Nei giorni di sabato e domenica 25-26 novembre 2023, nell’ambito del suo 101° congresso nazionale al Teatro Italia di Roma, il Club Alpino Italiano ha voluto due giorni di confronto con i soci, con il mondo scientifico, quello associazionistico e con la politica. Titolo: La montagna nell’era del cambiamento climatico. Obiettivo: stabilire linee guida per il futuro dei territori montani.
La carica dei 101: un congresso riuscito
Prima giornata
I saluti
I 346.101 soci del CAI ben rappresentano il mondo degli appassionati di montagna, ma il mondo della montagna li comprende: e la totalità di questo confronto, con un occhio alla politica, non poteva non passare attraverso un apposito studio scientifico preliminare. L’argomento è d’attualità e di rilevanza sociale: riguarda il futuro del nostro pianeta, quindi tutti.
L’obiettivo era «individuare una linea guida che, partendo dall’attuale contesto, guardi al futuro e sottolinei l’importanza di promuovere un approccio responsabile alla montagna».
Il CAI ha costruito le basi del Congresso grazie a un lungo percorso di confronto, avviato a inizio 2023, che ha portato alla costituzione di tre tavoli di lavoro: Il CAI per il Capitale naturale, Il CAI, la frequentazione responsabile della montagna, i nuovi comportamenti consapevoli e Il CAI per lo sviluppo della montagna – Economia e politiche territoriali.
I lavori sono stati coordinati da Raffaele Marini, presidente della TAM (la Commissione centrale tutela ambiente montano del sodalizio) e, per la parte scientifica, da Riccardo Santolini (professore associato dell’Università di Urbino).
A moderare i lavori della prima giornata è stata la conduttrice televisiva Licia Colò: la sua professionalità, e la simpatia, hanno contribuito in più di un caso ad alleggerire il prevedibile peso di una lunga giornata. Colò più volte ha incitato la platea a liberare la propria energia, sostenendo che la montagna ha bisogno di noi e rifacendosi alla carica dei 101 di disneyana memoria.
L’inizio è stato poco dopo le 10.30, quindi con una puntualità affatto romana: la lettura del saluto del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci ha portato subito sui temi dello spopolamento e del cambiamento climatico, due vere emergenze che stanno modificando la conformazione stessa delle montagne e l’approccio dell’uomo verso questo patrimonio che costituisce il 35% del territorio nazionale. Un riconoscimento autorevole.
Meloni ha assicurato la massima attenzione per il disegno di legge sulla montagna. “Un provvedimento che punta a definire chiaramente le peculiarità dei territori di montagna in ogni ambito: scuola, sanità, servizi pubblici, economia, ambiente, socialità, sport. Iniziative per favorirne il ripopolamento incoraggiando soprattutto i giovani a rimanere nelle loro comunità e creare economia”.
Poi ci sono stati i saluti dei padroni di casa, Giampaolo Cavalieri, presidente del CAI Roma (che alla fine del suo intervento omaggia Licia Colò di una composizione di bellissimi fiori) e i due vicepresidenti Daniele Funicelli e Roberto Bernardi: questi ultimi, non pronti a salire sul palco, sono stati bonariamente incitati a maggiore velocità dalla conduttrice… E, in effetti, avremmo anche fatto a meno del loro intervento che nulla ha aggiunto a quello del presidente se non la consegna a Colò della tessera del CAI.
Ormai rassegnati alla noia dei saluti previsti e imprevisti, con qualche interesse abbiamo assistito all’intervento video del ministro del Turismo Daniela Santanchè e del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin.
Sulla prima avevo un’inconfessata speranza di una caduta in qualche banalità, ma ho dovuto riconoscere che la sua riflessione sul turismo montano era inattaccabile. La ministra Santanchè ha perorato la causa della destagionalizzazione, “una strategia che mi sta molto a cuore e sulla quale stiamo concentrando il lavoro al ministero, per un’offerta più variegata, distribuita nei vari mesi dell’anno e fondamentale per il processo di contrasto al sovraffollamento turistico. E teniamo conto che destagionalizzare significa anche stabilizzare i lavoratori del comparto”.
Anche Pichetto è riuscito a dire qualcosa di preciso, contrariamente alla tradizione dei politici di fare discorsi senza dire nulla.
“Dobbiamo salvaguardare il ruolo delle montagne come risorsa di acqua, per compensare la riduzione delle precipitazioni estive e i lunghi periodi siccitosi” tenendo conto che “lo stato di salute delle nostre cime, dei nostri territori montani, è un indicatore fondamentale per comprendere l’impatto di cambiamenti climatici sul Paese e nel mondo”.
“La montagna è particolarmente esposta ai mutamenti del clima ed è sensibile più di prima ai cambiamenti anche lievi delle temperature“, ha poi aggiunto il titolare del Mase “rispetto alle altre aree montane quelle alpine appaiono ancora più vulnerabili, per l’attività umana, per l’alta densità di popolazione, per l’impatto turistico, per la perdita di volume dei nostri ghiacciai”.
Da questo punto di vista “le sofferenze che sui vari fronti possiamo constatare, da quello agricolo all’idroelettrico, si riconducono al grande tema della risorsa idrica che viene dalla nostra montagna”, ha sottolineato Pichetto.
In tutto ciò «il nostro piano di adattamento ai cambiamenti climatici, aggiornato dopo tanti anni, pone una fortissima attenzione alla montagna, al suo territorio e alle azioni da fare, con soluzioni multisettoriali che sfruttino le nuove tecnologie e attività di governance per decisioni rapide, efficaci e utili”.
A seguire, l’on. Marco Perissa, della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione; Giammarco Palmieri, della Commissione Ambiente Assemblea Capitolina; Giuseppe Roma, Vicepresidente del Touring Club Italiano (che ha riaffermato l’opportunità di riprendere la collaborazione con il CAI per la rinascita “delle storiche guide CAI-TCI, quelle con la copertina di tela, del colore della roccia” e che per questo è stato applaudito dal pubblico); Adriana Giuliobello, presidente di Mountain Wilderness Italia (che insiste su quanto sia necessario oggi assumere limiti per un comportamento equilibrato); Giulio Lo Iacono, Segretario generale dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile); Luca Santini, presidente Federparchi; Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico Italiano (che ricorda che “prima di toccare i ghiacciai bisogna chiedere il permesso, e non mi pare che accada” e conclude il suo intervento zeppo di realistiche quanto fosche previsioni, augurandosi di non essere l’ultimo presidente…).
Apertura dei lavori
L’apertura del presidente del CAI, Antonio Montani, è salutata con sollievo dalla platea che, giunta a questo punto, ha bisogno di essere condotta per mano nel vivo della discussione. Il presidente anticipa che il CAI è pronto a prendere decisioni importanti, che potrebbero essere anche impopolari. Insiste pure sulla forza politica che potenzialmente il CAI ha, visto che è presente “come le stazioni dei Carabinieri” in ogni dove d’Italia. “L’attenzione all’ambiente e la sostenibilità devono essere gli elementi imprescindibili di ogni progetto di sviluppo economico e turistico dei territori montani. Al nostro interno dobbiamo ripartire dalle giovani generazioni, le più sensibili alle tematiche ambientali e capaci, soprattutto, di declinarle nei comportamenti della vita quotidiana“.
Raffaele Marini, coordinatore del Congresso, subito dopo introduce ai lavori: fa sorridere la sua affermazione (ma da lui attribuita a Samantha Cristoforetti) per la quale “Chi non è seduto al tavolo è nel menù (predisposto da altri)”.
Allo stesso Coordinatore scientifico del Congresso, Riccardo Santolini, Docente presso l’Università di Urbino, è affidata la presentazione della parte scientifica. Giustamente insiste su alcune possibili modifiche alla Costituzione, al riguardo di biodiversità ed ecosistemi. Poi pronuncia una frase di sicuro effetto: “Meglio gestire i boschi per la collettività che tagliarli a beneficio di pochi”.
Don Luigi Ciotti
Preceduto da un calorosissimo applauso, don Luigi Ciotti si avvia a parlare. Il fondatore di Libera si presenta “orgogliosamente da cadorino iscritto da sempre al CAI di Pieve di Cadore”. Il titolo del suo intervento è L’esortazione apostolica Laudate Deum e la montagna. L’oratore svolge perfettamente il suo tema, e il suo eloquio è ricco di grandi domande collegate ai contenuti dell’ultima enciclica papale (Laudate Deum). Ma le sue risposte sono altrettante sferzate, rigorosamente applaudite:
“Perché la grande speculazione ora riguarda anche le alte quote che si stanno asfaltando in alcune zone? Ma chi sono questi imprenditori, con tutta questa liquidità e pochi controlli sulla provenienza? Abbiamo scoperto forme di riciclaggio, anche di organizzazioni criminali mafiose, che interessano zone stupende… Hanno tanta liquidità e c’è chi dà deleghe in bianco, non tenendo conto di tutto questo”.
