Nella mia rubrica “Profili” in GognaBlog parlo di alpinisti preferibilmente poco conosciuti e che, pur rimanendo nell’ombra, hanno dato molto in termini di passione e di realizzazioni a questo mondo. Certamente la figura di Oliviero Gobbi in questo novero non c’entra nulla, ma la sensazione che ho avuto è che la sua presenza in questo ambiente, come Ad di Grivel, stia contribuendo in modo fattivo alla coagulazione ed alla crescita di un nucleo di giovani e forti alpinisti valdostani come forse non è mai successo. Il fatto, poi, che lui periodicamente esca a fare salite in montagna con alcuni di loro, è sinonimo di un management che crea le proprie strategie sul campo e che testa i propri prodotti non da seduti ad una scrivania, ma direttamente sul campo.
Personalmente credo che mettere il proprio volto dietro ad un “brand” dia allo stesso una credibilità maggiore (Giovanni Rana docet) ed aggiunga quella dose di dinamicità e velocità nella comunicazione che altri marchi del settore non possono vantare. Io ho avuto modo di incontrarlo al meeting di arrampicata nel Vallone di Sea e successivamente, grazie a lui, ho avuto modo di accedere agli archivi storici Grivel mentre redigevo i testi per il libro L’evoluzione dell’attrezzatura nella collana del Corriere della Sera. Un paio di sue battute permeate da un humor decisamente inglese, unitamente alla comune passione per la storia dell’alpinismo, mi hanno colpito da subito e finalmente l’occasione per conoscerlo meglio è arrivata ad Avigliana, in occasione della presentazione del filmato La traccia di Toni che ha realizzato in onore e memoria di suo nonno Toni Gobbi (Elio Bonfanti).
Intervista a Oliviero Gobbi
di Elio Bonfanti
Raccontami un po’ di te e della tua vita.
Sono cresciuto a Courmayeur. Ho fatto le superiori ad Aosta (ma viaggiando su e giù tutti i giorni), tranne il quarto anno che ho passato all’estero, in Alaska! Poi mi sono trasferito a Milano, dove mi sono laureato in fisica teorica e subito dopo ho seguito un master in Management alla Bocconi. Ho lavorato a Milano 5 anni come consulente prima di decidere nel 2007 di ritornare in Valle d’Aosta per lavorare nell’azienda di famiglia, la Grivel. Curiosamente, durante gli studi e nel primo periodo di lavoro, ero certo che mai sarei tornato a lavorare in Valle d’Aosta… poi ho rivalutato l’opportunità, sia da un punto di vista lavorativo (portare avanti le aziende di famiglia può avere un senso superiore) sia personale (qualità della vita e voglia di costruirmi una famiglia), ed eccomi qui.
Sono una persona molto curiosa, organizzata e determinata. Non penso di essere uno stupido ma nemmeno un genio, la differenza credo di averla sempre fatta con la mentalità e l’approccio.
Ho sempre amato viaggiare e l’ho fatto molto, con una certa predilezione per l’Asia.
Mi reputo anche una persona flessibile e adattabile: posso essere a mio agio sia in un bivacco sporco, puzzolente e senza bagno sia in un contesto formale ed elegante in giacca e cravatta.
Non ho un carattere facile e sono molto diretto (a volte forse troppo) nella comunicazione.
Quali sono le tue letture preferite?
Amo la letteratura, soprattutto quella americana (che leggo sempre in lingua originale) e giapponese.
Mi piace però a volte anche leggere testi di matematica, materia che ha sempre grande fascino e che mi allena la testa, in memoria dei tempi dell’università.
In quale misura la laurea in fisica teorica e il master alla Bocconi hanno influenzato il tuo approccio al mondo del lavoro?
Guarda, i fisici non sono tanti, ma tra di loro la percentuale di quelli che fanno un altro mestiere è molto alta! La fisica mi ha dato la capacità di affrontare argomenti nuovi e difficili senza paura, e gli strumenti per cercare di scomporli in blocchi più piccoli e più semplici da affrontare. Si tratta di qualcosa che applico continuamente!
