La cima

La cima
(Intervista ad Alessandro Gogna)
di Franco Michieli
(6 maggio 2003)

Per te raggiungere una cima significa qualcosa di speciale? E’ solo l’eventuale conclusione di una salita (dove inizia la discesa) o a volte provi qualcosa che dipende dal particolare ambiente che si trova dove la montagna finisce nell’aria?
Ciò che la vetta esprime in me che la calco è semplicemente il limite che io stesso ho dato al mio sogno affinché questo potesse avere una parvenza di realtà. Per un po’ si cerca di spostare il limite con vette sempre più difficili, poi questo genere di limiti rivela la sua inferiorità rispetto alla fantasia, esattamente come il corpo prima o poi deve arrendersi alla fantasia e allo spirito. E così la realtà diventa un’altra che comprende la prima.

Se la cima rappresenta qualcosa, per te è più che altro un traguardo sportivo, cioè il punto di arrivo che convalida un’ascensione, oppure è luogo di sensazioni che dipendono dall’espandersi del cielo sopra, intorno e sotto di te? Eventualmente, sapresti descrivere brevemente queste sensazioni?
Dipende dall’individuo vedere la vetta come traguardo sportivo o come qualcosa d’altro. Spesso però si fa confusione. Ne ho sentito parlare del fatto che a volte qualcuno ha sentito il cielo espandersi sopra e sotto. Personalmente non mi è mai capitato. E’ un’esperienza che potrei invidiare, ma questo pseudo annullamento della propria personalità nell’infinito mi ha sempre fatto paura se legato ad una conquista. Dovrebbe essere meno pericoloso se ottenuto con la meditazione.

Si dice da tempo che non la cima, ma “la via è la meta”; la catena, l’altopiano o la cengia sono divenuti da tempo punti di conclusione di moltissime scalate, non solo dei monotiri sportivi. E’ ancora possibile apprezzare una cima, e in che senso? 
Certo che è possibile apprezzare una cima, ma nell’unico senso possibile, cioè quello di dare un valore di realtà ai propri sogni, quindi campo libero alla fantasia nell’ambito di regole, le regole di un gioco. Se il gioco vuole la vetta, allora stiamo a quel gioco lì. Come sarà molto difficile inventare un gioco altrettanto affascinante di quello degli scacchi, così sarà difficile trovare qualcosa di davvero alternativo alla vetta. Certo che di tentativi ce ne sono stati e ce ne sono molti. Sarà il futuro a dirci quale gioco avrà la meglio nel XXI secolo.

Cosa pensi del fatto che più una montagna è celebre e “prestigiosa”, meno conta l’etica dello stile di salita per le folle che aspirano alla vetta? 
Penso che non valga neppure la pena accostare questa domanda alle tre precedenti. La risposta è scontata, banale come la domanda stessa.

Un’avventura in montagna si può svolgere anche senza prevedere alcuna vetta. Quali vantaggi o svantaggi emotivi, interiori o sportivi ti può dare un percorso di questo tipo? Eventualmente, sapresti descrivere brevemente le tue sensazioni quando sperimenti un itinerario di grande soddisfazione che non ha nulla a che fare con una cima? 
Beh, questo senz’altro mi è successo, di provare grandi soddisfazioni indipendentemente da una cima. Però c’è sempre stato un punto geografico, equipollente alla cima, che ne ha fatto le veci. In genere coincide con la fine delle difficoltà, con la fine del grande impegno. Per l’arrampicatore sportivo c’è la catena, per il free climber c’è l’altopiano, per lo speleologo c’è il fondo grotta, per chi gareggia c’è il traguardo. Per ognuna delle avventure c’è un punto di fine, con tanto di latitudine e longitudine. Penso che la vera bravura sia di non confondere il mero raggiungimento di questi punti con il successo interiore. Lasciamo che questo raggiungimento coincida solo con il successo esteriore.

Hai qualcos’altro da aggiungere sul desiderio della cima o sul suo rifiuto? 
Forse sì, ma magari in un’altra occasione, più dedicata e più personale.

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La cima ultima modifica: 2024-12-05T05:06:00+01:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “La cima”

  1. Per chi va in montagna, la “cima” non necessariamente coincide con la “vetta”. E’ l’obiettivo che ci si prefigge quando si parte e, nel raggiungerlo, si tocca il cielo con un dito!

  2. 3. Telleschi, trovo la tua visione come uscita dal racconto di qualche esploratore di 100 e passa anni fa. Oggi, tranne poche eccezioni nei gruppi montuosi più remoti, la cima è il luogo di tutta l’ascensione che meno rappresenta l’incontro tra terra e cielo, con i vari manufatti che l’uomo vi ha voluto erigere (perché l’uomo non può sopportare che esistano luoghi privi di un qualche segno della sua presenza) e con noi che ci facciamo i selfie, sperando che il cielo sia libero da droni con relativi ronzii.

  3. Non so in che ambito si sia svolta l’intervista, ma l’impressione è che sia stata vissuta da Gogna con un certo fastidio, che appare chiaro in due risposte, quasi fosse in un talk show penosetto del pomeriggio televisivo.

  4. L’incipit di una gran saggio, montanaro e anche bravo. Condivido tutto.
     
     

  5. Sicuramente la cima di una montagna può essere sentita come un luogo mistico che ci avvicina a qualcosa di superiore. Una specie di altare.  Ma l’identificazione con la natura non credo la si incontri  solamente sulla vetta, quanto piuttosto,  lungo l’esperienza del viaggio per arrivarci.
    Penso sia il viaggio (lungo, breve, facile, difficile, pericoloso, divertente, esplorativo, avventuroso, modaiolo, originale)  che ci fa assaporare in modo diverso il valore della cima.

  6. La cima delle montagne è un luogo mistico perché trasforma l’ascensione materiale in una ascesi spirituale. Dove la terra incontra il cielo è possibile vivere l’esperienza ineffabile di una completa identificazione con la natura, diventare nello stesso tempo sia terra sia cielo.

  7. Cosa pensi del fatto che più una montagna è celebre e “prestigiosa”, meno conta l’etica dello stile di salita per le folle che aspirano alla vetta? Penso che non valga neppure la pena accostare questa domanda alle tre precedenti. La risposta è scontata, banale come la domanda stessa.

    Le file di persone che come tante formiche s’inseguono, scavalcando cadaveri induriti dal gelo, su certe vie  di vette “prestigiose”, che costano paccate di soldi,  la dicono tutta di quanto conta lo stile di salita e quali sono i valori in gioco.

  8. Penso che non valga neppure la pena accostare questa domanda alle tre precedenti. La risposta è scontata, banale come la domanda stessa.
     
    Be’, questa risposta, su cui concordo pienamente, non fa certo onore all’intervistatore. 

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