La commissione del CAI “Uguaglianza di genere”

CAI, istituita la Commissione permanente “Politiche sociali – Uguaglianza di genere”. Due opinioni in merito nella Giornata della Donna.

Il comunicato del CAI
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 26 gennaio 2023)

Il Club Alpino Italiano, per la prima volta nei suoi 160 anni di storia, prende atto della presenza, all’interno del Sodalizio, di un divario tra i propri associati, denominato “Gender gap”. Istituisce pertanto con delibera presidenziale del 26 gennaio 2023 la Commissione permanente “Politiche sociali – Uguaglianza di genere”, il cui obiettivo sarà di perseguire attivamente gli obiettivi dell’Agenda 2030, in modo particolare il Goal 5 “Gender equality”, e di incoraggiare la parità di genere all’interno del Sodalizio con sguardo attento agli ostacoli che socie e soci trovano sul proprio cammino.

Fabiola Fiorucci © Fabiola Fiorucci

All’interno del corpo sociale del CAI la percentuale delle donne è significativa e in crescita (dal 32% del 2010 al 38% del 2022), ma essa cala drasticamente nei ruoli tecnici e verticistici, sia a livello centrale sia territoriale.

Le donne presidenti di Sezione sono infatti solo il 19% del totale, percentuale che resta invariata per quanto riguarda i Titolati e le Titolate (Accompagnatori e Istruttori) regionali.

La Commissione intende analizzare le cause di questo calo percentuale nei ruoli di vertice e trovare le necessarie modalità per invertire la rotta proponendo agli organi dirigenti le necessarie azioni politiche, regolamentari e associative.

A coordinare la commissione sarà l’Avv. Fabiola Fiorucci, Istruttrice di arrampicata libera e Past President del CAI Umbria.

«Ho accolto con favore l’invito del Presidente generale Antonio Montani a diventare la coordinatrice della Commissione. Sono tematiche in cui credo molto: le donne, come tutti coloro che hanno un qualsiasi ostacolo nella vita associativa, vanno assolutamente incentivate, utilizzando gli strumenti adatti per attuare politiche per la parità di genere. Personalmente sono l’unica donna a far parte della Scuola di alpinismo “la Fenice” di Ancona e posso dire di essere considerata assolutamente alla pari dagli altri Istruttori. Anzi, questi ultimi sono convinti che la mia presenza sia un valore aggiunto. È giusto che finalmente anche il nostro Sodalizio affronti una tematica così attuale e importante. Io sono un avvocato, conosco la legislatura in materia e assicurerò il massimo impegno per il raggiungimento degli obiettivi».

Oltre alla socia Fabiola Fiorucci, le componenti della commissione sono attualmente quattordici:

Laura Colombo (Vicepresidente generale), Marusca Piatta (Consigliera centrale), Milena Manzi (Consigliera centrale), Carla D’Angelo (Presidentessa Commissione centrale medica), Brigitta Faverio (Coordinatrice del Gruppo di lavoro Giovani), Letizia Rossi (Presidentessa Commissione centrale alpinismo giovanile), Anna Facchini (Presidentessa SAT – Società degli alpinisti tridentini), Milena Merlo Pich (componente Comitato scientifico centrale), Giulia Tabanelli (Presidentessa Sezione Lugo di Romagna), Agostina Piredda (Presidentessa sezione Reggio Calabria), Marika Novati (Presidentessa sezione Cantù, già membro del progetto “Libere in vetta”), Laura Posani (Past Presidentessa sezione Sem di Milano), Evelyn Franceschini (Presidentessa sezione di Pisa), Anna Bisognin (socia giovane CAI Montecchio Maggiore).

Sarà possibile in futuro ampliare la rosa di nominativi impegnati nella tematica.

Nell’ambito del progetto per il raggiungimento della parità di genere promosso nel 160esimo anno del sodalizio si inserisce inoltre l’attività di Auditing esterno in corso di svolgimento presso la sede centrale del Club Alpino Italiano a partire dallo scorso ottobre 2022.

Le finalità sono la valorizzazione delle competenze e delle inclinazioni dei professionisti e delle professioniste, nonché del personale attivo, al fine di progettare una riorganizzazione che tenga conto delle problematiche organizzative e strutturali fino ad oggi presenti in sede centrale.

Obiettivo ultimo sarà la richiesta della certificazione di parità di genere per l’Ente.

Il Sistema di certificazione della parità di genere è un intervento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a titolarità del Dipartimento per le pari opportunità, che ha l’obiettivo di accompagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate per ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne.

Un’attestazione riconosciuta alle imprese che abbiano attivato politiche aziendali tali da ridurre le differenze di genere, dagli squilibri di salario per parità di ruoli professionali, a quelli riferiti alle possibilità di carriera, fino alla tutela della maternità e ad ogni altra disuguaglianza uomo – donna riscontrabile in contesti lavorativi.

Il commento
di Carlo Crovella

Va innanzi tutto segnalato che la costituzione di tale Commissione CAI con delibera Presidenziale si inserisce all’interno della concretizzazione formale delle istruzioni previste dall’Agenda 2030 (in particolare Goal 5). Senza tale inquadramento generale (che non riguarda il solo CAI), probabilmente non si sarebbe giunti, almeno con questa tempistica, alla suddetta Commissione.

Non induca in errore la frase “Il CAI prende atto della presenza, all’interno del Sodalizio, di un divario tra i propri associati, denominato “Gender gap”: non è ammissione di una realtà oggettivamente problematica, incentrata su espliciti episodi di “sessismo”, ma deriva (come meglio precisato nella prima parte del soprastante articolo), dalla constatazione numerica della presenza femminile. A fronte di un numero crescente di socie, le cariche apicali (sia locali che nazionali) sono ancora in gran parte occupate da uomini. Tutto qui.

E’ corretto che si voglia intervenire per oliare alla perfezione i meccanismi interni, ci mancherebbe, ma a mio parere la fotografia numerica riportata NON è affatto conseguenza di una generale mentalità “sessista” del CAI. Semplicemente le donne hanno iniziato a muoversi cronologicamente più di recente, ma ciò è un fenomeno registrato nell’intera società, bel al di là dei confini del CAI. Siccome il loro cammino è iniziato più di recente, le donne stanno piano piano conquistando spazio in direzione di una parità “perfetta” con i colleghi maschili.

Carlo Crovella

Anche su questo punto vorrei fare una precisazione importante: la parità perfetta non è quella prettamente numerica (fifty-fifty), cioè Presidenti sezionali donne in numero pari ai Presidenti uomini. Non è interesse del CAI un obiettivo di questo genere (ma neppure della società nel suo complesso). Sullo scranno di responsabilità ci deve stare un individuo “capace”, a prescindere dal fatto che sia maschio o femmina. Le “quote rosa” sono un danno, sia per il CAI che per le donne. Avere un Presidente donna magari meno capace di un suo competitor uomo, ma nominata solo perché donna, non fa bene al CAI.

