La lingua della tragedia
di Matteo Nucci
(pubblicato su minimaetmoralia.it l’8 ottobre 2024)
Si sta compiendo un anno dall’inizio del più sconvolgente, continuo, e apparentemente infinto massacro di cui l’Occidente, il mio mondo, è responsabile da quando sono nato, esattamente cinquantaquattro anni fa. La prospettiva è personale solo per caso, perché sono io a scrivere. In effetti essa racconta un mezzo secolo di occidentale benessere e presunzione di civiltà, certezza di possedere armi culturali per allontanare la distruzione delle guerre, e convinzione di aver imparato dal passato: i dolori subiti o inferti da non reiterare.
Un mezzo secolo pieno di ombre, certo, ma mai sprofondato nel buio più feroce dello sterminato eccidio in corso da trecentosessantacinque giorni che non hanno nome, non hanno numero, e che non puoi ricordare con una data precisa perché sono trecentosessantacinque e diventeranno trecentosessantasei e trecentosessantasette e chissà fino a quando ancora.

Un orrore di cui noi, civili occidentali, siamo responsabili, avendo avallato, sostenuto e finanziato le azioni militari di Israele a Gaza, Cisgiordania e ora in Libano (senza dimenticare le incursioni in Yemen, Siria e qualsiasi Paese sia ritenuto nemico dal governo in carica in quella che è spesso chiamata la “unica democrazia del medioriente”). Di questo orrore abbiamo numeri molto chiari che a leggerli con la minima attenzione lasciano esterrefatti. Sono numeri che raccontano principalmente una cosa: l’intenzione di radere al suolo un mondo. Rimando le stime in calce all’articolo.
Pochi giorni fa, un reportage di Francesca Mannocchi ha cercato di mostrarci le persone che i numeri generalmente finiscono per mettere da parte. È uno dei molti pezzi strazianti che in questi mesi arrivano a svegliarci da un intorpidimento generale, ossia ciò che ai miei occhi costituisce la matassa più difficile da sbrogliare. Perché è evidente che, nonostante una generale consapevolezza e una parziale ma solida forza di dissenso, in questo anno, ha prevalso una forma di attendismo, una specie di silenzio in parte attonito e in parte attento a non fare passi falsi davanti a un conflitto pieno di complessità – così si è ripetuto all’infinito – talmente complesso che è davvero difficile dire qualcosa con chiarezza, esprimere un giudizio, prendere posizione. Ma cosa è accaduto, dunque, al nostro mondo?
Non rientrano fra le mie competenze le scelte dei governi europei che con qualche interessante eccezione seguono le mosse dei maggiori finanziatori e sostenitori della strage, ossia gli Stati Uniti. A me interessa il silenzio, quella propensione a voltarsi dall’altra parte, un pericolo da cui fin da bambino sono stato messo in guardia. I miei nonni, liberali antifascisti, borghesi che riuscirono a nascondere e a far fuggire parecchi amici ebrei, mi ripetevano sempre una frase che ascoltavo spesso anche a scuola: se è successo quel che è successo, la responsabilità è di chi si è voltato dall’altra parte, di chi ha chiuso gli occhi. Mi pareva un luogo comune, una frase retorica. E invece è proprio quel che accade in questi casi. Qualcosa che tuttavia non si può spiegare con la semplicistica ricerca di responsabilità caratteriali o con l’idea che la vita quotidiana prende sempre il sopravvento sulle tragedie più o meno lontane da noi. C’è altro.
Si è ripetuto, in questi mesi, che la repressione del dissenso ha giocato un ruolo determinante. Può darsi. In un anno intero, nel nostro Occidente e soprattutto in alcuni Paesi occidentali (su tutti la Germania), abbiamo visto ragazzi manganellati, campi di protesta rasi al suolo, poliziotti in tenuta antisommossa inseguire bambini che sventolano una bandiera. L’idea che sia normale reprimere chi chiede giustizia per la Palestina (e ora per il Libano) si è fatta largo. Secondo molti, prevarrebbe quindi un senso di paura. Non ne sono proprio convinto.
Certo, è vero che a questa repressione si è affiancato l’uso di un’etichetta che dovrebbe ormai coprire di vergogna chi la utilizza e che pure continua a essere dominante: l’accusa di antisemitismo verso chiunque critichi la politica del governo in carica di Israele o di chiunque critichi lo stesso Israele a prescindere dalle contingenze. Dovrebbe essere evidente a tutti che si tratta di un mezzo davvero vigliacco quello che approfitta di una strage subita per reiterarla. Ma certo funziona. L’accusa di antisemitismo è pesante. E tuttavia ancora non basta a spiegare quel che sta accadendo.
