In pace armata con i suoi demoni

Il 20 luglio 2016 sono caduti dalla parete nord del Monte Camicia (Gruppo del Gran Sasso) Roberto Iannilli e Luca D’Andrea. Iannilli, di Ladispoli, aveva 62 anni. D’Andrea era di Sulmona, aveva 51 anni. Il secondo era un grande alpinista, il primo un leggendario.

In pace armata con i suoi demoni
di Roberto Buzzati (Rob Buzz Uzzi)
(in ricordo di Roberto Iannilli)

Vorrei scegliere un ricordo, fra tanti. Una foto, un momento. Qualcosa di significativo. Ma quando penso di averla trovata e mi soffermo su di essa, cercando di distillarne qualche emozione, vengo inondato da altre immagini, altre espressioni, altre frasi e capisco una volta di più che Roberto era impossibile da riassumere.

Era un uomo complesso.
E’ un pensiero banale, lo so. Perché si potrebbe dire per tutti noi. Ma lui lo era oltre la media.
Le sue contraddizioni, nascoste con un certo pudore sotto un velo d’ironia, erano potenti, laceranti, estreme come certe sue vie.

Eppure sembrava un uomo che avesse raccolto i propri pezzi e li avesse messi insieme, in un equilibrio imperfetto ma tutto sommato funzionale. Era paradossalmente in pace con i suoi demoni, finché li avesse nutriti, regolarmente.

Nelle tante sere condivise ai Prati di Tivo, mi veniva da chiedermi il perché di questa necessità quasi ossessiva di confrontarsi, lui piccolo e schiacciato sotto il peso di zaini più grossi di lui, con il gigante di pietra. E non riuscivo a pensare ad altro che una specie di sacrificio rituale. Un Moloch da soddisfare.

Roberto in montagna mi ha sempre dato la sensazione di Sisifo, condannato a immani fatiche, senza possibilità di riscatto o appagamento. In lui il concetto di conquistatore dell’inutile prendeva un significato ancora più forte, perché lui lo rendeva evidente, non cercava di nasconderlo.
Quella era la sua “normalità”. Quella “durezza” con se stesso era l’altra faccia della sua gentilezza o meglio, della sua tenerezza. Non poteva esistere una senza l’altra. Chi fa cose “grandi” ha grandi pesi da portare. Grandi contraddizioni. Ed è difficile stargli accanto. Nella vita come in montagna.

La ricchezza emotiva e intellettuale, a volte straripanti, che lo rendevano unico erano il frutto che affondava le radici in quel “lato oscuro”, che era il suo alpinismo, fatto di durezza e abnegazione.

Luca D’Andrea e Roberto Iannilli
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Per questo, pensavo, era l’uomo delle “solitarie”. Perché a nessun altro oltre che a se stesso poteva infliggere certe sofferenze.
Perché? mi chiedevo.
Poi pensavo che io sono io, e lui era Roberto, che faceva cose incredibili. E gli uomini che fanno cose incredibili non si può pensare di capirli o di ridurli a quello che siamo tutti.
Gli uomini che fanno cose incredibili hanno qualcosa dentro, nei geni forse, che li spinge oltre. Bisogna solo accettarli e guardare le loro opere stupefatti, mentre compiono il loro “dovere”, quello per cui sono nati. Senza cercare di capire, di interpretare, di intuire. E’ così e basta. Lui è Roberto e di Roberto ne nascono pochi.