Quindi l’obiettivo non deve essere aprire alle donne purché siano donne, ma aprire alle donne “capaci”, rimuovendo i residui ostacoli che rendano loro meno probabile raggiungere cariche operative, favorendo così – per differenza – un uomo che andrà ad occupare quella stessa carica.

C’è un altro equivoco di fondo che desidero chiarire.

Non solo per il CAI, ma addirittura nell’intera società (quindi anche ben oltre i confini del CAI), una qualsiasi Commissione Pari Opportunità NON è una specie di polizia giudiziaria interna che colpisce eventuali atti esecrabili sul piano delle relazioni dirette fra individui. Atti di maschilismo, per capirci, che siano avances, molestie, violenze o anche solo il clima goliardico che storicamente accompagna (in termini intelligenti e moderati) le uscite collettive in montagna.

Deve essere chiaro a tutti che “parità di genere” è concetto ben diverso da “perseguire i molestatori”: oggi invece, nell’intera società, si tende a confondere o almeno mescolare i due concetti.

Limitiamoci alla realtà del CAI: eventuali atti “esecrabili”, ammesso che abbiano risvolti giuridicamente rilevanti, vanno denunciati nelle opportune sedi (es. procura), ma la denuncia va fatta dalla persona danneggiata, non dal CAI.

Inoltre se tali atti, anche senza arrivare a rilievi giuridici, costituiscono in ogni caso degli episodi “disdicevoli”, allora si applicano, internamente al CAI, le norme disciplinari “generiche” (cioè che riguardano qualsiasi tipologia di atti “disdicevoli” sul piano comportamentale, non solo quelli della sfera “sessuale”), norme già previste da tempo dai nostri regolamenti di disciplina. Non dobbiamo inventare nulla.

Pertanto sostengo che tutto questo insieme di eventuali “episodi” (nonché la generale mentalità un po’ goliardica e da caserma che domina la pancia sociale del CAI) NON sia competenza istituzionale di una Commissione Pari Opportunità, la quale deve preoccuparsi di garantire che non vi siano discriminazioni nelle carriere interne al CAI in funzione del genere e non andare a punire il singolo atto fra individui.

Gli ostacoli alla “carriera” delle donne possono essere “diretti” (es: nominiamo Tizio, perché uomo, anziché Caia, perché donna), ma anche “indiretti”, ovvero inclusi nella vischiosità dei meccanismi e la Commissione tutto ciò deve giustamente correggere e migliorare.

Anticipo già una possibile obiezione, ovvero che la mentalità “sessista, goliardica e da caserma”, diffusa trasversalmente nell’ampia pancia dei soci CAI, possa essere considerata un ostacolo ”indiretto” alla carriera delle donne, perché le marginalizzerebbe e addirittura le farebbe scappare dal CAI. E che quindi, in tal senso, la suddetta Commissione si dovrebbe occupare anche di modificare la mentalità dei soci CAI.

Mi oppongo con fermezza a questa idea. Per due motivi:

Sono nel CAI da 54 anni consecutivi e, nonostante la mentalità in essere, ho assistito di persona alla carriera di numerosissime donne, chi diventata istruttrice, chi addirittura Direttrice di Scuole, chi Consigliera o anche Presidentessa sezionale. Quando una donna è “capace”, sa far valere le sue capacità e non è il residuo di mentalità da caserma della pancia sociale che la frena. Anzi, una donna capace sa farsi apprezzare ancor di più di un uomo capace. E le donne non capaci? Beh, quelle ho già detto che non è interesse per il CAI che facciano carriera, ma non perché donne, bensì perché non adeguatamente capaci. Lo stesso penso apertamente per gli uomini non capaci. In tutti i ruoli dobbiamo avere persone capaci e non questo o quello in funzione di equilibri numerici.

Infine la mentalità media di una qualsiasi aggregazione umana, specie se di enormi dimensioni come il CAI (327.000 soci totali) non la si cambia per “editto”, cioè per una volontà imposta dall’alto. Un editto, specie se poi rigidamente applicato, provocherebbe solo la fuoriuscita in massa di quei soci che non si riconoscono nel contenuto dell’editto. Occorre avere pazienza, la mentalità dei soci CAI (su qualsiasi tema, non solo su questo dai risvolti “sessuali”) cambia esclusivamente con la sostituzione generazionale: quando un socio “vecchio” non partecipa più, viene sostituito da un socio più giovane che, non fosse altro che per questioni generazionali, ha una mentalità diversa, presumibilmente più moderna. Questo trend fisiologico di cambiamento dall’interno della mentalità del CAI richiede tempi lunghissimi (in alcuni casi anche 40 o 50 anni), a maggior ragione per l’allungamento della vita media o, meglio ancora, per l’allungamento della vita media “attiva”: oggi vediamo far gite – anche gite CAI – certi 75-80enni che scalpitano come cavalli da corsa, il che allunga il timing del loro pensionamento (pensionamento CAI, ovviamente), ribaltandosi nel meccanismo di cambiamento della mentalità media dei soci.

In conclusione: buon lavoro alla suddetta Commissione, il cui obiettivo strutturale è togliere ogni residuo ostacolo nelle carriere interne delle donne  per consentire al CAI di ottenere il Certificato di parità di genere, una specie di bollino di qualità (per capirci: tipo ISO 2000, anche se su altri versanti) che, secondo la normativa, sarà inevitabile.

Ma non carichiamo la suddetta Commissione di aspettative circa finalità e compiti collaterali che, invece, le saranno sempre estranei. Meno che mai dobbiamo considerarla una specie di Tribunale interno ad personam.

Il commento
di Agnese Blasetti

Premessa: NO, non odio gli uomini, questo articolo si rivolge a un certo tipo specifico di maschi, non a tutti. E SI’, so che come esistono gli uomini stronzi, esistono anche le donne stronze. Ma oggi l’argomento è questo.

“Ci sono ragazze che danno false aspettative, cui piace essere corteggiate, o fare le civette” salvo poi lamentarsi quando scatenano la reazione maschile”.

“Se in tutto questo non ci fossero state donne in mezzo, non ci sarebbero stati tutti questi problemi”.

Un istruttore nazionale appartenente alla scuola centrale, a un corso esame affermava di aver venduto la cordata femminile al maggior offerente”.

“Se però continuate solo con piagnistei e crociate non andrete da nessuna parte”.

“Ci sono altri posti dove purtroppo le differenze di genere esistono veramente, non credo proprio all’interno del CAI, almeno non nella realtà che conosco”.