Io lavoro con le parole. Il mio mestiere ha a che fare con le parole e con la lingua che notoriamente ritaglia un mondo, lo mostra, lo manifesta. Penso quindi che sia irrinunciabile partire dalle parole. E sono abbastanza convinto che risieda nella lingua dominante, quella che tutti, consapevoli o meno, usiamo per raccontare la storia degli ultimi mesi, il motivo di questa specie di neutralità, questa mancanza di indignazione, questo girarsi dall’altra parte, atteggiamento che un giorno, quando la storia avrà fatto il suo corso, rappresenterà una delle peggiori macchie morali della nostra presunta civiltà.
Pochi esempi. Partirò dagli ultimi tempi. Stamattina, nel giorno dell’anniversario, ci svegliamo con bombardamenti a tappeto di Beirut. Li vediamo con i nostri occhi in immagini indiscutibili. Bombardamenti di zone residenziali ormai in fiamme, mentre nel sud del Paese, dopo essere state ben riempite di esplosivi, iniziano a crollare, sbriciolate, le prime moschee. Come raccontiamo questa distruzione? Innanzitutto fatichiamo a usare il termine corretto: invasione. Il Libano, Paese sovrano, è stato invaso. E tuttavia i mezzi di comunicazione dominanti usano le espressioni lanciate dalla propaganda degli invasori: non invasione, dunque, bensì azioni limitate e circoscritte. Azioni di difesa preventiva. Interessante l’uso di queste forme di determinazione diminutiva, quando vediamo ciò che vediamo, ossia interi quartieri in fuoco.
Ma le cose sono cambiate – si dirà – e noi non usiamo quotidianamente queste parole, non parliamo di difesa preventiva: sappiamo che si tratta di altro. D’accordo. Non usiamo l’espressione difesa preventiva ma non siamo neppure convinti che si tratta di un’aggressione, giusto? Dunque la lingua ha comunque fatto quel che “doveva”. Ma passiamo invece a parole più semplici, di uso più comune. Pensiamo ai prodromi dell’invasione del Libano, ovvero agli attentati compiuti usando cerca-persone e walkie talkie. Morti e feriti – si è detto e lo ripetiamo tutti. Sbagliando. Feriti infatti non è la parola giusta. Quelli che sono stati colpiti dagli attentati, sia che fossero i bersagli, sia che invece si trovassero lì casualmente, perlopiù hanno perso braccia, gambe, occhi, orecchie, e anche l’organo sessuale. Il termine da usare dunque è semmai mutilati. Esseri umani mutilati per sempre. Da che tipo di attentato? Lascio aperta la domanda. Ci arriveremo alla fine.
Andiamo avanti in ordine cronologico su questi ultimi giorni, e arriviamo all’uccisione del leader di Hezbollah, Nasrallah, che ha dato tanto lustro all’azione israeliana. Sappiamo come è andata. Si è utilizzato un esplosivo che le “regole” della guerra vietano in aree densamente popolate. Abbiamo visto l’immenso cratere e sappiamo che sono crollati tre palazzi: non conosciamo neppure con esattezza il numero dei civili sotterrati dalle macerie. Ora, si apre in questo caso una delle grandi questioni che nell’anno di sterminio ha rimbombato di un’assordante insensatezza. Come chiamiamo, infatti, questi morti incolpevoli? Come definiamo il prezzo da pagare per l’uccisione dell’unico obiettivo, quantunque venga o meno colpito, colpevole che sia o meno? La lingua dell’omicida è sempre la stessa: scudi umani. Ma che significa scudo umano? Che espressione è mai questa? Come la possiamo usare correttamente? Non è vero che un uomo ferito legato su un carrarmato (come abbiamo visto fare all’esercito israeliano in un video atroce) è uno scudo umano? Non è vero che un uomo costretto a avanzare davanti a un soldato (come abbiamo visto fare in innumerevoli occasioni all’esercito israeliano) è uno scudo umano? Ma abitare in un palazzo di una città? Di cosa parliamo in questo caso? Di scudi umani inconsapevoli? Mettiamo pure che sia così. Dunque si sta sostenendo che i leader politici e militari (e questo vale per la stessa Israele) dovrebbero vivere in aree deserte, esterne ai centri abitati? Altrimenti tutti coloro che abitano nei loro dintorni possono essere colpiti? No. L’uso dell’espressione scudo umano per i civili uccisi è un nonsenso inaccettabile. Capace solo di alleggerire il peso di un numero vertiginoso di morti del tutto innocenti.
