La leggendaria “Big Bang”

Una via assai discussa, da chi l’ha ripetuta, da chi non c’è riuscito e anche da chi non l’ha mai toccata con mano. Tutti gli ingredienti per una leggenda. Secondo Francesco Salvaterra la via è perfettamente percorribile e i tiri pericolosi sono quelli iniziali, non quelli più difficili. Lui consiglia solo di andare a farla quando si è in forma…

La leggendaria Big Bang
di Francesco Salvaterra
(pubblicato su francescosalvaterra.com il 22 ottobre 2023)

A volte le scalate che capitano quasi per caso sono le più belle. Il 19 ottobre 2023 con Franz Nardelli l’idea era di fare una via allo Scoglio di Boazzo, ma verso le 8 la giornata sembrava fredda e coperta. Opzione B: falesia. Poi mi viene un’ispirazione… e se andassimo alla Big Bang? Ah no, le bambine vogliono andare a raccogliere le castagne nel pomeriggio…e falesia sia.

Porto le due pesti all’asilo e torno a casa per prendere lo zaino e salutare Chiara, giusto in tempo per scoprire che invece nel pomeriggio andranno al compleanno di un amichetto. Allora la via ci starebbe! Intanto butto tutto in macchina, poi vedremo. Il caffè con brioches e spremuta al bar Miori alle Sarche è una tradizione, con Franz non parliamo della via ma della disastrosa situazione in Palestina. Conveniamo entrambi che non sopportiamo gli israeliani, non solo per quello che sta accadendo ma perché ne abbiamo conosciuti tanti nei nostri viaggi in Sudamerica e non ci sono mai piaciuti. L’israeliano medio è come un texano a livello di arroganza e consumismo, ma con una shakerata di ideologie religiose da razza eletta e un lavaggio del cervello militare.

Franz Nardelli sul secondo scabroso tiro della via Traudi.

Non che prenda alla leggera la Big Bang, è da almeno 15 anni che voglio ripeterla. Forse per una volta ho sopravvalutato l’impegno di una salita, ma è stato un bene perché me la sono veramente goduta.

La linea è perfetta, assieme alla via Cesare Levis aperta due anni prima (13 ottobre 1978, Maurizio Zanolla, Marco Furlani e Giovanni Groaz) è LA linea della parete, i tre tetti a scala più famosi di Arco. Tra una cosa e l’altra arriviamo alla base dello zoccolo alle 11 passate.

Il primo tratto in comune con molte vie lo conosciamo bene e in breve siamo all’attacco. A sinistra sale la via dell’Angelo (1 marzo 2000, Heinz Grill e Johanna Blümel), a destra la nostra via. La Big Bang nei primi due tiri percorre la via Traudi, un itinerario (4 maggio 1967) tutt’ora molto impegnativo, aperto dallo sciatore estremo Heini Holzer e da Renato Reali. Mentre salgo da secondo, e tiro giù tutte le pietre che riesco, mi affiora un ricordo. Avevo fatto la Traudi portandoci una mia compagna di classe, Roberta. Io avevo iniziato da pochi anni e lei praticamente nemmeno arrampicava, dopo una via del genere deve aver smesso definitivamente. Brava guida ero stato, però mica mi pagava e io volevo fare quelle vie lì.

I tetti a scala più famosi della valle del Sarca.

Il terzo tiro è leggermente più impegnativo, ma è ben proteggibile. Queste tre lunghezze iniziali sono decisamente le più pericolose della salita per via della roccia spesso friabile o erbosa e delle possibilità di proteggersi non abbondanti. Le soste hanno tutte tre o quattro chiodi che controlliamo e integriamo con friend, nel complesso sono buone. Arrivati sotto la fessura rossa che porta ai tetti, facciamo una pausa e tiriamo fuori il cordino per recuperare lo zaino con il trapano. La mia intenzione è di ripetere la via anche per renderla più sicura e frequentabile, è un peccato che una linea simile sia quasi abbandonata.

Sul web se ne leggono di tutti i colori, riassumendo sembra che sul tiro dei tetti manchino dei chiodi a pressione e che ci vogliano dei friend molto grandi per passare. Vedremo.

