La Corte di Cassazione e la “naturale pericolosità” della montagna

La “naturale pericolosità” della montagna nella sentenza della Suprema corte che condanna il Club Alpino Italiano

Questo post è frutto della stretta collaborazione con Mountcity.

Non occorreva certo che fosse la Suprema corte a rammentarci un fatto di cui sono testimonianza fin dal XIX secolo gli scritti di Quintino Sella: andando in montagna rischiamo di metterci nei pericoli. Ma la sentenza con cui dopo 15 anni la Corte di Cassazione Civile di Milano ha condannato nel 2012 la Società Escursionisti Milanesi, storica sezione del Club Alpino Italiano, a risarcire un allievo infortunato durante un’uscita in ferrata, va ben oltre questo elementare concetto.
Ai sensi dell’articolo 2050 del Codice civile, è spiegato nella sentenza, chi causa un danno nell’esercizio di un’attività pericolosa è tenuto al risarcimento “se non prova di avere adottato tutte le misure idonee per evitare un danno”.

Una vera doccia fredda questa condanna, arrivata dopo un tormentato percorso giudiziario, a conferma di precedenti sentenze del Tribunale di Milano e della Corte d’Appello di Milano.

Le ragioni contenute nella Sentenza della Corte di Cassazione Civile (n. 12900 del 24.07.2012 – Sez. III Civile) valgono dovunque, e la montagna, nella sua “naturale pericolosità”, secondo la Suprema corte non fa eccezione. Da due anni in qua le scuole del Club alpino non possono non tenerne conto e prendere le opportune misure precauzionali.

Ma una seconda doccia fredda è zampillata dalla sentenza. Nel condannare il sodalizio milanese, i giudici hanno infatti sentenziato che il regime del volontariato e l’assenza di fini di lucro non esime né attenua le responsabilità di presidenti di sezione, accompagnatori e istruttori.

A questo punto è obbligatorio cercare di inquadrare il clima che è venuto a crearsi dopo la sentenza in quel progressivo inasprimento del rigore con il quale legislazione e giurisprudenza si propongono di tutelare l’incolumità delle persone. Perché questa sentenza è un precedente che si riverbera negativamente sull’immagine che offriamo alla società civile ma soprattutto obbliga le Scuole di Alpinismo (e quindi le Sezioni) a misurarsi, in tema di sicurezza, non soltanto con nuovi marchingegni legali come l’obbligatorietà del certificato medico per gli istruttori titolati, ma anche con un “vizio” della società moderna: la ricerca “obbligatoria” di un responsabile per ogni cosa che accade.

Si sa per esempio che la caduta sassi in montagna esisterà sempre e non è eludibile. Per dirla con un concetto espresso dall’Osservatorio della Libertà in una sua apprezzata lettera aperta al PM di Torino Raffaele Guariniello, “il modello statunitense di far causa contro qualcuno per qualsiasi cosa accada, con lo scopo di farsi risarcire, sta ormai radicandosi anche nella nostra società e nel ‘mercato della sicurezza’ assistiamo a denunce e richieste di danni che sono assurde persino nella loro impostazione”.

Simili comportamenti mettono effettivamente a dura prova la voglia dei volontari nel continuare a dedicare il proprio tempo libero per il bene della collettività e creano problemi di sopravvivenza alle stesse scuole di alpinismo del CAI alle quali la sentenza citata rende sì giustizia sottolineando “la lodevole e meritoria attività svolta dal CAI, con finalità sociali, di stretto volontariato, senza fine di lucro e non di impresa”: ma, al contempo, è minaccioso scoraggiamento sia per la Sezione, che per la Scuola e perfino per i singoli istruttori.

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Nel caso preso in esame dalla Suprema corte, si trattava di un corso di alpinismo CAI per principianti e un allievo, trentenne, nel percorrere una scala in ferro lungo una via ferrata ebbe a perdere la presa su di un piolo e a scivolare per la lunghezza del cordino cui era assicurato (poco più di un metro), riportando una frattura al piede.
Niente di tragico, per fortuna.

Ma siamo certi che la responsabilità del comportamento dell’allievo fosse tutta degli istruttori? “E’ da ritenere”, argomenta l’avvocato Vincenzo Torti, vice presidente generale del CAI che in questa circostanza ha assunto le difese della SEM, “che qualora un allievo, adeguatamente attrezzato e assicurato alla corda fissa di scorrimento, puntualmente seguito dall’istruttore, nel salire una scaletta lungo una via ferrata perda la presa con un piede e scivoli, restando perfettamente attaccato alla corda e scivolando solo per lo spazio corrispondente al metro di lunghezza della stessa, ci si trovi in un’ipotesi di violazione esclusiva da parte dell’allievo dei doveri di attenzione cui è tenuto nel salire una scala, non potendosi, di ciò, far carico all’istruttore”.

Se a ciò si aggiunge”, spiega ancora Torti nel manuale del CAI Montagna da vivere, montagna da conoscere, “che la sussistenza del fatto colposo del creditore (la perdita di presa del gradino nell’esempio di cui sopra), da considerarsi o quale contributo o quale causa esclusiva del danno che ne è derivato, è rilevabile d’ufficio, vale a dire direttamente da parte del giudice, anche qualora non venga segnalato dalla parte, e non può condividersi la decisione per cui, essendo da considerare il corso di alpinismo per principianti una attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c., si sia applicata la relativa presunzione di responsabilità, del tutto omettendo, però, di rilevare che nel caso in questione era stata la negligenza dell’allievo a porsi quale causa esclusiva dell’evento dannoso, circostanza che avrebbe dovuto far escludere, di per sé sola, la sussistenza del nesso di causalità e, quindi, la responsabilità dell’istruttore o della Scuola”.

Negligenza vera o presunta dell’allievo, resta inteso, come viene espresso nella sentenza, che “la pericolosità dell’attività andava valutata in concreto, ex ante, alla luce della considerata inesperienza dell’allievo e dell’unicità della lezione teorica impartita prima dell’escursione alpinistica”. E a questo proposito, nell’ottica di “una saggia e diligente prevenzione”, Giancarlo Del Zotto, avvocato e past president della Commissione nazionale scuole di alpinismo e sci alpinismo del Cai, con un Commento alla Sentenza invita a recepire il dovere “di ampliare una corretta e chiara informativa sui rischi che insidiano l’attività alpinistica”, suggerendo vari accorgimenti.

La Corte non sottolinea forse a carico dei responsabili dell’incidente di aver condotto gli allievi in parete – sia pure su terreno facile – dopo una sola lezione teorica? “E’ palese”, commenta Del Zotto, “la perentoria raccomandazione a fornire agli allievi un’adeguata informazione preventiva sui rischi e sull’adozione delle misure protettive”.

E quali sono i suggerimenti di Del Zotto? Segnalare all’esordio di ciascun corso i contenuti didattici, le modalità delle esercitazioni pratiche e i relativi rischi, responsabilizzando gli allievi alla diligente e scrupolosa osservanza delle prescrizioni impartite dagli istruttori, rammentando che in montagna “non esiste il rischio zero”.