Ma andiamo avanti. O meglio indietro. E veniamo a Gaza. Sappiamo tutti che il motivo ufficiale dello sterminio risiede negli ostaggi da liberare e riportare a casa. E sappiamo tutti che nel frattempo le carceri israeliane, già piene, si stanno sovraffollando di un numero imprecisato di prigionieri. Ecco una questione linguistica decisiva. È evidente che i civili catturati da Hamas non sono colpevoli di reati e non sono trattenuti in uno stato di giustificabile prigionia. Si può certamente parlare di ostaggi o anche di rapimenti. Ma come è possibile invece parlare di prigionieri nel caso delle carceri israeliane? Non solo la gran parte delle migliaia di palestinesi detenuti è reclusa senza capi d’accusa. Non solo si tratta di civili, moltissimi dei quali sono minori sottratti senza spiegazione alle loro famiglie.
Non solo innumerevoli vengono torturati fisicamente e psicologicamente come abbiamo visto in immonde riprese e come sappiamo da racconti e indagini portati avanti da organizzazioni o giornali israeliani. Sappiamo anche come vengono liberati, nel caso in cui resistano, e riescano a lasciare il carcere senza mai sapere neppure perché ci erano finiti dentro. Li abbiamo visti con gli occhi sgranati, le menti sconvolte, i corpi segnati, i dimagrimenti inumani e gli invecchiamenti stupefacenti. Come possiamo chiamarli prigionieri? Forse non sono essi stessi ostaggi, individui rapiti eppoi vessati e torturati solo perché nemici?
Potrei continuare a lungo chiamando in causa termini più o meno banali, ma quel che importa ora è rendersi perlomeno conto del fatto che ogni parola racconta una precisa visione del mondo. Una visione in cui il bene è da una parte e il male è dall’altra, in cui la civiltà è in lotta con la barbarie, e si fronteggiano esseri umani che hanno valore e animali che non hanno neppure i diritti da noi assegnati agli animali privi di logos, quei pet delle cui storie i nostri quotidiani online ci aggiornano quotidianamente.
Arriviamo, così, alle grandi questioni. La narrazione del massacro è evidentemente dominata da quella che è la natura dell’espansione di Israele oltre i confini stabiliti alle sue origini, contro ogni risoluzione internazionale. Un colonialismo di insediamento (come quello dell’America del Nord sui nativi, per intendersi) che spinge i selvaggi nelle riserve e giustifica ogni sua azione con la pretesa della civiltà che mette nell’angolo i barbari, la civiltà capace di occupare e dare vita a spazi di natura selvaggia, di offrire leggi illuminate e sagge, nonché direttive morali indiscutibilmente superiori. La lingua dominante è dunque la lingua del vincitore e del colonizzatore in possesso di verità e giustizia. Una lingua usata con abilità ma anche con la naturalezza e la spontaneità di chi non possiede alcun dubbio circa la propria superiorità morale.
Eccoci allora alle parole decisive. Quelle più usate o meno usate. Quelle che restano per sempre, capaci di dare un carattere inesorabile alla narrazione che giustifica il massacro. La parola più pesante fra quelle che ormai non metteremmo mai in discussione è usata di continuo e spesso a sproposito a partire dal giorno in cui furono abbattute le Torri Gemelle per indicare il nemico e attribuirgli l’etichetta di immoralità. È dunque la parola che giustifica qualsiasi tipo di azione: aggressione, uccisione, sterminio. Ovvero: terrorismo. Ora, ci domandiamo o meno quale sia la definizione del termine, visto che il diritto internazionale non si esprime? Si conviene in genere su quanto segue. Atti violenti e illegali commessi con l’obiettivo di provocare un clima di paura, di intimidire una popolazione o di fare pressioni su un governo o su un’organizzazione. Lascio a questo punto a chi legge la possibilità di usare il termine nei casi adeguati. Per esempio per gli attentati che hanno preceduto l’invasione del Libano, come lasciavo intendere. O per tutto l’orrore e il terrore che abbiamo visto seminare e crescere in questi drammatici mesi.
Ma è un’altra ancora la parola cardine. È LA parola in assoluto. Quella che si stenta a pronunciare, che si ha paura a dire, tanta è la sua portata, tanta è l’implicita condanna morale che si porta appresso: genocidio. Il diritto internazionale in questo caso non ha dubbi e definisce eccome il fenomeno: Nella presente Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio, per genocidio si intende uno dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: a) uccidere membri del gruppo; b)causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo; c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale. Mi pare inutile, leggendo e rileggendo questo passaggio, ribadire che dubbi sull’utilizzo del termine in casi come quello palestinese non possono essercene. Se, invece, si vuole insistere, vista l’ignoranza su ciò che sta accadendo, basta scorrere i numeri qui sotto, o andare a leggere e/o ascoltare le numerose dichiarazioni registrate degli esponenti del governo israeliano in cui l’intenzione di annichilire e spazzar via i palestinesi è esplicita.