Roberto Iannilli su Tangerine Trip, El Capitan. Foto: Diego Pezzoli
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Il Roberto in montagna era diverso dal Roberto dei forum o delle serate di pizza o dei raduni. Entrava nella bolla già la sera ai Prati, a volte. Chiuso nel suo furgone, alle prese con i suoi mal di testa, sempre in dubbio con se stesso, eppure alle 4 andava, il furgone restava vuoto, ad aspettarlo. Lo vedevo lì, piccolo nella parete, lo chiamavo da lontano perché sapevo che gli faceva piacere sentirsi per un momento meno solo, che gli dava forza.
Che uno pensa, se va da solo è perché vuole stare solo, meglio non disturbarlo. E invece no. Lui andava solo perché “doveva”, ma una parte di sé avrebbe voluto tutti vicino, che lo accompagnassero e lo incoraggiassero.
Aveva bisogno degli altri, perché tutto si sentiva meno che forte e invincibile.
Il suo era l’alpinismo della volontà. Arrivava più lontano di altri perché più di altri, forse più dotati, sicuramente più forti e giovani, lui voleva arrivarci. Sapeva stringere i denti e tirare fuori da sé tutto quello che aveva e anche oltre.
Chiedeva a sé l’eccezionalità come normalità.

Non mi chiedo cosa ti abbia spinto su quest’ultima via, amico mio. Lo so. Perché era lì. E tu eri fatto così.
Qualcosa non ha funzionato. Era nelle possibilità delle cose, su quella parete.

Ti sei risparmiato l’oltraggio della vecchiaia. Del vedersi ridurre, sempre di più, quello che eri.
Il prezzo altissimo lo paga chi ti ha voluto bene. Ma così è la vita.

La parete nord del Monte Camicia
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Note della Redazione
Roberto Iannilli era nato a Roma nel 1954, di professione architetto. Frequentava la montagna dal 1983.

Il suo alpinismo era indirizzato soprattutto verso l’apertura di nuovi itinerari su roccia in montagna (più di 100 vie nuove al Gran Sasso e altre 12 in paesi extraeuropei, sempre da primo di cordata o in solitaria) e alla ripetizione in solitaria delle vie più difficili del Gran Sasso.

Negli ultimi anni ha preso confidenza con la tecnica dell’arrampicata artificiale, aprendo alcuni itinerari utilizzando anche i mezzi dell’artificiale new-age.

Dopo aver vinto per ben due volte il massimo riconoscimento alpinistico italiano, il Premio “Paolo Consiglio”, è stato tra i finalisti italiani della più alta onorificenza alpinistica internazionale, il Piolet d’Or, per la salita all’inviolata cima della Punta Capoccia, nelle Ande peruviane: una via di 1500 metri su difficoltà elevatissime. Celebre è poi la sua avventura sulla Bartolomei Tower, una montagna mai salita dall’uomo nella Chandra Valley (Himalaya indiano), quando proseguì l’ascensione da solo, aprendo una via nuova e tornando al campo base dopo una lunga settimana di permanenza in parete.

Ancor oggi, dopo centinaia di nuove ascensioni, varie spedizioni e molte salite solitarie, l’attività di Roberto Iannilli era ben lungi dall’essere terminata. Qui potete leggere l’elenco delle sue prime ascensioni: il pdf è tratto dal suo libro Forse accade così.

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Il suo libro, Forse accade così (l’Alpinismo: un gioco, ma non uno scherzo)
Pubblicata da Alpine Studio nel novembre 2011, è l’autobiografia di Roberto Iannilli, alpinista di punta in Italia e nell’extraeuropeo. Profondo conoscitore del gruppo del Gran Sasso, sulle cui pareti è diventato una leggenda, anche sulle altre pareti alpine ha compiuto imprese: difficile fare spazio a una massa tale di ascensioni, in un libro di dimensioni contenute (272 pagine)!

In ambito extraeuropeo, lannilli è il precursore di un moderno alpinismo di ricerca che lo ha portato a visitare vallate sconosciute agli occidentali. Nelle catene della Cordillera Bianca in Perù e in Himalaya, ha realizzato numerose vie nuove su vette inviolate e superando pareti immense e di altissimo livello. In questo libro, l’autore confessa anche paure, qualità e difetti legati alla sua vita, non nascondendo certo di essere fatto di carne, ossa e sentimenti e non mancando di porsi domande anche scomode, e in­terrogativi che tutti gli scalatori si fanno ma che pochi confessano.