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Ma soprattutto, a supporto dell’informativa orale, Del Zotto invita a inserire nella scheda di iscrizione di ciascun corso una clausola del seguente tenore: “Il sottoscritto dichiara di essere pienamente consapevole ed informato che la pratica dell’alpinismo in tutte le sue forme e specializzazioni comporta dei rischi. Dichiara pertanto di accettarli e s’impegna a osservare scrupolosamente tutte le prescrizioni che verranno impartite dal Direttore del Corso e dagli Istruttori”.

Dopo avere ricordato che la tradizionale dichiarazione dell’allievo che “esonera da responsabilità” la scuola e gli istruttori è nulla e inefficace ex lege (art. 1229 c.c.), Del Zotto alla luce della sua ultracollaudata esperienza d’istruttore spiega che la prima uscita in montagna dovrà essere preceduta da più lezioni teoriche di contenuto pratico (materiali ed equipaggiamento, la catena di assicurazione, l’orientamento, i pericoli della montagna, ecc.) coerenti con l’informativa sui rischi illustrata all’esordio del corso.

Infine, per Del Zotto, “non è di minore importanza semplificare al massimo formalità e regolamentazioni eccessive. In caso di incidente l’individuazione delle eventuali responsabilità muoverà da un esame dell’osservanza delle regole scritte che ci siamo dati… Più fitta e specifica è la regolamentazione e più è agevole per gli inquirenti individuare le “violazioni” commesse. Ben sappiamo che poche e funzionali regole possono essere sufficienti a disciplinare le nostre attività”.

Resta inteso che il dovere della prevenzione richiede il tempestivo adeguamento ai mutamenti del contesto sociale in cui operiamo, dove sempre più spesso si tende a ignorare che “la valutazione e la successiva accettazione del rischio, oltre che aspetto costitutivo dell’esperienza alpinistica, sono elementi positivi e consentono il percorso di evoluzione personale (Osservatorio della Libertà, lettera Guariniello)”. Si può accettare da coscienziosi cittadini la Sentenza per la quale l’alpinismo è attività pericolosa nella sua essenza, ma certamente non condividerla; si può accettare che la Sentenza non prenda neppure in considerazione un’eventuale colpa dell’infortunato, ma anche questo possiamo e dobbiamo non condividere.

Semplicemente perché, se condividessimo, dovremmo smettere di lottare e rassegnarci a non insegnare più a nessuno l’alpinismo.

postato il 12 luglio 2014

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La Corte di Cassazione e la “naturale pericolosità” della montagna ultima modifica: 2014-07-12T08:02:17+02:00 da GognaBlog

74 pensieri su “La Corte di Cassazione e la “naturale pericolosità” della montagna”

  1. Penso che il tutto ai giudici interessi poco: loro interpretano secondo le loro opinioni le leggi… e da noi uno è colpevole per principio, tocca a lui discolparsi convincendo giudici e magari giuria.
    All’estero non è sempre così, spesso la colpa va dimostrata.

  2. qunto viene pagato un giudice della corte di cassazione?

     

    una miseria non credo…

  3. Riferendomi a quanto ho scritto nel commento precedente e al caso in discussione, facciamo un esempio. Supponiamo che l’istruttore CAI sotto accusa avesse VENTICINQUE anni al momento dell’incidente. Deve aspettare di compierne QUARANTA prima di sapere se sia colpevole o innocente. Tutti gli anni migliori della vita passano sotto una terribile spada di Damocle.

    Ma siamo matti?

  4. Osservo che la sentenza della Corte di Cassazione è stata emessa QUINDICI ANNI dopo il fatto. Questi tempi della magistratuta, comuni sia nel penale che nel civile, sono indegni di un Paese civile. Lo sappiamo tutti da decenni.

    Ma i magistrati italiani, anche nel caso in cui siano responsabili del ritardo, anche qualora emettano sentenze pazzesche (poi ribaltate), anche se depositano le sentenze in ritardo determinando così la scarcerazione del reo (a volte assassini o efferati mafiosi), NON pagano praticamente MAI per i loro errori. A differenza di quanto accade agli altri cittadini (medici, ingegneri e chiunque altro).

    Ergo, i magistrati godono di privilegi al di sopra di tutti gli altri esseri umani.

    Questo è uno dei motivi per cui l’amministrazione della giustizia in Italia è peggio di quella del Burundi.

    Con tutto il rispetto per i magistrati del Burundi.

  5. Se tutti i giudici che hanno sbagliato una sentenza, pagassero di tasca propria l’errore, non come ora che paga lo stato , cioè noi, forse ci sarebbero meno giudici. Gli istruttori CAI, di altri sport dilettantistici e qualsiasi attività di volontariato, spesso si tirano indietro dopo aver sentito che oltre a lavorare gratis, sei caricato di responsabilità che possono essere pesanti. L’Italia é già messa male, se queste regole insensate prevalgono e demotivassero i volontari sarebbe la fine.

     

  6. DOVREMO INIZIARE A FAR PRECORSI PER ALLIEVI CHE POI SCEGLIEREMO PER INSERIRLI NEI CORSI VERI????

  7. Pensate che sia possibile che un cliente, allievo ecc…, possa assumersi le proprie responsabilità nell’atto di scegliere di praticare attività pericolosa? In questo caso se le manovre sono state effettuate, che siano cocci o stelle alpine, l’utente è consenziente e pratica volontariamente attività pericolosa. Magari la risposta era già nei post precedenti. Buona giornata a tutti e buona montagna.
    ENRICO

  8. Credo che debba essere condannata solo la responsabilità oggettiva di chi accompagna. Chi partecipa ae escursioni impegnative deve farlo con il giusto comportamento. Per il resto l’accompagnatore poteva anche avvertire che non si andava a fare una scampagnata, ma certo non tutte le possibili insidie. A me hanno chiesto di controllare che un cane non cadesse. L’unico incidente in 20 anni di accompagnamento è stato con una ragazza distratta.

  9. Ehi, è Art. 2050 del Codice Civile, non Art. 250… (però c’è dell’altro).

  10. Riflettiamo un attimo sul citato articolo del Codice civile.
    “Chiunque cagiona un danno ad altri nell’esercizio di un’attività pericolosa”. Nel caso specifico chi ha causato il danno? L’istruttore? La sezione CAI che ha organizzato il corso? Boh, faccio fatica a capire.
    “Se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. E quali sarebbero queste misure?
    Cioè, intendiamoci, non è che voglia fare il finto tonto. Nel caso specifico sarebbe probabilmente bastato legare il corsista come secondo di cordata per evitare la rovinosa caduta.
    Il punto della questione è però un altro. Come dice giustamente Cristina molto spesso il colpevole coincide con la vittima (mi viene in mente la storia dei tre scialpinisti rinviati a giudizio perché, a seguito di una valanga, il quarto è morto). Pertanto, si potrebbe anche obiettare che il corsista caduto in ferrata avrebbe potuto, con la sua sbadataggine, infliggere a sua volta dei danni a terzi.
    Quando studiavo diritto a scuola la professoressa ci diceva che le norme devono essere interpretate. Appunto! La contestualizzazione dove la mettiamo? L’art. 250 del Codice civile, tanto per fare un es., può trovare una sua logica applicazione per un’autotrasportatore di gasolio ma in ambiente alpinistico la situazione è ben diversa.
    Prendiamo il caso di una Guida alpina che prende tutte le precauzioni del caso per far salire a un cliente sulle Torri del Vajolet. Chiaro che se non fa le cose per bene mette a repentaglio la vita di quest’ultimo. Ma nel caso di un corso l’istruttore ha il compito di insegnare al corsista a muoversi autonomamente. Pertanto, arriverà sempre il momento in cui l’allievo dovrà essere messo in condizione di muoversi coi propri mezzi ed in piena sicurezza. E di lezioni teoriche se ne possono fare a chili, così come di lezioni pratiche. Il rischio in montagna è implicito, ineludibile. Si può cercare di ridurlo ma niente più.
    Chi frequenta un corso di alpinismo dove pensa di andare? A giocare a dama o a briscola? Lo sa benissimo che può andare incontro ad un incidente. Se non lo sa è scemo.
    Ovvio che non possiamo chiedere dei tribunali speciali per la nostra attività ma un minimo di competenza sì.