Tante sono le parole che si utilizzano male o non si ha il coraggio di utilizzare (notevole il caso di apartheid, termine che non definisce affatto una forma di discriminazione limitata al Paese in cui la parola è stata coniata). Ma non è questo un trattato. Questo è solo un tentativo di capire quale strada sia stata percorsa per arrivare a quel silenzio per cui la storia ci condannerà. C’è solo un’ultima considerazione da fare, per tornare alla storia da cui ho preso inizio. Quando lo scontro è fra bene e male, civiltà contro barbarie, modernità contro preistoria, è facile che la vita di un essere umano non abbia lo stesso valore di quella dell’altro essere umano. Così è anche per la ricchezza principale che è data a ciascuno di noi: il tempo. E dunque non stupiamoci se un giorno vale un giorno con tanto di numero e mese solo per una parte. E se per gli altri, invece, i giorni sono innumerevoli e insensati e non diventeranno mai date.
Non meravigliamoci se si parla sempre di un solo giorno, come di un discrimine definitivo, un momento da segnare e ricordare per sempre. Per l’altra parte, infatti, i giorni del massacro sono trecentosessantacinque e chissà quanti diventeranno, l’ho detto, ma più che altro sono anni e anni quelli da ricordare o da dimenticare, anni di occupazione, vessazione, discriminazione e apartheid. Decenni che culminano nell’immagine che è sotto gli occhi di tutti. Macerie. Macerie sotto cui sono seppelliti morti anonimi. Macerie che furono scuole, università, catasto, anagrafe, luoghi di culto, cimiteri, ospedali e tutto quel che costituiva una civiltà. No, non abbiate paura di usare la parola giusta. Quello a cui stiamo contribuendo è un genocidio.
VITTIME
Morti accertati 42.612 di cui 16.756 minori e 11.346 donne (che complessivamente costituiscono il 67 % delle vittime).
Numero che non rispecchia lo stato delle cose visto il collasso del Ministero della Sanità che da tempo non può registrare le sepolture private. Mancano all’appello, poi, oltre 10.000 persone scomparse sotto le macerie. Nonché le cosiddette morti indirette, per malattia o fame. Il numero complessivo, secondo varie organizzazioni, supera di gran lunga i 100.000 morti.
Feriti e mutilati 97.166 che assieme ai malati (71.338 casi di epatite, oltre 10.000 malati di tumore e complessivamente un numero sconvolgente di infetti – stimati oltre il milione e mezzo – e 350.000 malati cronici) hanno “accesso” a una sanità colpita drasticamente.
SANITÀ
Medici uccisi 983
Ospedali distrutti 17
Ambulanze colpite 131
Centri sanitari fuori servizio 80
ISTRUZIONE
Università e scuole distrutte 183
Università e scuole danneggiate 559, ossia tutte le 12 università di Gaza e il 93 % delle scuole
Professori e insegnanti uccisi: oltre 500
Scuole UNRWA distrutte 166 ossia l’86 %
ABITAZIONI E INFRASTRUTTURE
La distruzione è sostanzialmente incalcolabile. Si immagina che solo per rimuovere le macerie saranno necessari fra i 10 e i 15 anni.
Case distrutte 150.000
Case danneggiate 200.000
Pozzi d’acqua distrutti 700
Terreni agricoli inservibili 80%
Chilometri di rete elettrica distrutti 3.130
Spazi sportivi e ricreativi distrutti 34
CULTO
Moschee distrutte 611
Moschee danneggiate 214
Chiese distrutte 3
CULTURA
Siti archeologici e luoghi di interesse distrutti 206, ossia il 60 % del totale.
GIORNALISMO
giornalisti uccisi 175: nel solo 2023, 99 giornalisti sono stati uccisi nel mondo, 79 di essi a Gaza;
giornalisti arrestati 36
BOMBARDAMENTI
tonnellate di bombe 75.000 ossia 4.6 volte la forza esplosiva utilizzata a Hiroshima.
Matteo Nucci è nato a Roma nel 1970. Ha pubblicato con Ponte alle Grazie i romanzi Sono comuni le cose degli amici (2009, finalista al Premio Strega), Il toro non sbaglia mai (2011), È giusto obbedire alla notte (2017, finalista al Premio Strega), e il saggio narrativo L’abisso di Eros (2018). Con Einaudi ha pubblicato traduzione e commento del Simposio di Platone (2009) e i saggi narrativi Le lacrime degli eroi (2013), Achille e Odisseo (2020), Il grido di Pan (2023). Per HarperCollins sono usciti il romanzo Sono difficili le cose belle (2022) e il saggio narrativo Sognava i leoni. L’eroismo fragile di Ernest Hemingway (2024). I suoi racconti sono apparsi in riviste, antologie e ebook (come Mai, Ponte alle Grazie 2014), mentre i reportage di viaggio e le cronache letterarie escono su La Stampa e L’Espresso. Cura un sito di cultura taurina: http://uominietori.it/.