La fessura rossa che porta ai tetti è di roccia molto buona ed è veramente bella, con dei passaggi di incastro di pugno divertenti, anche perché con i friend ci si protegge bene. Avevo letto che Giuliano in apertura aveva aperto il tiro con un’unica protezione, un chiodo. A metà strada un masso di discrete dimensioni si era staccato tra le sue mani e, per non farlo precipitare sul compagno, fu costretto a schiacciarlo con il petto e le gambe contro la parete. In quella precaria situazione era riuscito a tirare fuori un chiodo e piantarlo in una fessura, in extremis.

Anche se non sono male come scalatore, non saprei proprio come fare a salire un tiro così con una sola protezione, impossibile per la mia psiche, senza pensare che la roccia doveva essere ancora più precaria al primo passaggio. Alcuni alpinisti di quegli anni erano semplicemente abituati a proteggersi poco, facevano solitarie, non avevano i friend e vivevano per scalare. Era un’epoca che preparava alpinisti diversi dalle generazioni successive e forse è un bene, se si pensa che quasi nessuno al giorno d’oggi si prende più certi rischi. Arrivo sulla fatidica sosta appesa: quattro ottimi chiodi a pressione originali e uno spit malfido messo di recente su una scaglia di roccia che suona vuota.

Visto che è una sosta appesa e i chiodi a pressione sono degli affarini difficili da valutare, decido di mettere un fix inox da 10 mm. I pressione hanno una bella cera, ma pensando ai ripetitori decido che è un compromesso accettabile. Recupero il saccone, metto il fix, tolgo quello infido di cui è meglio non fidarsi e recupero Franz che disgaggia il tiro dall’unica lama precaria.

Sul tiro del tetto parto senza martello e chiodi, voglio provare a salire in libera e se ci sarà da mettere fix per sostituire chiodi a pressione mancanti o ribattere chiodi normali, ci caleremo dalla sosta a monte per farlo.

Il primo tetto è ben protetto da una clessidra (passarci un cordone non deve essere stato facile), per arrivare sotto il secondo c’è un’inaspettata fessura orizzontale che aiuta non poco. Il secondo è più difficile ma è ben protetto. In apertura Giuliano aveva messo un grosso cuneo verso la fine del tiro: questo è rimasto là per molti anni ma ora non c’è più. Secondo me Stenghel scalava per lo più in libera, poi piantava il cuneo alla bell’è meglio e, appeso a questo, con le mani libere piantava il chiodo a pressione con il punteruolo. Non ci sono molte altre maniere per salire in apertura una fessura così, anche disponendo di friend di nuova generazione, perché è quasi sempre troppo larga anche per il n. 6.

Sotto al terzo tetto, piantati nella fessura orizzontale, ci sono 4 chiodi a comporre una sosta decisamente poco sensata perché scomodissima e a meno di dieci metri da quella precedente. Forse la sosta è stata attrezzata da qualcuno che non è riuscito a proseguire e si è fatto calare alla precedente. Il traverso sotto al terzo tetto è il tratto chiave e si capisce subito guardandolo. Un buon chiodo a pressione protegge il passaggio e poi il successivo è fuori dal bordo a circa un metro e mezzo o di distanza. Piedi alti, tiro la fessura con una dülfer rovescia e mi fido di due piccoli ma provvidenziali appoggi: è solo un passo e, preso il bordo, sono fuori dove incastrando un ginocchio per riposare rinvio il primo di tre chiodi in rapida successione. Che passaggio spettacolare!

Prima di partire mi ero liberato tutto l’imbrago dalla ferraglia tenendola su una fettuccia a tracolla, sulla destra, così riesco a incastrarmi per bene nella fessura e posso mollare le mani per prendere fiato e rinviare tutti i chiodi. Sul traverso, appena dopo il chiodo a pressione, ho notato un buchetto di punteruolo appena accennato per due o tre millimetri. Non mi sembra che si sia rotta la roccia facendo fuoriuscire il chiodo, secondo me è più probabile che il primo salitore abbia iniziato a chiodare ma poi abbia lasciato perdere, o per la posizione scomoda o per il punteruolo storto e rovinato. Giuliano avrà fatto il passaggio in libera, di certo ne sarebbe stato capace, o forse ha usato il cuneo, in ogni caso non ci sono buchi profondi di chiodi fuoriusciti.