  11. Caro Vinicio, ma te nello zaino oltre alla n.d.a. (normale dotazione alpinistica) ci metti anche il Codice Civile…?

  12. Nulla da eccepire. Peccato, però, che in molti casi il colpevole corrisponda con la vittima (se uno fa una pirlata, non vedo perché si debbano accusare altre persone). In altri, invece, il colpevole non c’è: a meno che, per esempio, non si voglia processare un camoscio per aver fatto cadere un sasso.

  13. Art. 250 del Codice Civile:
    RESPONSABILITA’ PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ PERICOLOSE
    Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
    E il Codice Civile vale dappertutto.

  14. Grazie Giando e Alberto per i vostri commenti: spero che li leggano in tanti e che meditino.
    Buona giornata

  15. Giando… “la vita va vissuta e non evitata” e oggi invece si tende a….”vivere da malati per poi morire sani” .

  16. Vorrei aggiungere un ulteriore commento ad un argomento oggetto di dibattito. Mi riferisco al cosiddetto “vizio” della società moderna.
    Vediamo di intenderci e di contestualizzare.
    Cercare, per es., il responsabile dell’omicidio di Yara Gambirasio non è certamente un vizio. Cercare una qualche forma di responsabilità limitatamente ad una caduta in montagna è invece ben altra cosa.
    Se io mi affido ad un’esperto, che sia istruttore, guida alpina, o quant’altro, al fine di essere istruito, seguito ed aiutato, mi aspetto logicamente una certa professionalità ma non posso pretendere la soluzione di qualsiasi problema emergente. Ciò in quanto i rischi di un’attività pericolosa (e anche su quest’ultimo concetto ci sarebbe molto da dire) non sono eliminabili in toto.
    Quante volte ci sarà capitato di partire col sole e di tornare con la pioggia pur avendo consultato il bollettino meteo? La nontagna è fatta così, o l’accetti o non l’accetti. E se al ritorno da un’escursione comincia a piovere, il sentiero diventa scivoloso e l’allievo cade di chi è la colpa? Dell’accompagnatore che avrebbe dovuto dotarsi del palantir de Il Signore degli Anelli per vedere in anteprima cosa sarebbe successo?
    E non è nemmeno una questione di preparazione. A me è capitato di scivolare sul ghiaino al termine di un sentiero attrezzato, in un tratto più pianeggiante che scosceso, e di finire all’ospedale con conseguenze fortunatamente non gravi. Ma basta un attimo, basta scivolare anche su un banalissimo sentiero erboso e battere la testa sull’unica pietra nel raggio di un chilometro per lasciarci le penne.
    Quanto sopra esposto serve per sviluppare un ragionamento di carattere generale perché senza di quello diventa difficile entrare nello specifico. Se il punto di partenza dev’essere quello in base al quale l’ineluttabile può sempre essere evitato diventa normale cercare sempre e, comunque, un responsabile.
    Ma attenzione a ragionare in questo modo, perché una forma più o meno blanda di responsabilità la si trova sempre. Se non partiamo dal presupposto che siamo esseri imperfetti e ragioniamo come se fossimo delle macchine a cui nulla può sfuggire, che nulla lasciano al caso, rischiamo di perdere di vista un aspetto importante, dato dal fatto che la “vita va vissuta e non evitata”.
    Chi va in montagna lo fa, o meglio “dovrebbe farlo”, perchè ama vivere in un certo modo, a contatto con la natura, ma anche perché ama misurarsi con sè stesso e con le proprie potenzialità, perché rinuncia ad essere un’ameba da divano con l’epicondilite da telecomando e vuole mettersi in gioco, anche rischiando di farsi male.
    Invece la tendenza è diventata quella di far fruire a chiunque determinate esperienze delegando ad altri la responsabilità della propria incolumità.
    Se io decido di buttarmi col paracadute devo in primo luogo aspettarmi di poter morire perché il paracadute potrebbe non aprirsi. Invece se muoio cominciano una serie di indagini per accertare il colpevole. E alla fine qualche responsabilità si trova sempre. Ovvio che se muoio perché qualcuno mi ha deliberatamente dato uno strumento imperfetto è giusto che il colpevole venga perseguito ma chi ha più colpa fra il sottoscritto che si è lanciato sapendo di poter morire e colui che per mera disattenzione ha commesso un errore?
    Ci sono attività in cui non è possibile delegare in toto la responsabilità ad altri. La persona perfettamente in grado di intendere e di volere, nel pieno delle proprie possibilità psicofisiche, non può mai, a mio avviso, delegare tutta la responsabilità ad altri. Se lo fa è per interesse, prima di tutto economico.
    Qulacuno ha giustamente scritto che le sentenze fanno riferimento a casi specifici e che, pertanto, bisognerebbe entrare maggiormente nel merito delle valutazioni fatte dal giudice. Ciò è assolutamente vero, ma mi limito a sottolineare che non esiste un limite al fare di più e meglio. Arriva sempre un momento in cui un istruttore, visto che parliamo di corsi, insegnerà all’allievo a muoversi autonomamente. In caso contrario non ha senso fare un corso. Se un istruttore deve trascinare un allievo su una ferrata legandolo alla corda come un salame, magari addirittura moschettonando al posto suo, che cosa gli sta insegnando? Sarebbe come dire che ai corsi di nuoto bisognerebbe usare sempre e comunque il salvagente o che dalla bicicletta non si dovrebbero mai togliere le rotelline.
    Ma siamo seri, se un allievo perde la presa su una scala è umanamente logico attribuire la colpa ad altri? Sono cose che possono capitare anche ad un accademico del CAI! La responsabilità dell’istruttore finisce nel momento in cui vengono poste in essere tutte le misure di sicurezza necessarie in quel determinato contesto. E se in quel determinato contesto, essendo un corso, non è prevista la doppia assicurazione in cordata la colpa è solo di chi è scivolato.
    Ma chi giudica è in grado di leggere il contesto? Questo è un punto su cui bisognerebbe porre l’attenzione. Recentemente una mia collega di lavoro mi ha dato ripetutamente del cretino perché gli ho fatto vedere una foto in cui sono tranquillamente appeso in ferrata. Per lei quello che faccio è da irresponsabili. Se un giudice dovesse ragionare come la mia collega non potrebbe mai essere in grado di leggere il contesto e, pertanto, emetterebbe sentenze illogiche per chi, come noi, vive la montagna in un certo modo.
    Poi è chiaro che ci sta di tutto, ci sta pure l’istruttore impreparato, ci sta la sezione CAI meno attenta rispetto ad altre, insomma ciò che mi spaventa è il concetto di responsabilità oggettiva (che secondo me, ed in generale, fa acqua da tutte le parti). Ma tale concetto viene espresso con sempre maggior vigore in tutte le sedi, ed è un concetto chiaramente legato al soldo. Mettiamola come vogliamo ma è così.
    In questo senso, e solo in questo senso, sono assolutamente d’accordo sul considerare un “vizio” della società moderna la ricerca obbligatoria di un responsabile per ogni cosa che accade.
    Non si può inscatolare tutto. Bisogna tornare all’idea che vi sono cose che possono succedere, a prescindere dalle precauzioni poste in essere. Ciò in quanto non esistono precauzioni sufficienti ad evitare tutto. Se pure l’imprevedibile viene trasformato in prevedibile possiamo smettere di vivere.
    E bisogna altresì tornare alla cultura della responsabilità per ciò che si fa e per i rischi che ci si assume. Alla cultura delle nostre mamme (nonne per i nostri figli), del “te lo sei cercato”. E molti di noi sanno quanto questa semplice frase ha contribuito ad indicare un percorso nelle nsotre vite.