Il master alla Bocconi mi ha dato un assaggio di tutti i temi pratici che servono per avere un ruolo operativo nel mondo di oggi e nella gestione dell’azienda.
Nel 2009 sei diventato presidente dei giovani industriali della Valle d’Aosta. Quali erano e sono le problematiche o i vantaggi legati al fare impresa in Valle d’Aosta?
Il mondo di Confindustria e dei Giovani Imprenditori mi ha dato tanto, soprattutto grazie alle reti e agli incontri con colleghi (spesso diventati anche amici) in tutta Italia, persone che avevano situazioni e problematiche simili alle mie. Parlando di pregi e difetti della Valle d’Aosta, sicuramente abbiamo un territorio ricco di opportunità (a cominciare dalle splendide montagne) ma il problema è spesso la chiusura mentale e l’autoreferenzialità: il mondo non finisce a Pont Saint-Martin, in un certo senso inizia lì.
Alla fine degli anni ‘70 del Novecento la Grivel era un azienda che aveva intrapreso una curva negativa, poi l’acquisizione delle quote da parte di tuo padre Gioacchino Gobbi e la congiunta gestione con Betta le hanno fatto riprendere quota. Da dove sono partiti?
Hanno fatto un grande lavoro innanzitutto rifocalizzando il business su un “core” che l’azienda conosceva bene, cioè le piccozze e i ramponi, e poi allargando gli orizzonti portando la distribuzione in tutto il mondo (oggi diremmo “globalizzando”). È stato fondamentale per tutto quello che è venuto dopo.
Oggi la Grivel è una S.r.l. con un fatturato che inizia ad essere importante e in una intervista l’hai definita una multinazionale tascabile. Multinazionale perché ha la partecipazione di società o di capitali stranieri?
Multinazionale perché vende in tutto il mondo, considera che il 90% del nostro fatturato è export in una cinquantina di paesi. Oggi non ha partecipazioni straniere ma questa potrebbe essere una grande opportunità, se abbinata ad un grande progetto di sviluppo.
Oggi molti gruppi per poter resistere o consolidare la propria posizione sul mercato fanno fusioni o acquisizioni. Il co-branding con Moncler è una rotta di avvicinamento?
Non definirei il progetto con Moncler una rotta di avvicinamento, siamo su scale e mercati molto diversi. È però un grande progetto che ci ha consentito di uscire fuori dai nostri orizzonti tradizionali e di parlare ad un pubblico più ampio, in parte anche diverso, ed è stato un vero onore essere scelti da loro per questa linea di prodotti co-branded. Un premio, in un certo senso, al nostro posizionamento premium! All’inizio, quando ci hanno contattati, pensavo fosse uno scherzo… invece è diventato realtà e dura da due anni.
Oggi i manager delle aziende passano dal dirigere società che si occupano di elettronica al gestire aziende che operano magari nel tessile. Personalmente trovo che ci sia un appiattimento verso il basso nelle competenze specifiche di settore. Tu come vedi questa osmosi fra campi di lavoro completamente diversi?
Io credo che il problema vada separato. Sono molto favorevole alle contaminazioni, cioè a portare competenze da altri settori, che sono tipicamente più “evoluti” (managerialmente parlando) del nostro. È come aprire la finestra per cambiare l’aria! È molto importante guardare fuori con apertura e voglia di imparare. Ma allo stesso tempo esistono competenze specifiche di settore che vanno studiate, coltivate, “sudate” anche. Queste non vanno trascurate.
Come nasce un nuovo prodotto Grivel?
Non c’è un processo standard sempre uguale. Le strade possono essere molto diverse. Sicuramente il prodotto nasce sempre da un’idea, ma questa può essere nostra, di un atleta, di un fornitore, di un esterno che ce la propone, e da questo stimolo si parte a ragionare e a sviluppare. In ogni caso però è opportuno dire che, anche se l’idea originale arriva da qualcuno, il prodotto che poi ne deriva è sempre figlio del lavoro di squadra, e quindi in un certo senso figlio di tutti quelli che ci hanno lavorato.