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@ 24 Grazia
E uno le :”Risposte certe” dove le dovrebbe cercare ?
Nelle farneticazioni di un Nucci o di un Merlo ?
Auguri !
Il delirio descritto nell’articolo si rispecchia nei commenti di chi sembra trovare risposte certe nel teatrino mostrato dai media.
Stimiamo pure 40 miliardi in 30 (anche se mi piacerebbe conoscere la fonte della stima…)
Nell’ultimo anno, solo gli USA hanno destinato 18 miliardi a Israele…se non c’è un fattore mille ci siamo molto vicini.
Con buona pace delle milionate di “mattei” in giro…
E pensa quanti ne hanno beccati dai paesi arabi…
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Fra l’altro e’ comica anche la gestione dei cosiddetti :”aiuti umanitari” , che vengono SEMPRE REQUISITI da Hamas , che li usa per ricattare la popolazione civile…
@ 17
non certo di qualche milione di dollari ai palestinesi, perlopiù in aiuti umanitari…
La stima è 40 miliardi di dollari in trent’anni solo dai paesi occidentali
C’è un fattore 1000 di mezzo.
@ 13 Crovella.
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Oltretutto Nethanyau sta giocando le sue carte belliche sulle elezioni americane di Novembre.Quando la temuta risposta di Israele all’attacco iraniano arriverà , sia Trump che Harris dovranno pesare bene le loro reazioni , perchè l’elettorato avrà una proxy del futuro atteggiamento americano verso la questione mediorientale , e forse qualcuno si ricorderà chi negli Usa ha permesso che l’Iran arricchisse l’uranio e si avvicinasse alla gestione di un’armas nucleare con cui ricattare il mondo.
P.P.S.: Espò o dell’imbecillità delle menzogne propagandistiche.
Hai dimenticato gli scudi umani.
P.S.: e comunque Hamas per anni è stata abbondantemente supportata politicamente e finanziata da Israele in funzione anti ANP
Massimo, veramente la responsabilità del massacro in atto è per via dei miliardi di dollari che abbiamo versato almeno da settant’anni a fondo perduto e continuiamo a versare a Israele in armi e tecnologia, non certo di qualche milione di dollari ai palestinesi, perlopiù in aiuti umanitari…
Come ha detto Massimo , come occidente abbiamo sempre finanziato organizzazioni come Hamas , chiudendo gli occhi sul fatto che i soldi venissero utilizzati per scavare tunnel e comprare armi anzichè per migliorare le condizioni di vita dei civili palestinesi..
.Un’altra ridicola ipocrisia è quella del contingente UNIFIL dell’ONU , “Foglia di fico” dell’occidente a 200 metri dalle posizioni missilistiche di Hezbollah..
.Ovviamente Hezbollah non è il Libano o l’esercito regolare libanese , ma l’ONU si è sempre guardata dal segnalare o reprimere come terrorismo l’attività di Hezbollah , anche se i guerriglieri che cannoneggiano israele sono così vicini , che se uno di loro scoreggia Unifil se ne accorge..
.La giostra delle ipocrisie.
Sono perfettamente d’accordo con Nucci: è un genocidio. Chi rimane neutrale si schiera purtroppo dalla parte dell’oppressore, a scapito dell’oppresso. Gli ignavi sono molti e faranno i conti con la propria coscienza, spero prima invece che poi.
Si, abbiamo, come occidente, responsabilità nel massacro in atto.
Abbiamo per un paio di decenni finanziato Hamas con miliardi di dollari e di euro.
Facevamo finta di credere che diverse organizzazioni operanti a Gaza li usassero per scopi sanitari e sociali e chiudevamo gli occhi sulle intenzioni di Hamas, che conosciamo benissimo visto che non temono di enunciarle da sempre
Certo la responsabilità di Israele su come ha reagito allo scempio è tutta sua.
Ideali nobilissimi che si scontrano con la realtà operativa e, soprattutto, con la mentalità crescente in Europa, dove la svolta a destra è ormai innegabilmente destinata a crescere sempre di più e si incentra in particolare (non solo, ma in particolare) sul tema immigrazione. L’esigenza di posizioni “cattiviste” è ormai alla luce del sole, sia in Europa che nel mondo, e i governi si stanno rapidamente adeguando, compresi quelli di sinistra, anzi in prima fila porprio quelli.