Una testimonianza brutalmente sincera, con uno spiccato senso dello humor unito a una commovente narrazione che in certi passaggi non man­ca di emozionare e che in questo modo rischia di far scendere i super eroi dalle vette e di portarli a livello degli altri, a livello di tutti.

 

Lo ricordano con queste frasi
Roberto e Luca sono due vecchi compagni di cordata che si trovavano l’altro ieri su una parete terrificante, a loro stranota, dov’è difficile assicurarsi e il primo se vola facilmente porta via anche il secondo e sui traversi anche il secondo se vola può facilmente portarsi via il primo: “una parete alta, grande e su roccia pericolosa, ma è vero che scalarla è una cosa epica, pregna di avventura in un ambiente incredibilmente affascinante, orribilmente affascinante”. Era una delle loro pareti, di quelle di casa, dove Roberto aveva già tracciato un paio di vie… Roberto e Luca hanno provato in questo luglio a vivere come gli accadeva dentro il mondo parallelo di una vita fortemente più intensa, fatta di intimità fisica con la natura e la roccia “terrificante” di una parete, di una montagna, il Gran Sasso, speciale per loro e così vicina a casa. Mancheranno a tutti (Agostino Da Polenza, www.montagna.tv/)”.

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Questo è quanto. Poche parole a cui è difficile dare un seguito. Resta solo un indicibile smarrimento. E pensi a Roberto. A tutte le volte che l’hai sentito e incontrato. Pensi al suo amico e compagno di cordata Luca. Pensi alle loro vie nuove sul Gran Sasso. Alla loro esplorazione della Est del San Lorenzo in Patagonia. Ti scappa anche un sorriso ricordando che quelle due vie nuove le avevano chiamate Compagni dai campi e dalle officine e Lotta di classe. Solo a Roberto potevano venire in mente due nomi così… E, forse, solo Luca poteva accettarli… Roberto era un alpinista e un esploratore sul campo, in azione, ma anche nell’anima. Spesso scandagliava nel profondo la sua passione per la scalata, per l’avventura. Ne conosceva i pregi e ne riconosceva anche i lati più in ombra. E viveva l’alpinismo con una serietà e sapienza che spesso vestiva di arguta ironia. A Roberto Jann Hill Iannilli dobbiamo molto… Ripensando a quello che ha scritto non può non tornare alla mente la sua descrizione della parete che gli è stata fatale. Va detto che Roberto sempre sulla Nord del Camicia aveva aperto, nel 1999 insieme a Ezio Bartolomei, Vacanze romane. Così quando ci segnalò l’apertura di una nuova via sulla stessa parete gli chiedemmo di scriverci un’introduzione. La nuova via si chiama Inferno con vista ed era stata percorsa da Andrea Di Pascasio ed Emanuele Pontecorvo: “Va bene, esagero, la nord del Monte Camicia non è l’ inferno”, ci scrisse Roberto, “non è neanche un orco, ma solo una parete alta, grande e su roccia pericolosa, ma è vero che scalarla è una cosa epica, pregna di avventura in un ambiente incredibilmente affascinante, orribilmente affascinante”.
Per ricordare Luca D’Andrea ci piace riportare come l’ha descritto Roberto in occasione della prima salita di Lotta di classe sulla parete Est del Corno Piccolo del Gran Sasso: “Luca è uno di quelli che per fargli pigliare una medicina deve essere in fin di vita e qui, appesi a 200 metri dalle ghiaie, la vita è più vita del normale, non ne ha bisogno. Invece io, marito di una farmacista e abituato a notti insonni, mi impasticco per bene (Vinicio Stefanello, www.planetmountain.com)”.

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In pace armata con i suoi demoni ultima modifica: 2016-07-23T05:53:18+02:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “In pace armata con i suoi demoni”

  1. domenica  scorsa, sulla est della vetta occidentale del Corno Grande, abbiamo ripetuto L’ISOLA NON TROVATA una via di Roberto Iannilli. Per me la seconda via di Roberto al Gran Sasso.