  17. Perfettamente d’accordo con Giando.
    Quando andavo a scuola io se venivo a casa e mi lamentavo perché la maestra mi aveva rimproverato, i miei genitori mi davamo dei bei calci nel culo. Adesso vanno di corsa a denunciare l’insegnante o ancora peggio l’aspettano fuori e lo pestano.

    Che mondo strano e assurdo, siamo passati da un eccesso all’altro.

    Cara Paolina avrò anche interpretato male le tue parole ma per adesso ci vedo ancora bene, tu hai scritto: un Responsabile o Responsabili; Colpevole/Colpevoli;

  18. Premesso che non mi piace esprimere giudizi senza essere perfettamente a conoscenza di come si sono svolti i fatti, ancorché sinteticamente illustrati, rimango alquanto sconcertato da una cultura emergente (in quanto, fortunatamente, non ancora assimilata da tutti).
    Una cultura in base alla quale si tende a ridurre, se non addirittura ad eliminare, la responsabilità dell’infortunato e, talvolta, del deceduto.
    E’ come se tutti coloro i quali si accingono a praticare un’attività pericolosa fossero dei deficienti, incapaci di comprendere l’esistenza della possibilità di farsi male se non addirittura di morire.
    La colpa è sempre chi dovrebbe vigilare e quand’anche tale vigilanza fosse adeguatamente posta in essere non è mai sufficiente.
    Io faccio parte di una generazione alla quale le mamme, se arrivavi a casa con un occhio nero, ti davano due sberle perché secondo loro te l’eri meritato, in quanto eri andato a metterti nei casini. Oggi le stesse mamme non ci pensano due volte a sporgere denuncia.
    Detesto questo modo di ragionare e sono fortemente deluso da questo tipo di cultura che non porta da nessuna parte.
    Andando avanti di questo passo la strada verso un’ autogestione di determinate attività risulta quanto mai aperta perché nel tentativo di insegnare qualcosa, soprattutto quando questo qualcosa ha dei connotati di pericolosità, si rischia di finire male.
    Francamente non ho idea dei passaggi che bisognerebbe porre in essere per cercare di cambiare rotta ma credo che la legge e soprattutto la sua interpretazione siano frutto della cultura espressa da una collettività.
    Pertanto, se non cambiamo il nostro modo di essere e di affrontare la realtà i giudici non potranno che emettere sentenze in linea col pensiero e la sensibilità dominante.
    In tutta sincerità non sono molto ottimista e non vedo, limitatamente all’oggetto dell’analisi, un futuro particolarmente roseo per il settore della montagna.

  19. Caro Albertino tu dici: “dopo un incidente, si analizza l’incidente e se ne cerca la causa.
    In un secondo momento se saltano fuori delle responsabilità di qualcuno si cerca un colpevole.”
    Sono perfettamente d’accodo con te!!
    Non ho detto di cercare subito di dare la colpa a qualcuno.
    Cominciamo ad intenderci.
    Ciao.

  20. Cara Paolina dopo un incidente, si analizza l’incidente e se ne cerca la causa.
    In un secondo momento se saltano fuori delle responsabilità di qualcuno si cerca un colpevole.

    Cercare subito di dare la colpa a qualcuno è ben diverso.

    Quando vai in montagna non sei dentro una campana di vetro e non puoi nemmeno pretendere di esserlo. Altrimenti cambia sport. Ci sono anche gli scacchi… oppure anche la dama è più semplice e quindi meno stressante.

    Comunque il problema è facilmente risolvibile. Chiudiamo le scuole del CAI, il soccorso alpino e bruciamo i manuali. Che ognuno in montagna ci vada per conto suo e assuma solamente su se stesso, sulla propria pelle, tutto quello che ne consegue.

  21. Io sarei molto più triste e sconcertata se dopo un incidente non si ricercasse un reponsabile o responsabili ovvero colpevole/colpevoli.

  22. Buonasera
    Alcuni commenti mi lasciano letteralmente sconcertata!
    Uno su tutti: “Succede un incidente qualsiasi, perché mai non si dovrebbe ricercare un colpevole?”
    Semplice: perché molti, moltissimi, incidenti sono causati da fatalità. E perché spesso, molto spesso, il “colpevole” è la vittima stessa.
    Certo che è veramente triste leggere certi ragionamenti…

  23. Per Massimo Bursi: avere una visione romantica della montagna non è un difetto. Un tempo questa visione era senza dubbio esagerata. Oggi purtroppo è esattamente il contrario. La montagna da romantica è diventata preconfezionata.

  24. Per Stefano: sono d’accordo con te che nell’ambiente degli istruttori CAI di cose che non vanno come dovrebbero (secondo me) ce ne sono diverse. Si parla di istruttori di alpinismo ma spesso nei corsi di alpinismo se ne fa poco… l’impostazione è quasi sempre verso l’arrampicata.

    Per Paola: sei proprio convinta che la legge della giungla (quella vera) sia sempre e solo ingiusta?
    Perché oggi la legge inventata dall’uomo non ti sembra una giungla, dove prospera soprattutto chi si può permettere l’avvocato con i c……i? dove le cause durano all’infinito?

    Per Vinicio: non è che non si debba disciplinare. Ma rischiare una condanna per una cosa ridicola non farà altro che allontanare l’impegno nel volontariato. E’ questo che vogliamo? Benissimo. Che i corsi se li facciano da loro. Che il soccorso alpino se lo facciano da loro. Io in montagna ci vado ugualmente. Prima sono alpinista e poi istruttore, poi soccorritore (lo ero).