Non solo la sinistra europea di governo (Germania, von del Leyen, anche l’attuale premier UK, laburista), ma anche la sinistra mondiale (Kamala Harris tanto per capirci) si sta spostando su posizioni che non sono più “arrivini tutti”
Continuare a sbandierare ideali vecchi come in cucco, per quanto nobilissimi, è ormai ridicolo come Gino Paoli che, a 90 anni, si presenta in TV indossando il chiodo, come se avesse 20 anni…
Grazie, Placido, per l’interessante articolo.
Mi sento vicina a chiunque sia sensibile al tema dei conflitti, tuttavia credo che le dinamiche alla base delle guerre siano sempre le stesse e soffermarsi su ogni particolare caso porta via energia.
Chi può fare qualcosa per cambiare le sorti? A mio avviso, è solo una categoria di umani, ovvero quelli che abbandonano il campo di battaglia: chi sceglie di espatriare per non rimanere inutilmente succube e il soldato che smette di sparare.
In ogni caso, spostare l’attenzione del dibattito sui fatti di 100 anni fa è un escamotage che piace alle sinistre-woke per scaricare sulle destre la “colpa” della situazione attuale (=Israele creata come compensazione dell’Olocausto). In realtà l’ipotetica reimportazione degli israeliani è osteggiata dalle sinistre-woke europee, perché gli israeliani, se re-immessi nella realtà europea, darebbero molto fastidio e creerebbero molti problemi alle sinistre europee. Gli israeliani si sono abituati a vivere sotto il costante tiro dei missili nemici, hanno una “pellaccia” ancor più spessa e, se re-immessi in Europa, farebbero a pezzi le sinistre. Immaginatevi solo i professori universitari delle attuali università israeliane, specie nei settori scientifici dove essi sono, oggi, all’avanguardia mondiale. Non stanno mica a guardare i “diritti” di centri sociali, CARC, collettivi ecc… Altro che occupazione delle università da parte di studenti e/o docenti di sinistra, lezioni e consigli di facoltà interrotti, cortei ecc! Quelli tirano dritto e, sfornando lavori all’avanguardia uno dietro l’altro, fanno selezione e il mondo delle sinistre verrebbe sempre più emarginato fino a scomparire. Questo esempio non è unico e vale in tutta la società ed è per questo che i primi a opporsi al ritorno degli ebrei in Europa sono le sinistre-woke.
Dall’Olocausto sono passati quasi 100 anni, la società europea è strutturalmente molto cambiata e in ogni caso i viventi di oggi pensano con la testa di oggi e non con quella di 100 anni fa. In più: quante volte, nella storia, si sono alternate “alleanze” fra soggetti che in precedenza si sono addirittura combattuti, uccidendosi spietatamente! Ma non è questo il punto: l’Olocausto è stato un abominio sotto ogni punto di vista. Non mi pare che, OGGI, vi sia nessuno che affermi la “fondatezza” dell’Olocausto né che lo giustifichi. E’ stata una scemenza colossale, da ogni punto di vista, umano in primis. Tuttavia segnalo un punto: non vado alla ricerca di giustificazioni, ma certo 100 anni fa non si poteva immaginare che, 100 anni, dopo i “nemici” dell’Europa sarebbero stati cinesi, indiani, russi, e quella (grande) parte di mondo islamico che odia l’Occidente, in particolare l’Europa. Se lo avessero ipotizzato, forse si sarebbero tenuti ben stretti gli ebrei europei, bianchi, di cultura e cittadinanza uguale alla nostra, considerandoli importanti “alleati” contro i nemici futuri (cioè di oggi).
Ma non mi interessa parlare dell’Olocausto: è stato un abominio in sé, a prescindere dall’effetto di boomerang negativo per l’Europa. Parliamo di oggi: assistiamo a due fenomeni che sono incomprensibili. Il primo è che l’Europa si riempie di disperati che giungono in particolare da paesi islamici (o di cultura e scala di valori islamici) e che NON sono interessati a europeizzarsi, per cui alla fin fine o formano delle enclave (stile casbah di Mestre) o, peggio, vanno a bivaccare alla stazione Centrale, con tutti i problemi di degrado e di sicurezza già citati. Dall’altra abbiamo uno stato di impostazione occidentale (sia per l’ordinamento costituzionale e democratico, sia perché l’etnia maggioritaria – gli ebrei – sono bianchi e di cultura europea) che si trova circondato da popoli islamici, con frange terroristiche che lo odiano, per cui deve difendersi militarmente e, messo alle strette, ha deciso di fare piazza pulita di chi lo circonda. Che senso hanno questi due fenomeni? meglio spostare in M.O gli “islamici” oggi in Europa e riportare da noi i nostri fratelli ebrei.
