Nei tempi attuali la definizione di Capitale naturale sta sempre di più assumendo valore e presenza nelle discussioni, negli scritti e nelle posizioni politico-amministrative. Non si tratta di una monetizzazione della natura, bensì di una valorizzazione di quanto la natura ci mette a disposizione.
Il Capitale naturale sarà uno dei temi principali del 101esimo Congresso del Club alpino italiano, intitolato La montagna nell’era del cambiamento climatico, in programma a Roma sabato 25 e domenica 26 novembre 2023.
Abbiamo approfondito questa tematica con Carlotta Fusi (ingegnere civile di 32 anni, di professione programmatrice), componente del Tavolo 1 del Congresso che ha come titolo Il CAI per il Capitale naturale.
Intervista a Carlotta Fusi
(il Capitale naturale e il suo valore per il futuro)
a cura di Redazione CAI
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 19 ottobre 2023)
Come si può definire il Capitale naturale?
«Il Capitale naturale è l’insieme dei beni più preziosi del pianeta Terra. Del Capitale naturale fanno parte tutte le risorse presenti nella natura, che comprendono gli organismi viventi e gli elementi non viventi come aria, acqua, suolo e le risorse geologiche che sono fondamentali per la vita. È il Capitale naturale che garantisce una serie di servizi diretti e indiretti, i cosiddetti servizi ecosistemici, forniti dalla natura e utilizzati dall’uomo a supporto della propria vita».
La Costituzione dallo scorso anno ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi come principio fondamentale. Che cosa comporta?
«L’anno scorso sono stati modificati l’art. 9 e l’art. 41 della nostra Carta costituzionale e sono stati introdotti tra i principi fondamentali, insieme alla tutela del paesaggio, anche quella dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Questo vuol dire che oggi, per realizzare qualsiasi opera, è necessaria una valutazione che non potrà essere basata unicamente sull’esigenza di tutela del paesaggio (ovvero se l’opera risulterà in armonia con il paesaggio circostante), ma anche sull’impatto che l’opera in questione avrebbe sull’ecosistema nel quale verrebbe realizzata. Abbiamo visto come in passato la mancanza di una normativa in merito abbia portato alla devastazione di interi territori montani per realizzare, ad esempio, sempre più impianti di risalita e infrastrutture per soddisfare la domanda di sci alpino. Oggi stiamo vivendo sulla nostra pelle le conseguenze di queste politiche. Per poter garantire anche alle generazioni future, a partire dai nostri figli, le stesse possibilità che noi abbiamo avuto, è importante che questi concetti vengano riconosciuti e tenuti in considerazione per il futuro».
Quali sono le conseguenze della crisi climatica sul Capitale naturale dell’ambiente montano?
«In montagna il riscaldamento globale sta determinando delle forti alterazioni all’ambiente, in particolare per quanto riguarda le piogge e l’innevamento. Le estati sono sempre più calde, con la conseguente accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, gli inverni sono sempre più miti e con precipitazioni sempre più scarse. Non sono poi mancati eventi estremi, ad esempio la tempesta Vaia del 2018, che ha messo in ginocchio interi territori montani devastando migliaia di ettari di foreste. Il Capitale naturale delle aree montane è già fortemente compromesso, e l’acqua è un tema sicuramente fondamentale dal quale partire per la protezione e il ripristino degli ecosistemi. Dall’acqua dolce dipendono infatti una serie di servizi ecosistemici fondamentali per la vita. Oltre all’acqua non si possono non citare i boschi e le foreste, che svolgono funzioni importanti come assorbire l’anidride carbonica e rendere i pendii più sicuri, per non parlare della ricca biodiversità che li caratterizza».
Perché è importante che i cittadini acquisiscano la consapevolezza del fatto che i servizi ecosistemici garantiti dalla montagna sono di interesse collettivo, dunque da utilizzare in maniera consapevole?