“Ho fatto listruttore anche per rimorchiare”. 

“In tutte (e intendo proprio tutte) le situazioni e interazioni umane c’è il movente sessuale”.

“Non esiste questo problema e, a volerlo inventare per tener dietro ai voli pindarici di questa signora, si rischia di imballare lattività del CAI”. 

“Io non ho mai visto irritarsi una donna che si sente dire che ha un bel culo, o se lo fa non è sincera”.

“Mi sa che si tende a esagerare un po’…”.

“Un bel ceffone e passa tutto, ci si ride pure su”.

Letto tutto? Bene. Questa è solo una selezione di commenti estrapolati tra le varie sezioni di questo blog. Ma potrei aggiungerne altri, e se dovessi estendere la ricerca al web probabilmente ne troverei a centinaia, tutti con lo stesso tono.

Chi sono gli autori? Principalmente uomini (ma c’è anche qualche donna), che frequentano la montagna, buona parte appartenenti al CAI e dai 50 anni in su.
Non ho messo nomi di proposito perché non voglio accanirmi contro una singola persona, ma sottolineare un fenomeno che esiste, ed esiste all’interno del CAI.

Siamo seri, siamo nel 2023, ma nonostante le donne abbiano conquistato molti diritti (quello di voto ci  è stato concesso nel 1946 eh, 77 anni fa), siamo ancora ben lontani dalla vera parità, quella dove tutti dovrebbero essere considerati esseri umani, al di là dei genitali posseduti.

Emanuele Confortin, Agnese Blasetti e Tommy Caldwell. Foto: Gabriele Canu.

Eh, ma che palle, non si parla d’altro. Sapete perché vi sembra così? Perché le donne hanno cominciato finalmente a parlare. Prima se un marito picchiava la moglie, si risolveva a casa. Non esisteva raccontarlo, era una vergogna, non si doveva dare scandalo.

Idem se una ragazza veniva infastidita, molestata, stuprata, non si diceva: c’erano i matrimoni riparatori, era lei che doveva stare attenta, che aveva provocato, che se l’era cercata.

Ah no, aspetta, le sento tutt’ora ‘ste cazzo di frasi. Se vado in falesia d’estate in pantaloncini e top perché ci sono 40° all’ombra, e arriva uno a rompere i coglioni, non è lui che è un cafone, no, per carità, sono io che in fondo voglio attirare l’attenzione, che sono acida se gli rispondo male, che non so stare allo scherzo se fa una battuta.
È impensabile al giorno d’oggi andare avanti con questo atteggiamento giudicante, dove una donna viene considerata responsabile a priori (e di contro, non bisognerebbe nemmeno assolverla a priori), solo perché è donna. Come detto sopra, la vera parità ci sarà quando tutti saremo considerati PERSONE.
Non si può e non si deve generalizzare, ogni caso è a sé stante e così va giudicato con tutte le conseguenze del caso. Ma finora (e basta leggere i giornali e vedere le statistiche), le donne sono ancora in cima alla classifica come vittime di violenza, non gli uomini.
E poi, per favore, distinguiamo il rapporto che può nascere tra due persone attratte reciprocamente l’una dall’altra, e il tizio che ci prova con tutte in maniera insistente anche quando è chiaro che non c’è trippa per gatti.
Cerchiamo di entrare nel contesto. Consideriamo le battute e gli scherzi che si possono fare all’interno di un gruppo di amici/amiche, dove si sono stabilite delle dinamiche, c’è confidenza, e ci si può permettere di lasciarsi andare anche alle volgarità: quello è un ambiente scherzoso.
Ben diversa è la situazione che si crea quando una persona si permette di rompere le palle ad una sconosciuta o semi-sconosciuta, pensando di essere simpatico e magari di rimorchiare. E, udite udite, al rifiuto si offende, non gli viene in mente che magari è lui che ha superato il limite, no, è la donna che è non sa stare al gioco, che è stronza, che fa la santarellina quando invece sotto sotto è lusingata e quindi insistiamo, prima o poi cederà.
È ora di capire che no, non siete fighi, non siete simpatici, le donne non cadranno tutte ai vostri piedi, siete solo dei rompicoglioni.
Cosa c’entra il CAI in tutto questo?

È vero, il CAI è un’associazione che si occupa (o almeno, dovrebbe) di montagna e di tutti gli argomenti legati ad essa.

Ma il CAI è composto da 327.000 soci, uomini e donne, non è il circolo della briscola di quartiere.
È un’associazione su scala nazionale, ed è normale che al suo interno ci sia un riflesso, quantomeno parziale, della società. E quindi, come nella società, una percentuale di stronzi c’è.

Con questo non voglio dire che ogni sezione CAI sia ricettacolo di molestatori, au contraire, la maggior parte saranno tutte brave persone che hanno voglia di andare in montagna, farsi nuovi amici e perché no, magari trovare anche un/a compagno/a per condividere una passione comune.

Quello che spero accada nel CAI, è che venga dato ascolto a queste situazioni, quando purtroppo accadono.

Di recente il CAI si è adeguato all’Agenda 2030, formando la commissione permanente “Politiche sociali – Uguaglianza di genere” (già solo il fatto che nella società siano necessarie queste misure fa pensare). Lo so, MI È CHIARO che la commissione non è uno strumento per contrastare le molestie o le violenze che possono avvenire all’interno dell’associazione.
Non è certo compito del CAI farsi giudice in caso di reati veri e propri (per quello esistono i tribunali), ma sarebbe bello poter contare sull’associazione nel momento in cui si dovessero presentare situazioni sgradevoli.
Un po’ di supporto (e magari una bella strigliata a chi si permette di prendersi qualche libertà di troppo) non farebbe male a nessuno.

Io spero che una maggior presenza femminile porti più sensibilità su questo argomento.
Lo so, lo so, quando questo articolo verrà pubblicato mi ritroverò anche io con un mucchio di commenti del cazzo, che è ora di finirla di parlare di queste cose, che non si può pretendere un cambiamento immediato e bla bla bla.

Sono ben consapevole che le cose non cambieranno da un giorno all’altro, ma il cambiamento opera nel momento in cui le persone si attivano per farlo accadere.
Quindi ne parlo e continuerò a parlarne, consapevole che alcune persone non cambieranno mai idea, così fossilizzate nelle loro convinzioni da non essere in grado nemmeno di considerare un punto di vista differente. Altre invece si faranno venire qualche legittimo dubbio, per fortuna.

25
La commissione del CAI “Uguaglianza di genere” ultima modifica: 2023-03-08T05:33:00+01:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

147 pensieri su “La commissione del CAI “Uguaglianza di genere””

  1. Sullo scranno di responsabilità ci deve stare un individuo “capace”, a prescindere dal fatto che sia maschio o femmina.
    In base alla mia esperienza dico che questa mentalità mi sembra più diffusa di quanto sembri, anche tra le donne.

