Tramite la sua rubrica fissa Sentieri Franco de Battaglia risponde, su vitatrentina.it, a lettere e segnalazioni varie dei lettori. Uno di questi, Maurizio Gentilini, gli ha inviato la notizia dello “sdoganamento” di una centralina da realizzare in uno dei pochi angoli rimasti ancora autentici della val di Fassa.
“Caro Franco de Battaglia, si preparano ad intaccare anche la Val Duron, con un improbabile progetto di sfruttamento idroelettrico. Il Rio Duron è stato ‘’tutelato’’ da tutti gli uffici tecnici della PAT (Provincia Autonoma di Trento, NdR), ma ora la Giunta provinciale dà l’ok all’iter per l’opera. Risale al 2013 la richiesta del Comune di Campitello di Fassa; nel 2014 APPA (Agenzia Provinciale Protezione Ambiente, NdR), Bacini Montani, Servizio Urbanistica e Servizio Foresta e Fauna della Provincia dicono che ‘’la derivazione non è accettabile’’, che il ‘’progetto porterebbe un notevole impatto sull’attuale disponibilità idrica’’, ci sarebbe un ‘’incremento della vegetazione in alveo’’ e altro ancora. Pochi giorni fa, però, a sei anni di distanza, l’iter è stato fatto ripartire dall’assessore Mario Tonina. Per chi – come me – conosce bene il posto, sa che durante i fortunali estivi (e non da oggi) la portata d’acqua sale enormemente e a velocità impressionante, le esondazioni in tutta la valle sono frequenti e la gola sopra Campitello può rivelarsi un “tappo” micidiale (Maurizio Gentilini)”.
La centralina sul Rio Duron, tre motivi di contrarietà
di Franco de Battaglia
(pubblicato su vitatrentina.it il 28 agosto 2020)
L’ annuncio dello “sdoganamento” della centralina sul Rio Duron, sopra Campitello di Fassa, è venuto a luglio, proprio in coincidenza con la commemorazione della tragedia di Stava, a 35 anni dalla valanga d’acqua e di fango che tutto travolse quel 19 luglio 1985, tracimando dai bacini di Prestavel, provocando un dolore (268 furono i morti) ancora vivissimo in tante famiglie.
I “tempi” dell’annuncio sul Duron (dopo sei anni di rigorosa professionalità degli uffici provinciali, ed altrettanti di ben immaginabili “pressioni” da chi vuole piegare il territorio ai suoi interessi ed usa la politica non certo per tutelare il bene comune) potrebbe apparire frutto di disattenzione da parte della Giunta provinciale. Ma l’impressione, suffragata anche da altri recenti annunci, è che con il pretesto di Vaia e del CoVid-19, del necessario rilancio per restituire fiato all’economia, venga data libertà d’azione ai più deleteri progetti di sfruttamento e saccheggio del territorio: “Fate soldi comunque!”. Laddove, se c’è qualcosa da imparare dalla lezione di questi due distruttivi colpi del destino, questa è che il nostro mondo necessita di un sistema di sviluppo diverso, più “leggero” e rispettoso, più distanziato.
Sono ben presenti, a chi segue le notizie provinciali, i casi della via “forestale” a Paneveggio, la proposta di “ampliare” la strada dei passi dolomitici per accostarle una pista ciclabile, così che ne uscirà un orrendo e impraticabile stradone, e il rendering del piastrone-salone dei Brentei, suscettibile di sconvolgere tutta la percezione del Brenta per chi arriva al rifugio. Manie di grandezza che accecano e perdono chi le promuove.
Quanto a Duron, è una piccola valle di storico collegamento fra Fassa e Alto Adige, fra il Sassolungo e l’Antermoia, verso il Giogo di Fassa che porta all’Alpe di Siusi. È il cuore delle Dolomiti trentine. Voler trasformare il rio che la percorre in condotta idrica significa non amare il proprio territorio, e averne perduto il significato, storico, ma anche turistico.
Perché è poi facile dire “centraline”, ma chi le ha viste ha potuto misurarne l’impatto. Non a caso la Val di Sole è impegnata in una meritoria, grande campagna “contro”.
