La giusta distanza

La giusta distanza
di Michele Serra
(pubblicato su ilpost.it/ok-boomer il 13 giugno 2023)

Visto, e molto amato, Le otto montagne. Contiene tutta la potenza vertiginosa della montagna, che è la potenza della solitudine e della distanza. L’alpeggio, la pietra, la neve, la notte, il giorno, il torrente, il vento, cos’altro?

Michele Serra è membro del Comitato Etico-scentifico di Mountain Wilderness

Il deserto e l’alta montagna (immagino anche l’alto mare, che ho frequentato poco perché mi sgomenta) sono due facce della stessa condizione: ci si sente piccoli e soli, esposti all’immensità del cosmo, in una condizione di asocialità che acuisce di molto la percezione di se stessi (del proprio spirito?). Nel film la voce del vento è quasi ininterrotta – la vera colonna sonora. Un ruggito implacabile, di una belva che non riposa mai. Mi ha fatto pensare che nell’Ecclesiaste, libro terribile della Bibbia ebraica e cristiana, il vento è ovunque, segna il tempo e forse lo divora. Il vento dell’Ecclesiaste ha fauci e spazza il nulla piatto – il deserto. Il vento di montagna scuote le vette, rimbalza, si arrotola in enormi vortici, gli resistono solo il cirmolo, che si abbassa per scansarsi, e gli ultimi larici dalla forma eroicamente ritorta (li ha torti la tempesta: mi piego ma non mi spezzo). E gli resiste l’uomo, ovviamente, riparato dietro una cresta o un masso e protetto dal suo sapere tecnologico: a vincere la paura delle cime, perfino più del razionalismo che scacciò il terrore degli spiriti maligni, poterono il Gore-Tex e il Vibram.

Paolo Cognetti è l’autore de Le Otto Montagne

A Lecco, ai funerali di Walter Bonatti, nel 2011, vidi un bel campionario di “facce di montagna”. Alpinisti, guide, viaggiatori, qualche giornalista non stanziale, qualche intellettuale non televisivo. Francesi, austriaci, svizzeri, italiani. I suoi amici di una vita, le Alpi radunate in un grande prato. Vestiti andanti, parecchie barbe, corpi magri di camminatori, sguardi resi sottili dalla troppa luce. Facce molto intense, di uomini e (meno numerose) di donne. Pensai: sono forgiate dall’esposizione agli elementi, non dallo sforzo di piacere. Facce che guardano, non facce che si sentono guardate. Per dare l’idea, il contrario del lifting.
Mi si avvicina un signore di età indefinibile (non giovane, comunque), piccolo, secco, abbronzato, che pareva appena sceso da una cresta, o uscito da un rifugio.

– Lei è Serra?
– Sì, buongiorno.
– Devo farle una domanda.
– Mi dica.
– Le sembrerà una domanda strana.
– Pazienza. Me la faccia lo stesso.
– Quante fotografie di Berlusconi saranno uscite sui giornali?
– Davvero non saprei… migliaia, immagino.
– Migliaia. Benissimo. Ne ha mai vista una di Berlusconi in montagna?
– … No. Adesso che mi ci fa pensare, non direi proprio.
– Ecco. È esattamente quello che le volevo dire.

Mi salutò e sparì.

Vladimir Vladimirovič Putin, Silvio Berlusconi e Dmitrij Anatol’evič Medvedev con il vin brulè al rifugio (Caucaso). Foto: Afp, courtesy of Ilpost.it.

