Kashmir: polveriera d’alta quota
di Carlo Crovella
A grandi linee ci sono due tipologie di “veri” appassionati di montagna. Prima di tutto ci sono quelli che fanno dell’azione il principale (se non esclusivo) fulcro della loro passione: a questi va riservato un posto prioritario perché la loro impostazione, condita dal talento, li porta al top nelle discipline in cui si impegnano.
Poi ci sono quelli che hanno una frequentazione trasversale fra i diversi risvolti dei monti. Frequentazione trasversale non significa soltanto che arrampicano e fanno anche scialpinismo, oppure che vanno in MTB e, d’inverno, utilizzano le ciaspole. La trasversalità cui mi riferisco io è una caratteristica intellettuale, ideologica.
Sarà per il mio DNA o per l’impostazione famigliare in cui sono cresciuto o per la mancanza di un particolare talento tale da spingermi al top dei top, io appartengo alla seconda categoria. Per me la montagna non è semplicemente mettere una mano davanti all’altra sulla roccia oppure un piede davanti all’altro sui sentieri.
La montagna è la sorgente di una molteplicità di interessi, a volte tecnici (analisi di materiali ecc), a volte storico-ideologici (personaggi e vicende alpinistiche), a volte prettamente culturali. A volte addirittura interessi politici, etnici, enogastronomici. La montagna mi stimola a conoscere le sue genti, le sue storie e le sue problematiche.
Senza il fulcro ideologico della montagna probabilmente non mi sarei mai interessato, se non in superficie, alle vallate himalayane o, all’opposto, delle questioni patagoniche.
Non sono mai stato in Himalaya-Karakorum. Colpa mia. Quando avevo tempo e un budget tutto per me (cioè prima dell’assunzione di responsabilità professionali e famigliari), ho sempre preferito dedicarmi alle Alpi e all’Europa in generale.
Da buon “bougia-nen” torinese, mi dicevo che con tutte le meravigliose montagne che abbiamo a un tiro di schioppo (comprese quelle delle isole che mi permettevano di combinare anche le vacanze balneari), che bisogno c’era di farsi migliaia di km per patire la dissenteria?
Non c’è da stupirsi di fronte a questi ragionamenti. Mio padre, torinese doc ancor più di me, affermava pubblicamente: «Che bisogno c’è di andare al mare? Basta guardare il Po per lungo!». In effetti nel dopoguerra, d’estate funzionavano degli stabilimenti balneari sulle spiagge di ciottoli all’entrata nell’agglomerato cittadino, in particolare alla confluenza nel Po dell’affluente Sangone (lì è ambientata “Sangon blues” del chansonnier Gipo Farassino).
Grazie allo stimolo intellettuale che offre la montagna, anche i “bougia-nen” come me possono spaziare su tutto il globo terracqueo. Infatti leggere le note di cronaca alpinistica degli 8000 ti fa conoscere la geografia di regioni dove non hai mai messo piede. Conoscendole sotto il profilo orografico, è breve il passo per arrivare ad interessarsi delle loro vicende storiche, politiche, etniche.
Un punto caldo della grande catena himalayana è costituito dal Kashmir, regione al confine fra India, Pakistan e Cina. L’orografia si scontra con la composizione etnica e religiosa. Un pezzo del Kashmir, nella ripartizione post crollo dell’Impero Britannico, è confluito nel territorio indiano (“a ogni Paese i suoi fiumi” pare valere anche in Asia). Ma la popolazione del Kashmir è mussulmana, cioè simile ai cugini pakistani che al resto degli indiani: la regione ha quindi goduto di ampia autonomia, sancita dalla Costituzione.
Ora però il sovranismo indù, imperniato sull’Hindutva (una ideologia ultranazionalista postulata dal Partito Popolare Indiano, Bjp, al potere dal 2014) punta a “induizzare” progressivamente il Kashmir, togliendogli autonomia e ponendolo sotto il controllo diretto di Dehli.
Gli articoli allegati, seppur pubblicati qualche mese fa, sono lo spunto per chiarirci meglio le idee sul problema Kashmir, al di là degli eventuali sviluppi di cronaca nel day-by-day.
Inoltre il problema Kashmir può risultare utile anche per riflettere sul ruolo mondiale che occuperà l’India in un futuro non così lontano (orientativamente dal 2025) per il mix fra significativa crescita demografica ed ideologia nazionalista e, quindi, imperialista.
Un tempo aleggiava il “pericolo giallo”, riferito alla Cina. Oggi, con i dovuti aggiustamenti, i timori vanno convogliati verso l’India, che potrebbe risultare il prossimo fattore destabilizzante dell’equilibrio planetario.