Fuori dal terzo tetto uno dei chiodi a pressione sporge di parecchio, lo stesso Giuliano mi aveva raccontato che il punteruolo si era piegato e non riusciva più a fare buchi profondi a sufficienza. Questa via era stata aperta in giornata senza sopralluoghi precedenti: se si pensa all’ambiente opprimente, alle difficoltà tecniche, alla friabilità e alla chiodatura minima, solo 8 chiodi di passaggio (tra pressione e normali) era stato un vero exploit. Per mettere 4 chiodi a pressione (più 4 in sosta) ci vuole almeno un’ora e mezza, dieci minuti a buco è un tempo medio da una posizione comoda.

Ancora qualche movimento strisciante portano a un buon chiodo normale e a un ultimo tettino fessurato, dove metto l’unico friend sul tiro, un giallo. Tutti gli altri me li sono scarrozzati per niente perché non entrano da nessuna parte. La sosta dei primi salitori è in alto a sinistra, si vede ancora oggi un cuneo, ma ne è stata attrezzata una più in basso e a destra che permette di vedere il compagno e agevola per il tiro successivo. Anche Franz mi raggiunge in libera senza problemi. Il tiro rimane così com’è, le protezioni sono solide e non è per nulla pericoloso, se si cade si vola nel vuoto. Certo non è un tiro che si può salire in A0, non lo è mai stato, tantomeno quando è stato aperto. Semplicemente il VI+ obbligatorio, dichiarato dai primi salitori e rimasto sulle guide di Arco da sempre, va alzato di un grado secco, come per molte altre vie di Stenghel. Il VI era il limite estremo della scala chiusa in auge all’epoca, ma ognuno ha un limite estremo diverso dall’altro.

Il penultimo tiro è un bel diedro discontinuo di roccia compatta, qui negli anni Novanta uno scalatore è morto per una brutta caduta, probabilmente dovuta a un appiglio sbagliato, anche questo ha contribuito alla brutta nomea della via. C’è addirittura chi ha detto che lo scalatore ha fatto un volo fatale per la fuoriuscita dei chiodi a pressione sul tiro precedente: baggianate. L’ultima lunghezza, abbastanza breve, è un caminetto divertente che porta alla dimensione orizzontale del bosco ceduo sotto la parete est del Monte Casale.

Un piccolo capolavoro alpinistico, non per tutti ma nemmeno per pochi, con un carattere ancora in grado di offrire emozioni e un traguardo non scontato, bello no?

Big Bang
Pian de la Paia (Piccolo Dain di Pietramurata), Valle del Sarca
300 m, VIII- (VII+ obbl.)/R3/II
Giuliano Stenghel e Alessandro Baldessarini, 1980

Descrizione
Uno dei capolavori alpinistici della Valle del Sarca, che a distanza di più di quarant’anni mantiene il suo carattere di via temuta e severa.

Nota
Per i due tiri più difficili può essere utile recuperare un piccolo zaino-sacco con un cordino: specie sul tiro chiave lo zaino è scomodo.

Accesso e Rientro
Accesso come per la Cesare Levis (Diedro Manolo), rientro a piedi.

Materiale
Una serie completa di friend fino al #4, utile doppiare il #3 per il 4° tiro. Martello e chiodi per emergenza.

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La leggendaria “Big Bang” ultima modifica: 2023-11-06T05:40:00+01:00 da GognaBlog

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20 pensieri su “La leggendaria “Big Bang””

  1. Un articolo bello su una via che quando ero giovane era circondata da un alone mitico, alone che ancora conserva, forse più dimenticato. Articolo in parte rovinato dalle considerazioni sugli israeliani, che sono al livello di “al sud non hanno voglia di lavorare” ” gli africani ci portano via le donne e il lavoro” ” al mercato non si trova più la frutta buona”.

  2. Anni fa un caro amico  chaltenense che oggi fa il fabbro, rilevò un bordello (l’antico Puticlub, con biancheria viola, stanze dipinte di rosa e giallo e specchi a soffitto…) che adibì a ostello per soli israeliani.
    Il motivo era che nessun altro ostello del paese voleva ospitarli perché erano rissosi, prenotavano stanze per 2 persone e ci si mettevano in 8 e soprattutto non uscivano durante il giorno rendendo il riassestamento dell’ostello impossibile. Infine, nelle cucine comuni non lavano mai le stoviglie e lasciano tutto in estremo disordine e sporcizia. 
    Siccome si muovono per schemi rigidi che si tramandano tra viaggiatori e vanno tutti periodicamente negli stessi posti. Il mio caro amico si impegnò a ospitarli al Jerusa Hostel, especialidad de la cocina Huevo Duro.
    Al confronto il vecchio bordello era un convento di clausura tanto era il “descontrol total” che vi regnava. Tanto che il proprietario dell’edificio sospese l’accordo di affitto e la cosa fini tra debiti e liti.
     