  25. Ciao a tutti,
    Vi scrivo dall’ospedale dove sono stato appena operato per la terza volta al ginocchio… Addio montagne per quest’estate… Io mi sono giocato la stagione. Ovviamente auguro a tutti buone gite, camminate, ferrate, scalate in montagna.
    Normare o non normare?
    Io nella mia visione romantica sarei portato a pensare che in caso di incidente ci si possa regolare con il compagno o con l’istruttore o con la guida o con se stessi senza tirare in ballo le leggi, le normative o le assicurazioni.
    Ammetto che si tratta di una visione romantica.
    Ma applicare i cavilli legali sugli incidenti in montagna mi sembra molto artificioso e di difficile applicazione poiché ci causa o subisce un incidente lui sa esattamente come sono andate le cose senza doversi poi presentare dal giudice.
    In altre parole credo che ci debba ancora essere il BUONSENSO, la COSCIENZA ed un senso di RICONOSCENZA nei confronti di chi ci porta in montagna magari da volontario.
    Ammetto che cerco di portare in montagna un mondo ideale che ora non esiste più.

  26. Saluti anche a te Stefano e buona montagna!
    Per non essere frainteso ribadisco: i concetti da me espressi sono generali e non riguardanti il fatto specifico esaminato nell’articolo!

  27. “il regime del volontariato e l’assenza di fini di lucro non esime né attenua le responsabilità”.
    e fin quì nulla da eccepire… per il resto torno al discorso istruzione primaria qui non si discute di un motociclista che ti investe, si parla di uno inciampato da solo e da quando il mondo è mondo, un pirla resta un pirla…! Se poi vuoi farlo passare da vittima è affar tuo… o magari ti pari le spalle per un futuro personale incidente…?
    Saluti e baci e senza fez!

  28. Brava Paola!
    Ribadisco: questo “vizio” ritengo sia una virtù. Succede un incidente qualsiasi, perchè mai non si dovrebbe ricercare un colpevole.
    Si parla in giro di montagna come Disneyland e disturba qualcuno!
    Vogliamo il Far West?

  29. L’autore dell’articolo scrive:” “vizio” della società moderna: la ricerca “obbligatoria” di un responsabile per ogni cosa che accade”.
    Fortunatamente e ben venga questo “vizio” altrimenti regnerebbe la legge della giungla.

  30. Gentile Michelazzi, parliamo due lingue diverse oppure non riusiamo a intenderci.
    I miei sono concetti generali e non riguardanti il fatto specifico dell’articolo!
    Tu dici: “L’imposizione di ordine e disciplina, di gestione univoca ed indiscutibile delle persone, ed in casi come questo anche del territorio, è un concetto basilare del fascismo.
    La ricerca del colpevole ad ogni costo, da mettere alla berlina e condannare severamente idem…”
    A questo punto se non si vuole più disciplinare allora perchè dannarsi l’anima ed essere contrari alle moto in montagna? Perchè dannarsi l’anima ed essere contrari allo sfruttamento della montagna ed all’escavazione? Qui non c’enta la politica! Per quanto concerne la ricerca di un colpevole se un trialista percorrendo un sentiero di scaraventa giù e ti rompe le ossa tu lo ricercheresti un colpevole oppure gli fai un saluto e una risata e gli stringi la mano?
    Comunque ribadisco che a mio avviso sia giusto: “il regime del volontariato e l’assenza di fini di lucro non esime né attenua le responsabilità”.
    Inoltre plaudo al “vizio” della società moderna: la ricerca “obbligatoria” di un responsabile per ogni cosa che accade”.

  31. Alberto la mia non voleva essere polemica, non a caso ho premesso: (malgrado abbia molti cari amici, molto bravi e personalmente preparati che svolgono l’attività volontaria).
    Ho potuto però notare, e me l’hanno fatto notare spesso anche aspiranti alpinisti, i quali poi sono approdati al mio porto come clienti, che spesso accade ci siano troppi istruttori e troppa confusione nei corsi promossi dalle varie sezioni.
    Ovviamente il discorso non è assolutamente generale, riguarda alcuni casi, ma si sta a mio avviso ampliando non poco… e credo che un campanellino d’allarme che squilla vada ascoltato per evitare futuri problemi.
    Nel caso al quale ho accennato il protagonista era, non un volontario qualunque, ma un istruttore nazionale quindi si presume che conosca le basilari regole di sicurezza. Il mio intervento casuale (ero lì ad arrampicare per fatti miei) è stato inoltre coadiuvato da due bravissimi istruttori sezionali che conosco personalmente, di altra sezione, anche loro lì per proprio diletto. Quindi come detto, non di tutta l’erba un fascio, ma qualcosa comunque non funziona perfettamente come invece dovrebbe.
    La sentenza discussa qui, in questo caso ovviamente non c’entra ed il mio accenno è dovuto soprattutto al fatto che se vogliamo evitarne di altre sono inutili e puerili le “linee guida” di Del Zotto, mentre invece una presa di coscienza seria e radicale migliorerebbe non di poco la situazione.

  32. Non so cosa abbia fatto questo istruttore nazionale, sicuramente qualcosa di grave se poteva finire in tragedia. Quindi niente scuse per lui, soprattutto se questo fatto è successo durante un corso.
    Certe cose durante un corso non devono assolutamente accadere. Ma anche le guide alpine, nonostante la loro professionalità fanno delle belle cappellate, con scelte che poi hanno portato a delle tragedie. Per il cliente e per la guida stessa.

  33. Vatteroni, te lo spiego subito e ben volentieri cos’è che volevo esprimere:
    1) riprendi parte di ciò che ho scritto: “Con una sentenza di questo tipo, un accompagnatore che conduca un gruppo a fare anche una semplice passeggiata si potrebbe vedere condannato, in quanto uno dei partecipanti, pagante o meno, è scivolato e si è storto una caviglia…”.
    Il commento: “Se l’accompagnatiore sbaglia è giusto che paghi! Chi gli dice di fare l’accompagnatore?.. ecc. …”
    La sentenza non parla di colpa… da questo il mio invito ad imparare a leggere o magari (lo aggiungo ora) almeno a leggere con attenzione prima di commentare in modo assolutamente errato… !
    2) Non ripropongo i tuoi interventi perché mi dilungherei troppo, basta questo, gli altri sono dello stesso tenore… : “Caos? – Questo è ordine.-
    Perchè mai non dovrebbero essere cercati i colpevoli per qualsiasi tipo di incidente o evento naturale – che interessi e coinvolga strutture costruite o modificate dall’uomo?”
    L’imposizione di ordine e disciplina, di gestione univoca ed indiscutibile delle persone, ed in casi come questo anche del territorio, è un concetto basilare del fascismo.
    La ricerca del colpevole ad ogni costo, da mettere alla berlina e condannare severamente idem…
    Se scivoli perché il sentiero è bagnato spero non ti sogneresti mai di denunciare la sezione del CAI preposta al suo mantenimento per richiedere i danni… e lo stesso considero assurdo e demenziale cercare un colpevole se ti casca un sasso dalla cima della parete!
    In questo preciso caso (ma ve ne sono molti altri già sentenziati, anche se meno eclatantemente), non si riscontra, ripeto, colpa nei confronti di qualcuno, se ne individua una concettuale: andare in montagna accompagnando qualcuno meno esperto (e sull’esperienza ce ne sarebbe da discutere) comporta averne totale responsabilità, e questo senza limitazioni. Il senso di questa sentenza è questo!
    Che ci sia un vizio interno al CAI nella formazione degli istruttori (malgrado abbia molti cari amici, molto bravi e personalmente preparati che svolgono l’attività volontaria), ho avuto modo di appurarlo più volte, l’ultima, che per poco non finiva in tragedia (ma per fortuna c’era la Guida Alpina a risolvere il casino combinato dall’Istruttore nazionale…), l’ottobre scorso, ma malgrado possa essere una situazione per certi versi, piuttosto inquietante, dovrebbe essere risolta in altro modo, non con una sentenza la quale limita chiunque si affacci alla wilderness montana, infatti come detto, non si parla di colpe individuali o di formazione inadeguata, si tratta un’episodio dato dal rischio latente (la chiamiamo fatalità?) come fosse invece un caso di responsabilità.