Come denominatore comune, ogni prodotto nasce dalla voglia di fare bene, di fare meglio e di portare avanti una tradizione che vive da oltre 200 anni.
Transizione ecologica: Grivel come si pone rispetto a questo argomento così “à la page”? In questi anni cosa ritieni sia stato fatto e cosa ci possa essere ancora di fattibile in un realistico programma?
Noi siamo attenti a questo tema da tanti anni, ad esempio già nel 2004 avevamo ottenuto la certificazione ISO 14000 e nel 2010 ci siamo dotati di un grande impianto fotovoltaico sul tetto dell’azienda (a quel tempo il più grande della Valle d’Aosta). Si tratta di un argomento in cui si possono anche fare tante piccole cose, che sommate danno un grande risultato. Ad esempio lavorare sui materiali, sulle fonti di approvvigionamento, sul packaging… ed è un lavoro che non ha mai fine, ci si può sempre migliorare anche stando al passo con le tecnologie e le innovazioni.
Relativamente alle politiche di marketing come vedi l’approccio al mercato attraverso l’e-commerce?
L’e-commerce oggi è una realtà in tutti i settori, compreso il nostro. Non è sicuramente la soluzione a tutti i problemi ma è una grande opportunità per tutti, perché può mettere in contatto diretto l’azienda con i consumatori finali e questo ha un grande valore per entrambi. Il peso dell’e-commerce, sia per le aziende direttamente sia per i retailer che operano anche online, è destinato a crescere ed è inutile secondo me avere visioni “rétro”.
I negozi tradizionali stanno vivendo un periodo non facile: non pensi che in qualche misura si possano sentire traditi dalle aziende che operano direttamente sul consumatore finale?
No, perché tutto dipende da come si gestisce: se l’azienda opera direttamente online con i prezzi di mercato non sta tradendo nessuno, e nessuno si deve sentire tradito. Anzi è un modo per far conoscere e girare di più i suoi prodotti e di questo possono beneficiare anche i negozi tradizionali.
Non è corretto invece, a mio modo di vedere, vendere direttamente online con prezzi bassi, inferiori a quelli suggeriti al pubblico. In questo caso si danneggia solo il mercato e questo sì che è un tradimento.
I modelli di business mediamente cambiano ogni cinque anni. Come vedi la distribuzione e la comunicazione da qui a fine decennio?
Difficile dare risposta completa, senza la sfera di cristallo!
A livello di distribuzione credo che si moltiplicheranno le soluzioni e i canali, dall’online ai negozi monomarca, a nuove alleanze. Le figure sicuramente più a rischio sono i distributori tradizionali, che vengono un po’ schiacciati da queste nuove tendenze e dal fatto che far girare le informazioni e le merci diventa sempre più facile, veloce ed economico nel mondo di oggi.
A livello di comunicazione credo invece che ci si stia spostando verso la creazione di contenuti (es. articoli, video) direttamente da parte delle aziende e che la pubblicità tradizionale sia ormai in via di estinzione. Noi seguiamo questa strada, diciamo stile Red Bull, dal 2019, e la abbiamo intensificata durante il Covid e oltre. Raccontiamo i nostri prodotti ma anche le esperienze che con questi prodotti si possono vivere, storie autentiche di persone, di viaggi, di avventure, di scoperte.
Dato il tuo ruolo hai conosciuto moltissimi personaggi legati all’alpinismo. Senza fare torto a nessuno, chi è quello che ti ha maggiormente colpito o incuriosito?
Tantissimi personaggi mi hanno colpito e continuano a farlo, ognuno a modo suo.
Ti parlerei sicuramente di Yasushi Yamanoi, su cui abbiamo realizzato un film l’autunno scorso. È un personaggio magari poco conosciuto in Occidente ma, se guardi quello che ha fatto, rimani senza parole. Mi hanno colpito soprattutto la sua semplicità e la sua purezza. Poi Christophe Profit, perché è un grande visionario che continua a rinnovare se stesso e, pur essendo uomo di azione, è anche un fine pensatore.