Ripensandoci più tardi mi venne in mente che qualche foto di Berlusconi nel centro di Cortina, o di Courmayeur, probabilmente esiste. Ma stava entrando o uscendo da qualche illustre locale, o dalla casa di Bruno Vespa. Foto di “Berlusconi in montagna”, così come le intendeva quel signore, non ne ho mai viste – prego il fact-checker del Post a me addetto di soprassedere, nel caso ne trovasse una: si tratta, ne sono certo, di un fotomontaggio, o di una simulazione per conquistare il voto degli addetti alla funivia e dei maestri di sci.
Questa storia di Berlusconi e della montagna mi è rimasta impressa. Ci ho spesso riflettuto. Ancora di più questa mattina, 12 giugno 2023, che Silvio Berlusconi è morto e chi gli ha voluto bene – moltissimi – si sente orfano. Per i commenti politici ci sarà tempo, ne scriveremo e ne leggeremo a tonnellate. Questo brevissimo racconto “alpino”, evidentemente, parla di politica molto indirettamente. Piuttosto prova a mettere a fuoco una profonda differenza esistenziale, estetica e anche etica. Chissà se contano di più o di meno le differenze etiche ed estetiche delle differenze politiche…
Effettivamente, l’antropologia che vi ho appena descritto per sommi capi – quella del funerale di Bonatti – è quanto di più distante dalle convention di Publitalia, da quei completi blu, quell’umanità ceronata, quelle hostess sorridenti, quei colori televisivi troppo vividi per essere veri. Volessimo buttarla in vacca (che è, per altro, animale da alpeggio) potremmo dire che la montagna “è di sinistra”. Ma per carità non facciamolo, che poi ci toccherebbe aggiungere che il mare è di destra, e mi scriverebbero Giovanni Soldini e Renzo Piano, a nome di infiniti altri, chiedendomi se sono diventato scemo.
Risaliamo, invece, fino all’inizio di questo scritto, dunque al concetto, credo fondamentale, di distanza. La montagna è importante, per molti, perché è distante dalla società, dalla città. Risponde al bisogno di frapporre uno spazio, un distacco, una cesura. Ed è una cesura così netta, direi così “drammatica”, che quando poi si ridiscende a valle si prova un sollievo almeno pari all’esaltazione della salita. Anche l’Ecclesiaste preferiamo leggerlo in una casa comoda e calda, le Otto montagne vederle su Netflix. Il vento se ne rimanga fuori, grazie.

Walter Bonatti nel 1964. Foto: Wikipedia.

Quando il giovanissimo Bonatti (che, lo dico per i meno vecchi, è stato forse il massimo protagonista dell’alpinismo “classico”, nonché, incredibile ma vero, una popstar assoluta nell’Italia degli anni Sessanta) faceva l’operaio nella nebbia lombarda, sognava la domenica per fuggire sulle Alpi a “ritrovare se stesso”, che è senza dubbio una frase fatta ma lo è di meno se pensi a un ragazzo di diciannove anni che va ad appendersi in parete per un paio di giorni, da solo o con un compagno di cordata con il quale scambiarsi una parola all’ora. Poi, come tutti, ritornava, e si godeva la doccia e un letto comodo. Ma la distanza l’aveva misurata tutta intera, fino all’ultima spanna percorribile.
Qual è la “giusta distanza”? Credo che ognuno alla sua maniera – anche se non è Bonatti, o il Bruno delle Otto montagne – l’abbia cercata anche se non esiste, non è quantificabile. È una ricerca, un tentativo, un disagio benefico. Ripensando al mio lavoro, per esempio, parecchio eccentrico rispetto alla vita di redazione e al normale cursus professionale dei giornalisti, capisco quanto abbia contato, anche nella scrittura (in difesa della mia scrittura, voglio dire), la ricerca di una distanza. Non saprei misurarla, a volte mi è parsa minima, a volte notevole, comunque è stato importante cercarla. Cuore, per esempio, e la satira in genere, sono stati sicuramente la mia maniera di inseguire la giusta distanza. Credo che ognuno l’abbia cercata o la stia cercando, nella vita, chissà in quante maniere differenti, con quali successi e insuccessi, quante uscite di strada e quante fughe vittoriose.

PS – Secondo me anche Elly Schlein, che proprio non vuole andare da Bruno Vespa, è alle prese con il problema della giusta distanza.

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La giusta distanza ultima modifica: 2023-08-22T04:05:00+02:00 da GognaBlog

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27 pensieri su “La giusta distanza”

  1. Tornato vacanze, buongiorno a tutte e tutti.
    Scusatemi, va bene la contrapposizione città/montagna, ma Milano e Torino sono sostanzialmente ben differenti! Mezzo milione di abitanti in più, 50mila km quadrati in più, 1000 abitanti in più per km/quadrato. Insomma, una bella differenza. Secondo me, cambiare non è una concessione artistica (anche perché Cognetti è milanese…)
    Altro: sinceramente non ho mai capito come si può scindere l’alpinista in due parti scollegate: da una parte lo “sportivo”, dall’altra l’ “uomo comune”. A parer mio, modestissimo, le due parti sono in realtà una e spesso, purtroppo, l’una inficia l’altra: se sei uno stronzo nella vita, sarai anche un bravo alpinista, ma la tua stronzaggine si trasferisce anche al tuo modo di andare in montagna.
    Non ce l’ho con Bonatti (che non mi è mai piaciuto a prescindere, ma questa è un’altra storia) ma in generale…

