«Il Sito d’Interesse Comunitario “Stagno e ginepreto di Platamona” è situato nella Sardegna nord-occidentale, nella regione nota come “Anglona”, e si sviluppa parallelamente alla fascia costiera del Golfo dell’Asinara, estendendosi sia a terra che a mare. Nei 1.613 ettari di superficie del sito, in cui ricade l’Oasi permanente di protezione faunistica (Legge Regionale del 31 gennaio 1996), sono presenti, oltre al sistema di dune ricoperte da vegetazione spontanea, un ginepreto misto a un rimboschimento di origine antropica, un sistema di scogliere, lo stagno e la spiaggia di Platamona. La particolare conformazione del territorio ha favorito lo sviluppo di un cordone sabbioso, portando quindi ad una parziale separazione tra l’ambiente umido ed il mare. Tale divisione, nonché l’apporto di acqua dolce dal rio Buddi Buddi, garantiscono il mantenimento di una lieve salinità della zona umida, che con la presenza lungo il perimetro dello stagno di vegetazione igrofila a canneto e giuncheto, rende tale ambiente ideale per la nidificazione di numerose specie ornitiche. Il degrado del sito dovuto all’eccessivo turismo estivo, al calpestio e all’apertura di varchi nel fronte dunale, dove l’incessante azione del vento avvia processi di rapida erosione, sono le principali fonti di minaccia alla sua conservazione. Gli aspetti di maggiore rilevanza per la conservazione dell’area sono legati al regime idraulico dello stagno, alla salvaguardia della qualità delle sue acque e alla razionalizzazione della fruizione turistica in termini di sostenibilità ambientale (da Piano di Gestione del SIC)».
Invasivi interventi nel SIC di Platamona: chi li ha autorizzati?
di Fabio Valentini
(pubblicato su Mountainwilderness.it il 19 gennaio 2021)
La notizia sta nel fatto che nei giorni scorsi è stata constatata la presenza di lavori di taglio boschivo all’interno della pineta di Platamona. Nessun cartello che indicasse tipologia dell’intervento, autorizzazioni e responsabili del cantiere; solo lavori di disboscamento chiaramente recenti e ancora in corso, con il taglio degli alberi eseguito mediante il passaggio di mezzi cingolati e conseguente grave danneggiamento dell’habitat. Con il passaggio dei mezzi meccanici sono state aperte nuove strade di penetrazione solcando profondamente il suolo sabbioso delle dune, con alterazione della preesistente stradina sterrata e distruzione delle specie del sottobosco durante il passaggio incontrollato dei mezzi.
Al coro delle proteste degli amanti della natura si è perciò unita anche Mountain Wilderness, che ha inviato un esposto alle autorità competenti per richiedere i dovuti accertamenti. In realtà si è appurato che esisteva un’autorizzazione ai lavori, che però sono andati ben al di là del consentito: secondo quanto riportato dagli organi di informazione, rispetto a quanto previsto nel progetto autorizzato sarebbero state abbattute piante per un equivalente in peso quasi doppio, su una superficie di circa venti ettari. La Forestale ha accertato le irregolarità e posto i sigilli al cantiere ma ormai il danno è fatto, speriamo le segnalazioni siano comunque servite per evitare ulteriori danneggiamenti. L’apertura e manutenzione di un bosco è una pratica delicata che necessita di accurate valutazioni, un eccessivo diradamento delle piante porta alla modifica del suo microclima e delle comunità vegetali presenti; l’attenzione deve essere a maggior ragione accurata per quelle aree destinate alla salvaguardia e non alla gestione industriale di una pineta. Se poi ci si muove come un elefante dentro una cristalleria, ecco che il “fragile equilibrio ecologico” è destinato al deterioramento.
La Rete Natura 2000, della quale fa parte il Sito d’Interesse Comunitario (SIC ITB010003) di Platamona, rappresenta un obiettivo strategico dell’Unione Europea per salvaguardare e tutelare la biodiversità in tutti i suoi stati membri; in Sardegna si contano 93 SIC e 37 Zone di Protezione Speciale (ZPS), per un totale di 574.836 ettari, oltre il 20% della superficie totale regionale.