“Abbiamo ragazzi che hanno studiato, giovani meravigliosi, che vorrebbero portare il loro contributo per le loro terre. Invece di spendere soldi per la pista da bob o altro, si spendano soldi per fare ritornare questi ragazzi”.
“Non possiamo dimenticare la risorsa idrica, il problema dell’acqua. Ritorni l’acqua a essere bene pubblico. È fondamentale l’importanza delle foreste, non per lo sfruttamento ma per riconoscere loro il complesso valore ecosistemico e perché siano realmente una risorsa rinnovabile. Bisogna che qualcuno intervenga a favore di tutto questo”.
“Da anni con tanti amici stiamo lottando perché si faccia i parco Sorapiss, Antelao, Marmarole, la terra dove siamo nati. Ma cosa ci impedisce di fare un parco? Ci sono resistenze e invece sono risorse che si possono tutelare, ampliare, occupare. E non dobbiamo dimenticare le riserve integrali”.
“Gli impianti da sci sono già sufficienti, facciamo in modo che funzionino bene, ma non è il caso di fare grandi traversate deturpando l’ambiente. Facciamo bene quello che c’è”.
“Abbiamo bisogno di comunità energetiche, di cooperative legate a produzioni biologiche. E anche la politica deve fare di più perché se la politica non fa questo, non è politica, è un’altra cosa. Abbiamo bisogno di incrementare una nuova filiera d’agricoltura, turismo, cultura e storia. Abbiamo bisogno del valore della biodiversità anche culturale, abbiamo necessità di nuove aree protette per creare anche lavori diversi”.
La platea è ormai completamente rapita dal carisma di quest’uomo, commossa di fronte a tanta verità, quando questo sacerdote di frontiera ci ricorda l’appello recente del suo amico papa: “Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive, minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari di smettere di distruggere i boschi, le aree umili e le montagne, di smettere di inquinare i fiumi e i mari, di smettere di intossicare i popoli e gli alimenti“.
Dopo aver condannato il vuoto di significato con il quale hanno ormai a che fare parole come sviluppo, sostenibilità e green, Don Ciotti ha rimarcato che la montagna si è ritrovata con valori sbiaditi e omologati proprio a causa di quel tipo di parole. “Non dimentichiamo la lunga storia passata dei montanari, dei contadini, storia di convivenza che aveva ben presente il limite; si tratta di comunità nate nei valori della cooperazione, della solidarietà, della redistribuzione dei beni, la necessità di coltivare bene i boschi, i pascoli, il fieno…Erano i miei nonni, i nonni di tanti di voi. Oggi dobbiamo chiederci quanto rimane di tutto questo, di questi valori, della vita delle nostre montagne. Perché la montagna si è lasciata omologare ai bisogni delle città e dei cittadini? Alcuni sono persone oneste, altri invece la usano, la consumano, è un usa e getta”.
Ancora un’ultima domanda: dove stanno i servizi essenziali, la salute, la scuola, la cultura, il traffico pubblico, la banda larga che permettono di vivere sulle terre alte? Cioè sulle nostre montagne “sempre più impoverite di servizi di cui invece abbiamo bisogno per dare dignità e libertà alle persone. Perché suoli fertili sono stati erosi dalla cementificazione, da un’urbanistica cieca? Non si doveva permettere”.
A sessant’anni dalla tragedia, Ciotti non può non ricordare il Vajont. «La logica mafiosa non è solo quella delle organizzazioni criminali, ma anche quella del potere quando si nasconde dietro manipolazioni e menzogne. E la malattia del potere ambiguo, opaco non è stata mai del tutto debellata. Ricordate che il capo del Governo Giovanni Leone arrivò con l’elicottero, sorvolò Longarone, Erto e Casso, promise interventi subito, risarcimenti, ricostruzione di fronte a quel dramma. Siamo ad ottobre, a dicembre cade il Governo e lui che era avvocato diventerà l’avvocato di quella società incriminata, andando quindi a difendere quella società. E sette mesi dopo viene eletto Presidente della Repubblica. Poi l’hanno cacciato, ma intanto è successo questo e il Vajont è stata una strage di Stato”.
Don Luigi Ciotti conclude ricordando che “non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali; non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone e questo è un invito per ognuno di noi”.
Terminato il suo intervento, Ciotti scende dal palco tra gli applausi scroscianti della standing ovation di 652 congressisti di cui 522 socie e soci del CAI, che non smettono fino a quando il prete scompare dietro alla porta d’uscita.
Per visionare l’intervento di don Luigi Ciotti, nel podcast della prima giornata reperire l’intervallo 2h42’15”-3h12’12”.
Presentazione delle Tesi congressuali con intermezzo pranzo
Tavolo 1 – Il CAI per il capitale naturale
E’ ancora Santolini a disquisire sul valore della montagna, che è un capitale da gestire, una consapevolezza da acquisire; lo segue Alessandra Pollo, dottoranda in biologia, che espone le Tesi del Tavolo 1.
La pausa pranzo era prevista per le 13.20, alla chiusura della presentazione delle Tesi congressuali. Ci si è dovuti accontentare, e comunque con 25’ di ritardo, di una chiusura alle 13.45 senza che il Tavolo 2 e il Tavolo 3 fossero minimamente introdotti. Il ritardo è ormai plateale.
Entrati nella folla del ristorante, proprio di fronte al teatro, veniamo invitati a mangiare in fretta perché, appunto, siamo molto indietro. Volentieri obbediremmo se però il cibo ci fosse servito. Le povere cameriere del ristorante, evidentemente del tutto in tilt, dalla cucina al servizio, ci portano un piatto unico a temperatura appena sufficiente alle 14.25, seguito da un dolce e prima che la gente si alzasse per andare direttamente al bar per il caffè.
I lavori riprendono alle 14.50.
Tavolo 2 – Il CAI, la frequentazione responsabile della montagna, i nuovi comportamenti consapevoli
L’introduzione è a cura di Corrado Battisti, Docente presso l’Università di Roma Tre. Espone le tesi del Tavolo 2 Maria Giovanna Canzanella, della Biblioteca Nazionale del CAI.
Tavolo 3 – Il CAI per lo sviluppo della montagna-Economia e politiche territoriali
Presenta Giampiero Lupatelli, economista territoriale. Il suo tema è Economia della montagna, economia delle comunità montanare: istituzioni e politiche per una nuova centralità. Illustra le tesi del Tavolo 3 Rosita Lupi, business development manager.
Dialogo sulle politiche della montagna
Ora sul palco viene approntato un panel politico tra alcuni rappresentanti dei gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione e Antonio Montani, con la moderazione di Valentina Bendicenti, giornalista di Sky TG24.
La senatrice Monica Ciaburro interviene con un videomessaggio.
Vanessa Cattoi (deputata della Lega) privilegia l’accelerazione sullo spesso sbandierato disegno di legge sulla montagna; Luigi Spagnolli (senatore di Autonomia) suggerisce che il CAI debba diventare anche “raccoglitore di dati”; Andrea Casu (deputato del Pd) preferisce insistere sull’accessibilità alla montagna e sui trasporti. Nel giro di domande e risposte purtroppo non si va molto al di là della facciata politica e i proclami che vengono fatti non stimolano un dialogo vero. Montani osserva (applaudito) che il turista che usa il servizio pubblico dà una grossa mano perché questo sia davvero utile e sempre più efficiente anche per i montanari.

Interventi dei soci
Finalmente è il momento degli interventi (limitati a tre minuti ciascuno) del pubblico, che per la maggior parte è composto dai rappresentanti di tutte le sezioni del CAI. Inutile dire che, come al solito, c’è chi osserva questa regola e chi allegramente la ignora. La povera Licia Colò non è portata ad essere così severa e tutto dunque procede al modo italico. La prima dei dodici iscritti a parlare è Ines Millesimi, che preme per eliminare, tra i manufatti lasciati dall’uomo sulle cime, tutto ciò che comporta rilascio di microplastiche; la segue lo storico Raffaele Danna che osserva come parlare di “capitale” naturale non faccia che esaltarne il significato economico, al contrario di quello che si vorrebbe.
Ad Alessandro Geri, proprio mentre inizia a parlare, suona lo smartphone e questo fa esplodere in una risata la sala. “E’ mia moglie!” “Ci parlo io”, si offre Colò. L’intervento di Geri riprende il concetto, già esposto ai Tavoli, di Valore-Minaccia-Risposta. Dato per scontato che il Valore è il benessere della gente di montagna, Geri passa alle Minacce, soprattutto ai progetti scadenti, fatti solo per approfittare dei finanziamenti a pioggia; infine, come Risposta, ne individua una possibile nella più volte invocata legge sulla montagna. Poi spiega come l’andare in montagna sia sicuramente un’attività motoria che però si distingue dall’attività sportiva. Alla conduttrice piace molto questo concetto.