Segnalo questa analisi (non è un mattone indigeribile):
125 anni tra resistenza e solitudine.
Come raramente mi accade con gli articoli pubblicati sul blog, mi avvalgo del terzo diritto del lettore enunciato dal mitico Pennac, ovvero di non finire di leggere.
Tutte le immagini e le parole menzionate le ricordo da sempre, e questa è una delle ragioni per cui da più di vent’anni non possiedo una televisione.
Vorrei pure che fosse chiaro che i ragazzini non sono stati assaliti – diverse volte anche in Italia e da anni – perché si ribellano a una data guerra, ma molto semplicemente per annichilire la loro facoltà di alzare la testa.
Strano voialtri nel ’33, nel ’38 e nel ’41 non parlavate così, anzi…allora anche tu qualche volta sei disposto ad ammettere di aver sbagliato.
L’eradicazione dello stato di Israele è l’alternativa diametralmente opposta alla deportazione dei palestinesi.
Io non sono affatto contrario all’eradicazione dello stato di Israele, anzi! Rimpatrieremmo in Europa circa 10 milioni di individui di capacità innegabili (una certa % andrebbe negli USA, ma penso che la maggior parte preferisca l’Europa).
Infatti gli ebrei, salvo rarissime eccezioni, sono intelligenti, capaci, colti, intraprendenti e, non ultimo, “ricchi”. Anziché riempirci di disperati senza arte né parte (provenienti da Sahel, Pakistan, Maghreb, ecc),, come piacerebbe alle varie sinistre-woke, se tornassero 10 milioni di israeliani desiderosi di diventare europei, darebbero un impulso notevolissimo al riavvio dello sviluppo europeo, sia economico che politico e anche culturale.
Però non li manderei in Polonia/Ucraina che, tempo pochi anni, ripropongono con la Russia la stessa conflittualità del l M.O..
NO, NO, gli israeliani re-europeizzati teniamoceli proprio vicino a noi, rimettiamoli nelle nostre stesse citta, nelle nostre industrie, nella nostra cultura e nella nostra evoluzione politica e sociale. L’Europa coi guadagnerebbe solo, in caso di ritorno degli israeliani (ebrei) da noi. Io li aspetto a braccia aperte.
Quando si scoperchiano i tombini dalle fogne esce un certo odore caratteristico.
Prendo due o tre frasi a caso dalle imbecillità appena scritte da rimbambiti da propaganda, falsità e doppi standard solo per parafrasarle per dimostrarne, appunto, l’imbecillità.
Non mi sorprende che Bruno Telleschi stia dalla parte di chi bombarda donne, bambini e paesi stranieri, mira agli ospedali e ai giornalisti, innesca migliaia di esplosioni terroristiche
Chi e’ un “nemico” ?
Qualcuno che da un secolo ti caccia dalla tua terra col terrore o con l’omicidio.
Qualcuno che viene , ti contingenta e ti nega l’acqua e il cibo, ti bombarda mirando a ospedali o scuole e afferma che vi erano terroristi nascosti ma senza mai trovarli.
Chi pretende impunita’ perché quella terra gli è stata promessa da un dio.
Israele si è definitivamente rotta le palle dei vicini e desidera bonificare le aree l’obiettivo è sterminare i terroristi, certo, ma per farlo non possono non esserci vittime innocenti: è la guerra. Cosa può fare la cosiddetta comunità internazionale? Smettere di pagare Israele, per iniziare, e poi deportare gli ebrei: sono europei, sono dei nostri, prendiamoli tutti qui.
In fondo poi siamo stati noi ad ucciderli nei campi, è colpa nostra se sono là ad uccidere, bombardare e distruggere popoli che non c’entrano nulla. E poi sono intelligenti, astuti e adatti alla nostra società: ne trarremmo di sicuro gran beneficio.
Deportiamoli in Europa: l’abbiamo già fatto, sappiamo come si fà.
CHI HA A CUORE LA SORTE DEGLI EBREI DOVREBBE OPERARSI PER SPOSTARLI. IN POLONIA E IN UCRAINA C’E’ UN MUCCHIO DI SPAZIO!