  2. Mescoli pere con patate.
     
    Questo tema particolare (che risulta come l’unica tua fissazione sul grande argomento della montagna: non hai un’idea che sia una sui rifugi, sul soccorso, sull’evoluzione di trend e materiali, sulla stoia dell’alpinismo né sui personaggi…..) dicveco questo specifico tema è talmente particolare che se davvero vuoi realizzare di profondi cambiamenti nel CAI non puoi esimerti da affrontare modifiche nella architettura normativa.
     
    Altrimenti si tratta solo di minestrina di facciata. Quelli che fai sono solo discorsi da salotto e nulla più (come peraltro sostengo io fin dal commento zero). Buona fortuna, ne avrai bisogno di tanta quando avrai a che fare con la palla di pongo del CAI…

  3. @Matteo 🤣🤣🤣🤣🤣 sante parole 🤣
     
    @Crove’ il CAI è già cambiato rispetto a quando è stato fondato, eddai. Sei tu il primo che si lamenta perché non ti piace la piega che ha preso e i soci che lo frequentano. Nemmeno le montagne di granito rimangono immobili, figurati il CAI.
     
    Ciao!

  4. A parte la considerazione che le regole per cambiare l’architettura normativa del CAI sono comprese nella suddetta architettura normativa (per cui il CAI non  può cmq “cambiare” al seguito di un semplice dibattito, ma solo seguendo precise e molto complicate procedure, di cui siete evidentemente all’oscuro), c’è un punto concettuale chi vorrebbe cambiare il CAI è totalmente fuori strada.
     
     Il CAI è stato fondato a Torino generato, dalla più profonda mentalità della borghesia sabauda (conservatrice fino al midollo), su iniziativa di un biellese (!), ovvero Quintino Sella, che qualche anno dopo ha abbracciato la carriera politica a Roma nelle file della Destra storica ed è stato il Ministro delle Finanze che ha varato la Tassa sul Macinato… (se non conoscete i dettagli, informatevi).
     
    Il CAI è sostanzialmente “incambiabile”, se non al 100% molto vicino a tale percentuale, perché lo Statuto (in vigore ancor oggi senza soluzione di continuità) è stato concepito fin dall’inizio come una “cassaforte ideologica”: è blindato e sostanzialmente inattaccabile. 

  5. “ti comporti come se il CAI fosse una tua creatura”
    Sbagli il verbo Agnese, la versione corretta è: scrivi come se il CAI fosse una tua creatura.
    E quello che scrive è semplicemente parte del suo delirio di onnipotenza, perché credo che nel CAI conti più o meno quanto conto io. Cioè poco o un cazzo.
    Per fortuna!

  6. Anche se affermi il contrario, ti comporti come se il CAI fosse una tua creatura o una sorta di proiezione del tuo essere, altrimenti non ti accaniresti così tanto a difenderlo.
     
    Quale parte della frase “non sono d’accordo con la tua concezione del CAI” non è chiara? L’ho letta la spiegazione, non la condivido, punto. 
    basta?

  7. Ti ho già precisato, almeno 50 commenti fa, che il CAI non è né mio né tuo né di Montani. Il CAI è una cosa molto complessa, anche per sperimentazioni storiche, che tu dimostri di non conoscere per nulla. Non è una associazione come le altre, quelle piccole tipo da 50 soci. Il CAI ha una architettura normativa complicatissima che lo regola, fra Statuto e regolamenti vari fino ai regolamenti di disciplina. Senza conoscerli a fondo, tu parli di una cosa che non conosci.
     
    L’esperienza storica del CAI (160 anni) ha dimostrato che chi non dà apporti positivi al CAI, è solo fonte di problemi per il CAI stesso. Con questi individui, che siano maschi o femmine non fa differenza, io sono sempre molto netto. Quando un individuo è un problema per il CAI, l’interesse del CAI è liberarsi del problema.

  8. La tua idea del CAI è la tua e ovviamente la difendi, ma non è universale, ed è un dato di fatto. 
    il caso Montani ha sicuramente portato più attenzione sul tema, ma quello del sessismo nel CAI è argomento che va avanti da ben prima di questa faccenda.
     
    Ti ho portato vari esempi (con tanto di numeri) sul perché affermare con sicurezza che nel CAI questo problema non esiste sia arrogante e ottuso. La tua percezione è limitata alla tua esperienza. Molto grande, certo, ma in percentuale rispetto al numero di soci estremamente risibile.
    Ti ho anche fatto delle domande ben precise che tu hai bellamente ignorato (che probabilmente sminuirai giudicandole irrilevanti, pur di non dare una risposta precisa).
     
    Se vuoi il CAI dei tuoi sogni fattene uno tuo.
     

  9. Come la montagna (che è bella se “nature“, quindi rude e spartana), così devono essere i club degli alpinisti. 
     
    Già solo ragionare in termini di rendere il CAI più “accogliente” è un modo di ragionare antitetico a quello degli alpinisti. Gli alpinisti amano la montagna rude e nature, ergo non la desiderano “accogliente” (vedi vari dibattiti su rifugi, soccorso alpino, ecc). Per estensione il vero “alpinista” (che sia m o f poco rileva) non cerca un associazione “accogliente”.
     
    Chi ragiona in termini di associazione “accogliente”, non avendo la testa da alpinista, anziché far del bene all’associazione stessa, ne muta la natura rispetto al caratteri di “club degli alpinisti”. Pertanto fa del male all’associzione e non del bene.
     
    Tutto ciò vale per qualsiasi tematica, il punto maschilismo/moleste ecc non le menziono neppure, non c’entrano le caratteristiche del tema sottostante. ecco perché “puzza” introdurlo nella vita del CAI, dove peraltro storicamente NON si sono mai registrati episodi, almeno fino a quello che io chiamo l’affaire Montani, ma che è poi risultato una bufala (data l’archiviazione) e quindi una bella stangata sui detti a tutti quelli che vedono nel CAI il pericolo molestie ecc ecc ecc.

  10. Crove’, dico questo e poi spero sia il mio ultimo commento: io capisco che ti piacerebbe che il CAI fosse slegato da tutto, un entità a se stante che si occupa solo di montagna.
     
    È una bella visione, ma irrealistica, perché la vita non è fatta di compartimenti stagni. In ogni ambiente che frequentiamo portiamo qualcosa di noi (bello o brutto), e l’ambiente che abbiamo intorno ci influenza (nel bene o nel male).
     