  34. Allora, visto che bisogna cercare un colpevole ad ogni costo anche per una sbucciatura sul ginocchio con il rischio di mettere in guai seri chi si impegna solo per la pura passione per cercare di trasmettere agli altri le proprie conoscenze ed esperienze, non certo per lucro e rimettendoci anche di tasca:
    è bene che ci pensiamo bene. Credo sia l’ora di buttare per aria il tesserino da istruttore CAI, dando le proprie dimissioni. Che le persone imparino ad andare in montagna, a fare manovre, a scalare, sulle ferrate, ect. solo sulla propria pelle. Come abbiamo fatto molti di noi da autodidatti. Oppure si prendano una guida e la paghino.

    Qui mi sembra che un certo apparato voglia farsi bello usando gli altri. “Armiamoci e partite”.
    Potrei essere molto più chiaro “fare il…………………. degli altri” ma sarei volgare e Alessandro, giustamente, poi mi banna.

    Quello che è ancora più grave è che un certo apparato non difenda con forza le proprie scuole e i propri istruttori che sono il vero PATRIMONIO!! e che in definitiva si fanno il mazzo e si assumono i rischi per la gloria degli altri.

  35. A prescindere da ogni commento una cosa è certa e inderogabile:
    “il regime del volontariato e l’assenza di fini di lucro non esime né attenua le responsabilità”.
    Giusto e sacrosanto.
    Nell’articolo si legge: “un “vizio” della società moderna: la ricerca “obbligatoria” di un responsabile per ogni cosa che accade”.
    Questo “vizio” ritengo sia una virtù. Succede un incidente qualsiasi, perchè mai non si dovrebbe ricercare un responsabile? La montagna non è un Far West!
    A proposito del commento di Michelazzi: cosa ha voluto esprimere? Bah!

  36. APPUNTO!!

    caro Marco sono perfettamente d’accordo con te. Presto la mia opera nelle scuole del CAI dal 1984 e sono perfettamente convinto che quando arrampico con l’allievo so di essere sciolto, quindi so benissimo che non mi posso permettere di cadere e certamente da un allievo non posso mica pretendere un comportamento da esperto. Quindi cerco di mettermi nelle condizioni di non fare bischerate.

    Però sta di fatto che oltre ad assumerti la responsabilità dell’incolumità dell’allievo , ti assumi anche il rischio della tua stessa incolumità.

    Quindi per la prima la LEGGE pretende. Ma per la seconda la LEGGE cosa mi da…..?

  37. Ad Alberto Benassi, la prima parte di quello che scrivi mi trova perfettamente d’accordo,la seconda invece dove parli della “pelle” dell’istruttore un po’ meno, io personalmente quando arrampico con degli allievi penso di arrampicare come se fossi slegato, quindi la caduta è fuori discussione! Il momento delle c….e non deve esistere! La cosa che mi preoccupa è che una sentenza come questa crea un precedente tale per cui anche facendo tutto secondo il manuale ti possano citare in giudizio perché l’allievo di turno si è distorto una caviglia inciampando nel gradino del rifugio… E questo non lo posso accettare!

  38. Premesso e stabilito che non lo ordina il dottore di fare volontariato nel cai;
    premesso e stabilito che quando uno decide di prestare la sua opera gratis in una scuola di alpinismo del CAI, si assume comunque le sue responsabilità, e ci mancherebbe altro;
    detto questo, caro Vinicio Vatteroni:
    chi salvaguardia l’istruttore di alpinismo quando mette la sua pelle nelle mani dell’allievo? Perché quando porti l’allievo a scalare durante il corso e gli dai in mano la corda per farti sicura, gli metti in mano la tua di pelle! E’ vero che te sei il forte e bravo istruttore ma il momento del c…e può capitare a tutti.

  39. Vinicio Vatteroni aldilà che imparare a leggere è prerogativa di chi frequenta le scuole elementari, è vero che l’italietta è rimasta fascista, ma il ventennio è finito da un pezzo… fattene una ragione…! 😉

  40. Ehm… guardate che la faccenda non è facile (da una parte o dall’altra).

  41. in merito alla brillante osservazione di Vinicio Vatteroni che dice “Se ne vada in montagna per conto suo senza accompagnare gli altri: Non glielo ordina mica il dottore!” il ragionamento vale anche per l’allievo: non glielo ha mica ordinato il dottore di fare il corso!
    meditare gente meditare

  42. sembrerebbe quasi una mossa della lobby delle Guide per avere il controllo delle attività formative e per togliere di mezzo definitivamente il volontariato delle scuole del CAI.
    Ma in realtà penso che ciò sia semplicemente dovuto alla innata ed insana mania tutta italiana ed occidentale in genere di normare tutto con leggi poco comprensibili

  43. infatti , sono qui che ci penso e ci ripenso. Che lo faccio a fare. Giusto non me lo ordina mica il dottore. Allora Perché sprecare il mio tempo per gli altri , rovinare e perdere la mia attrezzatura, rischiare la mia pelle, con il rischio poi di finire in galera oppure buttare fuori una bella paccata di soldi, Magari per una slogatura . Per cosa per la gloria? No, semplicemente lo faccio per passione. Perché lo trovo giusto trasmettere la mia esperienza agli altri. Visto che con me è stato fatto uguale.
    E’ chiaro e anche giusto che se uno sbaglia, volontario o professionista , la responsabilità è personale. la legge è la legge. Ma a tutto c’è un limite.
    Quindi visto che a me, oltre alla gloria, non viene nulla , ma solo rischio. E’ bene che il volontariato se lo facciano i signori burocrati. E chi vuole iniziare ad andare in montagna lo faccia sulla sua pelle e non sulla mia.

  44. In uno dei commentio leggo: “il caos totale su tutto per esempio basti pensare che qualsiasi tipo di incidente o evento naturale succeda si debba per forza cercare i colpevoli”.
    Caos?
    Questo è ordine.
    Perchè mai non dovrebbero essere cercati i colpevoli per qualsiasi tipo di incidente o evento naturale – che interessi e coinvolga strutture costruite o modificate dall’uomo?