Nel suo Programma Operativo Regionale 2014-2020 la Regione dedica 398 pagine a un progetto di “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e al raggiungimento della coesione economica, sociale e territoriale”; alla voce ambientale riporta testualmente: «A fronte di un patrimonio naturalistico e paesaggistico di pregio, non solo in ambito costiero, il relativo percorso di valorizzazione è appena agli inizi». Speriamo in meglio dal 2021 in poi.
Le reazioni
a cura della Redazione
«Sembrava di essere in un girone dantesco: alberi accatastati, dune devastate, i segni di una deforestazione selvaggia con gli alberi tagliati ad altezze diverse, in alcuni casi sembrava avessero usato l’accetta»: Mauro Gargiulo, coordinatore regionale di Italia Nostra, racconta così l’ispezione effettuata assieme alla presidente del WWF Sassari Wanda Casula nella pineta dello stagno di Platamona, dopo che diversi cittadini avevano segnalato che stava succedendo qualcosa di grave. Una visione che ha fatto immediatamente scattare un esposto presentato alle autorità preposte, concretizzato poi nell’intervento del Corpo forestale con il conseguente sequestro di venti ettari di terreno nei quali i programmati interventi di miglioramento si erano trasformati in una deforestazione selvaggia.
Gli interventi, secondo il sindaco di Sorso (territorio nel quale ricade l’area), Fabrizio Demelas, avevano regolarmente compiuto l’iter delle autorizzazioni preventive: «Si tratta di un intervento privato nel quale erano state programmate attività di diradamento e trasferimento di legna per alimentare un impianto a biomasse – spiega – Tutte le autorità erano state informate e la stessa Forestale aveva segnato, come da procedura, le piante che potevano essere abbattute».
Racconto fatto anche nel corso del consiglio comunale, su richiesta di un consigliere dell’opposizione, che riporta: «Da quello che ho visto l’intervento è andato ben oltre e come amministrazione comunale seguiremo tutta la vicenda, anche per tutelarci per eventuali danni ambientali. Per fortuna mi dicono che non si tratta di danni irreversibili. Chi doveva controllare? Toccava all’azienda, è come se io costruissi un’abitazione nel mio terreno e mettessi su il doppio della cubatura: il primo responsabile sarei io. Anche il Corpo Forestale non può mettere pattuglie ogni giorno, una volta che viene concessa un’autorizzazione si aspetta di accertare eventuali danni attraverso un successivo controllo. In questo caso, a farlo scattare è stata la segnalazione degli ambientalisti ma immagino che prima o poi ci sarebbe stato comunque e il fatto sarebbe venuto alla luce».
Assieme a Wanda Casula e ad Alessandro Ponzeletti, Presidente di Italia Nostra Sassari, Mauro Gargiulo ribadisce l’assurdità dell’episodio: «È avvenuto tutto a pochi metri dalla strada, allo scoperto, in maniera sfrontata – dice – Come a Capo Caccia, si è agito con arroganza mischiata a ignoranza, siamo allo sfregio predeterminato. Adesso il danno è fatto ma per fortuna in parte si può rimediare, per esempio ricomponendo le dune. Resta il fatto che si tratta comunque di un sito bellissimo ma trascurato dalle amministrazioni comunali, si fa poca manutenzione e la gestione delle zone verdi percorribili resta rivedibile».
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@Albert, permetti, ma non capisco cosa c’entrino le tue frasi.Il bosco in Italia è tutto gestito; anche il lasciare a libera evoluzione per ragioni naturalistiche o non convenienza economica s.l. a utilizzare è una forma di gestione.E nella selvicoltura naturalistica il rilascio in bosco di tronchi secchi, ramaglie e delle sspp compagne (sporadiche) che si inseriscono nella cenosi principale (es: i ciliegi o i roveri in un ceduo di castagno da paleria) è un presupposto fondamentale.Tra l’altro, la “guardia forestale” tanto spesso citata (…) vuol dire tutto e niente: nelle regioni/provincie autonome c’è una autorità locale di tecnici e “guardie”.Molte regioni a statuto ordinario hanno da una vita organi tecnici regionali e gli EX funzionari e guardie del fu Corpo Forestale, ora Carabinieri Forestali, hanno il solo compito di vigilanza. Il discorso è complesso e ampio.Fatto sta che per un taglio boschivo vanno presentate domande/progetti di taglio al seguito della cui approvazione le Ditte procedono con gli interventi.Poi il cantiere dovrebbe essere visionato e nel caso non siano state seguite le prescrizioni, dovrebbero scattare sanzioni ecc.Ma questo, a seguito della chiusura delle stazioni locali del CFS non sempre accade per carenza di personale/tempo/professionalità. Ma anche perché nella maggioranza dei casi (che io sappia) non vi è necessità di controlli in quanto non vi è più la convenienza economica di fare tagli di rapina. E ripeto, quello che appare da un pdv estetico, spesso è almeno decentemente corretto da un pdv tecnico.Mi permetto di citare anch’io: Hansjorg kuster “Storia dei boschi”:Una esposizione germanocentrica, ma che aiuta a capire molte cose.