Al geologo Marco Giardino segue Alessandro Gogna: quando sale sul palco, Licia Colò gli chiede perché lui si presenti con la sigla CAAI, cioè con due “A”. “E’ un errore?” chiede lei. No, non è un errore, la seconda “A” sta per “accademico”… Con i suoi tre minuti a disposizione Gogna cerca di introdurre ciò che solo don Ciotti ha accennato. I singoli, per preparare questa rivoluzione, devono essere umili, cercare un proprio limite proprio per essere liberi e preparati, perché natura e società spesso irridono allo sforzo volontaristico e apprezzano solo ciò che è realmente emozione, quella che nasce dalle nostre profondità, filtrata dalle scorie egoiche.
Giovanni Berti si chiede perché si autorizzano impianti a fune inutili e non si trovano soldi per il trasporto pubblico. Dario Nitoli ci illustra cosa fanno i giovani a Bergamo nel campo della sostenibilità: questo riguarda la sede del Palamonti, i rifugi della sezione e la compensazione per le emissioni di CO2 delle attività sociali. Matteo Marteddu lamenta che solo il 20% dei fondi messi a disposizione dei paesi insulari di montagna sia stato speso. Occorre appunto “cambiare rotta”. Valeria Baratella insiste sulla necessità che il socio CAI si apra il più possibile con gli altri cittadini, rendendoli compartecipi di questo processo di cambiamento. Diego Cason porta l’attenzione su quanto tra poco denuncerà Annibale Salsa, quindi finora non trattato in sede congressuale: parlando di “visione distorta” dà l’impressione di voler rimediare a ciò che finora è stato passato sotto silenzio. Enrico Pelucchi insiste su alcune necessità, come la diminuzione delle attività in montagna e la collaborazione del CAI alla stesura della legge sulla montagna. Vito Paticchia denuncia che i finanziamenti a pioggia favoriscono, tra l’altro, la proliferazione di nuovi “cammini” e sentieri, con eccesso di segnaletica.
Per approfondire i contenuti di questi 12 interventi occorre visionare il podcast della prima giornata (dal punto 6h37’20” al punto 7h32’01”):
Annibale Salsa
Tra i soci del CAI, chi ha diritto di parola sul presente e sul futuro delle terre alte? I cittadini? I montanari? Entrambi? Chi tutela meglio la montagna? Chi la abita o chi la frequenta arrivando da turista, da escursionista, da alpinista? Il dibattito non è di oggi. Ma al 101° Congresso del Club Alpino Italiano ha preso quota.
Vediamo il video di Annibale Salsa, antropologo e past-president del CAI: il titolo è Il CAI come mediatore culturale e sociale tra città e montagna.
Salsa entra subito in argomento, il rapporto difficile tra i club di città e le terre alte, con un forte distacco soprattutto sui temi ambientali.
Nei giorni precedenti al congresso il coordinamento delle sezioni CAI del Bellunese ha predisposto un documento sulla contrapposizione tra terre alte e terre basse e l’ha recapitato agli organizzatori reclamando autonomia. Non è roba da poco: le sezioni della provincia contano 13 mila associati sui 63 mila totali del Veneto.
«Sostanzialmente spieghiamo che i primi custodi dell’ambiente siamo noi montanari – dice Luigi Alverà, presidente del CAI di Cortina – che pertanto amiamo profondamente il nostro territorio, sul quale però dobbiamo anche vivere. E viverci con i presupposti che la nostra terra ci consente».
La problematica, vecchia di anni, riguarda impianti sì e impianti no, ma soprattutto impianti per i collegamenti tra le valli. Precisa Alverà: «Spetta alle valli direttamente interessate pronunciarsi sui rispettivi progetti. Di sicuro, per quanto riguarda Cortina, siamo favorevoli a quei collegamenti che in qualche misura riusciranno a liberare dal traffico le nostre strade».
Ma il documento non ha fatto breccia e non è stato accolto come tale dal Comitato congressuale, bensì solo recepito, e solo in alcune sue parti, all’interno delle analisi fatte e nelle tesi proposte.
Il CAI regionale veneto, come pure quello nazionale, sono contrari ai collegamenti intervallivi, come conferma il presidente veneto Renato Frigo: «la supposta contrapposizione tra CAI di Montagna e CAI di Pianura non è stata accolta, perché il CAI è una realtà unica che, quando si pronuncia su determinati temi, assumendo precise posizioni, pretende legittimamente che gli associati si adeguino, anche se non le condividono».
Alverà ribatte: «Noi soci di montagna non intendiamo contrapporci agli amici di città, ma semplicemente far valere le nostre convinzioni rispetto alla resilienza che siamo gli unici a garantire. Siamo i primi a desiderare la tutela, la conservazione dei nostri pascoli, dei boschi, del patrimonio ambientale, ma ci deve essere anche riconosciuta l’opportunità di vivere e quindi di poter usufruire in parte di alcune risorse. Si pensi solo al bosco, quindi alla selvicoltura. Oppure alla necessità di mettere in sicurezza la mobilità. Ingessare tutto è impossibile».
E’ in questo clima infuocato che si è inserita l’autorevole voce di Annibale Salsa.
“Uno dei temi che ritengo debbano essere affrontati all’interno di questo congresso, al di là dei temi legati alle trasformazioni dell’ambiente, del clima e di tutto quello che ci tocca e ci coinvolge direttamente o indirettamente, credo che debba essere il rapporto tra le sezioni di città e le sezioni di montagna”… “Ho sempre sostenuto che il Club Alpino Italiano ha un ruolo di mediatore culturale tra realtà diverse perché il sodalizio è uno, ma i territori sono profondamente diversificati e quindi le esigenze delle sezioni, delle città, grandi o piccole che siano, si differenziano in maniera profonda se non addirittura radicale nei confronti di quelle che sono le realtà delle sezioni di montagna”…
“Quindi i temi all’ordine del giorno devono essere proprio quelli di una ricucitura. Io percepisco ancora un distacco, percepisco ancora una distanza, è un problema ancora culturale, di percezione, tra quelle che sono le sezioni cittadine e quelle che sono le sezioni di montagna, soprattutto sui temi ambientali”.
L’altro tema critico è la convivenza con i grandi predatori. Anche qui “bisogna far sì che queste due realtà non siano contrapposte e per fare questo credo che il CAI debba affrontare questo tema, questo problema”.
Per Salsa il disagio legato ai temi delle politiche ambientali “è del tutto comprensibile, non c’è un problema di demonizzazione degli uni o degli altri. È comprensibile perché la mentalità si forma, si plasma vivendo in un determinato territorio». E’ normale che le due percezioni siano diverse, sia dal punto di vista psicologico che antropologico: “Questo, a mio avviso, è uno degli aspetti cruciali che va affrontato, altrimenti rischiamo di creare una lacerazione difficilmente ricucibile”, ha concluso Salsa.
Per visionare l’intervento di Annibale Salsa, nel podcast della prima giornata reperire l’intervallo 7h32’01”-7h35’13”.
Relatori in programma
Riccardo Giacomelli, presidente della Struttura Operativa Rifugi e Opere alpine, presenta il “nuovo bivacco CAI”, evidenziando come questo sia ormai strettamente dipendente dalle nuove necessità climatiche e dalla sostenibilità. Interloquiscono con Giacomelli Danilo Amigoni e Andrea Cafulli. Il bivacco, progettato dalla Struttura operativa rifugi e opere alpine del CAI, è una “struttura leggera, reversibile e sostenibile, nata per essere montata e smontata facilmente in montagna. Il bivacco CAI è realizzato interamente con materiali riciclati e riciclabili, quali per esempio il legno e l’alluminio come quello proveniente dalle lattine delle bibite“.
L’accademico del CAI Maurizio Fermeglia, docente presso l’Università di Trieste, fa una breve lezione sul riscaldamento globale in montagna, che definisce una “tempesta perfetta”. L’analisi che fa della situazione è davvero preoccupante.
Poi c’è il monologo dello scrittore e giornalista Marco Albino Ferrari. Questi impietosamente mette a nudo le enormi difficoltà che avremo a mettere in pratica quanto faticosamente condiviso in teoria, ma il suo alla fine non è un messaggio pessimista, perché teso all’osservazione critica ma costruttiva delle nostre debolezze. Il CAI deve mantenere la sua voce fuori dal coro.
Per visionare l’intervento di Marco Albino Ferrari, nel podcast della prima giornata reperire l’intervallo 8h43’25”-fine.