Cosa ne pensi dell’attuale esplosione del nutrito gruppetto di alpinisti valdostani (creatività, iniziativa e capacità realizzativa) da qualche anno all’attenzione delle cronache? Soprattutto in relazione a un passato decisamente diverso.
Questi li conosco bene, sono quasi tutti nostri atleti! Sono molto bravi e stanno facendo grandi cose, sicuramente. Sono capaci di ideare progetti nuovi sulle montagne di casa, e questo dimostra una grande visione ed è molto utile al nostro mondo. Allo stesso tempo si mettono in gioco su altre montagne in giro per il mondo.
Io li spingo sempre a non fermarsi all’aspetto tecnico e a lavorare anche sul pensiero: l’alpinismo non è solo uno sport ma anche un modo di conoscere se stessi ed il mondo, mettendosi in relazione con esso. Devono lavorare anche su questo aspetto per lasciare davvero il segno, e lo possono fare!
In conseguenza alla sponsorizzazione vedo che certi personaggi spingono sull’acceleratore per garantirsi quella visibilità che serve loro per poter vivere di questa attività. Chiaramente il delta del rischio potrebbe allargarsi a dismisura. Grivel come si pone in questa realtà?
Il rischio, o meglio il livello di rischio che si è disposti a correre, è una scelta molto personale in cui è difficile intromettersi.
Più che il rischio a noi piace valutare cosa c’è dietro un certo progetto, una certa idea. Cosa si cerca? Perché? E perché abbia senso, la risposta non deve essere “5 minuti di gloria o qualche like sui social”. Cerchiamo atleti e progetti che abbiano idee e anche “profondità”, nei limiti del possibile.
Il parterre dei vostri attuali Ambassador è piuttosto nutrito. Da ultimo è entrato a farne parte Nirmal Purja. Con un alpinista del genere immagino che il piano collaborativo si sviluppi su molti fronti. Che tipo è?
Nims è un vulcano di idee e un gran motivatore, soprattutto. Può piacere o meno ma nel nostro mondo è davvero un “game changer” e infatti ha una visibilità che nessun altro ha, a livello globale, ben oltre i nostri confini tradizionali. Ma allo stesso tempo per gli amici è una persona vera, franca e leale. Lo sento spesso e cerchiamo di portare avanti tanti progetti.
Molte società per fare team building spesso ricorrono all’arrampicata. A te cosa dà l’andare per monti?
Io vado in montagna perché mi piace, innanzitutto, e poi perché credo che sia importante in un lavoro come il mio avere un rapporto diretto con i nostri prodotti e con le attività per le quali sono pensati. Per questo motivo faccio un po’ di tutto (anche se sono scarso): roccia, ghiaccio, alpinismo, scialpinismo…
Andare in montagna mi consente di uscire dalla comfort zone e di mettermi in gioco, sia dal punto di vista tecnico sia fisico, e di conoscermi meglio in tutte le situazioni. Mi fa crescere come persona, sicuramente.
Qual è la salita che ti ha più segnato e perché?
Forse l’Innominata al Monte Bianco, nel 2018. Volevo arrivare in cima al Bianco ma volevo farlo per una via non banale, ed eccomi servito. Ero con François Cazzanelli, che è sicuramente un fenomeno sia come alpinista sia come guida, ma per me è anche un grande amico. Abbiamo dormito al rifugio Monzino e siamo partiti a mezzanotte e mezza. Avevo messo la sveglia alle 23.50, non mi era mai successo di metterla addirittura il giorno prima! È stata una lunghissima giornata, siamo arrivati in cima al Bianco e poi scesi all’Aiguille du Midi… ma che soddisfazione!
Se non sei un professionista la montagna è evasione e talvolta genera aneddoti divertenti. Ne avresti uno da raccontarci?
Quasi ogni uscita porta con sé degli aneddoti… non saprei davvero da dove cominciare, ma ne citerò uno.