L’Occidente? Sta fermo per alcune cause ben chiare: gli USA attraversano una fase di particolare debolezza per le elezioni presidenziali, l’Europa come istituzioni centrali non contano finché gli stati membri vogliono dire la loro, detti stati hanno le loro grane interne e… alla fin fine Israele sta facendo un gioco sporco (=eliminare o indebolire quel mondo islamico antioccidentale, cosa che fa molto piacere agli occidentali…) che l’Occidente vorrebbe fare ma che non ha il coraggio di fare…
Certo il quadro potrebbe cambiare se Israele attacca sistematicamente i contingenti occidentali, con morti e feriti a decine/centinaia. Ma… mi pare un errore così marchiano che non penso che gli ebrei lo commetteranno. ovvio che se incappano in un errore del genere, avranno contro anche l’Occidente. Al netto di tale errore da parte degli israeliani, l’Occidente perdurerà nella posizione “defilata” che ha tenuto finora… alla facciacca delle manifestazioni Pro Pal e dei lamenti stucchevoli su carte/web. E’ la realpolitik, ragazzi.
CONCLUSIONE: CHI HA DAVVERO A CUORE LA SORTE DEI PALESTINESI, DOVREBBE OPERARSI PER SPOSTARLI, NON PER LASCIARLI LI’.
Sono stucchevoli questi lamenti ipocriti, da patetici buontuttisti.La realpolitk dovrebbe aprire gli occhi anche ai buontuttisti. Non solo in questo, ma nell’intera famiglia di questi lamenti. Per carità. meglio i lamenti stucchevoli ma sulla carta/web piuttosto che le manifestazioni idiote dei Pro Pal sconfinanti in disordini con pali stradali divelti (che aiuto danno ai palestinesi?) e devastazioni varie. Almeno i lamenti sulla carte/web, per quanto stucchevoli, non producono danni materiali, non impegnano forze dell’ordine (=costi operativi a carico della collettività), non comportano fastidi e intralci alla vita dei comuni cittadini residenti dalle parte in cui passano i cortei di lanzichenecchi. Circa il problema mediorientale, è inutile fare la conta dei morti. Davvero da ingenui, che non sanno leggere la realtà. E’ un anno che affermo pubblicamente, e l’ho scritto ripetutamente, che Israele si è definitivamente rotta le palle dei vicini e desidera bonificare le aree. L’obiettivo è sterminare i terroristi, certo, ma per farlo non possono non esserci vittime innocenti: è la guerra. Cosa può fare la cosiddetta comunità internazionale? Una cosa sola: spostare i palestinesi: quelli di Gaza in Egitto, quelli della Cisgiordania in Giordania/Siria ecc, quelli del sud del Libano a nord di Beirut. Lasciando così questi territori, liberi da islamici, nelle mani di Israele. Ahhhh!, sento già le grida istericghe dei woke, -olitically correct-peace and love! “SPOSTARE significa DEPORTARE”. Sì, certo, uso il termine spostare, ma intendo deportare. Se noi occidentali non ci organizziamo per deportare i palestinesi, li lasciamo al massacro. Tanto Israele NON vuole fermarsi e il governo Netanyahu sta cippa che è debole: circa 15 gg fa ha acquisiti un altro drappello di parlamentari e il ministro della difesa, Gallant, in precedenza avversario politico di Nethanyau, ora rilascia delle dichiarazioni così accese e piene di determinazione bellica che pare più il “ministro della guerra” che il “ministro della difesa”.
Nucci non parla dell’unica parola che avrebbe senso usare qui : “Nemici”.
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Chi e’ un “nemico” ?
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Qualcuno che da un secolo cerca di ucciderti ogni volta che gli dai le spalle.
Qualcuno che viene , ti accoltella , e poi si nasconde sotto un ospedale o una scuola , cercando impunita’ sotto gli scudi umani dei propri figli.
Qualcuno che in nome di una religione che e’ solo uno strumento geopolitico , ti bombarda da migliaia di km di distanza , magari dicendoti che tu non puoi rispondere.
Qualcuno che si porta via i cadaveri dei civili che ti ha ucciso per fare finta che siano vivi e usarli come merce di scambio con te.
Qualcuno che , quando ti sente arrivare , taglia la gola dei tuoi cari che ha rapito , per evitare che tornino a casa vivi.
Qualcuno che rapisce e stupra le tue donne per assimilarle alle sue.
Strano che li combattano , eh ?
Non mi sorprende che Matteo Nucci stia dalla parte degli assassini e degli stupratori. Pochi anni fa ha scritto un libro per difendere l’onore degli eroi omerici (Le lacrime degli eroi, 2013). Se gli eroi piangono, come piangono spesso per tutta l’Iliade e l’Odissea, vuol dire che nutrono buoni sentimenti. Per esempio Achille che rapisce le donne, per esempio Ulisse che massacra le donne: due modelli esemplari di violenza maschile e patriarcale. Quanto alla civiltà occidentale le critiche possono essere numerose, ma non ci sono altrove esempi migliori.