    Via Bella ed impegnativa, difficoltà sottovalutata e roccia in diversi punti da stare all’occhio. Giornata spaziale.

    Grazie flow per le belle parole su Inti e L’ Isola
    Concordo con te sulle gradazioni attuali, strette, specie rispetto ad altri passaggi al Gran Sasso, dati sonanti VII e protetti da file di spit.
    Quando salimmo il secondo tiro di Intifada, giunto alla sosta, quasi in cima al pulpito, ero euforico, sicuro di aver superato il mio primo VII- in montagna.
    Con i dadi e gli eccentrici (non avevo che un friend ed era troppo piccolo) era uscito un bel tiro sostenuto di fessura che quasi non sembrava di calcare talmente era perfetta.
    Poi sulla relazione della giuda CAI-TCI, il grande Luca Grazzini lo stroncò a VI. Mi dissi che aveva ragione, probabilmente mi ero fatto prendere dall’ euforia.
    L’ anno passato (dopo 24 anni) ho ripetuto L’ Isola non trovata e una cordata di amici Intifada, che è li accanto. Insomma, sia l’ una che l’ altra, dopo trenta anni di scalate e una mia decisa maggiore tenenza rispetto ad allora, mi sono sembrate molto più impegnative della valutazione ufficiale di oggi.
    Ma che vuoi fare, il grado non è mai oggettivo e, nonostante le ristrettezze graduazionali di Grazzini, resta sempre una sconfinata ammirazione per lui e quindi mi piglio di buon grado anche la sua parsimonia nel gradare
    Roberto da P.M.

  2. Attraverso il web ho parlato diverse volte con Roberto, chiedendogli anche informazioni, poi qualche anno fa, l’ho conosciuto qui in Versilia alla Casa del Popolo di Solaio a mangiar tordelli e baccalà marinato. So che ha apprezzato molto il cibo versiliese, non proprio facile da digerire…
    E sicuramente avrà apprezzato la grande immagine del “il Che” dipinta sopra l’ingresso .
    Era stato invitato per fare una serata, da un suo ammiratore, un ragazzo che lavora qui alla Casa del Popolo che aveva letto il suo bellissimo libro e ne era rimasto affascinato.
    Avrei sperato che si potesse fermare il giorno dopo per poter fare un’arrampicata in Apuane. Ma è dovuto ripartire.

    Qualche anno prima avevo potuto apprezzarlo attraverso la ripetizione , fatta con il mio amico Enrico, di una sua bella e impegnativa via sulla est del Corno Piccolo: VOCI DI TERRE LONTANE.
    Già il solo nome della via mi diceva tantissimo e mi attirava.
    Il tiro della placca mi è rimasto impresso. Ancora mi rivedo, pensieroso, prima di allontanarmi dalla prima protezione e girare l’angolo per affacciarmi alla placca. So che una volta partito dovrò solo andare. Indietro non si torna. sarò capace di ripercorre l’intuizione di Roberto?
    Cosa avrà pensato Roberto in quel momento. Io almeno so che di li si passa. Lui invece mica lo sapeva.

    A Solaio ho portato una foto, fatta in quella ripetizione , e me la sono fatta firmare da Roberto.
    Ci tenevo tanto.
    Ho sempre ammirato il suo alpinismo e condiviso molti dei suoi pensieri nelle discussioni sull’alpinismo.

  3. Sapevo che le mie parole, uscendo dall’ambito emotivo ristretto in cui sono state scritte, avrebbero corso il rischio di essere fraintese.

    Mai, in ogni istante, e l’ho specificato nei commenti successivi al post più volte, ho inteso che questo potesse essere un ritratto di Roberto.