    Una dimostrazione te la potrebbe dare fare un confronto con altri club alpini internazionali. Sono tutti volti alla montagna, ma che sono uguali identici sputati? No, perché la società in cui sono nati è diversa, e diversi sono gli iscritti. 
    Tu ti incazzi perché pensi che la gente cerchi solo di spalare fango sul CAI, quando invece l’intenzione è quella di renderlo migliore e più accogliente. Ma questa non è la tua visione e quindi la combatti strenuamente, perché sei quello che vorrebbe il CAI  a numero chiuso.  E pazienza 🤷🏻‍♀️🤷🏻‍♀️🤷🏻‍♀️

  11. Gli ultimi interventi sono esempi incontestabili di quanto sostengo da una vita. Il CAI non c’entra nulla con queste faccende, che siano giuste o sbagliate, fondate i infondate. Il CAI è il club degli alpinisti. Abbiamo già dovuto accettare che la definizione si sia allargata al concetto di “club degli appassionati di montagna”. Fermiamoci lì. Il CAI per volontà costitutiva, non è un partico politico, non si propone di cambiare/migliorare la società, non è un gruppo dio ascolto o una comunità di recupero. al CAI si va per condividere montagna sul terreno e anche montagna parlata, letta e scritta. A uscire da questi confini si fa la pipì fuori dal vaso. A prescindere dalle intenzioni.
     
    Ognuno (maschio o femmina che sia) deve prosi la domanda: “mi interessa far parte del club degli alpinisti?” Se la risposta è sì, allora mi iscrivo, se la risposta è no, allora non mi iscrivo. Una volta iscritti, ogni anno ci si pone una sistematica domanda: “mi trovo a mio agio, sono felice, mi sento valorizzato all’interno di questo club di alpinisti?”. Se la risposta è sì, si rinnova l’associazione, se la risposta è no, no la si rinnova.
     
    Tutto il resto è solo aria fritta: distrae, infastidisce, crea bagarre e discussioni e non fa fare al CAI nessun passo avanti nella sua finalità statutaria. 

  12. Scrive Teo al 131:

    Tutte queste considerazioni sono tipiche di un mondo femminile avulso dalla realtà, un mondo femminile che non sa cosa vuol dire realmente essere donna, con la D maiuscola

    Ci sono varie cose a proposito di quel commento che vorrei chiederti, ma mi limito a quella che più desta la mia curiosità: saresti così gentile da spiegarmi “cosa vuol dire realmente essere donna, con la D maiuscola”, visto che evidentemente tu invece lo sai e/o hai tutte le carte in regola per saperlo?

  13. Guavda Pasini, il tvave è pveistovia, oggi ci si allena al moonboavd😌anche leggeve i manuali!!.si usa il Kindle..uff, che indietvo sei vimasto🤗

  14. Teo, ti devi allenare al trave e impegnarti di più. Se vuoi sfottere devi farlo ad un livello un po’ più alto, anche per rispetto della Destivelle che citi. Il dialoghetto con la v da sciura milanese è roba che non fanno più nemmeno i proto-leghisti con l’elmo e le corna. Siamo a livello di quelle paretine che mettono ogni tanto nei cortili delle scuole materne accanto alle altalene. Dai coraggio, comprati un buon manuale e dacci dentro, sono sicuro che ce la puoi fare. Vedo del potenziale. Tieni duro e non mollare. Qui nel blog ha degli esempi straordinari di tenacia e di perseveranza.

  15. Tutte queste considerazioni sono tipiche di un mondo femminile avulso dalla realtà, un mondo femminile che non sa cosa vuol dire realmente essere donna, con la D maisucola, ma pretende e vuole che si pretenda un rispetto alterato solo di facciata, in nome di un’uguaglianza che in realtà è quanto di più lontano ci possa essere da questa parola. Donne come la Destivelle sono state ammirate per la loro forza, la loro determinazione, sono diventate un’icona assoluta in tempi non così lontani ma che appaiono ormai come ere geologiche. Senza sbraitare, senza pretendere, senza voler educare nessuno. Invece trovo questi discorsi di un piattume figlio ormai della nostra società in declino, portati avanti da donne annoiate. Mi sembra tanto di sentirle “Guavda, stavo giusto pavlando di femminismo mentre sovseggiavo un ape sui Navigli. Mi stavo chiedendo che la colf che ho casa, sai pevchè mio mavito guadagna bene e io posso anche non lavovave, non posso essere un uomo. Basta con lo steveotipo della colf donna, suvvia..Bavman, ancova un spritz gvazie”

  16. @Roberto figurati se Crovella scenderebbe dal suo piedistallo per finire il duello con “stima reciproca” 🤣
     
    Sul resto hai ragione, nel momento in cui uno ci molla poi la cosa finisce. Quando mi sarò stancata non avrò problemi a mollare per prima, perché non è Crovella il mio nemico acerrimo, siamo su due posizione opposte ma contemporaneamente non è che mi ha fatto niente di personale. 
    per ora però rimane ancora un passatempo divertente 😊

  17. Fabio. Ne sono perfettamente consapevole. Nei Duellanti, già citato una volta, la disfida finisce solo perché uno dei due si sottrae. L’amore per una donna gli insegna che si può vivere anche senza una guerra, senza un nemico e senza ogni volta dimostrare che ce l’hai più lungo.   E l’altro sparisce. Agnese. Per continuare con il Cineforum, possiamo dire che uno dei film di cui fu co-regista Blasetti “I due nemici” finisce con la stima reciproca e il saluto militare perché l’inglese è un “signore” (David Niven) )  e l’italiano è un cialtrone ma con quella carica di dolorosa umanità che solo Sordi sapeva dare a certi suoi personaggi. 

  18. @Fabio Sai, in parte gli rispondo perché indirettamente mi fa esprimere ulteriori concetti che non ho messo nell’articolo (e chissà, magari qualcuno li leggerà, magari no). 
    Poi, per me può fare il Caterpillar quanto vuole, da dove pensa di eliminarmi? Dal Gognablog? Capirai… grossa vittoria.
    Prima o poi smetterò di commentare, la cosa andrà scemando, ma non cambia il fatto che dirò la mia anche in altri contesti, e non vedo cosa possa farci. 

  19. A dire il vero, il commento a cui mi riferivo è il 123 (che, mentre scrivevo, era numerato col 124).
    Insomma, la mia domanda è rivolta al Pasini, che si illude di fermare un fiume in piena con paletta e secchiello. 😉😉😉

  20. @ 124
     
    Una volta Carlo ci rivelò che i suoi colleghi lo avevano soprannominato Caterpillar (o qualcosa del genere).
    Ti domando: come puoi sperare che un Caterpillar si fermi da sé?
     