  2. Caro Giuliano, 
    perché parli di refuso?
     
    Fermo restando che la realizzazione di un film tratto da un romanzo o da una storia vera non è altro che l’interpretazione di un regista – e dunque esprime la sua visione – credo che non sia importante se il teatro cittadino sia ambientato a Torino, a Milano o a Parigi, ma i sentimenti che scaturiscono dalla difficoltà di trovare un equilibrio tra la vita urbana e quella in natura. 
    Io, per esempio, non l’ho trovato e ho abbandonato Milano per tornare in Sicilia e vivere in montagna. 

  3. Mi piacerebbe proprio sapere cosa gli è preso al regista del film di sostituire Milano, città odiata da Cognetti nel libro, con Torino … forse non è alla moda dire che Milano è detestabile, come metropoli, mentre su Torino si può sparare “ad alzo sero” ? Oltretutto, mi si consenta, il rapporto che ha Torino con le “terre alte” non è certo paragonabile neanche lontanamente a quello di Milano. Il CAI nasce a Torino, il “nuovo mattino” pure e poi basta osservare la cornice di montagne dalla “terrazza alpina” al Monte dei Cappuccini per capire il sentimento che lega i torinesi con le Alpi. E Cognetti non ha niente da dire su questo “simpatico refuso” ?
     

  4. Caro Mastronzo, forse non mi sono spiegato bene o hai frainteso. Provo a esprimermi in altro modo.
     
    I primi a speculare sull’Olocausto con un accostamento vergognoso (“negazionista”) sono stati proprio coloro che stanno dalla tua parte: chi comanda non tollera obiezioni alla propria vulgata (Covid, vaccini di efficacia breve e scarsa, effetti collaterali da silenziare, “chi si vaccina si salva, chi non si vaccina ti contagia e ti uccide”, sospensione dei diritti civili, allontanamento dal lavoro per gli ultracinquantenni non vaccinati, riscaldamento globale, origine antropica del riscaldamento globale e perfino semplici dubbi, contrarietà al Green Deal, guerra in Ucraina, “volete la pace o i condizionatori?”).
     
    Porsi dubbi è lecito. Protestare è lecito.
    Ciò che mi preme, ancor piú del merito delle varie questioni (per esempio, mi rendo conto che potrebbe aver ragione chi sostiene l’origine antropica del riscaldamento globale), è la libertà di parola, la democrazia. Non tollero i potenti e prepotenti: col favore dei media manipolano l’informazione, mistificano la verità, pretendono di comandare sulle nostre vite. Chi si oppone viene addirittura criminalizzato.
    Non si fa cosí.
     

  5. Come vuoi, Bertoncelli.
    Se tu, pur sapendo cosa evoca quella frase, pur sapendo quante persone dopo averla letta sono state uccise senza alcun motivo, ti senti comunque di usarla a cuor leggero contro chi ti dà del negazionista, buon per te… cosa vuoi che ti dica.

  6. Caro Mastronzo, ti informo che il termine negazionista era stato coniato per definire, con infamia, chi osava negare l’Olocausto.
     
    Attualmente i signori a cui hai affidato la vita e il cervello lo usano pure per definire, con infamia, chi osa avere dubbi sul vaccino Covid, chi osa avere dubbi sull’obbligo del vaccino agli ultracinquantenni, chi osa avere dubbi sul riscaldamento globale, chi osa avere dubbi sulla sua origine antropica, chi osa avere dubbi sul GREEN DEAL.
    Insomma, per farla breve, per definire, con infamia, chi osa avere dubbi sulla  vulgata.
     
    Dimmi: che pensi di chi da anni usa il termine negazionista per infamare chi la pensa in modo diverso da lorsignori?
     

  7. Il nostro Bertoncelli si indigna se Serra parla di B. con uno sconosciuto al funerale di Bonatti, ed invoca il senso della misura.
    Senso della misura che però, evidentemente, non gli impedisce di usare l’ignobile motto di Auschwitz nelle scaramucce di questo blog.