Il commento di Ines Millesimi
Alle ore 20 del 25 novembre 2023, Ines Millesimi posta sul suo profilo fb un commento che ci sentiamo di condividere appieno (anche se estremamente sintetico):
“Strepitosi Don Ciotti, Marco Albino Ferrari e Alessandro Gogna! Molto bravo il Presidente Generale Antonio Montani, equilibrato e concreto. Velo pietoso su tutti i politici, chi più chi meno. Affabile e a suo agio Licia Colò. Molto bravi alcuni docenti universitari con i loro panel sui disastrosi cambiamenti climatici anche in montagna. Applaudita Mountain Wilderness. Ottima organizzazione staff CAI Roma. Occhio: la sequenza corrisponde di massima alla temperatura degli applausi. Molti dei quali riservati al Presidente giovanissimo dell’Unione delle sezioni bergamasche CAI. Standing ovation per Don Ciotti, di una forza incredibile: che ci ha inchiodati alle poltrone con il suo intervento lungo, articolato, vibrante e critico con i potenti e con i neutri, quelli del ‘non so e non mi riguarda’. Tutti in piedi per coprirlo di un fragoroso applauso. Teniamoci cari Papa Francesco, più volte citato e la Costituzione”.
Seconda giornata
Avrei detto pessimisticamente che la mattinata della domenica avrebbe registrato un numero di presenze inferiore a quello del sabato. E invece mi sbagliavo: e anche questo è un ottimo segnale.
Dopo la proiezione di un video con Luca Mercalli, si inizia con un breve intervento del presidente Montani per riprendere il discorso del giorno precedente e collegarlo con i nuovi temi in programma. Prende la parola Roberto Cuneo che sostituisce Antonella Caroli, la presidente di Italia Nostra. Lo segue Filippo Lobina, dirigente del Ministero dell’Agricoltura.
Molto apprezzato e assai propositivo l’intervento di Marco Marchetti, docente presso l’Università del Molise, sul tema Controllare insieme i boschi di montagna, sentinelle del clima e della biodiversità.
Chiude la serie delle relazioni programmate l’on. Alessandro Panza, consigliere per le politiche della montagna del Ministro per gli Affari Regionali, Roberto Calderoli. Il suo intervento ha per tema il disegno di legge sulla montagna, il cui iter è in corso. Presto il testo sarà riportato definitivamente al Consiglio dei ministri, per poi darlo in discussione alle Camere.
I 38 interventi dei soci
A questo punto inizia lo spazio per parlare dedicato agli iscritti, e ci viene anticipato che sono un totale di “circa 40”. Osserviamo che, con quelli di ieri, arriviamo a 50 interventi.
Trascrivo qui solo la lista dei nomi e cognomi. Per mancanza di spazio non posso fare alcun riassunto: per conoscere i contenuti occorre visionare il podcast della seconda giornata (dal punto 1h30’12” al punto 3h39’56”): in generale comunque si è trattato di ascoltare proposte e comunicazioni di grande interesse. Due per tutte, l’iniziativa del Gruppo Giovanile del CAI Torino sulla compensazione delle emissioni di CO2 (Enrico Ponte) e il prossimo convegno di Carrara sul futuro delle Alpi Apuane (Riccarda Bezzi).
Il compito di far rispettare la regola dei tre minuti è affidato al cerbero Raffaele Marini (che però si lamenta bonariamente di essere sempre quello con i compiti più ostici…).
Roberto De Martin (past-president), Francesco Meneguzzo, Enrico Ponte, Marco Marrosu, Andrea Scagano, Elisabetta Adorna, Vincenzo Torti (past-president), Corrado Corradini, Simone Galbiati, Monica Brenga, Evelin Franceschini, Gianmarco Simonini, Franco Tanzi, Sergio Chiappin, Giorgio Fornasier, Roberto Bernardi, Riccarda Bezzi, Tullio Moimas, Marco Geri, Gloria Zambon, Laura Saracchi, Lara Pilotto, Gianni Frigo, Ennio De Simoi, Filippo Di Donato, Ugo Scortegagna, Caterina Cedrone, Giuseppe Riggio, Laura Nannini, Ivan Balliana, Luigi Iozzoli, Giovannangelo De Angelis, Elena Mainardis, Carla D’Angelo, Annalisa Antonucci, Elena Mangili, Antonio Cavaliere, Marco Tambolini.
Conclusioni del presidente generale Antonio Montani a chiusura congresso
Riportiamo qui alcune delle frasi più significative pronunciate da Montani nel suo discorso di chiusura (Vedi podcast seconda giornata, al punto 3h39’56”).
«Dobbiamo impegnarci ad usare sempre meno auto proprie per le escursioni. E a far uso, invece, dei mezzi pubblici, dei mezzi collettivi».
«Se comprendiamo che la situazione provocata dai cambiamenti climatici è drammatica, dobbiamo riconsiderare daccapo tutto il sistema dell’approccio con le terre alte. In congresso ho detto che dovremmo tornare ai nostri padri fondatori che impiegavano due o tre giorni per arrivare in montagna, fermandosi nei paesi, comprando nei negozi, alimentando l’economia della montagna, contro la fruizione mordi-e-fuggi, veloce e non rispettosa della natura. Poi è vero, i trasporti pubblici sono in difficoltà. Ma vanno utilizzati, quindi potenziati, anche col nostro apporto, proprio per consentirne la sopravvivenza a servizio delle popolazioni di montagna. Usare il mezzo pubblico, in conclusione, non è solo rinunciare all’uso dell’auto propria, quindi non inquinare, ma dare una mano concreta alle comunità delle terre alte».
«La bici, sia la normale che quella a pedalata assistita, sarà sempre più presente in montagna, quindi dobbiamo fare educazione sul suo uso e non limitarci a dire che non va usata, se non interveniamo resteremmo fuori da quel mondo (qui ci permettiamo l’osservazione, peraltro condivisa da molti, per cui forse è meglio restare fuori che correre il rischio di diventare complici di un mondo che non si differenzia dal “mordi e fuggi” e che confonde lo sviluppo della tecnica con il progresso dello spirito, NdR)».
«Il tema della sostenibilità non è solo ambientale. Uno dei progetti emblematici è il Sentiero Italia CAI. Non è un progetto escursionistico ma di paesaggio, un progetto che è un modello vincente che, se rilanciato, ci può consentire di parlare alla popolazione e indicare uno sviluppo turistico positivo. Sulla sostenibilità, oltretutto, abbiamo una responsabilità forte, i rifugi».
«Non facciamo accanimento terapeutico sui rifugi. Se danno problemi, è eticamente corretto rimuoverli e ripristinare lo stato precedente… Ho già detto che in casi come la Capanna Margherita dobbiamo chiederci cosa posiamo fare, anche l’opzione zero, l’eliminazione. Finché possiamo abbiamo deciso di mantenerla e svilupparla ulteriormente per raccogliere dati scientifici e fare ricerca. Ma farò di tutto per impedire di andare a consolidare rifugi con palificazioni. Se a causa dello scioglimento del permafrost si ha bisogno di un tale intervento, bisogna rimuoverlo e ripristinare lo stato iniziale. È in corso un processo di certificazione dei rifugi in quota, che più che edifici sono macchine, con una parte edilizia e una componente umana, chi li gestisce, e un’altra parte umana che sono i fruitori. L’insieme di tutte queste azioni ne determina la sostenibilità o meno. Vorremmo renderla una certificazione europea delle strutture in quota».
«Al riguardo dei crolli che possono rischiare di mettere in pericolo determinati sentieri, le ordinanze di chiusura non mi piacciono, perché rischiano di essere irreversibili, definitive. Invece è senz’altro necessario indicare la pericolosità di questi sentieri, mettere in guardia chi li percorre. Accanirsi costruendo palificazioni per mettere in sicurezza strutture o sentieri è quanto di più sbagliato si possa immaginare. E poi, in Italia abbiamo oltre 160mila chilometri di sentieri. Se rinunciamo a un migliaio di chilometri, non muore nessuno».
«Il Nuovo bivacco CAI, progettato dalla struttura operativa rifugi e opere alpine del CAI, è una struttura leggera, reversibile e sostenibile, nata per essere montata e smontata facilmente in montagna. Il bivacco CAI è realizzato interamente con materiali riciclati e riciclabili, quali per esempio il legno e l’alluminio come quello proveniente dalle lattine delle bibite. È un modello di bivacco immaginato per non consumare altro territorio alpino».
Al riguardo dell’applauditissimo intervento di don Luigi Ciotti:
«I gravi allarmi lanciati da Ciotti li ho visti personalmente. Certo, non possiamo generalizzare. Ma don Ciotti ha detto una cosa più importante delle altre: questa marea di risorse che vengono investite in determinate strutture da una parte drogano il mercato e dall’altra illudono le popolazioni di valle che con quegli investimenti si possa avere un duraturo benessere economico. Purtroppo sovente abbiamo visto che non è così. Le scelte vanno fatte col massimo rigore».