    … … …
    Però io lo considero un Terminator
     
    “Ascolta e cerca di capire: quel Terminator è la fuori, nel GognaBlog. Non si può patteggiare con lui, non si può ragionare con lui, non conosce pietà né rimorso o paura. Niente lo fermerà prima di averti eliminato. Capito? Non si fermerà mai.”

  21. @Roberto nah, nelle altre discussioni a una certa mi son stufata e ho smesso perchè non mi riguardavano direttamente.
    qui sono coinvolta in prima persona e non riesco a non rispondere 😅 Anche se sta diventando una battaglia Blasetti/Crovella che ha poco senso, lo ammetto.

  22. No, non lo sai di cosa parli, fattene una ragione! O mi dici esattamente il numero di soci che hai incontrato nella tua vita e di tutti, TUTTI hai la presunzione di affermare che conosci vita morte e miracoli, o hai la decenza di chiudere la bocca. Mi vuoi dire che da bambino avevi le stesse capacità di un adulto di interpretare l’ambiente che ti circonda? E che da adulto sei capace perfettamente di capire chi hai davanti? Qualsiasi psicologo ti direbbe che sono un mucchio di cazzate.
     Si può avere un buon intuito, ma non si è infallibili.
    Affermare con assoluta certezza e arroganza che nel CAI non esiste NESSUN genere di atteggiamento molesto nei confronti delle donne sottolinea solo la grandiosità del tuo ego. Ripeto, nessuno afferma che il CAI sia un covo di molestatori, ma su 370.000 soci so’ tutti santi? È un affermazione che offende terribilmente qualsiasi donna possa essere stata infastidita più o meno gravemente nell’ambiente montano o all’interno del CAI.
     
    Inutile che ti fai salire il sangue al cervello, non cambierai proprio una cippa.
    Se il CAI riterrà che i miei interventi siano lesivi dell’immagine dell’associazione ci penseranno loro a dire qualcosa. Ma penso che al CAI non gliene freghi una beneamata minchia della sottoscritta. Togliti ‘sto mantello da vendicatore va’.

  23. Detto con franchezza, ma non vi siete stufati di ripetere sempre lo stesso tema con parole diverse? La ruota gira, gira, sempre uguale, come quella del criceto in gabbia, ma è un movimento apparente, resta sempre nello stesso punto. Qualcuno deve sottrarsi al gioco, fermarsi,  altrimenti non si farà mai un passo avanti, non ci saranno nuovi contributi e la minestra, troppe volte riscaldata, perdera’ ogni sapore. 

  24. @121 NON ESISTE ASSOLUTAMENTE NESSUNA VIOLENZA SULLE DONNE ALL’INTERNO DEL CAI.
     
    Questo continua accostamento del tema con il CAI è il punto chiave delle mie valutazioni. Anche se non vengono menzionate accuse esplicite di esser un covo di molestatori, il semplice accostamento nuoce all’immagine pubblica dei CAI e ferisce che è affezionato al CAI. Mi auguro davvero che questo fenomeno (sia da parte tua che di chiunque altro, sia sul blog che in assoluto) si interrompa. Sarebbe davvero bene che la smettessi.
     
    PS: per il mio ruolo e la mia attività di parecchi decenni all’interno del CAI nel suo insieme (sulla quale NON mi ripeto, essendo agli atti: tocca a te informarti), stai tranquilla che ho girato il CAI molto più di quanto tu possa immaginare. Anche da bambino, al seguito di mio padre: al tempo ho perfino partecipato ad alcune Assemblee dei Delegati (ovviamente senza diritto di voto). Da allora in poi e costantemente ho avuto modo di conoscere una moltitudine sconfinata di soci, sia personalità di rilievo (Presidenti Generali, presidenti Sezionali, Direttori di Scuole, Accademici ecc) che semplici e sconosciuti soci. Quindi “so” di cosa parlo.

  25. Certo Padreterno, ha ragione Lei Padreterno, siamo solo noi i cretini superficiali, non sia mai che Lei possa mettere in dubbio le sue convinzioni e – orrore – ammettere che esistano realtà differenti dalla sua.
     
    Puoi continuare a ripetere all’infinito che nella tua esperienza del CAI il fenomeno non esiste, ma anche ammettendo che tu nei tuoi 50 anni di frequentazione (pensa, ci metto anche quelli da bambino), tu abbia conosciuto 1000 soci nuovi all’anno (non vale se sono sempre gli stessi), nella tua vita ne avresti incontrati 50.000, su 370.000 circa. Una percentuale irrisoria per poter stabilire la tendenza generale. E poi, tutte conoscenze intime personali? Quindi potresti affermare che sai esattamente cosa pensano e fanno questi soci, ogni momento della loro vita, in ogni minuto delle attività CAI? Ma PER FAVORE.
     
     
    Io non mi sento furba per aver “scovato” il post del CAI, ti ho fatto solo notare qual è il primo punto del Goal 5, che parla proprio di violenza sulle donne. Cosa che tu non hai minimamente menzionato nel tuo intervento. Hai citato il Goal 5, ma ti sei ben guardato dal dire che il primo punto riguarda proprio quello che tu non vuoi sia associato al CAI. Nun ce prova’.
     

  26. @115 Agnese. Addirittura fin dal mio pezzo dell’articolo principale (quindi anche prima del commento UNO!), io affermo pubblicamente quanto tu pensi di aver brillantemente “scovato” e riportato nel 115. Sei piuttosto superficiale e molto vaga nel modo di ragionare.
     
    Il punto è che sono i più avvelenati detrattori del CAI (donne ma anche uomini) che mescolano le due cose, e mi pare che nel tuo stesso pezzo (quello dell’articolo), riportando un elenco di frasi dette da uomini, sei tu la prima che commetti lo stesso minestrone. A maggior ragione i detrattori del CAI, come la Martina del 75 e company, quando si lanciano in pubbliche dichiarazioni con i rispettivi contenti. Prendiamo la Martina, come puro esempio di riferimento: oltre a esser lei a incappare nel sopra citato minestrone (e non certo io!), a forza di ripetere queste cose pubblicamente rischia di creare un danno di immagine al CAI. Quanto meno infastidisce chi nel CAI si trova bene e al CAI è affezionato. penso che il Sodalizio dovrebbe prendere una posizione nei confronti di soggetti che dileggiano pubblicamente il sodalizio stesso.
     
    A parte ciò, la conclusione concettuale  è sempre la stessa: non siete felici nel CAI? Non ci trovate bene? Non vi sentite valorizzati/e? Bene, prendete la vostra strada, ma lasciate perdere il CAI.