  8. Una cosa sono le persone reali, un’altra gli “archetipi”. I biografi si occupano delle persone attraverso un lavoro analitico e pignolo di ricostruzione, i romanzieri, gli sceneggiatori  e i pamphlettisti li trasformano in archetipi. È il rimprovero, duro e aspro (a mio parere esagerato) rivolto da Mirella Tenderini a Camanni a proposito di Gary Hemming. In realtà sono due operazioni legittime. Basta non fare confusione. C’è un Bonatti persona e un Bonatti archetipo. Come è un archetipo il montanaro duro e puro che al funerale avvicina Serra (mi sa tanto di artificio letterario) o il cavalier Berlusca di numerosi film e pamphlet, a favore o contro (troppo presto ancora per una seria biografia). Mi sembra che qui Serra parli di archetipi, cosa legittima in un editoriale come quelli, brillanti, che scrive lui. È un genere giornalistico letterario dove è d’uso così. A proposito di Bonatti nella sua fase di decadenza ricordo l’intervista crudele e spietata di Albino Ferrari che fu ripubblicata qui e poi rapidamente scomparsa dopo le critiche di molti, tra cui il sottoscritto. Un altro archetipo, tutt’altro che glorioso e solare del grande uomo nella sua fase calante. 

  9. Non conosco personalmente Paolo Cognetti e, dunque, non so se sia un montanaro, ma trovo sia bravo a descrivere la vita di montagna e quella di città e tutti i sentimenti e ke relazioni che le animano. 

  10. Io non so Serra cosa ci azzecchi con Bonatti.
    Di Bonatti parlano, nell’ordine, le sue vie, i suoi libri, i suoi compagni di cordata.
     

  11. È vero, Umberto, correggo: ho sorriso quando ho letto della doccia, poiché secondo non tutti ne avevano la possibilità.
     
    E per far spiccare qualcuno non c’è bisogno di paragonarlo a qualcun altro (all’americana).
    Ritrovare nello stesso testo, per di più così intenso, Bonatti insieme a qualcun altro a me è suonato strano.

  12. Non so se qualcuno ha mai letto, o ricorda, il primo libro di Serra, una raccolta di racconti pubblicata nel 1989, “Il nuovo che avanza”. Il libro è dedicato a Walter Bonatti, e uno dei racconti più belli si intitola proprio “Walter”, e non credo sia un caso. Serra non avrà forse mai fatto dell’alpinismo, ma Bonatti lo conosceva, probabilmente meglio di tanti alpinisti o sedicenti tali che sentenziano sul suo conto, in un verso o nell’altro. E in questo pezzo sulla “distanza” (che è anche la necessaria distanza da prendere rispetto al “nuovo che avanza”), Bonatti ci sta tutto, così come gli altri figuri che gli sono non a caso contrapposti.

  13. Ma dove compare nel testo di Serra la locuzione “doccia calda”?
    Ad ogni modo bello scritto, molto.
    Per quel che mi riguarda, Bonatti è stato precursore assai illustre (forse il più illustre) nella comunicazione dell’alpinismo ed icona assoluta nel fare e proporre un certo tipo di alpinismo; in tal senso, una vera popstar.

  14. Anch’io ho sorriso pensando alla doccia calda! 
     
    Patrizia, chissà allora che ci si incontrerà! 

  15. Totalmente d’accordo con Cominetti. Cosa poi ci azzecchino Serra, il funerale di Bonatti, Bonatti, Berlusconi nessuno lo sa.
    Tra l’altro ho qualche dubbio che la doccia di Bonatti fosse così calda quando tornava a casa dalle salite a 19 anni…e su questo davvero Serra non ne può’ sapere nulla.

  16. E poi – quando ci vuole ci vuole – leggendo di Walter Bonatti popstar, al pari di Madonna, Spice Girls e la Ferragna col suo degno compare FedEx, io mi alzo in piedi e grido:
    “Per me è una cagata pazzesca” (cit. Fantozzi rag. Ugo). 😖😠😡🤬
    😉😉😉
     

  17. In quest’articolo non c’ho capito niente.
     
    Se poi si vuole parlare di abbronzatura, fate pure.