    “… non era mia intenzione fare un “ritratto” di Roberto. Ammesso che di un uomo si possa fare, ad altri spetterebbe il compito, che hanno condiviso con lui altri e più importanti momenti di vita, non a me. Io ho espresso un aspetto, quello di lui che più mi ha colpito e su cui tante volte ho riflettuto. Mi sento inadeguato a parlare dell’uomo. Io parlo solo di certi momenti, delle sensazioni che mi ha dato, di quello che indirettamente mi ha fatto capire. Ma potrei sbagliare completamente. È solo quello che io ho percepito, ma quello che pensiamo di essere e quello che gli altri percepiscono spesso è diverso. In mezzo, da qualche parte, sta quello che siamo. ”

    “…E’ solo il mio piccolo punto di vista, per alcuni momenti condivisi. Una faccia del poliedro. L’uomo era anche tanto altro.”

    “…Ho solo scritto di una frazione del mio interagire con Roberto. Non era mia intenzione farne un ritratto o descriverlo…”

    Ognuno si fa un’idea di se stesso come degli altri. Quasi sempre non coincide con quella che altri hanno di sé o di altri.
    Dal mio angolo, questo era l’aspetto di Roberto che mi colpiva.
    Noi non siamo “uno”. Siamo in relazione a chi abbiamo davanti.

    Fra i tanti ricordi, dei forum, dei raduni, delle cene… alla fine ipiù intensi sono quelli di quelle sere ai Prati, con una scatoletta di tonno una birra messa a rinfrescare nascosta nel rigagnolo che scende sotto la funivia, quando non c’era più luce e l’aria si faceva fredda, quando non parlavamo di vie e di montagna, di quello che avremmo fatto il giorno dopo, ma di tutt’altro. Eppure, era proprio il pensiero latente del giorno dopo che forse ti portava a guardare le cose da angoli inusuali.
    Non lo so.
    Forse era semplicemente la peculiarità del nostro interagire.
    Siamo diversi a seconda di chi abbiamo davanti.

    Con Roberto in questi anni di forum tante volte abbiamo discusso, ma c’erano sempre quelle serate ad unirci aldilà di tutto. Eravamo diversi su tante cose, ma forse in quei momenti eravamo riusciti a guardarci dentro un po’ più profondamente di quanto possano dire le parole.
    E così… il mio pensiero per Roberto, in questo momento, è stato riportare in vita quei momenti.
    Senza alcuna pretesa, anzi avendo timore, che fossero presi come “ritratto” di Roberto, che era tanto altro, come dici giustamente tu Loretta.

  4. Anche io la penso come te, Loretta. Ho letto questo articolo e non ritrovo il Robbe’ che ho conosciuto io e che descrivi così bene in questo tuo commento.
    Da facebook, 23 luglio 2016, ore 19.18

  5. Ho letto e poi anche riletto. Forse sarà il dolore di questo momento a non farmi capire bene però quello che emerge da queste parole non è il Roberto che ho conosciuto io. Non era difficile stare vicino a Roberto, né nella vita, né in montagna, perché Roberto era fatto così, dava tutto. Ha amato totalmente tutto quello che era parte della sua vita: Pat, Giuliana, il tiglio, la montagna, i suoi amici. Sì, anche la montagna perché se un uomo è capace di amare in un modo, in quel modo ama ogni volta, ogni “cosa”. Non aveva demoni da nutrire, ma amori da amare. E se andava in montagna rimpiangeva casa è vero, come se usciva con Pat e lasciava a casa Giuliana, rimpiangeva Giuliana… Le scelte dell’amore sono così. L’amore è così. Aveva costruito il tiglio, ci voleva invecchiare perché con gli anni non si sarebbe ridotto quello che era, perché Roberto non era solo un grande alpinista: era un grande compagno, padre, amico, contadino, scrittore, amante della musica, muratore, amante delle macchine, intenditore di vini, lettore attento…
    Da facebook, 23 luglio 2016, ore 11.30

  6. Parole chiare e anche se difficili da leggere perché fresche, facili da capire e utili per pensare, un ricordo chiaro e uscito dal Cuore. Grazie mille!

  7. Modi di vivere inafferrabili e significativi: un vivere comune ne può trarre invece spunti di riflessione..

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