  27. @116. anche tu se duro di comprendonio e sotringi a ripeter le cose diecimila volte. Ho già detto che se per “sessisiamo” si intede una mentalità che freni le donne nella loro possibilità di fare carriera interna interna an CAI, ho già ampiamente detto che tale fenomeno NON esiste. Ho portato anche migliaia di esempi dell’area CAI che frequento abitualmente. Tuttavia, ad maiora come dicono i giuristi, è stata costituita una commisaionew, sulla cui efficacia io personalmente nutro moilti dubbi (se il problema sottostante NON esiste, npon è che possoano corregggere chissà che). Tuttavia adesso la Commisione esiste e quindi almeno serve per tapparvi la bocca su questo specifico versante. sottolieno pèerò che tale commissione è stati istituita con delibera del presidenziale (carica attualmente ricoperta da un uomo, come ben  sapete) e epr rispondere ai dettami della Agenda 2030. Quindi inneggiare, come mi pare faccia il 113, alle donne che vogliono cambiare le cose significa non aver capito niente del quadro:_ quelle che sono genuinamente interessate al tema “togliere paletti alle carriere interne nel CAI”, in tutta sincerità, sono così determinate e capaci che, se vogliono arrivare a cariche ti responsabilità, ci sono “già” arrivate, anche senza commissione.
     
    L’altro tema, quello delle molestie, comporta – in interventi a tavolino qui o altrove – spesso il coinvolgimento del termine “mentalità sessista-maschilista”, che viene identificata come l’humus da cui deriva il presunto sentirsi in diritto dai provarci con tutte, purché respirino. Se rileggi con attenzione gli interventi di chi sostiene ciò (siano gli autori degli stessi donne ma anche uomini), vedrai che i termini “sessismo” e “maschilismo” sono spesso usati nei loro ragionamenti.
     
    Quindi se c’è un errore concettuale, un uso non adeguato del o dei termini, esso va scritto inizialmente a chi si lancia in crociate senza senso contro il CAI, facendo un minestrone pazzesco (e ridicolo), in cui mescola anche i termini, non solo i concetti. Per il bene di tutti, ma specie dei soci CAI, va fatta piazza pulita di tutte queste dichiarazioni pubbliche.

  28. Aggiungendomi a Placido e Agnese io direi che “stupido è chi lo stupido fa”, ovvero che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…o in questo caso leggere.

  29. Scrive Teo al commento 87, rivolto ad Agnese:

    E non essere volgare, le donne volgari le ho sempre ritenute poco femminili, ed è un gran peccato.

    Sono anche frasi come questa che svelano gli stereotipi e i pregiudizi che frenano il vero cambiamento. Finché non ne prenderemo atto (io per primo, eh… non sono certo meglio degli altri) le cose non potranno mai cambiare nella sostanza.
    Non me ne voglia Teo: prendo la frase solo come esempio. Niente di personale, ovviamente.

  30. Crovella: al 114 confondi sessismo con molestie (e probabilmente anche in altri commenti, vista l’abitudine all’uso della carta carbone).
    Matteo al 113 ha parlato di “sessismo”, non di “molestie”.
     

  31. Aridaje, NO. Nessuno afferma che la commissione nasca con l’intento di fare da tribunale in casi di eventuali molestie, ci si augura solo che una maggior presenza femminile porti maggior sensibilità sull’argomento.
     
    Se avete facebook vi invito a visitare questo link della pagina ufficiale del CAI, dove cito “al fine di perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030 e in particolare del Goal 5, il Club Alpino Italiano a istituito una Commissione permanente Politiche Sociali – Uguaglianza di Genere”. 
    il primo, PRIMO, punto del Goal 5 è, rullo di tamburi, “Eliminare ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne.” c’è lo stemmino del CAI sulla foto o sbaglio? BOOM BABY 🤟🏻
     
    https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0CNR9bHH1d19bWR3AdvMDLPRVYfcAwnpWPYGSvoYqDr6ZXiLMTdmMer1ckLXJCdMHl&id=443027039113334

  32. Dopo 113 commenti, per colpa di uno dei tanti “illuminati”, siamo ritornati al vizio di origine e bisognerebbe ricominciare tutto da capo…
     
    All’inizio di tutto il ragionamento c’è la netta distinzione fra il campo d’azione della neonata Commissione e l’altro tema, quello delle “molestie”.
     
    Sono due cose nettamente  separate e chi le mescola o è proprio tonto di natura o e’ in mala fede. I rischi di danni di immagine cui è esposto il CAI si incentrano sulle infondate dichiarazioni che collegano il CAI al secondo argomento e, inoltre  sulla propensione a mescolare questi due temi che sono nettamente distinti.

  33.  o Ma il CAI è obbiettivamente sessista, almeno quanto lo è a tutt’ora la società in generale, senza quindi prefigurare reati o anche solo “tolleranze” indebite.
    Lo è per ragioni storiche e, temo, per l’anzianità di dirigenti e la loro mentalità
    La situazione non è peggio di altri gruppi, credo; per fare un esempio, basta guardare quante poche donne ci sono in un gruppo di ciclisti da strada e paragonarle a quelle di un gruppo di mtb.
    Ma il sessismo è indubitabile; credo che sia a questo che possa servire (forse) la commissione e capisco perfettamente le donne che vogliono cambiare le cose si appassionano al tema.
    E le stimo.

  34. No  è così. Se si fanno ripetiti interventi (tenendo anchr conto anche di più autori/trici) sul tema specifico “sessismo”, collegandolo in pezzi in cui è coinvolto il CAI, non ci si può poi “salvare” dicendo che erano solo critiche alla mentalità vecchia e bacucca… rileggiti molti commenti, nonché il pezzo di Agnese nell”articolo, non verte sulla mentalità da vecchi ma sul tema principale.
     
    A ch si “limita” a esprimere solo delle generiche critiche al CAI perché ha una mentalità da vecchi, rispondo che basta non frequentarlo e astenersi dall’associari.

  35. Ti hanno fatto già notare, e io lo ribadisco, che nessuno, ma proprio nessuno, nessuno, nessuno (a te che piacciono le ripetizioni!) ha mai scritto o alluso al CAI come covo di molestatori
    Ma forse, quello che ti da tanto fastidio è che si sia scritto che l’ambiente e la mentalità del CAI non brillino per apertura mentale…e in realtà lo sai benissimo anche tu, che l’hai definito “democristiano”

  36. @109 quella sarà anche la tua impressione, ma non corrisponde alla realtà. Per danni all’ immagine pubblica, intendo che non si può parlare pubblicamente del CAI allundendo, in modo diretto o indiretto ad esso come a un ambiente di molestatori. Queste valutazioni, già poco gradite se giungono da “non soci”, sono del tutto incoerenti (con lo status di socio) se pronunciate (e ripetute) dai soggetti soci, perché non puoi sputare nel piatto in cui mangi. ci sono delle norme disciplinari che impongono ineccepibili comportamenti dei soci tanto fra di loro quanto nei confronti del Sodalizio. E parlarne male pubblicamente è atto che io ritengo comporti la violazione di tali nostre norme.

