La Lunga Attesa
(storia di un’apertura in Wenden)
di Paolo Spreafico
(pubblicato sull’Annuario del CAAI, 2019)
Il Dubbio
È novembre, le pareti del Wenden sono già impraticabili e alle spalle abbiamo due estati passate avanti e indietro dalla Svizzera, impegnati nell’apertura di una nuova via in uno dei luoghi storici della “moderna arrampicata alpina”.
Per la verità qualcosa si era già mosso nel corso del 2012 quando con Fabio Palma eravamo saliti carichi di materiale ed entusiasmo alla ricerca di una linea da aprire dalle parti del Mahren. Alcune valutazioni errate ci avevano presto tolto l’entusiasmo, per cui ci era rimasto solo il materiale sulle spalle!!! Una giornata perfetta, alta pressione e tante ore di luce buttate via erano più che sufficienti a distogliere la mia attenzione dal progetto per seguirne altri più a breve termine. Ma l’estate successiva il tarlo riprende a lavorare, così torniamo sui nostri passi, questa volta verso il Dom, una delle pareti più belle del Wenden, protetta a destra e a sinistra dalle due torri di Zahir e del pilastro Excalibur e solcata da alcune vie storiche come Andorra, Legacy e Ibicus, aperte da Kaspar Ochsner e dai fratelli Yves e Claude Remy sul finire degli anni ’80 e nei primi anni ’90.
La linea che abbiamo individuato corre nella prima parte sulla sinistra di Legacy; l’obiettivo è salire la bella placca a rigole ben visibile dal basso, ma soprattutto forzare il muro successivo che i fratelli Remy hanno superato nella parte destra.
I primi due tiri scorrono abbastanza tranquilli con difficoltà contenute, ma il terzo ci fa sorgere subito i primi dubbi: si passa o non si passa? Con il trapano in mano tutto diventa relativo, una parete dura può diventare elementare, ma nel momento in cui si decide di utilizzarlo solo per proteggersi è la roccia che comanda, risulta fondamentale prendere le giuste decisioni e il dubbio diventa lo stato d’animo costante…
Devo dire che anche questa volta la natura è stata benevola… e quando il dubbio stava lasciando spazio alla rinuncia, in più di un’occasione le carte in tavola sono improvvisamente cambiate e l’euforia ha preso il sopravvento, perché quando scopri una serie di appigli che mai e poi mai avresti immaginato, né più piccoli, né più grandi, beh, sei contento… e quando hai messo lo spit… sei pure sollevato!!! Insomma, tra qualche imprecazione, dubbi esistenziali, momenti di allegria e altri di sconforto, abbiamo superato questo muro che introduceva a una bella placca di una quarantina di metri di ottima roccia e neanche troppo difficile che, a sua volta, finiva proprio sotto il secondo obiettivo della nostra salita, il muro sommitale. Le vie presenti su questa parete nella parte finale si mantengono sulla destra (Ibicus) o sulla sinistra (Andorra e Legacy), lasciando di fatto totalmente libera la parte centrale che, peraltro, dal basso non sembra particolarmente difficile: la roccia appare lavorata e non molto diversa da quella delle vie adiacenti che si mantengono su difficoltà nell’ordine del 7a… anche in questo caso, dubbi… Ma il tempo a nostra disposizione finisce e durante l’inverno cerco di non farmi troppe domande tanto la risposta dovrà attendere ancora fino alla prossima estate anche se, di tanto in tanto, faccio quello che sto facendo ora, tiro fuori qualche foto e comincio a viaggiare con la fantasia… come tutti gli arrampicatori, credo…
Utilizzo l’inverno “per ricaricare le batterie”, purtroppo (o per fortuna) un lavoro da 8 ore al giorno non mi permette di rilassarmi e programmare più di tanto e durante la stagione estiva farsi trovare pronti non appena c’è l’occasione giusta alla lunga è abbastanza stressante… lunghi viaggi, materiale da preparare in continuazione, decine di telefonate e messaggi vari. I conflitti interiori, vado non vado, per quanto mi riguarda sono sempre stati all’ordine del giorno, ma l’attrazione per una nuova avventura, per un weekend di bel tempo o per una bella via hanno sempre il sopravvento e alla fine vorrei che il viaggio di ritorno verso casa non terminasse mai… anche se magari ti separa poco dal suono della sveglia che ti catapulta una volta ancora in un’altra dimensione. Ecco, tutto ciò mi piace, mi stimola, mi fa stare “sveglio”, ma ogni tanto sento il bisogno di staccare… di alzarmi tardi la mattina e di cambiare, almeno per un po’.