«L’acqua dolce, che fa parte del Capitale naturale, ha nelle montagne la sua principale riserva. Dall’acqua derivano una serie di servizi ecosistemici senza i quali noi non potremmo vivere. I cambiamenti climatici in atto stanno mettendo in crisi le nostre preziose riserve d’acqua, di conseguenza non possiamo più permetterci un’economia caratterizzata da un utilizzo irrefrenabile di questa risorsa naturale. Nei territori montani un esempio lampante è la neve prodotta dagli impianti di innevamento artificiali per permettere lo sci alpino in zone dove praticamente non nevica più e dove le temperature invernali ormai non scendono più sotto lo zero. Ma anche in pianura e nelle zone collinari, dobbiamo ripensare, ad esempio, sistemi di irrigazione ormai non più sostenibili. L’intera collettività dunque deve essere consapevole di queste criticità per cercare di limitare questa tendenza, per garantire un futuro alle prossime generazioni».
Perché è importante che ne siano consapevoli anche gli appassionati della frequentazione dei territori montani?
«Chi frequenta la montagna può vedere con i propri occhi le conseguenze della crisi climatica sul Capitale naturale, quindi può farsi promotore di “best practice” e sensibilizzare i propri amici e conoscenti, in modo da diffondere gradualmente la consapevolezza di come ogni attività umana debba essere sempre più sostenibile, in modo da limitare i danni all’ambiente e recuperare gli ecosistemi compromessi. Tutto questo, mi piace ricordarlo, fa parte anche dell’Agenda 2030».
Come può fare il CAI a dare il proprio contributo per diffondere questa consapevolezza?
«Il CAI può organizzare momenti aperti a tutti invitando esperti, come docenti e ricercatori, che, con parole chiare e adatte a un pubblico eterogeneo, possano far capire qual è la situazione attuale degli ecosistemi montani, sensibilizzando quante più persone possibile. Questi momenti comprendono anche le attività in ambiente, durante le quali possono essere mostrate “dal vero” le conseguenze della crisi climatica».
Per approfondire leggi l’articolo “Capitale naturale? Ma che cos’è?” sul sito del 101esimo Congresso nazionale del CAI.
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Fai bene, Luciano, ad insistere, dal momento che quello che sottolinei è uno dei punti più oscuri e paradossali della cultura planetaria.
La produzione italiana di mais (in forte calo dai primi del 2000) è 6000000 ton (2022), 4 volte più del riso (1500000 ton), e di cui ben più della metà va al bestiame. Per produrre un kg di riso c’è bisogno di 1900 litri d’acqua, un kg di mais 1400. E senza scomodare la soia, 1000000 ton prodotte in Italia (2022), che cuba 2000 litri di acqua al kg, e la cui produzione è destinata quasi completamente al bestiame (circa 85%). La cosa curiosa è che in Italia importiamo quel mais che non produciamo più per circa il 50%, ad uso esclusivamente animale.
Detto questo, attualmente il 70% della biomassa dei volatili è prodotta da polli da allevamento. Il 60% della biomassa dei mammiferi è prodotta da bovini e suini da allevamento. Il 36% da umani, 4% mammiferi selvatici.
A questo si aggiungano 3 dettagli: il protossido di azoto ha un GWP che vale 23 volte la CO2; buona parte degli allevamenti intensivi sono impiantati laddove c’era la foresta più grande del mondo, Amazzonia; per nutrire gli animali da allevamento viene utilizzato circa il 40% dei terreni coltivati a carboidrati (mangimi).
Quindi, anche in questo caso fare qualche conto con volgari numeri può fare la differenza: lasciamo le vigne di Glera in Veneto (ma ora, grazie a Dio, visto che la terra ritorna calda come nell’Optimum, il Glera verrà prodotto anche nello Yorkshire, oltre che in Norvegia, così come il Lambrusco), magari con uso molto meno intensivo della chimica; lasciamo il riso attorno al Po, che serve per alimentare principalmente umani e non polli. Ma se si vuole avere un minimo impatto, si dimezzi (almeno) il consumo (totalmente inutile) di carne.
