La montagna non uccide

Abbiamo approfittato (riproponendola) dell’intervista che Luca Vecellio ha fatto a Maurizio Icio Dall’Omo. Sapendo bene quanta fatica è stata necessaria per avvicinare e intervistare questa leggenda dell’arrampicata. Ma tant’è: l’importanza di chiamarsi Maurizio…

La montagna non uccide
(e la paura, se controllata, può salvarti la vita). Parola di Maurizio Icio Dall’Omo)
di Luca Vecellio
(pubblicato su qdpnews.it il 23 agosto 2023)

Foto e video di qdpnews.it

Scalare una montagna è come guardare in uno specchio. Vedi tutto di te, quasi potessi guardarti dall’esterno, in terza persona. Vedi le tue paure, vedi quanto sei umile e insignificante in confronto al colosso.

Maurizio Icio Dall’Omo

Quante delle nostre vite servirebbero per conoscere tutti quegli strati di roccia? No, ti assicuro che la montagna non uccide. Non uccide mai. È la nostra inadeguatezza, la nostra impreparazione o la nostra ambizione. Molti miei amici sono morti inseguendo un sogno: sapevano che c’è sempre un prezzo da pagare e che qualcuno, purtroppo, deve pagarlo”.

Le parole di Icio, ovvero di Maurizio Dall’Omo, pronunciate in una situazione del tutto informale in alta quota, là dove tutti sono uguali e si danno del tu, sono capaci di portare chiunque a riflettere sulla propria vita. Non serve esser diventati esperti scalatori per capirne il significato, basta essere vivi e ambire a raggiungere qualcosa, qualsiasi cosa sia.

Dall’Omo è una leggenda dell’arrampicata e in Cadore chiunque ami la montagna ha sentito parlare di lui, ma non gli piace per nulla stare sotto i riflettori e per intervistarlo dobbiamo “inseguirlo” dal Pino Solitario, un coraggioso ristorante in cima a Pinié di Vigo di Cadore (circa trenta abitanti), fino alle creste che salgono al Tudaio, in una valle che proprio Maurizio e altri alpinisti del posto hanno riscoperto negli anni, portandola a diventare un laboratorio di roccia. Assieme a lui ci accompagna anche Matteo, un giovane del posto, appassionato di arrampicata e di falegnameria artistica.

I possenti rilievi di quel versante poco conosciuto, scavati e lavorati dai soldati durante la Grande guerra, si presentano con pareti verticali, definite “enigmatiche” dai climber (arrivano fino all’8c), tanto da rappresentare un paradiso per loro, per i camosci e per i cercatori di reperti.

Affianchiamo Icio per un tratto in salita, dove ci mostra le pareti che ha scoperto e tracciato, per poi fermarci a parlare dell’approccio con cui chiunque dovrebbe avvicinarsi alla montagna, a prescindere dalla difficoltà e dal grado di preparazione: con rispetto e timore, perché la paura – se controllata – può salvarci la vita.

Con un’umiltà e una spensieratezza rara per qualcuno che ha scalato pareti impossibili, Icio ci racconta aneddoti e consapevolezze apprese in anni di vita appesa lungo strapiombi e ghiacciai, cenge e crepacci. In decenni di arrampicata ha conosciuto climber da tutto il mondo, ma si è concentrato principalmente nell’esplorare le Dolomiti bellunesi, così come avevano fatto i suoi mentori in passato.

Seduto su uno sdraio al sole in uno dei luoghi che ama di più, Maurizio ci spiega come la sua fame di scalare gli orizzonti si sia placata, o meglio sia diventata più razionale negli anni. “Nella mia vita ho letto moltissimo – racconta – e credo che anche da quest’abitudine derivino alcune delle mie convinzioni. Mi è capitato di parlare di montagna anche ad alcune conferenze, ma poi ho smesso: mi sembrava la gente non ascoltasse per davvero quello che avevo da dire. Il pubblico veniva solo perché avevo scalato pareti difficili. Io invece non ho mai gradito il fatto di essere idolatrato. Quello che faccio, lo faccio per me e basta”.

