Intervista a Simone Moro dal Nanga Parbat

Simone Moro e David Göttler, coadiuvati da Emilio Previtali, dagli ultimi giorni di dicembre 2013 sono al campo base del Nanga Parbat, versante Rupal, per tentare la salita invernale al penultimo Ottomila ancora non salito nella stagione più rigida (l’ultimo sarebbe il K2). L’itinerario che hanno scelto è la via Schell. Anche un’altra squadra, i polacchi di Tomasz Mackiewicz, ha deciso per quel percorso, dunque per una collaborazione con Moro e Göttler. Stiamo seguendo giorno per giorno i progressi. Il primo vero tentativo di salita alla vetta è stato frustrato dai venti fortissimi. Tutti gli scalatori sono in questo momento al campo base in attesa di un nuovo periodo di bel tempo.

Via e-mail abbiamo raggiunto Simone che, avendo comunque finito il suo nuovo libro, ha più tempo da dedicarci nelle lunghe ore invernali di attesa al campo base. E gli abbiamo fatto cinque domande.

Simone Moro

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1. Con l’esperienza di tre Ottomila in prima ascensione invernale, quali sono le difficoltà che credi di dover affrontare per la conquista di un eventuale quarto?
Un Ottomila salito d’inverno è già il potenziale risultato di una vita, di una singola carriera. Averne saliti tre e sempre, rigorosamente in completa stagione invernale mi sembra ancora così incredibile… Tentarne un quarto non vuole essere un azzardo o una insaziabile voglia di successo. E’ solo il tentativo di esplorare la mia capacità di resistenza e la mia voglia di non sedermi sugli allori. A 46 anni voglio pensare al mio futuro di uomo e imprenditore attivo e non contare gli anni che mi mancano alla pensione. Io esisto per vivere non per guardare gli altri farlo.

2. Siete stati in azione circa cinquanta giorni, assieme a David ed Emilio: avrete già potuto capire molto bene cosa significa salire d’inverno sulla via Schell. Quale valore personale ha questa via per te?
E’ la via più lunga del pianeta sulla parete più grande del mondo alla montagna più gigantesca della terra. Già questo rende l’idea. Il Nanga Parbat è una montagna con sopra un’altra montagna. E’ un viaggio lunare, questa scalata.

3. Qual è il tuo feeling con la spedizione di polacchi che sta tentando il vostro stesso itinerario?
Massima amicizia e collaborazione. Fare le gare su un Ottomila e d’inverno significa morire. Io sono qua per vivere un’esperienza con David e con i polacchi… da due siamo diventati quattro che vogliono andare in vetta, mi sembra un bel numero e un bel team. Non c’è gara nell’esplorazione, le gare ci sono nello sport.

In salita per la via Schell al Nanga Parbat

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4. Cosa ti ha lasciato nel tuo modo di sentire la spiacevole avventura di un anno fa sull’Everest?
Nulla, ho la capacità di lasciarmi scivolare via velocemente le brutte esperienze. La vita è sole, non è buio. Il fatto spiacevole conferma che le mele marce ci sono ovunque, tra occidentali e sherpa, tra ricchi e poveri. A me è capitato di incontrare le persone sbagliate al momento sbagliato. Non è cambiato proprio nulla nell’amore e nel rispetto che ho per il Nepal e la sua gente, come allo stesso modo la consapevolezza che c’è stato e ci sarà sempre qualcuno che fa marketing su queste vicende e cerca di attaccare avversari virtuosi usando e manipolando vicende e comportamenti indifendibili.

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In salita per la via Schell al Nanga Parbat

5. Su questa vicenda, tua e di Ueli Steck, è stato costruito il film High Tension (che tra l’altro verrà proiettato questa sera 19 febbraio per la prima volta in Italia (Milano, cinema Orfeo). Tu cosa ne pensi?
All’inizio non mi soddisfaceva molto ed ho fortemente chiesto ai produttori di non omettere fatti e dettagli che, mancanti, potevano manipolare la percezione finale dei fatti e dei comportamenti da parte dello spettatore. Mi dicono che qualcosa hanno cambiato, ma non sono ancora riuscito a vederlo. Il film, come la verità, non deve accalappiare consensi o disprezzi, non deve avere un taglio a favore o contro qualcuno o qualcosa. La verità è come un colpo d’ascia, netto completo e senza anima, che permette a chi legge o guarda di farsi la propria opinione. Mi sembra però così palese ed indifendibile la violenza che anche “l’imperfezione” di High tension lascerà in tutti gli spettatori, neutrali e non prevenuti, un opinione chiara. Questa  volta pochi singoli sherpa che hanno coinvolto poi altri loro colleghi, hanno proprio fatto una cazzata da tetto del mondo. Le immagini parlano da sole…

Da High tension. Vedi trailer qui.

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postato il 19 febbraio 2014

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Intervista a Simone Moro dal Nanga Parbat ultima modifica: 2014-02-19T07:21:12+01:00 da GognaBlog
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