Introduzione a Palestre delle Valli di Lanzo (GPM 037)
di Gian Piero Motti
(Palestre delle Valli di Lanzo, Sottosezione GEAT del CAI, 1974)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(1)
A seguito del volumetto Rocca Sbarua e Monte Tre Denti, proseguendo in un lavoro di studio e di illustrazione delle palestre torinesi, viene alla luce Palestre delle Valli di Lanzo già pubblicato sul Bollettino GEAT a puntate (in anni precedenti, NdR) ed ora raccolto in un unico volumetto, che per la praticità di consultazione incontrerà sicuramente più favore tra gli alpinisti.
Non voglio ora soffermarmi sull’utilità o sugli svantaggi che la pratica della palestra di roccia presenta, in quanto ho già chiarito esaurientemente il mio punto di vista nel primo volume dedicato alla Rocca Sbarua, cui rimando i lettori.
Vorrei solo sottolineare come la palestra assuma un’importanza sempre maggiore nell’alpinismo moderno, come terreno di sperimentazione e d’apprendimento di nuove tecniche e come campo d’attività aperto alla esplorazione e alla scoperta. Sono convinto ora più che mai che anche in palestra vi è modo di incontrare la grande avventura: certo non ripetendo infinite volte itinerari conosciuti, ma cercando nuovi terreni d’azione e lanciandosi alla scoperta di nuovi campi di attività. L’esempio dei francesi, che intelligentemente sfruttano ogni modesta balza di roccia come palestra, è chiarificatore. I risultati lo dimostrano. Qualcuno potrà obiettare che la montagna piemontese non offre le grandi risorse delle Prealpi francesi e che la stessa roccia granitica, gneissica e serpentinosa non si presta all’arrampicata come quella calcarea. Potrei rispondere che è vero solo in parte: da tempo abbiamo cominciato un’opera sistematica di esplorazione delle nostre valli ed abbiamo scoperto campi d’attività veramente notevoli. In quanto alla roccia, è solo questione di tempo, di chiodi adatti e di volontà per tornare più volte in parete per aprire una via. Ma le soddisfazioni sono grandi. Proprio nelle Valli di Lanzo, accanto alle palestre conosciute del Plu e della Corbassera, si vanno ad affiancare il Bec di Mea, sempre più frequentato e altre della Val Grande. Per ora in numerosi posti si è cercato di aprire l’itinerario più logico e più naturale, ma ancora molto resta da fare. Le grandi muraglie di gneiss che dominano la parete sinistra della prima parte del Vallone di Sea, attendono ancora qualcuno che vi apra un itinerario. Nella Bastionata Grigia in Val Grande e alla Torre Marina si è aperta una via, ma molto resta ancora da fare.
Questo lavoro dunque, oltre ad essere un’ opera monografica, è un invito ai giovani e ai giovanissimi perché sappiano esprimere a loro volta qualcosa di nuovo e di diverso, continuando un discorso evolutivo che non può arrestarsi alla ripetizione di itinerari aperti da altri.
Il Bec di Roci Ruta disegnato da Gian Piero Motti
E’ di prammatica giungere ai ringraziamenti. Il mio va soprattutto a Gian Carlo Grassi, appassionato conoscitore delle Valli di Lanzo, instancabile ricercatore di nuovi terreni. Ancora vorrei ringraziare Ugo Manera, Alberto Re e tutti gli altri che in qualche modo mi hanno fornito indicazioni e notizie. Qualcosa di più di un ringraziamento alla GEAT e al suo presidente Cav. Eugenio Pocchiola, che con grande e tenace passione continua una tradizione, mai venendo meno ai criteri di attualità del moderno alpinismo.
A me resta il ricordo di chiare giornate primaverili e di dorati pomeriggi autunnali, in cui armato di obiettivi ho vagato a lungo nei valloni delle mie valli alla ricerca di inquadrature nuove e diverse. Ancora mi resta la soddisfazione di aver pensato e ideato un itinerario, di averlo immaginato e di vederlo poi concretizzato nella realtà.
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Rimanendo nell’ambito delle Valli di Lanzo (palestre e no) il concetto di “esplorazione” va considerato secondo una visione storica un po’ allargata senza fermarsi esclusivamente al “ventennio”. Prova ne è che nonostante la scomparsa della “generazione d’oro” l’esplorazione è continuata in alto come in basso, ben di più forse che nel periodo precedente. Se poi la vena esplorativa s’ammoscia a vedere il luccichio degli spit dalla strada (che pur fanno la gioia di tanti indegni neofiti), basta fare qualche passo più in alto e si aprirà un mondo senza chiodi (nemmeno quelli tradizionali), dove l’esplorazione è pur ben passata in “tempi moderni” e, per citare Gian Carlo (Grassi): “il proibito è moneta corrente…”
Premesso che GPM ha delle caratteristiche personali che lo contraddistinguono come un unicum umano prima ancora che alpinistico, certo che quelle generazioni di alpinisti (fra i ’60 e tutti gli ’80) hanno goduto di un contesto particolarmente fortunato.
Cioè c’era tanto terreno inesplorato e loro hanno avuto il grande merito di esplorarlo. Valli di Lanzo, Val dell’Orco…ma altrove si pensi alla Val Masino, al Mezzogiorno di Pietra….etc etc etc….
Oggi che gia’ dall’auto vedi tutto intorno luccicare sconfinate file di spit anche su paretine di 10 metri…bhe…la vena esplorativa s’ammoscia subito…
Ogni tanto qualcuno vede ben oltre tutti gli altri.
Mi scuso ma mi viene spontanea. Poi magari Alessandro la cancella.
Se a Creta c’è tanta neve, potremmo consigliare ai Signori impiantisti della Doganaccia e compagnia cantante, di farlo laggiù il nuovo collegamento. Visto che in zona appennino tosco-emiliano c’è solo tanta erba secca.
Mi associo in pieno al commento di Marcello C!
Prima che tutti vedano quello che poi diventa ovvio, serve sempre qualcuno che prima di tutti, abbia la visione illuminante che va ben oltre il già visto. Proprio ieri sera ero al telefono con uno di quei ragazzi, Alberto Re, a parlare di scialpinismo a Creta, visto che sulle Alpi la neve scarseggia e lá invece abbonda. Alberto ha superato gli ottanta ma il suo entusiasmo resta ancora contagioso. Per non parlare della sua energia fisica! A questi ragazzi che tanti anni fa hanno saputo guardare oltre dobbiamo solo dire grazie.