Più cauto e politico si esprime al riguardo degli investimenti olimpici e della pista di bob in particolare:
«Sinceramente sono dispiaciuto che non si sia potuto fare un serio intervento a Cortina. Noi non abbiamo mai detto no alla pista in assoluto. Abbiamo detto che volevamo la valutazione d’impatto ambientale per capire se c’erano le tre gambe della sostenibilità: ambientale, economica e sociale. Le condizioni che si sono generate hanno impedito di fare questo studio. Per questo ci siamo detti contrari alla pista».
“Il CAI deve accettare le grandi sfide: e una di queste è senz’altro il futuro delle Alpi Apuane. Saremo in prima linea in questa lotta”.
«Alla fine… Dobbiamo far rivivere la montagna… Il CAI deve essere la voce della montagna italiana nelle istituzioni. E dobbiamo assumere questo importante ruolo di mediatore, anche su temi difficili come i grandi carnivori, tenendo presente che i cittadini di montagna sono i custodi dei beni, hanno diritto a tutto quello che hanno gli altri cittadini, ma non possono essere i padroni della montagna… Non vedo contrapposizione tra pianura e montagna, solo sensibilità diverse. Ma non è un problema patologico».
Il commento di Stefano Ardito
“Il CAI, con i suoi 346.101 socie e soci, le sue 518 sezioni e 312 sottosezioni, i suoi 729 tra rifugi e bivacchi, la sua presenza capillare in tutte le Regioni italiane e nelle due Province autonome è una fetta decisiva dell’Italia, di cui la politica e i media nazionali si accorgono solamente di rado.
I servizi forniti dal Club Alpino Italiano in materia di sentieri, di ferrate e di soccorso alpino e speleologico, il ruolo dell’associazione nel promuovere la scienza e la cultura di montagna, non bastano a far considerare il CAI come merita. Era ed è il grande cruccio del gruppo dirigente e dei soci, decine dei quali (soprattutto della Sezione di Roma) hanno lavorato in maniera volontaria per rendere possibile l’evento“.
Ne è emersa “Una grande forza tranquilla, schierata per un’Italia e per un mondo migliori. Una grande voglia di esserci, di essere ascoltati, di contare. Tanta voglia di frequentare la montagna, come vuole il DNA del Club Alpino Italiano, ma adattando i propri comportamenti a quelli di un ambiente che soffre“.
Il commento della Redazione
E’ giusto che il congresso non abbia preso posizioni per espliciti divieti o profonda sensibilizzazione sui propri soci a non praticare questa o quella disciplina (nello specifico lo sci di pista, per l’impatto ambientale ormai insostenibile): va infatti ricordato che proprio per la sua natura istituzionale “super partes”, il CAI non può e non deve assumere prese di posizioni del genere.
Il CAI deve invece porsi l’obiettivo di educare e sensibilizzare i propri soci affinché ciascuno compia un proprio cammino evolutivo ed eventualmente giunga alla convinzione che questa o quella disciplina sia effettivamente nefasta o meno per l’ambiente, in particolare delle montagne. Ma, su questo punto, cioè sull’individualità delle proprie convinzioni, il congresso non ha detto né insistito abbastanza.
Le singole decisioni possono anche essere molto diverse fra di loro, ma il punto chiave è che la democrazia dovrebbe condurre l’individuo (in questo caso il socio) alla consapevolezza delle proprie scelte.
Discorso completamente diverso per le iniziative che comportano danni ambientali: lì sì che il CAI può, anzi deve (e lo ha fatto), prendere posizioni ufficiali e combattere contro la loro concretizzazione. Esempi: sventrare il Vallone delle cime Bianche con nuovi impianti, ri-costruire (anzi di fatto costruire da zero) la pista di bob di Cervinia, lo scavo per una eventuale nuova strada nel Vallone del Grauson (Val di Cogne), il futuro delle Alpi Apuane, ecc.
Ugualmente il congresso ha insistito sulla necessità di una frequentazione più spartana e rispettosa dell’ambiente, iniziando dall’evitare che i rifugi del CAI si trasformino in hotel a 5 stelle, con i vari comfort della società consumistica, e/o facendoli tornare rifugi vintage laddove questo trend si sia già perfezionato.
In sintesi: lo slogan del CAI del Terzo millennio dovrebbe essere “Togliere”. Ma, prima di tutto, iniziamo da noi stessi, auto-educandoci a questa impostazione; poi parlando chiaro ai nuovi soci e favorendo le iniziative delle nuove generazioni, che in realtà stanno dimostrando di voler prendere in mano queste nuove problematiche. Agli anziani a volte sembra che la gioventù sia eccessivamente ottimista o prenda troppo di petto le cose, e questo li porta a criticare con scetticismo: niente di più scorretto, perché, anche nella lontana ipotesi che questi giovani sbaglino, quella è la loro strada e occorre lasciarli sbagliare a loro modo. Ciò che a un anziano sembra naïf a un giovane appare essenziale, e lì è la sua libertà di scelta. Ecco un esempio di ciò che succede: all’uscita di una metropolitana o in supermercato, di fronte al servirsi o meno di una scala mobile, il giovane quasi certamente preferirà salire a piedi, convinto di dare esempio di risparmio energetico; la scelta di una persona più matura invece sarà offuscata dalla convinzione che comunque la scala mobile si muove per gli altri utenti e dunque che la sua scelta se sfruttarla o meno sia del tutto ininfluente nel computo energetico finale. Beh, lasciateci dire che quest’ultima considerazione sarà anche vera, ma l’esempio dato in direzione della rinuncia al mezzo meccanico non può in alcun modo essere messo in conto tramite un numero: per questo vale estremamente di più.
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Marcello, i militari? Ma non leggi Crovella? I militari servono a difendere i sacri confini dalle orde che ci vogliono rubare tutto, soldi case donne, mica bazzecole come aiutare qualche disgraziato!
@Marcello:
“da socio del CAI”???
Credevo che il mestiere di guida ti porta a tenere le distanze con il CAI…
Ho appena commentato in AltriSpazi l’articolo sul libro dei Serafin che parla del soccorso in montagna.
Libro e soccorsi: ottimi lavori, per carità. Però da cittadino e socio del Cai non posso non notare un magna magna da circolo vizioso che foraggia un gruppo di persone che vive di quello. Beati loro se si sentono con la coscienza a posto. Io non ci riuscirei.
Senza nulla togliere ai singoli soccorritori, sono sempre stato dell’idea che in un paese civile il soccorso in montagna dovrebbe essere fatto dai corpi militari come accade in Svizzera e in Francia.In Italia ci sono sovrapposizioni, campanilismi valligiani e politici, sprechi e mangiatoie, esaltati, che non fanno onore a nessuno, anzi.Lo ripeto, tanto di cappello per chi ci crede (ci sono passato anch’io) e si dedica al soccorso volontario, ma il CNSAS com’è oggi, non dovrebbe esistere.Il soccorso in montagna, così come in mare e sulle strade dovrebbe farlo lo Stato attraverso le sue emanazioni militari e non un corpo affiliato a un’associazione dilettantistica.
Dall’istruttore CAI si pretende: dedizione, preparazione, competenza, aggiornamenti, rsponsabilità personale.
Ma come ma alle SUE scuole il CAI non gli da l’attrezzatura da usare nei corsi?
Il soccorso alpino mi risulta che venga rifornito di attezatura e abbigliamento .
Oppure mi sbaglio?
E gli istruttori (CAI) devono usare la propria attrezzatura per garantire il funzionamento dei corsi.
Non sono motivato a commentare questo lunghissimo e noioso articolo, perché sono fuori dal CAI che non mi rappresenta più. Lo faccio con molto ritardo per togliermi un sassolino dalla scarpa. La relazione è lunga, pesante, stancante. LE SOLITE PAROLE PER NON DIRE CHIACCHIERE. Ci sono argomenti che mi hanno infastidito, che ho molto criticato, con I presidenti ed altri importanti big dello staff, ovviamente senza avere risposta. Ho il tipico peso allo stomaco, riguardo AI SOLDI PUBBLICI – LE BICI – I GIOVANI. L’Associazione non ha scopo di lucro, è indipendente, apartitica, aconfessionale ed improntata a principi di democraticità. Uniforma il proprio ordinamento allo Statuto ed al Regolamento Generale del Club Alpino Italiano. Essa opera in forma di azione prevalentemente volontaria… MA FILO GOVERNATIVO … OMISSIS…
Però, pur essendo APARTITICA, ha ricevuto negli anni, contributi, i SOLDI PUBBLICI, da TUTTI I COLORI POLITICI. Il 18 DICEMBRE 2015, il presidente generale del CAI, Umberto Martini, è soddisfatto perché, l’onorevole Roger De Menech, vicepresidente del Gruppo interparlamentare per lo sviluppo della montagna, (parlamentare bellunese eletto nelle fila del Partito Democratico), ha regalato al CAI, un milione di euro all’anno, soldi pubblici. Il ministro del Turismo Garavaglia, il 14 febbraio 2022, ha messo a disposizione del Cai, (REGALATO), 5 milioni di euro. (IN SETTE ANNI SI È QUINTUPLICATO!). Ma C’è anche il CNSAS che è stato potenziato. Ora c’è Daniela Santanchè… ministro del turismo! Una mia riflessione è, che 346.101 soci del CAI, X 50 EURO ISCRIZIONE = CIRCA 17 MILIONI – PIU’ 6 MILIONI REGALATI DALLO STATO – TOTALE 23 MILIONI. Ci saranno altre entrate, dalla vendita per esempio delle magliette ed altro. Insomma, COSA CI FA IL CAI CON QUESTI SOLDI? Senz’altro verrà spiegato sul bilancio di fine anno … entrate/uscite.