  45. In uno dei commenti leggo: “Con una sentenza di questo tipo, un accompagnatore che conduca un gruppo a fare anche una semplice passeggiata si potrebbe vedere condannato, in quanto uno dei partecipanti, pagante o meno, è scivolato e si è storto una caviglia…”.
    Se l’accompagnatiore sbaglia è giusto che paghi!
    Chi gli dice di fare l’accompagnatore?
    Se ne vada in montagna per conto suo senza accompagnare gli altri:
    Non glielo ordina mica il dottore!

  46. La legge è la legge!
    Mare, pianura, città, paesi e montagna.
    Vale per tutti i luoghi.
    Perchè la montagna dovrebbe esserne esente dall’applicazione?

  47. “il regime del volontariato e l’assenza di fini di lucro non esime né attenua le responsabilità”.
    Lo trovo giusto.

  48. “bisogna normare, normare e rinormare”…..inquadrati , allineati e coperti….come da militare.

    E guai a te se provi ad uscire dalle norme….. perché c’è il Sig. Giudice che ti giudica e ti condanna.

    Bella roba!!!

  49. Il problema è generalizzato in Italia, ormai e il caos totale su tutto per esempio basti pensare che qualsiasi tipo di incidente o evento naturale succeda si debba per forza cercare i colpevoli dandosi le colpe uno su l’altro avvolte senza risultato specialmente sugli eventi naturali.

  50. Ma in che mondo viviamo? Come si fa a non essere tutelati da un’associazione per la quale facciamo volontariato? Un istruttore di qualsiasi livello e in qualsiasi tipo di corso CAI deve avere la garanzia che se fa tutto come deve essere fatto l’allievo non possa avere nessun appiglio per citarlo in giudizio. Invece, le varie commissioni, continuano a aggiungere norme su norme e burocrazia su burocrazia che aumenta notevolmente il rischio di non essere in regola!! Quando non troveranno più nessuno disposto a rischiare tutto quello che ha per gestire o condurre un corso, questa bella realtà dei corsi e delle varie attività del CAI andrà a morire! Mi auguro che non succeda, ma quando leggo queste cose mi sembra di essere preso in giro da chi ha voce in capitolo.

  51. “se non prova di avere adottato tutte le misure idonee per evitare un danno”: purtroppo questa frase non viene sviluppata.

    Il principio giuridico, a me ben noto in quanto istruttore professionista (= per fini di lucro) di arrampicata e canyoning oltralpe, é quello dell'”obbligo di mezzi”, il quale non ha nulla a che vedere con l”obbligo di risultato”.

    Nel caso specifico se c’è stata condanna vuol dire che secondo i giudici si poteva ragionevolmente fare di più o meglio, ma purtroppo l’articolo non specifica.
    Esempi a caso, nei quali sarei d’accordo con la cassazione:
    – magari longes e dissipatore non erano proprio “a norma”;
    – magari non era stato detto né accennato all’allievo che malgrado longes e dissipatore, cadere in ferrata non é mai una buona idea, in quanto l’esito é molto spesso un infortunio, a differenza di quanto avviene ad esempio in falesia;
    – magari ci si poteva legare in conserva in aggiunta alle longes e non é stato fatto.

    Per finire, a detta di un conoscente avvocato, purtroppo una volta che la denuncia è partita si ricerca per forza una responsabilità, ma non è che sia qualcosa di nuovo… i principi giuridici in gioco discendono in larga parte dal diritto napoleonico!

    Il fatto nuovo casomai è che l’allievo infortunato decida di sporgere denuncia. In questo senso tutto quello che si può fare è giocare sulla prevenzione “culturale” da un lato, e pararsi il culo con opportune polizze assicurative dall’altro (parliamo di responsabilità civile, che è assicurabile…)

  52. A leggere buona parte dei commenti mi si sono rizzati i capelli e pure i peli…
    Aldilà del fatto che la sentenza prende come capro espiatorio un episodio accaduto durante un corso CAI, aldilà del fatto che, come qualcuno ha scritto, un’altra sentenza può tranquillamente arrivare in un secondo tempo e ribaltare la prima, il nocciolo della questione è quello, ormai diventato quasi un Leit-Motiv, di normare e regolare mediante leggi e sentenze varie, la libera frequentazione della montagna o di qualunque altro ambiente “wilderness”.
    Il problema non si pone sul singolo caso, il quale se (e vista la dinamica così non è) fosse una questione di colpa, andrebbe dibattuto e valutato solamente per sè stesso, mentre la sentenza coinvolge in toto le attività che rientrano nell’ambito dell’alpinismo e dell’escursionismo in genere.
    Con una sentenza di questo tipo, un accompagnatore che conduca un gruppo a fare anche una semplice passeggiata si potrebbe vedere condannato, in quanto uno dei partecipanti, pagante o meno, è scivolato e si è storto una caviglia…
    Quello che più mi ha lasciato interdetto nel leggere i commenti è quel voler normare a monte, rendendo ancora più complesso e limitato il libero arbitrio nelle scelte personali.
    Il CAI deve filtrare chi richiede di partecipare ad un corso con un test che valuti la reale passione che lo sostiene??? Ma stiamo impazzendo?
    E chi sono queste persone così esperte e assolutamente prive di macchia da lamentare lacune di questo genere nella legislazione e nell’etica alpinistica? Chi ha decretato la loro capacità e passione (perchè questo è intrinseco in tali commenti), tanto da renderli ESPERTI e quindi degni di criticare gli altri?
    Come ho già avuto modo di scrivere, questa società e purtroppo, anche ormai, l’anarchica montagna, sta vivendo una retrocessione culturale che la vede ancorata al medio-evo… una piazza acclamamante il boia, il quale sta tagliando la testa a un povero disgraziato innocente e non si rende conto che così facendo uno di loro sarà il prossimo a poggiare il collo sul ceppo…!

  53. Sono d’accordo praticamente con tutti i commenti che hanno dato una visuale esauriente dei vari punti di ragione che stigmatizzano la sentenza, anche se bisognererebbe approfondire più di quanto io non abbia fatto le motivazioni dei giudici. Ma giustissime soprattutto le considerazioni sul sospetto che a muovere la denuncia sia stato una volgare aspettativa di lucro che veramente dovrebbe/deve essere lontano anni luce dallo spirito del vero alpinista e conseguentemente del CAI tutto. Mala tempora…!

  54. E’ 60 anni che vado in montagna. Bonatti la chiamava “la severa scuola”… severa perché si sapevano i rischi e i pericoli. La sentenza non mi stupisce più di tanto, è stata decretata da gente che non sa nemmeno cosa sia la montagna. Questa è la realtà, spero solo che i vari CAI o associazioni continuino nel loro operato per avvicinare i giovani a questa disciplina, giovani che devono sapere sin dall’inizio che la percentuale di incidenti è presente e che ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Chi non accetta stia a casa davanti alla TV. Ringrazio tutte le sezioni del CAI e il soccorso alpino per il loro operato.

  55. Forse è ora che chi la montanga la vive si dia da fare e faccia fronte comune per mettere fine a queste “sentenze all’italiana”.
    Chi va in montagna ne deve accettare in toto le responsabilità e il pericolo.
    Leggendo l’articolo sembra che i vertici CAI siano diventati tutti burocrati da scrivania, buoni solo ad ingolfare di carte l’Italia.
    Se il CAI ha un minimo di dignità dovrebbe promuovere oggi stesso una proposta di legge in merito.