Tu dici che la paura andrebbe accettata e gestita. In che modo?
“Guarda, tra gli amici con cui ho iniziato ad arrampicare, ero senz’altro il meno temerario. Ma questa paura ho iniziato a saperla gestire, a capire quando era motivata e quando invece non lo era. I miei maestri mi hanno insegnato che la parte psicologica in questo sport è importante tanto quanto quella tecnica. Così mentre gli altri coraggiosi smettevano e rinunciavano, io continuavo a scalare pareti sempre più difficili, trovando nuove vie e partecipando a competizioni. La mia esperienza la devo quindi anche alla paura”.

Quando raggiungi il limite, insomma quando arriva la vera paura, cosa succede?
“Nel momento in cui vuoi toglierti da una situazione stressante dalla quale sembra non esserci via di uscita, all’inizio la paura è pericolosa perché ti porta a voler fuggire. Bisogna renderla uno strumento per rimanere accorti, senza rassegnarsi, e il fatto di ammetterla è già una libertà incredibile.

Una volta, in Groenlandia, un compagno di cordata mi ha salvato la vita proprio grazie a questo concetto. Ha ammesso che era sfinito, che stava per cedere e noi gli abbiamo detto che non importava, che non si sentisse responsabile per noi, ma che andasse avanti lo stesso. Se si fosse lasciato andare, appesantito da quel senso di colpa e da quella paura di fallire, saremmo morti tutti.

Anche oggi mi succede. Mi capita di voltarmi verso i miei compagni e dire vecio, ho paura ma vado avanti (Icio ha usato un’altra espressione più esplicita nel dirlo). Così mi libero. Mi libero di quel peso enorme che ha la paura quando devi portarla da solo. Siamo tutti uomini, tutti identici in confronto a monumenti come questi giganti. E ti garantisco che nessuno ha mai ‘conquistato’ una montagna. È lei che consente a noi piccoli individui di scalarla”.

25
La montagna non uccide ultima modifica: 2023-09-08T05:38:00+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

24 pensieri su “La montagna non uccide”

  1. #22
    Grazie!Grazia…
    un ultima chiosa e mi perdoni Faber…
    C è chi l’ alpinismo lo fa’ per noia, chi se lo sceglie per professione ,Icio dall’Omo ne l’uno ne l’ altro ,lui lo faceva (fa’)per vocazione…passione mi pareva scontato…
    Ciao

  2. Ecco uno scalatore che ha davvero molto da dire a prescindere dalle scalate difficili che ha fatto. Un’intervista che segue un filo logico importante, a una leggenda piena di bei ragionamenti, insomma un’intervista intelligente.

  3. È vero,Icio dice bene ,in montagna su quei 4 sassi non si conquista nulla se non pesti poi l ombra del compagno nella discesa verso casa. Per tutti gli insegnamenti ricevuti  (,non ho partecipato ad alcun corso roccia , da allievo intendo) da Maurizio e non ho sufficienti e adatte parole  per ringraziarlo  come si deve , la strada e le vie percorse assieme sono quanto di piu bello porto dentro.
    Per restare sull’ argomento mi sovviene un tiro di messer Lancillotto sulla torre Artu’ dove prima di arrampicarmi verso la sosta mi urlo'(quasi sottovoce  …shhh …per non far staccare nulla) preoccupato che stava recuperandomi dissipando un eventuale volo a vita sull’imbrago in quanto la sosta non  era solo precaria(la parola usata è anche in questo caso un altra)era molto di più…  ma la condivisione della situazione e l assoluta verità senza fioriture ottene lo scopo… leggero e magro come quel tiro non mi sono più sentito.Per contrappasso una  sosta che arrivo’piu’ sopra era una clessidra di quaranta centimetri di diametro e le urla di gioia di Icio ve le lascio immaginare.
    Nessuno uccide nessuno tantomeno quella che chiamiamo montagna  che diciamo di amare e che poi come tra innamorati succede spesso non sappiamo ascoltare nella semplicità dei suoi argomenti e segnali, proprio come la Marmolada l anno passato.
     