E l’idea malsana di Montani sulle bici? sia la normale che quella a pedalata assistita, sarà sempre più presente in montagna. Montani, ha mai incontrato le bici? Hanno avuto rispetto del pedone? Ha visto nei ripidi pendii le ferite del terreno… dovute alle frenate che, con l’acqua, provocheranno dissesto? E IL CAI VUOLE INCORAGGIARE QUESTA DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE? CHIACCHIERE.
Altra illusione di MONTANI, I GIOVANI– Al nostro interno dobbiamo ripartire dalle giovani generazioni, le più sensibili alle tematiche ambientali e capaci, soprattutto, di declinarle nei comportamenti della vita quotidiana “. I giovani, molto tecnologici ed affascinati da stupide fantasticherie, hanno voglia di alzarsi presto, faticare, portare il peso dello zaino, soffrire il freddo e fenomeni meteo, per tornare stanchi a casa? Penso proprio di NO!
Salve. Grazie della bellissima e accurata relazione.
Comunque 6 milioni di euro dati dallo Stato non sono pochi. Complimenti!
PS. Non ho letto commenti sulla TAV e l’impatto ambientale in Val di Susa… chissa’ come mai? Ma forse con tanto da leggere mi e’ sfuggito.
Ma importante e’ che i bivacchi siano smontabili.
Ho anche appreso cosa significa CAAI: pensavo fosse il guaito di un cane dolorante, solo adesso apprendo che la seconda A sta per “Accademico”. Umilta’ al primo posto.
Ancora complimenti.
Minkia, mi distraggo un attimo e mi si cita Arthur C. Clarke!
#34 …non è fantascienza, è esattamente il vissuto della nostra(nostra?)premier!
😉
@ 33
Ricordo uno stupendo romanzo di fantascienza: Incontro con Rama. Se vi capita sotto mano, leggetelo! È il piú emozionante che io abbia mai letto, e il sottoscritto in fatto di fantascienza è piuttosto esigente.
Orbene, Rama – questo è il nome che le è stato affibbiato dalla Terra – è una gigantesca astronave aliena che vaga nel cosmo e un bel giorno si trova a transitare nel Sistema Solare.
Gli esploratori terrestri la ispezionano dappertutto. A bordo ci sono incredibili robot per la manutenzione, poi si scopre che nell’astronave tutte le cose esistono in triplice copia. Però i “ramani” non saltano fuori e alla fine tutti sono sconsolati: non ci hanno capito pressoché nulla e si rendono conto di essersi lasciati sfuggire un’occasione irripetibile nella storia dell’umanità.
Tuttavia, proprio quando cala il sipario, al comandante si accende una lampadina in testa: “I ramani fanno tutte le cose tre alla volta. Avremo altre due occasioni”.
Ecco, nel caso del nostro Carlone direi che non ci si deve proprio preoccupare. Se non si capisce ciò che ha scritto la prima volta, voi sapete che “i crovelliani fanno tutti i commenti settecentoquarantasette alla volta”.
Olé.
Carlo Crovella, abbiamo capito che le piace questa presidenza. Grazie per l’informazione, ma anche basta.
Il 55 anni socio CAI ricorderà che l’Associazione letteralmente CORRE DIETRO ai cambiamenti che minerebbero la sua regalità: dopo anni di attacchi alla “arrampicata sportiva”, tutt’un tratto il CAI apre corsi di arrampicata sportiva. Perché? Semplice, per paura di perdere una bella fetta di possibili giovani soci… Quanto alle belle parole, vedremo se, come sempre, rimarranno tali o avranno un seguito pratico, non a livello centrale ma a livello locale…
Una libera associazione CAMBIA i suoi connotati solo quando e se la platea dei suoi associati (o dei suoi “associandi”, cioè potenziali prossimi soci) richiede a maggioranza che l’associazione cambi. Sennò, non c’è esigenza di cambiarla e sarebbe una specie di “colpo di stato” forzare i cambiamenti strutturali.
Mi pare cha la grande pancia dei soci CAI non desideri affatto un CAI diverso dall’attuale, ovvero più o meno simile al CAI concepito da Quintino Sella (l’art 1 dello Statuto è esattamente lo stesso forgiato nel 1863 da Papà Quintino). Per esempio a me, che sono solo uno dei 346.000 soci, il CAI piace così com’è, cioè “quintinosellesco”. E’ vero mi piacerebbe un CAI un po’ più alpinistico e un po’ meno da polentate, ma sostanzialmente mi piace così com’è. Di conseguenza se il CAI cambiasse radicalmente la sua natura più profonda, probabilmente non mi troverei bene e quindi non rinnoverei l’associazione al CAI(come invece faccio da 55 anni consecutivamente, proprio perché mi trovo bene in “questo” CAI). Il giorno in cui la maggioranza dei soci dovesse esprimere la preferenza per modificare la natura quitinosellesca del CAI, se dopo eventuale battaglia congressuale, dovessi accorgermi che sono ormai in minoranza, non pretenderò che il CAI faccia quello che piace a me, ma ne trarrò le conclusioni e non rinnoverò più l’associazione. Nello stesso modo dovrebbero ragionare quelli che oggi non si trovano bene nel CAI: è scorretto pretendere che saia il CAI a corrervi dietro. Se non vi trovate bene, potete benissimo andare in montagna anche senza esser più soci del CAI.
D’altra parte le statistiche dicono che il numero dei soci nazionali è in aumento. Nel 2022 risultavano 326.000, ora risulterebbero 346.000, con un saldo attivo di 20.000 nuovi soci. Se il CAI non piacesse alla gente, avremmo cali annui dei soci, non aumenti. Quinti le manifestazioni di “non gradimento” circa la natura del CAI (o la sua obsolescenza), se da un lato sono legittime ai senso dell’arti 21 della Costituzione della Repubblica Italiana (libertà di espressione), dall’altro non hanno nessun valore di “costrizione” sul CAI a cambiare e/o ad ammodernarsi forzatamente. Se il CAI cambierà, ciò avverrà in modo fisiologico, passo dopo passo, assemblea dopo assemblea, (in archi temporale che sono inevitabilmente lunghi), sempre seguendo le norme procedurali previste da Statuto e Regolamenti dell’associazione.
L’univa cosa che è positivo fare è dare una “sveglia” ad una gestione centrale che effettivamente si era un po’ addormentata negli ultimi 15-20 anni. E di fatti la gestione Montani proprio questo sta facendo. Lo si vede da diverse iniziativa varate nei mesi scorsi, ma anche il congresso, di cui a questo articolo, lo dimostra pienamente, sia nella natura dell’evento in sé, sia nelle tesi espresse.
La cosa che trovo divertente e nello stesso agghiacciante è che in 160 anni una Associazione non sia, in fondo, cambiata di una virgola. Persino il Vaticano ha fatto cambiamenti! Ma si capisce, come dice Crovella, che la palla di pongo è stata creata per difendersi. Da chi? Da cosa? Perché? Semplice: dalle ventate di cambiamento che stanno ovunque ma che terrorizzano il CAI… Siamo nel 2023, non c’è più la Sabaudia, i Sella son tornati a fare i banchieri e persone di quel calibro il CAI di oggi se le sogna…
28. Non solo non è l’unico, ma probabilmente è l’ultimo. E una motivazione se la dovrebbero dare. Di funky fusk ce ne sono a volontà e anche di tutorial su come fare cosa. 61000 visualizzazioni (x adesso) se le sognano al CAI.
Come ribadito spesso da Crovella, ormai il Cai non è più l’unico modo per avvicinarsi alla montagna.
Oggi c’è Funky Fusk!
https://www.instagram.com/p/CkQL751tCaW/
Prima riga del commento precedente, leggasi:
“Non c’è granché da fare”.