A febbraio del 2019 François mi ha proposto di salire il Cervino in invernale, in giornata, per la Cresta del Leone. Lo avevamo già fatto d’estate, ma d’inverno è un’altra cosa. Partiti alle 4 da Cervinia, verso l’ora di pranzo eravamo sotto la Testa del Cervino a circa 4200 m e io non ce la facevo più. Allora François mi ha detto: “non ne hai più fisicamente, ma sei un Gobbi e hai la testa dura, usa quella e arriviamo in cima!” e così abbiamo fatto. Una giornata epica, davvero.
Hai recentemente prodotto La traccia di Toni-Toni Gobbi da cittadino a guida alpina, un documentario sulla vita di Toni Gobbi, tuo nonno, famoso alpinista e guida alpina degli anni ’50 e ’60. Come è nato questo progetto e cosa ti ha dato?
Mio nonno è morto prima che io nascessi, anzi per essere preciso è morto due settimane prima che i miei genitori si sposassero, non l’ho quindi mai conosciuto! Ricordo però la grande curiosità che ho sempre avuto su questo personaggio e allo stesso tempo l’impossibilità di parlare in famiglia, dove era argomento tabù perché la sua morte era stata totalmente inattesa e imprevista.
Ho voluto quindi lanciarmi in questa avventura, partendo dal materiale che già avevamo a disposizione ma soprattutto riconnettendo i puntini, cercando e intervistando le persone che lo hanno conosciuto e che ci hanno avuto a che fare. Ne è venuto fuori un grande viaggio nella vita e nella morte, e nelle radici del mio legame con il mondo della montagna nel quale oggi lavoro. Molto intenso e personale, ma allo stesso tempo universale. Ora mi sembra quasi di averlo conosciuto davvero e lo immagino mentre da lassù ci guarda contento e soddisfatto: la sua storia vive e portiamo avanti la sua traccia!
Per dettagli sulla storia di Toni Gobbi.
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@Cominetti, non era mia intenzione stilare classifiche, ma mostrare come, a mio avviso, Grivel fosse uno dei leader del settore.
se vuoi posso scriver con piacere le lodi di Camp-Cassin, altra realta’ italiane, che produce (non tutto, ma come tutte le altre) in italia, e li ha sede sociale. societa’ che ha da sempre proposto prodotti spartani ma efficaci, permettendo a chi di vaini ne ha un po’ meno di accedere comunque a roba (molto) tecnica…e che ha avuto la lungimiranza di commercializzare materiali di (ultra) nicchia ma validissimi come i Tricam o i Ball-Nut (a onore del vero distribuisce in europa quel che in america erano invenzioni/produzioni dei Lowe…ma bravi lo stesso !)
vogliamo parlare di DMM, o di AustriaAlpine ? o di altre ?
l’elenco di aziende locali, con lavoro locale e bei prodotti e’, per fortuna, lungo.
tessere le lodi di una in un articolo (e del suo attuale proprietario) non vuol dire denigrare le altre…
Ho conosciuto anch’io Oliviero in Val di Sea e conosco Elio da una vita, mi pare abbia intervistato un imprenditore del settore che trovo sia una persona equilibrata ed interessante. Affatto rampante e con un leadership consolidata da anni. Non ho letto nessun tentativo o intenzione di fare classifiche su chi sono i leader del mercato o qual’è il prodotto migliore. Ho invece appreso con piacere di una realtà sana ed italiana, con idee e voglia di fare e stare sul mercato di oggi e di domani, come lo è stato nel passato. Non credo che Francois Cazzanelli o Ezio Marlier, indiscussi protagonisti dell’alpinismo odierno (senza citare tutti gli altri) siano compagni-amici di Gobbi per questione di marketing, ma lo considerino un imprenditore moderno e un appassionato frequentatore di buon livello della montagna. Magari tutti gli imprenditori affidassero la loro vita a ciò che producono.
E dove vogliamo mettere Camp-Cassin?
Non mi interessano i fatturati ma la piccozza X-Dream mi sembra, e non solo a me, una delle migliori.