Ma quest’estate, arriverà o no? È la domanda che si fanno un po’ tutti vista la situazione meteo, perciò dobbiamo attendere il 28 di settembre per la nostra prima (e ultima?) chance del 2014. Partiamo di buon’ora consapevoli che i minuti oggi potranno fare la differenza e non sbagliamo visto che faremo ritorno al buio con una giornata piena alle spalle, combattuta e risolta in extremis dopo aver salito il muro sommitale che ci ha portato in cima al Dom. I due tiri aperti, come preventivato, si mantengono su difficoltà medie e presentano una bella arrampicata atletica su prese sincere di ottima roccia tranne qualche metro un po’ sporco a metà del penultimo tiro, il tutto, come solito in Wenden, in grande esposizione. Ma il bel tempo che non voleva farsi trovare ora non se ne vuol più andare così sfruttiamo anche le prime belle giornate autunnali che, unica pecca, sono un po’ corte. La temperatura estremamente gradevole permette di scalare senza problemi, così decidiamo di portarci avanti e ritornare sulla nuova via per scattare qualche foto con Luca ed Elena, se poi avanzerà del tempo per provare a scalare tanto meglio. Ogni tanto mi capita di andare a fare foto in parete… è un’esperienza comunque stimolante, perché diversa dalla solita routine in via, in cui si documenta la salita, se si riesce, ma dove l’obiettivo principale resta comunque quello alpinistico. I tempi si dilatano, e dalle esperienze che ho vissuto finisci sempre col sottostimare il tempo di cui hai bisogno per fare il tuo compito. In questo caso siamo in quattro e ciò ci permette di velocizzare un po’ le operazioni, così, dopo aver svolto il “lavoro” posso tentare il quarto tiro, quello che mi ha impegnato di più in apertura e che, con tutta probabilità, sarà il più impegnativo (e più bello, secondo me). Questa lunghezza ha richiesto ben tre uscite lo scorso anno, di cui una per piantare un solo spit, ma a posteriori posso dire che ne è valsa la pena e il risultato è stato soddisfacente.
È tanto che aspetto questo momento, non so se riuscirò a salire questi 25 metri, da un anno non tocco questi appigli e chissà se le sensazioni saranno le stesse di un anno fa… ne conosco perfettamente i movimenti che ho ripassato durante il primo giro pochi minuti fa mentre Luca scattava… domande che a breve avranno una risposta. Per la verità immaginavo di provarlo in altre condizioni… la nebbia si sta alzando decisamente, Luca e Fabio scendono perché comincia a far freddo e le previsioni danno brutto già dal primo pomeriggio, Elena mi raggiunge alla S3, ora tocca a me…
E d’un tratto tutto si fa meno chiaro, il fuoco che per mesi ardeva in me sembra svanire… vorrei rinunciare, sono a un varco e tutto ciò che ho fatto di razionale per affrontare questa sfida non riesce ad essermi d’aiuto… spesso in questi momenti mi tornano in mente gli esami all’università: ti preparavi per un anno intero ma poi in quell’aula prima di tutto dovevi entrarci… e in quel momento non eri mai pronto… c’è sempre qualcosa che ti trattiene, ora tocca a te… come dice qualcuno “mollare la presa per andare avanti”… e la chiave è il desiderio, la voglia che hai di portare a termine ciò che hai iniziato, la passione per ciò che stai facendo… E allora pronti, partenza… via! All’inizio i movimenti sono lenti e il freno a mano è tirato, ma le cose migliorano, salgo e mi sento sempre meno disposto ad alzare bandiera bianca, finché mi ritrovo a lottare più di quanto avrei immaginato, e a portare la corda in sosta su un tiro che non avrei scommesso neanche un centesimo di portare a casa oggi… beh, così vanno le cose… sono immerso nella nebbia e sfogo la tensione urlando… tanto nessuno può vedermi, solo Elena che pochi metri più giù mi ha sostenuto e mi ha trasmesso la motivazione per entrare in quest’aula!! Vabbè… torniamo alle “cose serie”: il tiro duro è stato liberato, e questo è ciò che conta… per quest’anno col Wenden ho chiuso!!