Drugo, è giustissimo quello che dici. E, agli occhi di chi non è esperto, spesso un intervento che appare invasivo o distruttivo non lo è. Ma ammetterai che altrettanto spesso si è assistito ad errori e leggerezze, magari (non sempre), partendo da ottime intenzioni.
Purtroppo, ammetto, conosco poco questo caso specifico. Qualcuno può dirci qualcosa di più?
Pulire o non pulire un bosco dai rami secchi? In un bosco tenuto al naturale no, anche tronchi e rami morti, foglie , ceppaie decomponendosi servono alla biologia dell’ecosistema .
Se il bosco e’coltivato allora si puo’, con supervisione e controllo di Guardia Forestale.
Mancuso:”La vita segreta delle piante”
Powers:”Il sussurro delmondo”
Cara Mattea, sai benissimo cosa intendo…E sai bene che “trovo pesante” il sentir considerare i boschi e l’albero come fossero delle entità intoccabili. Soprattutto quando non si considera che dalle Madonie alla Ahrntal tutti i boschi sono utilizzati da migliaia di anni.E la “santità” delle cenosi boscate la vedo solamente dove esistano lembi relitti di foresta primaria come a Montes sopra Orgosolo. Non certo per 4 pini domestici di origine artificiale come nelle foto dell’articolo.Graziaddio oggidì abbiamo una superficie boscata estremamente più estesa di un secolo fa. Credo sia più utile prestare attenzione a tanti ambiti che spesso si sono conservati solo grazie all’intervento dell’uomo. Per esempio i “prati chiusi”, un tempo utilizzati a sfalcio e ricchissimi di orchidacee, ormai spesso diventati un rovaio una volta cessato il “valore” del fieno. E questa si che è una perdita! Non, ripeto, 4 pinazzi piantati qlc decina di anni fa.Perdonami le ripetizioni, ma temo che spesso ci “indinniamo” perché per “poca competenza” ci si limiti a osservare gli interventi da un mero pdv estetico; e indubbiamente una “tagliata” fresca non è gradevole. Ma diamo il tempo al sito di evolvere e se il taglio è fatto correttamente, lì il bosco resterà sempre! Probabilmente anche da un pdv botanico, forestale e ambientale. Che se in pineta entra luce possono farvi ingresso sspp più consone, ovvero sspp arbustive e arboree mediterranee.Va bon. Ghe ‘a mòeo. Ciao caianazzo 🙂
a proposito di Massaciuccoli che ha citato Drugro, nel parco lungo la costa tra Viareggio e Marina di Vecchiano si stanno facendo radicali lavori di pulizia della pineta togliendo tutte le piante morte, ce ne sono tantissime che secche cadono e reimpianti. Premesso che io non sono un esperto, ma gli occhi ce l’ho e vedo un rivoluzionamento non proprio delicato del terremo a causa dei lavori portati avanti con trattori e macchine operatrici varie.
Sarà un lavoro fatto bene…??
Di certo quella pineta, un tempo bellissima, adesso è malata e sta morendo.
C’è anche da dire che disseminata quà e là c’è una sporcizia che è una vergogna.
Ma cara Drughetta, io non affiderei mai a un ingegnere la responsabilità di decisioni su cosa sia giusto fare…di solito hanno una decisa tendenza a perfezionare i particolari tecnici, trascurando tutto il resto!