  37. “Inoltre non è il singolo articolo il punto critico, ma l’attività complessiva generale …che sta rischiando di produrre danni all’immagine pubblica dell’Istituzione. “
    Detto in altre parole, non è quello che dici il problema, ma il fatto che diverse persone lo dicano…
     
    Comunque non ti preoccupare, l’immagine pubblica dell’istituzione è talmente trascurabile che nessun danno le potrà essere arrecato!
    E i tuoi ripetuti e ripetitivi interventi concorrono ad abbassare anche la qualità dell’immagine pubblica.

  38. Grazie dell’avvertimento, in caso mi prenderò le conseguenze delle mie parole 😊

  39. Accidenti sei proprio di coccio. Sto facendo riferimento a punti comportamentali interni del nostro sistema normativo (che tu dimostri sistematicamente di non sapere manco che esista, figurati se lo conosci nel dettaglio), non a leggi dello Stato. Inoltre non è il singolo articolo il punto critico, ma l’attività complessiva generale (che però comprende anche te) che sta rischiando di produrre danni all’immagine pubblica dell’Istituzione. Vi sono dei doveri comportamentali a carico dei soci, sia fra di loro,  ma anche fra il singolo socio (o gr di soci) e il Sodalizio. Non è pensabile che perduri all’infinito la situazione in essere, ovvero quella in cui, attraverso interventi di natura pubblica (articoli, commenti, interviste ecc ecc ecc) si diffonda ripetutamente un’immagine distorta del Sodalizio. Il tema sottostante (che sia questa bufala del sessismo o, a puro titolo di esempio, l’ipotetico fatto che siamo del truffatori economici) è irrilevante. Io ritengo che, complessivamente (cioè non solo.in questa sede) si sia già andati oltre, e quindi sarei già intervenuto ufficialmente, ma prima o poi a qualcuno di voi “scapperà l’acceleratore” e andrete fuori dal seminato. Se siete oculati, recepite le considerazioni del caso finché siete in tempo, se non siete oculati… le nasate saranno di vostra competenza.

  40. “Compirete passi che non saranno più coerenti con il rispetto delle norme vigenti”? Per quel che ne so io scrivere un articolo con la propria opinione non infrange nessuna legge. 
     
    @103 fa davvero tristezza che per colpa di un gruppetto di idioti ubriachi ci rimetta l’immagine di tutti gli Alpini.
     
    Ah, e per quelli che correranno a dire “non sono fatti accertati da nessuna denuncia!!! Femministe vigliacche! Vi inventate tutto!” vi riporto questo: le donne non denunciano perché spesso hanno paura di non essere credute.

  41. Col 101 ho spiegato, sintetizzando e anche semplificando al massimo, il quadro in cui deve comportarsi il socio (m o f che sia) del CAI. L’ho fatto perché voi dimostrate di non conoscere minimamente nulla del CAI. Non volete fare attenzione ai suggerimenti? Ma fate pure, son fatti vostri. Senza rendervene conto, a forza di muovervi a casaccio, compirete dei passi che saranno non più coerenti con il rispetto delle norme vigenti (fermo restando che io ritengo che in molti siate già oltre questo limite). Siete adulti e vaccinati, dovete saper capire come e quando si possono o non si possono fare le cose.

  42. “A mio parere siete già tutti/e andati/e ben oltre quell’argine.”
    E qui un bel “e chissenefrega” non ce lo vogliamo aggiungere?

  43. Bla bla bla bla… una volta letti i primi 2/3 commenti poi il resto sono solo ripetizioni infinite degli stessi concetti.
     
    beh, grazie! sapendolo uno risparmia tempo 🙏🏻

  44. Quanto poco sapete di cosa sia davvero il CAI! E fate davvero ridere a voler discettare sul CAI medesimo che, come dimostrate all’atto pratico, è “cosa” completamente sconosciuta per voi.
     
    Il CAI non è né di uno né nell’altro. Non può quindi né il sottoscritto né nessun altro  individuo (o gruppi di individui) plasmare il CAI in un certo modo o in un altro.
     
    La realtà del CAI non è lasciata al caso né alle ondivaghe opinioni del momento (per cui oggi il CAI è in un modo, perché quello è l’orientamento dominante, e domani il CAI è in un altro, perché è cambiato l’orientamento dominante).
    La vita del CAI è determinata, con estrema precisione, da un complesso insieme di norme, a cominciare dallo Statuto per arrivare ai vari regolamenti, compresi quelli disciplinari.
     
    L’insieme di queste norme NON è stato scritto da me, ma è preesistente è perfoino alla mia “antichissima” iscrizione al CAI. Quindi questa architettura del CAI non è la conseguenza di una mia visione, anche se io condivido la visione che nei fatti anima l’insieme delle nostre norme. Ma tale insieme di norme esiste a prescindere da me. L’insieme di queste norme viene  sottoscritto. da qualsiasi socio, in automatico con l’adesione iniziale al CAI. Il socio ha l’obbligo si rispettarle. TUTTE. Tale obbligo permane in essere per tutta la durata della sua associazione.  E’ un principio che vale per me come per qualsiasi altro socio. Di conseguenza nessun socio può considerare “suo” il CAI, proprio per questo meccanismo: la vita del CAI è determinata da un insieme di norme che sono “apersonali”
     
    Viceversa, fin dall’adesione iniziale, ogni socio deve farsi parte attiva per conoscere a fondo il sistema normativo che regola la vita del CAI, altrimenti rischia (magari in buona fede, ma ciò è irrilevante) di violarle. Quindi, prima di parlare (specie dei massimi sistemi sessisti o meno del CAI), mettetevi a studiare a fondo le norme che regolano il CAI, sennò parlate a vanvera, come infatti sta accadendo.
     
    Nessuna associazione può sopportare a lungo che si parli male pubblicamente dell’associazione medesima. Anche se ciò viene fatto in buona fede. Se poi l’associazione è fondata principalmente sul coinvolgimento dei soci in termini di volontariato, l’associazione non è un’entità astratta, ma “coincide” con i soci stessi, intendo con quei soci che condividono l’ideale. Parlar male dell’associazione (anche senza rendersene conto) alla fine risulta offensivo sia verso l’associazione che verso le centinaia di migliaia di associati che condividono gli ideali dell’associazione. Vale indistintamente per ogni autore delle dichiarazioni: maschi, femmine, soci, non soci. Se sono soci, il quadro normativo interno affronta la fattispecie, come per qualsiasi altro comportamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.