  3. Con gli israeliani non ci lavoro più da anni. Decisione che ho preso, rifiutando le loro richieste, dopo una serie di esperienze che mi hanno fatto evolvere un’opinione identica a quella scritta da Franz. 
    Evito commenti sulla situazione palestinese e sul’assurdo riconoscimento dello Stato di Israele perché qui si parla di alpinismo e non di politica.
    Feci la Big Bang nel 1996. Forse esiste ancora l’unico chiodo in mezzo al secondo tiro che pianta allora nel mezzo del marciume assoluto, dopo che avevo scaricato un “panetto” di ragguardevoli dimensioni staccatosi da sotto i miei piedi… solo il sasso, avevo i fuseaux all’epoca ed il resto rimase dentro le braghe…
    Una via impegnativa come poche anche e forse soprattutto per l’impossibilità a proteggersi. 
    Una di quelle salite dove “bisogna andare” che ormai vengono snobbate visto che la tendenza è più quella di fare foto che quella di vivere un’avventura.
    Ricordo che due giorni prima due scalatori tedeschi vennero giù dopo aver scalato i tetti a causa del cedimento di un blocco… 
    Ho scalato tante vie di “Ciano” e conservo ancora una staffa abbandonata su una via nuova in Dolomiti che rpetei tanti anni fa.
    Volevo restituirgliela in occasione di una scalata assieme che avremmo dovuto fare in primavera ma complice la pioggia e poi il lavoro da Guida non se ne fece niente.
    Poi la notizia di ciò che il destino aveva deciso… 
    Per chi ancora è capace di sognare Big Bang è!

  4. Infatti, fra l’altro quando si parla dei palestinesi  si pensa ai terroristi, poi i resistenti attivi (quelli che tirano le pietre con le fionde) e infine un popolo martire (ovviamente molti lo sono, quando  ti bombardano da 70 anni lo sei martire)
    Mentre quando si parla di Israele si pensa ad un blocco granitico di 9 milioni  di persone  che la pensano tutti alla stessa maniera. 
     
    Invece, ci sono anche li 1000 sfaccettature. Gruppi razzisti e gruppi pacifisti, ortodossi e anarcopunk etcetcetc
    Comunque israeliani e palestinesi,nella maggioranza sono accumulati dall’odio reciproco….

  5. Com’è che per gli israeliani si usa impunemente il termine “razza” che se viene usato per altre etnie si grida allo scandalo ?

  6. Ecco che Goretex si diverte quando è ubriaco. Non è una novità,  vale anche con tedeschi, svedesi, danesi, russi e nordici infelici vari.
    Oltre che con gli israeliani, ovviamente. 
    Nulla di nuovo.

  7. Pensa te, io invece conosco e ho vari amici/amiche israeliani; pieni di difetti, ma chi non lo è, però simpatici, alla mano, molto istruiti e moderni e senza paranoie o tare per questioni quali gay/lesbiche o altri temi sensibili. Ovviamente sono razzisti verso i mussulmani,  ma vale anche il contrario. Comunque alle loro feste, carnevali, pasque mi invitano sempre e finisce sempre con un gran mal di testa da alcool il giorno dopo
     

  8. Ma pensa, in “migliaia” a cantare ‘O sarracino a colazione.
    E magari erano pure stonati: inaccettabbile 🙂
     
    E voi non avete risposto con “comme si’ bello a cavallo a stu camello allah allah allah ma chi t’ha ffatto fa’ ” ? 😆
    Non dirmi che non avevi la chitarra…

  9. Migliaia, non esagero.
     
    Quelli di Huaraz, a colazione cantavano ‘O Sarracino.

  10. Giudicare un popolo (quello israeliano) di oltre 9 milioni di persone (nella sola Israele), popolo peraltro estremamente eterogeneo, sulla base di “migliaia” (!) incontrati “negli ostelli” mi sembra – mi si permetta – una generalizzazione al limite del ridicolo.
     