Insisto nel considerare un elemento non negoziabile limitare il consumo di carne. Se non partiamo da lì, puoi imporre tutte le auto elettriche che vuoi (sostituzione che non è a gratis nei confronti della Co2 emessa) o anche lasciare l’auto in garage, ma non se ne esce.
Supportato da dati che peraltro sono limitati all’Europa, ma c’è chi consuma molta più carne di noi.
https://www.greenpeace.org/italy/storia/12423/gli-allevamenti-intensivi-in-ue-inquinano-piu-delle-automobili-la-nostra-analisi/#:~:text=Gli%20allevamenti%20intensivi%20in%20Ue%20inquinano%20pi%C3%B9%20delle%20automobili%3A%20la%20nostra%20analisi,-Greenpeace%20Italy%2024&text=Le%20emissioni%20di%20gas%20serra,furgoni%20in%20circolazione%20messi%20insieme.
Per ridurre le emissioni inquinanti, io propongo che, per andare in montagna, si parta sempre da casa propria senza l’auto.
Per esempio Matteo, prima di blaterare sempre a sproposito contro il buon Crovella, dovrebbe seguirne i dettami. In soldoni, inforcare la bicicletta dai viali di Milano e pedalare allegramente fino in Val d’Aosta. Tra l’altro, cosí recupererebbe la linea dei vent’anni.
Matteo, dico bene? 😉😉😉
Per una volta d’accordo con Carlo, tranne che nella frase “Intanto, iniziamo da noi, dalla nostra spicciola quotidianità”
O meglio, d’accordissimo anche su questa (il mio impatto è decisamente modesto e inferiore di un bel po’ a quello medio italiano), ma purché l’impegno personale non diventi un alibi alle scelte politiche ed economiche.
Occorre un cambio di paradigma, che nel dettaglio è ben spiegato nel pdf linkato (“Capitale Naturale”, suggerisco la lettura a tutti), ma più in generale, e qui mi collego al commento n. 1, si sposa con un generale concetto di “descrescita”.
Oggi si produce troppo (svuotando il pianeta di risorse naturali) per obiettivi di business (il prosecco è esportato in tutto il mondo: non lo fanno mica per beneficenza!). Bisognerà trovare un giusto equilibrio fra gli obiettivi di profitto, anche individuale e legittimo, e l’uso oculato delle risorse.
NOTA: ripeto, a scanso di equivoci, che “decrescita” NON significa tornare a vivere coperti di pelli d’animali dentro a grotte primordiali. Significa frenare – e prospetticamente abbassare – i tassi bulimici di crescita economica (alimentata da una spasmodica ricerca del profitto), tassi di crescita un tempo caratteristici delle economie occidentali, le quali oggi sono sostituite dal altre come Cina e India. Che la crescita più dannosa sia, oggi , quella di Cina, India, Brasile ecc non deve frenarci dalla battaglia in merito. Arriveremo anche a loro. Intanto, iniziamo da noi, dalla nostra spicciola quotidianità…, per esempio dalle nostre giornate in montagna e magari dalla capacità (per convinzione personale, prima che scattino imposizioni dall’altro) di saperle contenere nel numero e di saperle vivere in modo qualitativamente adatto al contesto ambientale circostante.
Come in montagna alla riduzione dell’acqua per il riscaldamento globale si aggiunge l’uso dissennato per la produzione di neve artificiale così in pianura l’industria utilizza l’acqua per favorire consumi superflui. In Piemonte per esempio l’acqua viene dissipata nelle risaie e nel Veneto per i vigneti. Come non è utile sciare così non è sensato produrre riso per tutta l’Europa o vino per tutto il mondo se il prezzo da pagare conduce alla distruzione dell’ambiente.