Kahmir: l’India revoca l’autonomia
(Così si riaccende la polveriera)
di Raimondo Bultrini
(pubblicato su La Repubblica del 6 agosto 2019)
Dopo che nei giorni scorsi migliaia di turisti sono stati allontanati di fretta e ventimila soldati indiani spediti a raddoppiare la presenza armata nel Kashmir occupato, due ex ministri avevano profetizzato che stava per accadere qualcosa «di vasta portata e pericoloso» in questa regione già teatro di due guerre e conflitti continui.
Così è stato. Ieri mattina, mentre Srinagar era sotto coprifuoco e legge marziale per i timori di un «attacco terroristico», con scuole chiuse e residenti in fila per ritirare contanti e fare il pieno di benzina, il neo-ministro dell’Interno indiano Amith Shah – che è anche capo del partito religioso di maggioranza Bjp – ha annunciato davanti a un Parlamento in subbuglio l’abolizione di molti capitoli dello storico statuto speciale attribuito fin dal ’49 al Kashmir, l’unico Stato indiano a maggioranza musulmana, che comprende il Jammu (con forte presenza Hindu) e il Ladakh, regione buddhista e celebre destinazione turistica di alta montagna.
Gli articoli stracciati dal trattato originario precedente alla cessione dello Stato all’india da parte dell’ex re o Maharaja hindu Hari Singh, sono proprio quelli (noti come 370e 35A) che garantivano i musulmani kashmir e i pandit induisti originari di Jammu contro un’occupazione “economica” oltre che militare dell’India.
A essere colpiti saranno quanti vivevano nello Stato dal 14 maggio 1954, quando la legge entrò in vigore e quanti hanno vissuto nello Jammu e Kashmir nei successivi 10 anni acquisendo lo status di residenti permanenti.
«È il giorno più nero per la democrazia Indiana», ha detto la battagliera Meheboba Mufti Mufti, subito messa agli arresti insieme all’altro leader della regione Omar Abdullah.
L’esercito di Delhi pattuglia Srinagar e la Valle dalla firma della Costituzione che, secondo molte voci critiche anche sui social, è stata «calpestata» dal ministro dell’Interno e dal governo del premier Narendra Modi, anche perché la nuova legge renderà totalmente dipendenti, perfino amministrativamente, dalle decisioni di Delhi sia Srinagar che il resto della regione ai confini col Pakistan che occupa la parte nord del Kashmir oltre la Linea di Controllo stabilita con la partizione del ’47.
Se finora Jammu (con la capitale invernale) e Kashmir (sede di quella estiva a Srinagar) godevano di una relativa ma reale autonomia tranne che per gli affari della difesa, degli esteri e delle risorse idriche, è stato un altro annuncio del ministro Shah di ieri mattina ad anticipare un sostanziale, e a suo modo storico, cambio di rotta rispetto alle politiche autonomiste portate avanti dai governi laici del Congresso Nazionale (il suo fondatore Nehru era un pandit kashmiro).
Shah ha detto che il suo governo – che ha tutti i numeri dopo la vittoria elettorale di maggio (2019, NdR) – trasformerà lo Stato in un “Territorio dell’Unione” (ce ne sono 7 contro 29 Stati), rendendolo quindi parte del continente sotto il diretto controllo del governo centrale.
Non solo. I tre sottoterritori di Jammu, Kashmir e Ladakh saranno a loro volta divisi in tre distinte entità amministrative togliendo potere alle coalizioni che si erano formate negli anni per difendere gli interessi dell’intero territorio contro le mire dell’India.
Facile intuire la portata dei cambiamenti in una vera e propria polveriera qual è sempre stato il Kashmir, soprattutto da quando nel 1989 è iniziata una incessante e spesso sanguinosa rivolta contro quella che molti musulmani considerano “un’occupazione”, con la nascita di vari gruppi terroristi e indipendentisti spesso sostenuti dal Pakistan contro il quale Delhi ha combattuto due guerre proprio per il controllo di queste regioni.
Ma Srinagar e la Valle hanno assistito anche a ripetute manifestazioni di piazza e “intifade” coi sassi, rivolte spesso domate nel sangue con una conseguente radicalizzazione di giovani capi “mujaheddin” divenuti eroi popolari della resistenza.
Da questi fronti potrebbe venire il primo dei pericoli e una ritorsione imprevedibile all’annuncio della pesante sfida contro ogni velleità di reale autonomia lanciata dal partito di governo dell’India.