    Al solito, l’esperienza personale è importante, persino fondamentale in certi ambiti (come l’alpinismo). Ma considerarla l’unico strumento di valutazione della realtà può portare a colossali (e, a volte, esilaranti) cantonate.
     
    Vorrei inoltre sottolineare di non confondere i popoli con i rispettivi governi.

  11. Maurizio 6, concordo con la tua conclusione sull’inciviltà di quel pensiero razzista verso gli israeliani.
    Però, sia Franz che Rampik, oltre al sottoscritto, ne abbiamo incontrati a migliaia negli ostelli sudamericani e l’unica (sottolineo unica) impressione che ne abbiamo avuto concorda con quella degenere espressa nel racconto.
    L’alpinismo stesso richiede il possedere una buona dose d’inciviltà, se ci pensi.
    Non sto cercando scuse eh, ma che ci vuoi fare? 
    Ricordo che passai tutta una notte a Huaraz in un ostello in cui soggiornavano 8 eletti che avevano preso una stanza da 2 (un classico) a cantare a squarciagola ‘O Sarracino di Renato Carosone e l’avevamo trasformata in un tormentone che durò tutta la notte. Il motivo era che la notte precedente quelli avevano fatto casino ininterrottamente, intanto di giorno dormono.
    Si  gli israeliani che viaggiano per ostelli dormono tutto il giorno e la notte si scatenano. Raramente escono. Non scherzo.
    Quella notte rimanemmo senza voce, anche per le risate. E non vi racconto di quando dividemmo la stanza con una ragazza (c’era anche Franz), sempre di quella razza là, che teneva una pizza sotto al letto (polverosissimo) addentandone un pezzo ogni qualche giorno. Ma quello non era niente. 
    Per questo sono insopportabili. Mi dispiace.

  12. Mi accodo a Marcello, Franz e Luca. Gli israeliani che entravano al Rancho Grande erano impossibili da avvicinare, diciamo che in quel contesto vacanz-festaiolo rappresentavano il peggio del turismo che finiva lì. La mia opinione sulla razza peggiorò ulteriormente quando anni dopo finii a dividere una camera in Scozia con una (bella) ghiacciatrice israeliana. Ci provai in tutti i modi con ‘sta soldatessa, ma non ci fu nessuna possibilità di sfiorarla, neanche con il pensiero. Da quei giorni, misi una croce sopra a ogni israeliano/a. Metto una faccina 🙂 sennò danno anche a me dell’indegno…  

  13. Molto interessante il racconto sulla via alpinistica. Le considerazioni sugli “Israeliani” sono indegne di una persona civile.

  14. Ripetuta quando ancora c’era un cuneo gigante e all’ uscita del terzo tetto il mio compagno ha tirato un rinvio che avevo moschettonato ad un cuneo- chiodo di plexiglass che gli è rimasto in mano con conseguente piccolo volo! Consigliabile? Mah…

  15. Bello il racconto, superba la via (che purtroppo non ho fatto e ormai non farò) , ottimo il commento sugli “eletti”, nei confronti dei quali, Palestina a parte, ho avuto le stesse esperienze.
    Cominetti, come spesso, primo commentatore e, come sempre,  da godersi e sogghignare complici
    Bravi

  16. Anche io ci ho girato intorno, salendo vie vicine. I tetti a scala  visti dalla via dell’Angelo fanno effetivamente impressione. Ma come dice Salvaterra non sono i tiri più pericolosi.

    Un sogno che, temo, tale rimarrà!

    Non è detto, questo racconto ha racceso l’interesse.

  17. Big Bang, di sicuro una delle vie simbolo di Arco, una linea che balza all’occhio di chi guarda la parete del Dain del pian de la paia seca. 
    Personalmente ho potuto vederla solo dalla via dell’Angelo, quando si affaccia proprio sul diedro dei tetti a scala e mi fece veramente impressione.
     
    Un sogno che, temo, tale rimarrà!

  18. Mi ha fatto venire in mente quando all’alba, urlavo nei corridoi dell’ostello dove non eravamo riusciti a chiudere occhio a causa degli schiamazzi ininterrotti di un gruppo di “eletti”, Allah akbar!!
    Ma scherzavo, mentre su Big Bang non si scherza. Bravo Franz.

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