@Ratman, affermazione un pochino esagerata
dipende…da come definiamo un leader…
Grivel e’ leader come fatturato tra le aziende outdoor di montagna ? sicuramente no…
Grivel e’ leader tra le aziende di solo hardware ? certamente no, basti solo come esempio il colosso europeo Petzl, e quello mondiale BD
Grivel e’ leader come fatturato nel suo “core business” (picche, ramponi, viti) ? non lo so, e francamente mi interessa poco. di sicuro è una delle marche + importanti (BD, Petzl, Grivel…tutto il resto, seppur validissimo, è certamente meno diffuso).
a mio avviso, Grivel e’ sicuramente stata, e continua ad essere, leader nell’ideazione, sviluppo e produzione di picche, ramponi e viti. qualche esempio:
– la Light Machine è la madre di tutte le picche moderne. al tempo fu una rivoluzione, e sostanzialmente le picche + moderne si muovono tutte attorno alla stessa geometria. ergo aggiunto, curva + in testa o + pronunciata…sono miglioramenti incrementali rispetto al passo da gigante che rappresento passare dalle Quasar alle Machine…
– i Rambo Comp, o i successivi Rambo 3, rimangono, a mio parere, ancora il miglior rampone da ghiaccio/misto. forse sono io ad avere un debole per il rigido e le punte laterali belle lunghe (e divergenti), ma sono un gradino sopra i ramponi attuali di tutte le marche
– le 360 sono state per tanti anni la referenza per le cascate, sia come facilita’ di presa/avvitamento, che come possibilità di essere piazzate in posti irraggiungibili da altri. per goulotte/nord ho sempre preferito roba meno ingombrante/pesante (BD al tempo), ma su ghiacci lavorato restano il top.
– la collaborazione con “la fatina dalle mani d’oro” (Stefano Azzali) ha prodotto negli ultimi anni tanti bei giochini. io sono rimasto fermo alle sue Murcielago/Force/Master/etc. di artigianale produzione, ma a occhio le nuove picche che stanno tirando fuori mi sembrano bellissime. forse non rivoluzionarie, ma comunque da “leader” (in confronto Petzl son 20 anni che modifica appena le sue, ottime, Nomic…).
questa volontà di innovare, anche a prezzo di proporre alcuni prodotti che non hanno/avranno futuro (ma altri si!) è secondo me ciò che distingue un brand qualunque (magari enorme come fetta di mercato) da un leader (seppur di nicchia).
preciso, non ho alcun contatto con Grivel, e la sua comunicazione la trovo spesso un po’ “truzza” (seppur certi video prodotti siano eccellenti…quello di Blanchard è una chicca), possiedo, non gettando mai nulla, 6 paia di picche, Simond, Petzl, Grivel, BD…e altrettanti ramponi, Salewa, Petzl, Grivel…e scalo con quel che m’aggrada li per li.
ma bisogna dare a Cesare quel ch’e’ di Cesare
Last but not Least, Grivel rimane tra le poche aziende outdoor che produce in europa, anzi, nel paese dove e’ nata e dove ha la sede sociale. senza voler contraddire il suo proprietario spero, al contrario, che si “mondializzi” il meno possibile !
Panegirico esagerato, Grivel non è certo un marchio leader nel settore.
Invito tutti a leggere la storia di Toni Gobbi nel sito della Grivel.
È la storia di un grande uomo che ora non c’è piú.
Ammetto che più di Oliviero Gobbi, che mi appare come un normale rampante imprenditore di questi tempi, mi ha colpito Yasushi Yamanoi: trovo davvero straordinario il racconto dell’attacco dell’orsa e ritengo che il suo approccio alla paura lo porta un passo avanti a chi fa di tutto per eliminarla. Trovo sorprendente, anche, che il desiderio di scalare sia fiorito dalla visione della caduta della guida.
Peccato che la traduzione in italiano dell’intervista non sia stata curata.
Ho avuto la fortuna di conoscere Oliviero, un incontro durato una mezz’ora, una di quelle volte dove ascolti e impari qualcosa, dove vorresti aver più tempo a disposizione, una persona che ti lascia qualcosa. Ti