  18. Matteo, per me Bonatti è stato soprattutto un uomo integerrimo, esempio di dirittura morale.
    Certamente aveva un carattere autoritario, che io non avrei sopportato. Certamente si macchiò di qualche manchevolezza, come quando nei suoi libri non informò che, durante la traversata scialpinistica delle Alpi, c’era pure un’altra squadra. Certamente qualche volta se ne partí da solo per un’impresa, ignorando precedenti accordi.
     
    Ma era un essere umano, con pregi e difetti. Soppesando gli uni e gli altri, a mio giudizio è stato un gigante nel valorizzare l’individuo, che si muove libero contro l’ignoto. E anche per quanto riguarda la dirittura morale – se si prescinde da quei pochissimi episodi che ho menzionato – be’, giú il cappello! Quanti di noi avrebbero saputo fare meglio?
    Senza considerare i meriti alpinistici…
     

  19. Patrizia, pure d’inverno il sole picchia in montagna e, infatti, la gente come me è sempre scura, almeno nelle parti più esposte.

  20. Come (quasi) sempre Serra è eccezionale nel trovare punti di vista eccentrici che svelano lati imprevisti e illuminanti.
     
    Attento Fabio, popstar non significa solo Madonna, le Spice Girls o Ferragni, ma è inteso come fenomeno che desta attenzione globale ben al di là del proprio campo specifica d’azione.
    E Bonatti altroché se lo è stato: basta andare a vedere i suoi reportage su Epoca quanto hanno fatto vendere o Steve House che scrive “Bonatti is god” sul suo camper!

  21. Cara Grazia, è vero che d’estate si è sempre abbronzati in montagna (fieni, alpeggio, lavori vari…). Poi il resto dell’anno…beh direi meno tutto sommato eh. Ciao e sono d”accordo sulla citazione di alcuni personaggi

  22. Cara Patrizia, qualunque lavoro si svolga in montagna non si può fare a meno d’essere costantemente alla mercé (nel bene e del male) degli elementi e, di conseguenza, si è sempre cotti dal sole. 
     
    Ho amato molto l’articolo, ma avrei preferito che certi personaggi non fossero menzionati, visto che di montanari non hanno proprio nulla.

  23. Nella mente tento di figurarmi questi due tizi che a un funerale parlano di Berlusconi che non va in montagna (ma non di Baffino che se la gode sul suo panfilo, e neppure di un qualsiasi Pinco Pallino al quale non interessi l’alpinismo).
     
    Ma costoro, a un funerale, non hanno niente di meglio a cui pensare? Un rispettoso silenzio per onorare il defunto no, eh? La buttano in vacca (lessico Serra) perfino durante le esequie di Walter Bonatti.
     
    N.B. Bonatti NON fu una popstar.
    P.S. Neppure a me Berlusconi andava a genio, ma esiste un senso della misura. E non solo ai funerali.

  24. Bravissimo Serra (come quasi sempre), soprattutto su Bonatti. Anche se deve sapere che i montanari non sono tutti magri e abbronzati…Qualcuno anzi è bello grosso e di sentieri escursionistici o di vie alpinistiche/ferrate ne ha viste ben poche o nessuna. I montanari sono la gente che vive in montagna e che ha pascoli (o almeno li gestisce), fa tutto quello che si fa nella campagna in pianura ovvero alleva, coltiva, fa vigna ma tutto lo deve fare in pendenza e quindi con grande grande fatica e spesso mangia tanto e mangia ‘grasso’ perché mangia quello che produce. Per noi montanari ‘Otto Montagne’ è certamente un bel libro e un bel film, ma non è che ci ha svelato chissà quale segreto. Per carità, Cognetti che non è un montanaro (il montanaro nasce e vive in montagna lavorandoci duramente)  bensì un ottimo scrittore ha saputo descrivere brillantemente il concetto di ‘vita in montagna’ anche perché comunque in montagna ci vive davvero da anni e alcune esperienze autentiche le ha fatte. Alcune. Ma l’opera è un prodotto dell’intelletto destinato soprattutto a chi poco conosce l’argomento trattato. Quanti montanari hanno letto/visto Otto Montagne? Credo assai pochi, per mancanza di tempo (spero lo guardino su Sky, almeno). Quanti di loro avrebbero potuto scriverlo, se dotati di capacità letteraria?  Tutti.  Quanti tra questi avrebbero potuto realizzare un’opera anche migliore? Tanti, credo. 

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