raggiunto i 5800 metri abbiamo deciso di scendere verso ovest, nonostante le molte incertezze su quel percorso sconosciuto. Durante la nostra prima osservazione della montagna, nel 2002, avevamo scartato ogni possibilità di uscire dalla cresta in quel modo, a causa dell’evidente pericolo di valanghe, caduta massi e ghiaccio. Bene, l’incertezza ha vinto.

Il Peak 6342 m. Foto: Otto Chkhetiani.

A quaranta metri dal nostro bivacco abbiamo iniziato la discesa in corda doppia. Anelli di fettuccia, chiodi, chiodi da ghiaccio: ho perso il conto delle doppie intorno alla decima, ma devono essere state almeno 20-22 doppie prima di raggiungere la crepaccia terminale. Molta robaccia stava volando, e su una delle cengie mi sono nascosto sotto al mio zaino mentre una grandine di sassi cadeva sopra ad esso e sul mio casco. Continue scariche di detriti e di ghiaccio sorvolavano la crepaccia terminale, senza tregua: non riuscivo a immaginare da dove provenisse tutto.

Man mano che la pendenza diminuiva, ci legammo alla corda e scendemmo assieme finché non ci trovammo in cima a una seraccata che si tuffava per 300-400 metri fino al ghiacciaio sotto di noi. A destra c’era una stretta fascia di ghiaccio e seracchi lungo la quale, forse, si poteva passare. A sinistra, un contrafforte roccioso, ma sotto di esso non si vedeva nulla. Abbiamo deciso di bivaccare sulla ghiaia in cima al contrafforte, perché si è sempre più saggi al mattino che alla sera. Comunque, aveva ricominciato a nevicare.

La mattina dopo c’era il sole e, mentre preparavamo la colazione, sono andato un po’ a sinistra e ho scoperto un meraviglioso percorso di discesa; in lontananza potevo vedere uno sbocco sul ghiacciaio attraverso i ghiaioni. Se avessimo visto quella possibilità ieri, saremmo partiti prima e quindi saremmo arrivat al ghiacciaio prima dell’alba. Adesso stava già diventando pericoloso, ma il sole non aveva ancora scaldato la parete sopra di noi. Con altre doppie  e con tecnica di frontpoint, verso il basso il più velocemente possibile, siamo usciti dal canale due ore dopo. Ci sono volute altre due ore per attraversare la seraccata pesantemente crepacciata, e finalmente abbiamo raggiunto una morena ricoperta di ghiaia. La discesa era sostanzialmente finita. Preparammo una cena calda – la nostra prima durante l’intera salita – e poi scendemmo altre due ore fino al campo base, immersi in un senso di profonda soddisfazione.

Il Baiyu Feng 6446 m come lo si vede dal Muzart Pass a nord-ovest. Foto: Tsutomo Ogawa.

Sommario
Area: Tien Shan, Cina
Ascensioni: Prima salita della cresta sud del Peak 6873 metri (Peak Voennih Topografov, cioè il Peak of the Army Topographers): Nikolay Dobrjaev, Anatoliy Djuliy, Aleksey Kirienko e Vladimir Leonenko, con Anatoly Gorin che sale a 6100 m, 7-24 agosto 2006. Le due cordate hanno trascorso 13 giorni in salita, utilizzando sette luoghi di bivacco lungo il percorso e spesso fissando corde (fino a 16 alla volta) sopra ogni bivacco fino a quando non si potevano spostare verso l’alto; hanno raggiunto la vetta il 20 agosto e sono scesi a 5800 m, quindi si sono spostati sulla parete sud, a ovest della cresta, per completare la discesa. La stessa squadra ha anche effettuato la prima salita del massiccio del Vizbor attraverso una traversata di nove giorni del Peak 5853 m e del Peak 5960 m, sulla cresta sud del Pobeda est, dal 25 luglio al 2 agosto.

Una nota sull’autore
Anatoliy Djuliy vive con sua moglie e tre figli a Mosca, dove gestisce un’azienda di centrali elettriche mobili.

Questa storia è stata compilata da due resoconti della spedizione: uno scritto per l’AAJ e tradotto dal russo da Henry Pickford, e l’altro pubblicato su www.mountain.ru/eng/. Un’assistenza preziosa è stata fornita da Otto Chkhetiani. 

Tien Shan inviolato
La maggior parte delle cime del Tien Shan a est del confine cinese con il Kyrgyzstan e il Kazakhstan non è mai stata scalata, tentata, e magari anche solo vista dagli alpinisti. Il Peak 6571 m è situato a est del Peak of the Army Topographers ed è circondato da parecchie vette di oltre 5000 m. Il Peak 6769 m è il punto più elevato di una gigantesca cresta, orientata est-ovest e sormontata da uno strato di marmo. Il Peak 6342 m si eleva tra le testate del Kichi-Teren Glacier e del Tugabed’chi Glacier. Il Baiyu Feng 6446 m è il più occidentale vicino dello Xuelian Feng 6627 m: il suo versante nord-orientale precipita per 2300 m sul ghiacciaio.

Visitando www.americanalpineclub.org/AAJ/ si può scaricare in alta risoluzione una panoramica del Tien Shan cinese centrale, dal versante occidentale del Tomur fino alle montagne del Peak 6571 m.

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Il Tien Shan cinese ultima modifica: 2021-05-25T05:18:00+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Il Tien Shan cinese”

  1. Sono d’accordo Carlo. Questo racconto mi ha coinvolto molto, da sempre affascinato da questa catena misteriosa. Mi sono sempre chiesto cosa avrà pensato Marco Polo nel vederla, dalle carovaniere che da Cashgar portavano alle porte dell’impero…
    Avventura. E poi avventura svolta dai russi… un altro mondo.

  2. Lettura altrettanto affascinante di quella di ieri.  Ognuno ha i suoi gusti (in piemontese: non tutti i gusti sono alla menta – con la e molto larga). A me la catena asiatica principale non ha mai ispirato curiosità di vederla dal vivo, neppure negli anni “gobettiani” (vedi articolo di ieri), figuriamoci oggi. Al contrario l’Asia centrale mi ha sempre affascinato fin dai tempi in cui leggevo avidamente sulla guerra non dichiarata fra Impero Britannico e Impero Russo a metà ‘800. Anche conoscere quelle popolazioni mi intriga di più. Magari sbaglio, chissà. Certo dal punto di vista alpinistico queste catene montuoso hanno un fascino misterioso che l’Himalaya non ha più. Questa è “vera” montagna, anche se non supera gli 8.000. Ciao!

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