Settembre 2016
La Lunga Attesa è terminata! Quel nome cominciava ad infastidirmi un po’, avevamo deciso di chiamarla così proprio dopo aver finito di chiodarla, nel 2014, ma non potevamo immaginare che la “lunga attesa” doveva ancora iniziare! Dopo la libera del tiro duro son passati due anni, senza riuscire a metter piede in Wenden: per la verità nel 2015 le temperature particolarmente alte mi avevano “dirottato” su altre pareti più “fresche”, così il tutto è rimasto in sospeso fino a quest’anno.
Due anni fa ero riuscito a liberare il quarto tiro, quello che, sulla carta, ritenevo il più duro, ma gli altri non erano ancora stati percorsi in libera, inoltre bisognava togliere tutte le fisse che “ornavano” la parete ormai da tre anni abbondanti. Provammo un mesetto fa, ma la parete era completamente lavata, poi ancora due settimane fa, e arrivati al traforo del Gottardo un temporale non previsto la sera prima è bastato per farci tornare sui nostri passi, senza neanche arrivare al parcheggio.
Così, eccoci qua, fine settembre, le giornate si sono accorciate parecchio, ma la temperatura è ideale, c’è il sole e la parete è completamente asciutta. Sono con Elena che ha accettato di accompagnarmi in questa nuova “avventura”, so già che sarà una giornata lunga, bisogna scalare, togliere le fisse e sistemare le soste, così optiamo per svegliarci presto, con l’intenzione di attaccare alle prime luci del giorno.
Scaliamo tutta la giornata accompagnati dal sole, proprio sull’ultimo tiro ci raggiunge la nebbia… dopo una lunga discesa per il recupero del materiale lasciato in parete riusciamo a percorrere la prima parte di zoccolo prima dell’arrivo del buio. Nel complesso la via si mantiene sullo standard “Wenden”, quindi chiodatura essenziale a spit, da integrare in diversi punti con sezioni impegnative e diversi passi obbligati su roccia in gran parte ottima, e solo in pochi tratti un po’ più delicata ma comunque sempre “di soddisfazione”.
Il mese scorso, viste le condizioni della parete, abbiamo scalato Blaue Lagune e verso le sette di sera mentre scendevamo sullo zoccolo, pochi metri sotto l’attacco delle vie, ci siamo imbattuti con grande stupore in un’arzilla signora che saliva tutta sola… stupito, le chiesi dove era diretta e dopo poco capii che non era lì per caso, che quel posto lo conosceva bene, e che non* c’era da preoccuparsi; Ruth Baldinger avrebbe passato quella notte nel bivacco e il giorno dopo avrebbe scalato insieme ad alcuni amici che dovevano raggiungerla l’indomani… Ieri sera abbiam deciso di andare a bere qualcosa dal Felix, e mentre ero seduto al bancone mi si è avvicinata una signora: “Did you climb today?”. All’istante non la riconosco, ma è Ruth… continuiamo il discorso iniziato un mese fa, le dico che l’indomani vorremmo finire una nuova via, i suoi occhi brillano, parliamo un po’ del Wenden, della sua roccia irreale, dei giorni grandi passati su queste “grandi pareti” insieme a suo marito… Kaspar Ochsner…
Arrivai a Wendenalp per la prima volta più di dieci anni fa, non so quante volte ho montato la tenda in quel parcheggio, sognavo quelle pareti, quelle vie, quella roccia e grazie a Ruth, suo marito e a tutti gli arrampicatori che hanno lasciato il loro segno ho vissuto delle esperienze indimenticabili… Ora, accanto a queste vie “mitiche” ho trovato un piccolo spazio anche per me, spero di averlo utilizzato nel modo migliore… Grazie a Fabio, Elena, Franz, Dodo, Matteo e a tutti quelli che hanno passato con me queste belle e intense giornate…sul calcare perfetto del Wenden!!!!
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