Ma di solito nemmeno sindaci ed amministratori decidono prima…
Ps: Matteo, no sta dir monàe 3:)Che il grosso degli interventi “discutibili” li fanno soprattutto i tuoi colleghi ing-eniali lungo tutti i corsi d’acqua.
Non conosco il posto, non conosco le prerogative di quel SIC ecc.Quindi non entro in merito, ma mi permetto una considerazione di carattere generico. Chiunque sappia quattro acche di interventi in ambito boschivo sa che nel 2021 gli operatori non entrano in bosco montando asini e tagliando con ascia e segone. Ma entrano a cavallo di mezzi meccanici, ovvero trattori con carro e gru, trattori con verricello e se l’orografia lo consente e la ditta è strutturata, con escavatori forestali dotati di processore (un trabiccolo che “afferra” il soggetto arboreo, lo taglia, lo srama e lo depezza ). Dalle foto (ribadisco, dalle foto!) si vede solamente un taglio in una pineta coetanea di pino domestico, habitat 2270 a voler fare i precisini. Habitat peraltro considerato tale in quanto ormai facente parte del paesaggio mediterraneo, ma al contempo totalmente artificiale. Pinus pinea è stato diffuso sulle nostre coste già dai romani. Ma è un elemento alloctono che nell’ambito del suo indigenato non origina formazioni pure. Fa parte del paesaggio delle coste italiane ed è giusto mantenerlo (anche se per alcuni botanici è un habitat quanto meno opinabile). Ma come tutte le formazioni artificiali va governato con opportuni trattamenti. Pertanto in “quelle foto” io non vedo niente di aberrante. Se il piano di gestione del SIC prevedeva un diradamento della pineta, dalle foto si evince solamente quello che è stato fatto: taglio ed accatastamento dei soggetti tagliati in attesa dell’esbosco dalle piazzole di deposito temporaneo.I trattori o gli escavatori ovviamente provocano costipamento e solchi nel suolo. E’ un effetto negativo che in base alla capacità degli operatori, al dimensionamento dei mezzi e alla cura nel definire delle linee di intervento da parte della Direzione Lavori, può essere più o meno cospicuo ed evidente. Ma comunque è un effetto temporaneo: i cicli in foresta non sono brevi e ovviamente per alcuni anni si vedranno i solchi e uno strato erbaceo arbustivo impoverito. Ma se torniamo dieci anni dopo una utilizzazione, sfido chi non abbia un po’ di “occhio” a notarne le tracce.Se parliamo di interventi di qualsivoglia natura in altri ambiti, per esempio di duna litoranea consolidata (habitat 2130) o dune a ginepro (2250) che in foto non appaiono, è certamente prioritaria per il loro mantenimento una corretta gestione del cantiere che preveda precise linee di ingresso e uscita dei mezzi, senza fare “gincane” su una vegetazione muscinale ed erbacea di pregio. Ovvero, se per tagliare delle spp invasive creo carreggiamenti diffusi che riportino la sabbia in superficie ringiovanendo (ovvero in questo caso impoverendo!) la cenosi, per dirla con un francesismo, xe pèzo el tacòn del buso. Ma è un altro discorso. Spesso molti ambientalisti restano sbigottiti di fronte a qls cambiamento dell’aspetto estetico di un ambiente. Dimenticano che molti ambienti sono manutentati, utilizzati, sfruttati dall’uomo da migliaia di anni. E spesso mantengono un habitus proprio per l’utilizzo umano. E spesso anche di fronte a costosi interventi di rinaturalizzazione di certi habitat, arrivano critiche e lettere sui giornali perchè “hanno tagliato gli alberi!!!”… Mio dio! il soggetto arbore4o non è un totem. E’ un organismo che cresce con tempi più o meno lunghi. E spesso chi critica non sa distinguere un pino dall’altro se non addirittura considerare “pini” qualsiasi conifera. I discorsi si amplierebbero a dismisura e la pianto. Ma mi permetto di ripetere che un taglio in una pineta di pino domestico coem appare in quelle foto non rappresenta niente di che. E che i tanto vituperati tagli di abeti rossi “secolari!” (…siamo spiacenti, ma il péz non arriva a maturità in 15, 20 anni come un pioppo) a Plan de Corones, da un pdv forestale erano dei normalissimi tagli. E se possono essere attuati con un harvester forestale anzichè da 50 boscaioli col segòn forse è segno dei tempi. Non sto discutendo se fosse o meno giusto allargare quella pista. Ma nel momento in cui è stato approvato l’intervento, lì o in Sardegna o a Massaciuccoli, si opera nel modo economicamente migliore in rapporto alle peculiarità del sito. E sotto una pineta o una pecceta coetanee, sotto alle quali finché non siano state diradate, spesso vi è solamente lettiera indecomposta, quattro “carrate” (che peraltro rimescolano lo strato superficiale di suolo infeltrito) non fanno male a nessuno. Ma anzi.