Non c’è granché da nulla. La palla di pongo si è costituita, anno dopo anno, direi quasi “assemblea dei delegati dopo assemblea dei delegati”, a partire da 160 anni fa- Tra l’altro occorre tener conto del punto di partenza, cioè la specifica impostazione originaria del CAI ottocentesco, nato a Torino, creato dalla mente di Quintino Sella che non era certo un pericoloso rivoluzionario… E’ quindi un’associazione che ha fin dall’origine il carattere istituzionale – Quintino Sella l’anno dopo (1864) è diventato Ministro – e si è sempre sviluppata in modo coerente rispetto alla sua natura originaria.
Per quanto riguarda l’oggi e la palla di pongo. Innanzi tutto dobbiamo distinguere, nella platea in essere dei soci del CAI, due grandi categorie: A) quelli che acclamano l’esistenza della palla di pongo, o quanto meno non la trovano fastidiosa (tutti questi sono “felici” di stare nel CAI così com’è e quindi sono, per capirci, i “conservatori” del CAI caiano, fra i quali va inserito senza dubbio il sottoscritto) e B) quelli che, invece, detestano la natura caiana del CAI e vorrebbero contrapporsi alla palla di pongo.
Questi ultimi, che a mio parere fanno tanto chiasso ma numericamente sono una minoranza rispetto al totale (aggiornato) di 346.000 soci nazionali, di fronte alla palla di pongo hanno tre scelte operative:
1) Possono puntare a scalzare la palla di pongo (ma finora – 160 anni! – i tentativi in tal senso si sono sempre infranti e i loro autori se ne sono andati con le ossa rotte). Cmq nulla osta a provare di nuovo a infrangerla, basta mettersi di buona lena, anziché continuare a frignare (frignare da solo non cambierà mai nulla, bisogna impegnarsi in ardue battaglie congressuali, andando all’assemblea nazionale – avendone le credenziali previste dalle norme statutarie del CAI – e cercando di modificare le norme che “blindano” il CAI caiano… La vedo dura, ma non voglio impedire a nessuno di provarci: basta però che ci proviate davvero, senza continuare a frignare e basta);
2) Possono cercare di convivere (sia con la natura caiana del CAI che con la palla di pongo), sapendo di continuare a stare in un club che detestano (dal mio punto di vista è una scelta inconcepibile: tra l’altro costoro saranno sempre “infelici” e continueranno a frignare per i secoli dei secoli);
3) Oppure tagliano la testa al toro e se ne vanno direttamente (e così la palla di pongo dimostra che è talmente forte che alla fin fine è lei che “vince”).
Personalmente, essendo io molto addentro al CAI e tra l’altro da 55 anni (cioè non da due orette…), sono arciconvinto che il CAI non cambierà mai, specie se per “cambiamenti” intendiamo delle mutazioni strutturali alla radice. L’unica cosa che si può fare è quello che egregiamente sta facendo l’attuale PG Montani (e con lui il gruppo dirigente), cioè dare una sveglia (rispetto agli ultimi 15.-20 anni, decisamente sonnacchiosi), ma sempre all’interno del solco della tradizione del CAI. Ecco perché mi piace questo PG: perché concretizza delle novità, ma si tratta sempre di novità dentro il solco della tradizione e non in conflitto con la tradizione del CAI.
Le abitudini uccidono il piacere delle cose e appiattiscono la vita portando alla noia e al pericolo di non fare più quella determinata cosa perché va fatta ma per l’abitudine di farla.
Esempio pratico: forse l’unico rischio nell’arrampicata sportiva e quello di dimenticare di legarsi alla corda. Chi arrampica molto non dovrebbe mai legarsi per abitudine ma solo per utilità funzionale alla sicurezza. Invece succede, molto più spesso di quanto si possa immaginare, che esperti arrampicatori ovviamente “abituati” a legare la corda all’imbrago prima di arrampicarsi, si dimentichino di terminare il nodo che stavano facendo con conseguenze terribili. Mi vengono in mente casi illustri come Lynn Hill, Manolo, Pederiva…
Quindi anche nella vita di tutti i giorni è sempre meglio non fare nulla per abitudine.
Ma secondo Crovella la palla di pongo caiana è frutto anche di abitudini. Che fare?
Bella scoperta che il CAI è così fin dalla nascita! Lo dico da secoli. E non è necessario andare indietro fino a Quintino Sella. A fine degli anni 60 Renato Chabod, in precedenza (nei 30) accademico di lustro e perfino compagno di cordata di Gervasutti, era Presidente Generale del CAI e proprio in quegli anni era anche Vice Presidente del Senato della Repubblica, dove era stato eletto in quota PLI. Per far capire a tutti, è come se, oggi, avessimo PG del CAI tal Maurizio Gasparri di Forza Italia (anche se, a esser precisi, Gasparri non è più VP del Senato da 15 gg circa, per avvicendamenti interni). Molti altri sono i collegamenti fra CAI e potere istituzionale e arrivano f8n9 ai giorni nostri, ma è corretto che sia così: il CAI è istituzionale, cioè fa parte itegrante della grande architettura istituzionale del sistema e in questo senso è fisiologico che il sistema lo finanzi. Il CAI non è anti-sistema e io penso che non lo sarà mai. In una parola, il CAI è “caiano”. Non è il CAI che sbaglia a esser caiano, invece sbaglia di grosso chi pretende dal CAI che esso volti le spalle alla sua natura caiana. Un CAI “non caiano” non sarà più il CAIe quindi non avrebbe posto nel sistema istituzionale.
Discorso completamente diverso per quanto riguarda la “palla di pongo”, che non è il CAI, cioè non è la sua natura intrinseca, ma e’ un insieme di prassi, strategie, abitudini, insomma una melassa difensiva, che il CAI caiano ha elaborato nel corso dei decenni per rendersi immune dai tentativi di cambiamento strutturale. Ora però non voglio perder altro tempo a RI-spiegare il concetto di palla di pongo, che ho abbondantemente descritto anche più volte (per cui: è agli atti).
Qui mi preme puntualizzare un concetto che è questo: la natura caiana del CAI è una cosa, la palla di pongo è un’altra cosa,sindipendente dalla prima, ma strumentale alla difesa della prima. Abbozzo un esempio per farmi capire: Israele è una cosa, il suo sistema difensivo antimissile è un’altra cosa, ma serve per garantire l’integrità di Israele.
21 me stesso: ho saltato la frase dopo. “Il problema è che è nato così (sabaudo, aristocratico, potere lui stesso) ma in realtà non è mai cambiato, anche se ha perso i personaggi di un tempo… Avrebbe altrimenti avuto mille e mille occasioni per “opporsi” a quanto svariati governi han fatto o lasciato fare..,.
Palla di pongo, o anche muro di gomma… Che non suona proprio carino, in questo Paese…
Matteo, io ho scritto chiaro perché deve essere filogovernativo: 6 milioni di euro ogni anno… Una volta, al di là di quel che dice Crovella, lo era perché i suoi dirigenti e la maggior parte dei componenti erano loro stessi parte di governi e/o del cosiddetto potere, almeno fin quando il “potere” era nella Sabaudia… Quintino Sella, il fondatore, era un ministro della Real Casa, il barone Giovanni Barracco era considerato il più ricco proprietario d’Italia, Paolo Ballada di Saint Robert, conte, tenente colonnello e direttore di polverifici militari… Tutti poveretti e lontani dal potere 😀
@19 Non è che il CAI “deve” esser filogovernativo: lo è per DNA intrinseco, fin dalla sua costituzione. Il CAI è’ nato così e si è sviluppato così (in 160 anni!), a tal punto che sradicarne questa caratteristica significherebbe snaturale il sodalizio alle fondamenta. Ipotesi impensabile per la nota “palla di pongo” che è il meccanismo che il CAI ha elaborato (al di là di norme e regolamenti) per mantenere intatte le sue caratteristiche. Non ci credete, all’esistenza della palla di pongo? Impegnatevi in qualche battaglia e la conoscerete di persona.
In realtà non capisco il ragionamento secondo cui il CAI dovrebbe essere filo-governativo a prescindere…credo dovrebbe, per statuto, essere a favore della montagna e qualora il governo dovesse (parlando per assurdo, naturalmente!) assumere posizioni contrarie al benessere delle terre alte dovrebbe anzi essere istituzionalmente anti governativo.
Comunque mi piace molto la voce dal sen fuggita che fa scrivere a Crovella “governo in carioca” perché mi pare renda perfettamente la caratura morale, culturale e politica del “camaleontico” governo in carica!
🙂 🙂 🙂
@ Placido Mastronzo al 16. “I nemici sono come i denti cariati, o li elimini o li ricopri d’oro”.
Dice bene e molto chiaramente Crovella quando definisce il Cai come una palla di pongo.
Da una palla di pongo bisogna aspettarsi azioni di pongo. E questo è quanto.
Crovella al #5:
Più che “super partes” (espressione più adatta a chi deve giudicare qualcosa) io direi che il CAI è trasversale.