Ciò che avviene in Kashmir non è mai circoscritto alla Valle, ma ha un immediato e diretto riverbero in Pakistan e da qui nel resto del mondo e dei poteri che giocano in queste regioni (come in Afghanistan) un pericoloso poker geopolitico internazionale.
L’attuale premier pakistano Imran Khan ha cercato di avvertire dei pericoli lo stesso presidente americano Donald Trump durante i loro colloqui ufficiali a Washington.
Intanto in tutto lo Stato regna ancora il coprifuoco con il blocco di Internet e dei telefoni e continuano gli arresti, oltre che degli ex ministri anche di altri leader politici come Sajad Lone, presidente del partito separatista Conferenza popolare.
L’India si è già divisa con il Congresso che protesta e i sostenitori del governo che hanno esultato con toni enfatici: «Che giornata gloriosa», ha scritto Ram Madhav del BJP.
Kashmir in breve
1947
Il Regno Unito annuncia la partizione del sub continente indiano. Nascono l’India (a maggioranza induista) e il Pakistan (a maggioranza musulmana). L’India occupa due terzi della regione del Jammu e Kashmir, mentre i Pakistan annette la parte restante.
1971
Viene stabilita la linea di controllo che divide le zone del kashmir indiano da quello pakistano.
L’articolo 370
È l’articolo della Costituzione indiana che garantisce uno status speciale al Kashmir: alto grado di autonomia alla regione che può mantenere competenze su tutte le materie ad eccezione di difesa, politica estera e telecomunicazioni.
L’articolo 35A
È l’articolo della Costituzione che permette di definire i “residenti permanenti” nella porzione di Kashmir amministrata dall’India, garantendo loro benefici speciali relativi al mondo di lavoro e all’istruzione. Serve a proteggere il carattere demografico della zona, a maggioranza musulmana.
L’intervista all’esperto Satya Sivaraman, analista politico
(pubblicata su La Repubblica del 6 agosto 2019)
Satya Sivaraman è analista politico e consulente di Ong e fondazioni indiane. Gli chiediamo perché la revoca dell’autonomia al Kashrnir indiano è così importante.
Lei crede che ci saranno rivolte?
«La regione è super-controllata militarmente ed è facile prevedere una repressione dell’esercito, anche se le proteste prenderanno una piega più violenta che nel passato. Ma va considerato il fatto che molti kashmiri, una volta aperta la strada all’ingresso di capitali indiani, potrebbero trarne un vantaggio in termini di ripresa dell’economia e di posti di lavoro, anche se gli indipendentisti non lo accetteranno. Invece credo che ci saranno ripercussioni più gravi in molti altri Stati con analoghi statuti speciali ottenuti all’indomani dell’indipendenza».
Che tipo di ripercussioni?
«Il segnale lanciato dal governo è quello di un potere centrale che punta sistematicamente a riprendere il controllo del Continente bypassando la Carta dei diritti ovunque lo ritenga necessario. L’India è una federazione di Stati con larghe autonomie e Territori dell’Unione controllati dal centro, il tutto tenuto insieme dalla “santità” della Costituzione che garantisce gli accordi presi in passato tra centro e periferia. Se il Kashmir viene “declassato” da Stato autonomo a “Territorio” perde ogni diritto garantito dalla Costituzione e sarà di fatto governato da Delhi. Così potrebbe accadere d’ora anche altrove».
Ad esempio?
«Così come esiste per il Kashmir l’articolo 370, ci sono analoghi capitoli come il 371, il 372, eccetera, che garantiscono l’autonomia di molti Stati del Nord Est: Arunachal Pradesh, Assam, Manipur, Meghalaya, Mizoram, Nagaland, Sikkim e Tripura. Tutti godono di speciali diritti sanciti dalla Costituzione grazie a precisi trattati firmati nell’atto del passaggio dai principi e Maharaja al nuovo Stato indiano post-indipendenza. Ora messaggio lanciato dal governo è: nessuna promessa del passato è più sacra e inviolabile».
Vuol dire che finirà la fiducia nello Stato centrale e le province si ribelleranno, come potrebbe accadere in Kashmir?
«Difficile prevedere un effetto immediato nello stesso Kashmir. Ma di certo i partiti e le coalizioni regionali si stanno domandando ovunque: “Se non rispettano nemmeno la Costituzione, perché credere alla parola dei ministri di Delhi?”. Infatti la minaccia è chiara: come in Jammu e Kashmir, ogni Stato potrebbe essere portato al rango di Territorio dell’Unione e messo sotto controllo. Una mossa che potrebbe scavalcare perfino i poteri dei giudici costituzionali».