CORRUZIONE E MAFIE. QUALE LEGALITA’ E DIFESA AMBIENTALE?
Se in questo paese non prosperassero corruzione e mafie le cose sarebbero semplici: chi autorizza degli interventi dovrebbe controllare o indicare chi è responsabile del controllo e chi non controlla bene e tempestivamente dovrebbe andare dritto in prigione.
Ma i potenti possono comprare o intimidire sia gli autorizzatori che i controllori, tanto più facilmente se coincidono e se “appartengono” al giro.
Nel caso di un danno ambientale il controllo diretto degli ambientalisti può essere efficace, ma inevitabilmente tardivo, come in questo caso.
Ma i potenti mandanti non vanno mai in prigione, perchè li protegge un vasto fronte “garantista” sia nell’informazione che nella politica.
Negli ultimi anni sono nati giornali con lo scopo esplicito di creare e sostenere campagne “garantiste”.
Nei parlamenti italiani le mafie trasversali ci hanno regalato porcherie legislative inesistenti in altri paesi: prescrizione, indulti, condoni, leggi che intralciano sia i processi che l’esecuzione delle sentenze, pene alternative che consentono di continuare tranquillamente a delinquere, la chiusura dei due soli carceri efficienti (isole di Asinara e Pianosa), con il plauso degli ambientalisti scemi.
In un paese in cui Raffaele Cutolo ha potuto dal carcere fondare e dirigere per tutta la vita la sua Nuova Camorra Organizzata che speranze possono avere i siti ambientali “protetti” come Platamona?
Geri
Albert, in zone dolomitiche (e non solo) le porcate le fanno direttamente i comuni e la regione…
È una situazione simile ad alcuni “interventi migliorativi” che hanno interessato la pineta della foce del Po di Volano, in provincia di Ferrara. L’utilizzo di legname in zone dove non solo i pochi residui di foresta planiziale sono protetti, ma contribuiscono a limitare gli effetti delle mareggiate allo sbocco del fiume, è criminale non solo sul fronte ambientale, ma su quello della salvaguardia costiera. E sto parlando di una regione in cui più volte si è sottolineata la pericolosa antropizzazione degli ambienti umidi costieri.
Non c’è niente da fare. Sono le istituzioni le prime responsabili. Le stesse che scaricano barile ai consueti danni delle tempeste.
Fatto 60 milioni il numero di cittadini e residenti in Italia, occorrerebbero 20 milioni di controllori e 10 milioni di controllori dei controllori.
In zona di vacanze dolomitiche di tradizione di famiglia si vedono: Carabinieri stazione fissae posti di blocco ed altri c0mpiti , Guardia forestale secondo vecchia e ora nuova legge, Guardiacaccia, Guardia forestale comunale e pure Guardie di Parco regionale e guardia Pesca… Boscaioli e Ispettori pure di Comunita’ ( o Regole risalenti a secoli fa), Soccorso alpino.Non sfugge un ago..o quasi..ogni tanto i bracconieri e tagliatori abusivi e motocrossisti la fanno franca,ma qualcuno che ha visto , o ha ascoltato racconti al bar, c’e’sempre ..e le soffiate o lettere anonime girano. Arrivano sia ai tragressori che alle autorita’. Si arriva pure ad azioni repressive clandestine “fai da te”che fanno piu’ danno al trasgressore del danno da egli causato. Chi le subisce capisce dove ha mancato spesso non controdenuncia, piglia -pesa -incarta e porta a casa .