E di certo il CAI non deve (o meglio: non dovrebbe) essere sempre e comunque appiattito sulle posizioni del governo in carica, di qualunque colore esso sia: se una delle missioni del CAI è la difesa dell’ambiente naturale delle montagne, ecco che è suo DOVERE opporsi ad eventuali provvedimenti che contrastino questa missione.
E’ ovvio che siano solo parole: è un convegno, mica poteva materializzarsi il Cristo Pantocratore con le relative soluzioni miracolose e immediate!
Vedremo se e cosa ne sortirà solo nel prosieguo…certo però che veder coinvolta gente come la Santanché o Pichetto Fratin non mi lascia proprio tranquillo, tranquillo
Il tentativo di Montani di svecchiare il CAI è lodevole. La strada però è lunga: la percentuale di ‘ottuagenari dentro” che ne compongono i ranghi è grande. Per esempio, quando si costituisce un Gruppo giovani che include gente tra i 18 e i 40 vuol dire che si è vecchi dentro. Una cosa è evidente: il posizionamento sul terreno politico del Montani che si sta preparando la personale carriera futura maneggiando abilmente pensieri parole opere e omissioni. Per tutto l’accenno all’uso dei mezzi pubblici – che non esistono – per recarsi in montagna: tre righe dopo dice che però non esistono.
Il CAI sempre più come una Pro loco globale dei monti, utile a organizzare sagre dello spezzatino e polenta o poco più, ad onta delle sue ambizioni.
Al volontariato se non gli dai corda, non lo vedi più. A forza di ripeterlo la so a memoria.
Il CAI è filogovernativo a prescindere dal colore politico SOLO perché incassa dallo Stato circa 6 milioni di euro ogni anno… Questa è la verità… Per il resto come sempre (ricordo i tempi del rivoluzionario Bidecalogo) chiacchiere. Belle, ma chiacchiere. Poi, quanti dei convenuti sono andati in treno? Quanti in auto? Quanti in aereo? Vedremo i fatti, ma soprattutto nelle Sezioni che, ricordo, sono “enti” autonomi rispetto alla Sede centrale. E quindi, alla fine, spesso fanno quel che gli pare e soprattutto gli fa comodo…
Temo sia il solito convegno di belle parole, sorrisoni e ospitate, mentre poi i fatti riportano tutto alla solita, modesta realtà. Mi ha stupito non poco la presenza di Marco Albino Ferrari, visto quanto è accaduto con la presidenza.
Proprio bei discorsi.
Discorsi, appunto.
Come considerazione finalesulla devastazione apuana mi sembra un pò stringata. Ma vedremo diamo fiducia. Una cosa però, l’escavazione corre sempre più veloce, adesso a a Carrara si sono inventati anche i contenitori di marmo per i panettoni di lusso, vedere articolo del Tirreno, (io ero rimasto alle conche per il lardo) . Quindi non andiamo troppo in là nel futuro, altrimenti addio…Apuane.
Stefano, stai bene? Dimenticato le pilloline stamattina?
un grande spirito di dibattito interno
eh?? Dibatto interno? Un monologo “green”, basato sulle solite litanie “il climate change”, la Terra è morta, siamo troppi, etc. Un pensiero unico REGRESSISTA.
Cmq sul rendere la frequentazione in montagna meno agevole (con meno rifugi) sono pienamente d’accordo.
Fa a meno di leggerli Skeno, non te li suggerisce il medico per stare meglio.
O vuoi una censura fascista pure te?
Alla faccia di chi sostiene che il CAI sia omai uno zombie o un Mammuth ibernato!
Il CAI è bello vivo e vegeto! Ed è vulcanico e animato da un grande spirito di dibattito interno ( visto che, anche fra gli oratori del Congresso, vi sono testi non perfettamente “fotocopia” l’una dell’altra). Tutto ciò è una ricchezza culturale e ideologica per il Sodalizio. E’ linfa vitale e difatti il CAI dimostra, non solo in questo Convegno, che è bello vivo e particolarmente vivace.
Devo dire che non conoscevo il Presidente Montani prima della sua elezione, ma che sono molto contento che, oggi come oggi, sia proprio lui a ricoprire la carica apicale del CAI. Ovviamente Montani è la punta dell’iceberg di tutta la squadra dirigenziale, a cominciare dagli altri componenti del Consiglio centrale (passando dai collaboratori della Sede Centrale e, via via, arrivando fino ai responsabili delle più sperdute e piccole Sezioni). Per cui non mi limito ad apprezzare esplicitamente il “solo” Moantani, ma allargo i miei complimenti a tutti coloro che si danno da fare per il CAI, sia a livello centrale che locale. Da semplice socio quale sono ora (per vari motivi che è irrilevante raccontare e che non c’entrano con il CAI, di cui sono socio da 55 anni consecutivamente – mio padre mi iscrisse quando avevo 9 anni: il merito della mia iscrizione va ascritto a mio padre, il mio piccolo merito è aver coltivato senza soluzioni di continuità il mio attaccamento al CAI per 55 anni, ho dato molto al CAI, ma ho ricevuto sicuramente di più dal CAI), bene, da semplice socio quale sono, affermo pubblicamente che mi riconosco pienamente delle azioni del Presidente in carica e del Consiglio Centrale. Come sempre: ad altiora! Ogni vetta raggiunta deve essere uno stimolo a fare sempre meglio. Sono convinto che questo Presidente e questo Consiglio (nonché a cascata tutti i responsabili dislocati sul territorio nazionale) sapranno fare sempre meglio.
Piccola nota collaterale. Non stento a credere che gli interventi degli esponenti politici siano apparsi un po’ “superficiali” all’occhio critico di chi va in montagna da decenni, ma nessuno dei tre personaggi coinvolti – almeno epr quel che mi risulta – ha esperienze personali e dirette dell’andar in montagna. E’ come se uno qualsiasi di noi fosse intervenuto al Congresso dei chirurghi o a quello degli appassionati di giro del mondo in barca a vela e in solitaria… Salvo rarissime eccezioni, tutti noi appariremmo un po’ dei pesci fuor d’acqua.
Mi preme invece segnalare un risvolto che, al giorno d’oggi, sfugge ai più o, se non sfugge, innesca in genere reazioni di fastidio: il coinvolgimento di personalità politico-istituzionali conferma che il CAI è sempre stato e sempre sarà “filogovernativo”. Intendo dire: il CAI non è e non deve essere un sostenitore di questo specifico governo, ma di qualsiasi governo, cioè del governo in carioca, a prescindere dal colore del governo. Questo è basilare per preservare la natura pluralista e superpartes del CAI: se vogliamo che il CAI abbracci la più ampia platea di soci (che, fra loro, magari la pensano in modo diverso), il CAI deve esser sempre filogovernativo e filoistituzionale. SChi invece sostiene che il CAI possa o debba invitare “solo” esponenti politici di una parte e non quelli dell’altra parte, allora chiedono implicitamente che il CAI assuma una posizione politica (in particolare partitica), e ciò minerebbe alla sorgente la sua natura pluralista e superpartes.
Leggere certi commenti fa cadere le braccia.
“l giovane quasi certamente preferirà salire a piedi, convinto di dare esempio di risparmio energetico; la scelta di una persona più matura invece sarà offuscata dalla convinzione che comunque la scala mobile si muove per gli altri utenti e dunque che la sua scelta se sfruttarla o meno sia del tutto ininfluente nel computo energetico finale.”
ahahaha… siamo alle comiche… il giovane che rinuncia alla scala mobile… ma se sono proprio loro che non muovono un dito se non hanno qsa di mecanizzato che gli aiuti.
Bravissimo Bruno, bici vuol dire movimento molto limitato, vuol dire abolizione dei mezzi di locomozione a combustibile fossile, vuol dire avere un area di movimento limitato (si arrivera’ alla citta 15 minuti).
La gente è stupida tutti seguono il mantra dominante adesso che hanno la pancia piena, ma si stanno scavando la fossa con le proprie mani, altro che i periodi di siccita’ e caldo di Frattin, in Germania sono stracolmi di neve. Altro che gli impianti non avranno neve.
Se la gente segue questa agenda 2030 che poi avra’ la sua realizzazione nel 2050 vivra’ nel comunismo(energia condivisa, mobilita’ tendente a zero, citta’ 15 minuti come nella Russia comunista, etc).
Questa elite di mafiosi vuole indorarvi che la Terra sta morendo (si morendo con dall’altra parte 800 centrali a carbone di cui 200 previste per il 2024…altro che sta morendo) la pillola ma vuole via moneta digitale controllare anche i peli del vostro buco di c…
«La bici, sia la normale che quella a pedalata assistita, sarà sempre più presente in montagna, quindi dobbiamo fare educazione sul suo uso e non limitarci a dire che non va usata, se non interveniamo resteremmo fuori da quel mondo». (Antonio Montani). Meglio restare fuori che diventare complici di un mondo che confonde lo sviluppo della tecnica con il progresso dello spirito.