Sulla Val Duron tre osservazioni possono essere fatte. La prima è politica, la seconda ambientale, la terza di prudenza e sicurezza per il paese. Se dal 2014 in avanti, per ostinata insistenza, nonostante i pareri contrari di tutti gli uffici il potere politico dà “via libera” all’impianto, significa che siamo in presenza di una prepotenza che scavalca gli stessi equilibri dell’autonomia. L’assessore Mario Tonina ha dimostrato, anche in passato, di essere attento a questi problemi, ed è un merito, non una debolezza, saper trasformare una riflessione in un ripensamento.
Il secondo punto è che una “centralina” all’ingresso della Val Duron ne sconvolgerebbe non solo l’immagine, ma infliggerebbe un marchio di banalità insopportabile ad una delle porte d’ingresso più ricche di fascino di tutto il mondo dolomitico.
La terza riguarda la sicurezza, perché detto proprio schiettamente, non è davvero una cosa simpatica avere un impianto idroelettrico sopra la testa. Nessun allarmismo, per carità, ma Campitello sorge sul conoide alluvionale del Rio Duron. Certo se l’opera si farà le garanzie saranno rassicuranti, ma si sa che in montagna l’acqua sopra la testa è sempre inquietante per i suoi imprevisti. Chi avrebbe immaginato a Dimaro il disastro che ha travolto il campeggio? E nella stessa Stava ognuno, formalmente, aveva fatto i controlli di sua spettanza. Quanto alla diga del Vajont non è mai crollata, è ancora lì, intatta, è stata l’acqua a scegliere un’altra strada, ad andare oltre la diga. Merita fare attenzione. Sul Duron il progetto prevede la derivazione dell’acqua a 1835 metri e la restituzione a 1485. Il paese si trova a una quota di 1448 metri.
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Il sindaco di Campitello di Fassa spinge con forza sull’acceleratore. Quella centrale «permetterà al Comune di fare cassa». Parliamo dell’impianto per lo sfruttamento idroelettrico del Rio Duron. A spingere è il sindaco di Campitello Ivo Bernard che, con la sua giunta, spera che il permesso per realizzare la struttura possa arrivare tra pochi mesi. Si tratta della Valutazione di impatto ambientale per una centralina che, a suo dire, è necessaria per il territorio.
La centrale e le strutture connesse, stando al progetto, dovrebbe costare 2.250.000 euro. Questa la stima originaria che il primo cittadino ricorda essere stata fatta all’inizio dell’iter politico- amministrativo. Ed è Bernard a spiegare che realisticamente costerà di più. Bernard è al secondo mandato.
«L’input iniziale viene dall’amministrazione che mi ha preceduto, quella di Renzo Valentini, ma io l’ho promossa».
La centrale – dice – potrebbe essere gestita da «una società in house». «Tutto in mano al Comune. Lo fanno nelle Giudicarie e gli introiti sono notevoli».
Bernard cita la delibera della giunta provinciale, datata 10 luglio 2020. «Dice che non esistono prevalenti interessi pubblici, diversi dallo scopo idroelettrico». E quanto farebbe guadagnare questo impianto industriale? «Difficile dirlo, calcolando che non ci sono i certificati verdi». Ma un’idea di massima ce la deve avere, facciamo notare. «Stando alle proiezioni si parla di 8 milioni in 20 anni di sfruttamento».
Il sindaco cita anche il 25% di compensazione in opere a favore dell’ambiente.
«Serve l’adeguamento del progetto gestionale e un masterplan sul finanziamento. Ci deve essere la condivisione con i Servizi provinciali. Poi è tutto a posto». Ipotizza che lo sfruttamento del Rio Duron possa iniziare nel 2022 o 2023.
Il progetto è contestato da molti, anche dall’associazione Mountain Wilderness. «La fanno passare come energia
rinnovabile – dice il presidente Luigi Casanova – quando in realtà è solo l’ennesima speculazione. Pensiamo solo a cosa può voler dire “raddrizzare” un corso d’acqua a quella quota in una zona affacciata su un patrimonio Unesco».
Proprio quello di cui ha bisogno la val di Fassa…un altro po’ di cemento e strade di servizio