Jean Afanassieff fumava le Gitanes blu
di Emilio Previtali (da http://emilioprevitali.blogspot.it/, 17 gennaio 2015)
Jean Afanassieff aveva un nome che sembrava finto. Leggerlo e ricordarlo esattamente quel nome, scriverlo correttamente, era già un impresa. Una avventura. Era più facile ricordarsi dei suoi capelli lunghissimi, castani, lisci.
Negli anni ’80 avere i capelli lunghi per essere un climber o un alpinista — un certo tipo di climber e di alpinista — era indispensabile o almeno così mi pareva. Io negli anni ’80 ho avuto tra i tredici e i ventitré anni, gli anni più belli della vita, quelli in cui diventi quello che poi sarai per sempre. Edlinger aveva i capelli lunghi. Berhault aveva i capelli lunghi. Reinhold Messner aveva i capelli lunghi e ce li avevano i britannici Doug Scott, Chris Bonington, Peter Boardman. Jean-Marc Boivin, il mio idolo assoluto, aveva i capelli lunghi. Tutti quelli cui avrei voluto somigliare avevano i capelli lunghi e un po’ in disordine. Allora anche io mi ero fatto crescere i capelli lunghi. Compatibilmente con mia madre, li tenevo abbastanza in disordine.
Jean Afanassieff però era diverso. Intanto aveva dei capelli lunghissimi, più lunghi di tutti gli altri, quasi da donna, curati e poi aveva quel nome che sembrava finto. Afanassieff. Sembrava che nello scriverlo ci fosse stato un refuso o un errore, nessuno sembrava ricordarlo davvero quel nome, ma io avevo imparato a riconoscerlo sulle riviste di alpinismo e a tenerlo a mente. Era così affascinante quel rincorrersi di consonanti e di vocali. A-fana-ssieff, in fondo non era difficile da memorizzare. Sapevo che quando mi imbattevo in quel nome ci sarebbe sempre stata sempre la certezza di venire a sapere qualcosa di straordinario, di innovativo, di rivoluzionario dal punto di vista alpinistico.
Jean Afanassieff si è fatto conoscere con una serie lunghissima di salite solitarie in velocità nel massiccio del Monte Bianco, salite che poi nel tempo, seguendo le sue tracce, sarei andato a vedere o a ripetere così come si va a visitare un tempio, un luogo in cui si sente la necessità di essere mettendosi al cospetto di qualcun altro, alla ricerca di se stessi. L’intero inverno del 1977 Afanassieff lo trascorse sciando a Bugaboos, in Canada (un altro luogo che in seguito sarei andato a conoscere) e nel 1978 fu il primo francese in vetta all’Everest, in autunno, insieme a Nicolas Jaeger e Kurt Diemberger. La sua fu la 72esima salita della montagna.
Nicolas Jaeger fu un’altro personaggio fondamentale nel mio diventare uomo. Alpinista e fisiologo contribuì in modo determinante a conoscere i meccanismi dell’adattamento dell’essere umano all’alta quota, trascorse sessanta giorni a 6768 metri in vetta all’Huascaran, tempo in cui scrisse un libro che si intitola Carnet de solitude, “Solitudine” nell’edizione italiana. Bellissimo. Giunto in vetta all’Everest Jaeger si accese e fumò una Gitane, una delle stesse sigarette che fumava anche Edlinger. Se mai avessi iniziato a fumare un giorno, avrei fumato delle Gitanes, ma non divaghiamo adesso.
Afassanieff: assieme alla prima salita francese dell’Everest compì nello stesso giorno anche la prima discesa di un 8000 con gli sci, partendo da quota 8300. Un exploit assoluto, non soltanto per l’epoca. Infischiandosene delle collezioni di 8000, Afassanieff tornò in seguito altre tre volte all’Everest, per il versante nord. Nel 1979 fu escluso dalla spedizione nazionale alla Magic Line del K2. Accadde per via di alcune dichiarazioni scomode dopo la spedizione nazionale dell’anno prima e per via del suo carattere piuttosto naïf, Afassanieff non mandava certo a dire quello che pensava. Restare escluso da una spedizione perché hai detto quello che pensi. Dire quello che pensi sempre, anche se non conviene. Anche se ti tagliano fuori. A me sembrava grandioso, anzi è grandioso, lo penso tuttora. Una cosa di cui andare orgogliosi, non è importante se nel frattempo ti perdi qualcosa.
In seguito Afassanieff sarebbe diventato un documentarista o, come si dice oggi, un filmmaker. Uno che si prende cura di raccogliere e di raccontare delle storie. “Certi mi considerano un alpinista, certi un regista, mi rendo conto di essere un personaggio complicato, difficile da inquadrare. Io sono stato alpinista e sciatore in una vita precedente e oggi, nella mia nuova vita, anche se ancora pratico l’arrampicata e lo sci per piacere personale, mi considero un autore. Il mio mestiere e la mia passione è quella di raccontare delle storie attraverso i miei film”.
Jean Afassanieff se n’è andato qualche giorno fa, a 61 anni per un male incurabile. Non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo di persona ma la sua storia, la sua vita, mi hanno sempre ispirato. Se penso a uno cui avrei voluto assomigliare, uno che mi ha fatto sognare, uno di cui vorrei ricalcare la traccia (parlo come alpinista e come sciatore ma anche come autore e come appassionato di storie da raccontare), penso a lui, a Jean Afanassieff. Buon viaggio, Maestro. Adieu.
Per più ampia documentazione su Jean Afanassieff vedi wikipedia (in francese).
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Le gitanes blu. Bellissimo racconto; “è soli, affamati [, con i capelli lunghi] e invisi al capo spedizione che si fa la storia” cit. Andrea Gobetti [Luca].
Nell’agosto del 1987 soggiornavo con gli amici al Rifugio Brentei. Una mattina, avvicinandoci alla Bocca di Brenta, lo incontrammo, Jean Afanassieff, senza sapere che fosse Jean Afanasieff, in compagnia di una ragazza. Ci chiese dov’era il Campanile Basso, che stava proprio dietro di lui, a pochi passi ma nascosto dalla nebbia. Gli rispondemmo con sufficienza e lo ammonimmo pure, ché non si va in giro così in montagna, senza manco sapere dove le montagne stanno! Scuotemmo la testa per diversi minuti, fin sulle Bocchette, là dove ancora prima dell’attacco della via Paulcke al Campanile Alto, cui miravamo, ci si riaffaccia al vallone del Brentei. Scorgemmo un alpinista che usciva dalla “Graffer”, al sole, sopra lo Spallone del Campanile Basso. Cazzo, era lo stesso tipo che avevamo poc’anzi biasimato!
Nel tardo pomeriggio, al rifugio, scoprimmo il suo nome e cognome. C’era fermento ed erano tutti lì ad ammirarlo, compreso il vecchio Detassis, mentre assieme alla sua compagna e a Ermanno Salvaterra, appositamente sopraggiunto, ripeteva in velocità una via di VII grado sugli spalti di fronte.
Noialtri tenemmo un profilo bassissimo per tutta la serata, affinché non ci riconoscesse.
Grazie Emilio per averci avvisato, per averlo ricordato.