Il vero pericolo non è l’Islam, ma l’Hindutva
di Filippo Di Giacomo
(pubblicato su il Venerdì di Repubblica, rubrica Cronache Celesti, del 25 ottobre 2019)
Conflitto di civiltà? Se esiste non è dove tutti guardano, sulle coste del Mediterraneo.
Nel 2024 l’India diventerà il Paese più popoloso del mondo e spodesterà la Cina nella classifica dei giganti. A metà di quell’anno, conterà 1,439 miliardi di persone contro 1,437 della Cina. Con una media di 2,2 figli per donna raggiungerà 1,689 miliardi di abitanti nel 2060.
Ed è dentro questo futuro gigante che si annida un pericoloso cancro: l’incessante crescita di movimenti di estrema destra, fondati su un nazionalismo indù feroce verso le minoranze razziali e religiose, nonostante la Costituzione abbia abolito le caste e dichiari lo Stato un Paese laico.
Nei 2011, un accurato censimento rilevava che il 93 per cento della popolazione si considera membro effettivo di una religione: l’80,5% segue l’induismo, il 13,4% è islamica, il 2,3% cristiana, il sikhismo è abbracciato dall’1,9%, il buddhismo dallo 0,9%, il giainismo dallo 0,4%.
Poi ci sono le religioni “tribali” come la Santal, il Sana-mahismo, l’Adivasi e varie forme di animismo.
II Paese è ancora un santuario per fedeli altrove perseguitati come i Baha’i e i Mazdei. I cristiani sono 24 milioni, 19,9 cattolici e a loro si deve il 20 per cento delle opere sociali in favore dei senza casta e dei dalit.
Ma dal 2014, da quando cioè Narendra Damodardas Modi è primo ministro, l’India è sotto la sferza dell’Hindutva, un’ideologia ultranazionalista postulata dal Partito Popolare Indiano (Bjp) e dal Rashtriya Swayamsevak Sangh, un’associazione dì cinque milioni di iscritti che ha nel verbo dell’Hindutva la sua ideologia, per angariare musulmani e cristiani.
Che in India vengono perseguitati allo stesso modo, senza che nessuno obietti.
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Storia molto interessante ma estremamente complicata. Nel Kashmir già nell’Ottocento, ai tempi del Great Game, la situazione era difficile e con la creazione del Pakistan ha continuato a complicarsi sempre di più (Mussulmani e Induisti). Un momento di pausa c’è stato dopo il 1907 (firma del trattato tra Inglesi e Russi) così che era stata possibile la spedizione del Duca degli Abruzzi con De Filippi e vittorio Sella nel 1909. È molto difficile per noi piemontesi, per lo più bugia ben, capire e giudicare quello che sta succedendo ora. Comunque è giusto cercare, per quanto possibile, di essere informati.
Ho più di 70 anni, mi piace andare in montagna d’estate e anche in sci d’inverno, ma non arrampico più da un bel po’. Mi piacciono molto di più gli articoli come questo, davvero interessante, rispetto alle beghe se arrampicare o no nella situazione dei giorni nostri. Non dimenticatevi mai dei lettori che come me amano articoli come questo di cultura e storia e mettetene sempre perché piacciono.
Interessante l’idea di guardare il Po per lungo per vedere il mare e apprezzata la rievocazione di Gipo con Sangon Blues. Lasciando questi due pilastri da bougia nen, l’articolo, sintetico, ma esaustivo, ricorda la grave situazione del Jammu Kashmir, sparito dalle cronache dei giornali dopo le prima fiammate. Una situazione che dovrebbe far riflettere sui notevoli rigurgiti di nazionalismo/sovranismo che percorrono molti governi incapaci di risolvere i veri problemi delle popolazioni, creando fantomatici pericoli esterni. E il governo indiano attuale è sicuramente uno dei peggiori. Non dimentichiamo che India e Pakistan hanno la bomba atomica e fra i due paesi corre il fronte più alto del mondo, con postazioni fra i sei e settemila metri, in un latente stato di guerra. La sete di potere, il sovranismo appoggiato sul fanatismo religioso rimane uno dei peggiori veleni. Terribilmente triste pensare alla situazione di Srinagar, una città sulle rive del lago Dal, con i suoi alberghi galleggianti, un paesaggio quasi idilliaco, che da tempo vive un precario equilibrio etnico, sempre pronto a sfociare in sanguinosi scontri o attentati. Una situazione sicuramente peggiorata dopo le ultime decisioni del governo indiano. Diritti umani, convivenza, parole ormai svuotate di significato in molte parti del mondo.