  56. Una sentenza di chi in montagna non c’è mai stato.
    La montagna è un luogo pericoloso e non è adatto a tutti.
    Voi andarci? Lo fai a tuo rischio e pericolo, il dovere di un istruttore è seguire l’alievo, impartirgli la tecnica per quello che deve fare, e accertarsi che usa i DPI.
    Del Zotto parla di aumentare le lezioni, ma quante lezioni servono per far capire ad un allievo come usare i moschettoni della ferrata? Diciamo che in mezz’ora anche uno poco intelligente ci arriva, quindi meglio lezioni snelle e mirate che troppe giornate in cui dimentichi la teoria e poi alla pratica non sai che fare.
    Poi entriamo nel discorso che molti club portano in montagna “imbranati pericolosi” solo per prendere la quota senza fare una selezione su idonei.
    Poi non ci lamentiamo che la normale selezione darwiniana li elimini in montagna.

  57. Inaudito, da non credere.
    Evidentemente, chi non è dell’ambiente non può rendersi conto di certe cose.

  58. Ditemi che non è vero. Ditemi che è uno scherzo.
    Non lasciatemi nel dubbio che la Corte di Cassazione si sia veramente pronunciata su un incidente in montagna.

    No ai giudici, no a chi denuncia, no alle assicurazioni, no ai cavilli legali, basta con le ferrate, basta con i corsi.

    Anche se vi sforzate di normare tutto, il rischio, anche piccolo ci sarà sempre.

    Ma possibile che con tutti i problemi che ci sono in Italia non ci lasciano andare in montagna in pace????????

  59. Da quel che so io, una sentenza giudica un fatto specifico, quindi per poterla valutare correttamente, occorrerebbe conoscere la dinamica dell’incidente cosa è stato accertato nel dibattito. Io ignoro cosa sia accaduto e come si sia svolto il dibattito, ma una cosa mi pare di sia sicura: le progressione era assicurata correttamente e le precauzioni necessarie prese. Tanto è vero che l’incidente,a prescindere dal perché sia avvenuto e che facilmente poteva avere esiti mortali, si è risolto con un danno da partitella scapoli-ammogliati o da topicco sul marciapiede.
    Francamente, non posso pensare si possa pretendere di più da un accompagnatore esperto, un corso o anche da una guida!

  60. Non ho dati sufficienti per sapere se siano state osservate tutte le norme di sicurezza da parte degli istruttori.
    Ciò premesso, questa sentenza apre una voragine sulle responsabilità di chi va per monti affrontando qualunque disciplina, dall’alpinismo, all’arrampicata sportiva, allo sci-alpinismo e non ultimo anche l’escursionismo. E non parlo soltanto di attività organizzate dalle sezioni CAI, ma anche di quelle fra amici che amano profondamente la montagna. La mia paura è che, a partire da questo precedente, quando accade il minimo incidente, anche lieve, si vada a cercare un responsabile a tutti i costi, magari valutando le singole esperienze e tirando fuori il concetto di “affidamento” soltanto perchè qualcuno nel gruppo ha fatto 2 vie o 2 escursioni in più dell’altro!

  61. D’accordo su quanto detto fino ad ora, ma nella storia vedo anche una sorta di ostinazione da parte del CAI di portare in montagna gente che con la montagna ben poco ha a che fare

  62. come si a a pensare di denunciare un istruttore o accompagnatore perchè si è inciampati su una scala? avendo comunque evitato problemi ben più seri, perchè assicurati con set omologato?
    è anche vero che, una volta, gli istruttori portavano allievi in ferrata SEMPRE assicurando l’allievo oltre che col set da ferrata anche con la corda da alpinismo e un banale mezzo barcaiolo, in modo da avere una doppia assicurazione.
    questo però non avrebbe escluso la possibilità che il piede del malcapitato si rompesse lo stesso!
    che cosa sia successo nella fattispecie tra allievo e SEM non è dato saperlo; certo l’infortunato mi pare il solito approfittatore che cerca di spillare denaro dove può.
    se dovesse cadere dalle scale di casa sua? cosa farebbe? denuncerebbe il condominio o colui che ha fatto le pulizie perchè ha passato troppa cera??
    ma perchè ‘sta gente non se ne sta sotto un ombrellone???

  63. Il pericolo è dappertutto! Ho avuto incidenti in moto e in auto e attraversando la strada. Da 25 anni che vado in montagna mai incidenti seri.
    Non vale una sentenza per annullare i pericoli.

  64. Condivido esattamente i commenti di Vittorio Marinelli e Alex ed aggiungo due cose:
    1) la necessità di introdurre un test psicoattitudinale per chi decide d’iscriversi al CAI. Escluderebbe gli imbecilli, e ce ne sono, che lo fanno solo per vanagloria nei confronti di amici, parenti, ma non amano e conoscono la montagna.
    2) l’istituzione di una copertura assicurativa che gravi sul costo d’iscrizione analoga a quella dei voli in aereo.
    Con questo chi non è realmente motivato e gli approfittatori restano a casa!!

  65. L’ignoranza e l’ottusaggine di chi ha giudicato e la stronzaggine di chi ha denunciato. Ma chi la fa… l’aspetti!!!

  66. Ai corsi sezionali l’istruttore e la sua scuola CAI ha il dovere morale e spirituale di seguire l’allievo come un falco e il rapporto per i corsi speleo CAI è di tre allievi e un istruttore… il mondo occidentale è cambiato in peggio, fa causa ogni dove. La si fa anche a una bella ragazza bionda a passeggio sul marciapiede perché lui, coglione, ha tamponato l’auto davanti…

  67. Mi sembra venga data troppa importanza a una sentenza che, seppure della Cassazione, verrà ribaltata tra un mese da un’altra sentenza, sempre della Cassazione. A parte questo, mi sembra si sorvoli del tutto sul concetto del minimo rischio elettivo, insito necessariamente su un’attività come quella dell’arrampicata. Comunque bisogna spingere sulla leva assicurativa in modo tale che anche un impiastro del genere possa avere le sue minime soddisfazioni economiche.

  68. Concausa di una svendita delle montagne, in una società credente solo nel dio denaro, anche la montagna è merce in vendita che uno pensa di comprare facendo un corso e di trovare nello scontrino di acquisto di scarpette e completo rigorosamente abbinati. Tutte le volte che sono caduto, mi sono graffiato e non me la sono presa con nessun altro che con me stesso, anzi, neppure con me stesso, perché se ero lì, vuol dire che avevo messo come posta in gioco di cadere e graffiarmi e rompermi, ecc, ecc per arrivare su, per amore verso quest’arte. Purtroppo la gente si avvicina alla montagna per moda ora, l’amore, quello che ti fa venire la pelle d’oca quando guardi un vecchio paio di ramponi, non lo compri al decathlon e non lo impari ai corsi. Le cause in tribunale a chi ti insegna come scoprirlo sono la diretta conseguenza di chi va in montagna col tablet nello zaino per condividere 8 stati/min su facebook, il cellulare aziendale e nella testa le pratiche sulla scrivania lunedì. Meditate gente

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