La montagna non è eterna
La dolomitica frana del 16 novembre 2013 che ha stravolto lo zoccolo roccioso della Cima Su Alto, nel gruppo del Civetta, è un fenomeno che ci sembra sempre più frequente quanto più ci ostiniamo a dare un significato di eternità a ciò che eterno non è mai stato.
La nostra epoca immersa nel virtuale (che è espressione del massimo della volubilità e quindi deperibilità) tende a negare il valore di ciò che è caduco, illudendoci in un limbo di preteso e immutabile ottimismo che la nostra esistenza matematico-informatica e le nostre sicurezze di vita sana e felice siano in costante crescita, quasi tendenti all’infinito.
Qualunque fenomeno contrario ci sbatte con evidenza in faccia la realtà, ci disturba, ma forse ci fa crescere.
La grandezza della montagna (e quindi dell’universo) non è nella sua pretesa eternità, è nell’accettazione della sua “vita” e quindi prima o poi della sua morte. Mentre una montagna eterna è solo un concetto, una montagna viva è un’esperienza, l’unica a noi possibile.
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Mi avete fatto venire il mal di testa…
e solo perché è venuto giù l’ennesimo tocco di Crolloniti! 🙂
E torniamo a X e Y.
“A quel punto è ( la Metafisica) concreta e presente. È reale.
Ovvero anche il “mondo vero” fa parte del “mondo apparente”.
Ma la Metafisica è parte di questo mondo (il mondo apparente), l’unico mondo, ma essa non è nè concreta, nè reale. E’ solo un prodotto del pensiero.
Disturba quando si propone come verità.
Il “mondo vero” un mondo dietro il mondo, oltre questo “mondo apparente” non esiste.
Il mondo vero, costruito dalla Metafisica, equivale al Nulla.
Nientemeno.
insomma…Dio e noi, siamo la stessa cosa.
Ognuno ha la sua. Ogni religione ha la sua. E tutte corrispondono a nostre propiezioni. Castelli di sabbia.
Poi, quando se ne prende coscienza, da fuori dove le avevamo messe, diventano interne.
Allora è chiara la potenza creatrice che abbiamo e contemporaneamente l’espressione divina che siamo.
Questo intende dio è ovunque.
Questo è che la materia è l’espressione formale di dio.
Se siamo noi a fare lei, allora che divinità è….??
Tutte le categorie sono gabbie.
Fuori dalle gabbie tutti realizzano al meglio il loro gradiente di talento.
La conoscenza non sta nelle gabbie, lì ce ne mettiamo un po’ credendo sia tutta.
Fino a che un è così e l’altro è cosà.
Dunque la divinità non sta da nessuna parte, tranne dove la mettiamo.
E non è lei a fare noi ma noi a fare lei.
metafisica o non metafisica.
Come fa ad essere giusta una divinità che a suo totale arbitrio decide che: io devo nascere brutto e malato per il resto dei giorni che resterò a questo mondo. Per poi guadagnarmi la morte. Mentre un’altro lo fa: bello, simpatico e sano come un pesce.
Con tutto il rispetto, ma in base a quale principio è giusta questa divinità?
Non mi riesce di capirlo.
Se un bimbo delle elementari dicesse a uno nato da pochi mesi che il mondo non è come lo crede lui, che non vero che sua madre è altro da lui, che la sua identificazione con il mondo a un certo punto si interromperà, che vive in una bolla momentanea, che la sua è tutta un’illusione, lo farebbe a causa del supporto di certe consapevolezze che gli garantiscono che siamo esseri separati e indipendenti. Tanto che lui si chiama X e il bimbo Y.
A causa di altre consapevolezze la concezione di noi stessi e della realtà muterà ancora coinvolgendo le piccole e le grandi dinamiche.
Così come non varia l’architettura che soggiace ad ogni aggiornamento della concezione, non varia neppure la determinazione con la quale sosteniamo quest’ultima.
E non varia neppure quella specie di sorpresa quando prendiamo coscienza di avere abbandonato un piano, di non pensare, sentire, essere più come prima.
Uno dei possibili passaggi sta nel riconoscere che non è vero che siamo X e che gli altri non sono Y. Sta nel constatare che fino ad allora ci eravamo identificati con delle convenzioni la cui principale caratteristica è di tipo dottrinario-dogmatico: riduce la creatività. Ovvero di mantenere la propria emancipazione dalle convenzioni.
Quando X non si riconosce più in X, quando il suo Sé lo costringe a prendere le distanze dal suo Io, si sta avvicinando a vedere che la vita è una sola, che gli altri corripondono a noi, che noi siamo così come siamo ma senza alcuna separazione dal prossimo in quanto anche questo è così come è. Le parti possono invertirsi quando ci svincoliamo dai ruoli che volevamo rappresentare.
Un po’ come il fogliame generato da una sola energia nonostante ogni foglia si distingua formalmente dalle altre.
La metafisica è qualcosa di fastidioso se limitata entro un mome che corrisponde a qualcosa per noi sconveniente.
Non lo è quando la si riconosce come uno di quei livelli di consapevolezza.
A quel punto è concreta e presente. È reale.
E non dà più noia.
“Tuttavia, mi piace pensare e credere che probabilmente la morte non esista, se non come inizio di una nuova vita: considerare, intuire che forse sarò ancora intensamente vivo, magari più vivo dopo la morte che in vita;”
Quanta Metafisica, ancora…………ancora Metafisica.
fin qui mi sta anche bene.
qui non capisco.
qual sarebbe questa “giustizia divina” che decide di farci ammalare. Qual è e dov’è è questa “giustizia divina” che decide chi si ammala e chi no? Chi deve soffrire e chi no?
Bella giustizia divina… !
Bello scritto Stenghel, aggiungo solo che dobbiamo ricordarci più spesso della nostra caducità . Noi viviamo decisamente meno delle montagne e anche delle piante. Dobbiamo tutti cercare la modestia nell’ambito della Natura . Gli Dei non siamo noi, anche se a volte , nel nostro piccolo lo pensiamo.
C’è una nuova mentalità che fa arricchire i chirurghi estetici e vuole impedire all’uomo di cambiare e d’invecchiare. Qualcuno ci vuole convincere, infliggere, propinare che bisogna essere tutti belli, sani e forzatamente ricchi, ma fortunatamente c’è chi non è bello (come me), ci sono i poveri e per giustizia (divina) c’è chi si ammala e, prima o poi, muore.
Anche le montagne cambiano e guai se non fosse così!
Sono perfettamente in accordo che – la grandezza della montagna (e quindi dell’universo) non è nella sua pretesa eternità, è nell’accettazione della sua “vita” e quindi prima o poi della sua morte – .
Tuttavia, mi piace pensare e credere che probabilmente la morte non esista, se non come inizio di una nuova vita: considerare, intuire che forse sarò ancora intensamente vivo, magari più vivo dopo la morte che in vita; abbracciare il sogno di poter ancora vedere, sognare, ricordare e magari ancora arrampicare, ma… ma soprattutto amare.
E tutto ciò potrà accadere anche per una montagna, per una cima, per una cresta rocciosa che cadendo sembrerà non esistere più, se non come simulacro, immagine, ricordo.
Alla fine è solo un mutamento che non dobbiamo temere.