  4. Carlo, si può provar paura – e confessare di provarla – ovunque, non solo dove i pericoli sono oggettivi.

  5. Carlo, per favore, smettila di parlare di cose che non conosci.
    Ti assicuro che arrampicare la fessura difficile dell’Eiger è in assoluto l’ultima cosa che preoccupa, quando sei li.
     
    E che a sud ci sono certi pesci che preoccupano un bel po’… 

  6. Alberto, secondo me le montagne sono di tutti e quindi anche tue! Sento sempre un certo affetto quando ci si esprime così. 

  7. Domani si va in Apuane, le montagne di casa, per tentare una via nuova (volevo dire le “nostre montagne”, ma poi qualcuno avrebbe avuto da ridire).
    Se riusciremo, cosa avremo conquistato?
    La montagna certamente no. Mai pensato di conquistarla, quanto piuttosto di viverla.
    Magari conquisteremo un’esperienza in più, un’avventura in più, un traguardo in più.

  8. Caro Claudio, chi stila classifiche sei tu, spargendo etichette in ogni dove. Come funziona il tuo universo? Chi lavora in ufficio produce denaro da spendere e gli altri, invece, no? Solo chi lavora in ufficio va in vacanza? 
    Non so com’è che ti permetti di giudicare e di dare dell’ipocrita a qualcuno che non conosci personalmente e che non puoi guardare negli occhi. Capita che chi mostra questa condotta dal vivo non è in grado di mantenere la stessa posizione che ha saldamente difeso sul web.
     
    Forse ogni tanto è bene ricordare che gli articoli vengono pubblicati per suscitare un dialogo, non tanto per etichettare il prossimo. 
     
    Io, per esempio, vivo a 850 m – con tutte le difficoltà che possono scaturirne. Di questi tempi, per esempio, quando torno dalle escursioni e nei giorni liberi penso a far legna. 
    Spiacevole leggere tra le tue righe il quasi disprezzo per chi vive in natura. Non è per hobby, ma è una scelta precisa. 
    Che il vocabolario della montagna “dovrebbe cambiare” è una tua proiezione: ho scritto che è, naturalmente, la mia visione e quella di altri (come Dell’Omo, by the way).
    Tutto può essere competitivo, anche lavorare in ufficio, ma non si tratta di reali campi di battaglia, se non nella nostra interiorità. Questione di punti di vista.
     
    Qualunque ambiente o ecosistema è ed esiste di per sé, al di là dei piccoli umani e certamente non in loro funzione. Una montagna sta lì pure se non la scali, mica esiste solo perché è scalata!
     

  9. Anche sul titolo dell’articolo credo che le vittime DELLA Marmolada avrebbero a che dire

  10. Mi par più facile aver paura su una grande nord che non su una parete dolomitica. Infatti la scala francese parla di difficoltà di scalata ma le contestualizza nell’ambiente. Un V º grado sulla miriam alle cinque torri incute meno paura che non le fessure difficili della classica all ‘eiger. Infatti si parla di Vº D- e di Vº D+. 

  11. Bravo Icio. Bella intervista che esprime perfettamente il tuo vivere la roccia, la montagna e l’ambiente nel quale vivi con grande rispetto per tutto

  12. No, ti assicuro che la montagna non uccide. Non uccide mai. È la nostra inadeguatezza, la nostra impreparazione o la nostra ambizione. 
    Esemplare il fatto che non abbia menzionato la “sfortuna”, appiglio molto instabile al quale ci appelliamo a volte, quasi a giustificare e rendere meno dolorosa la scomparsa di alpinisti esperti, o per lo meno con molti anni di alpinismo alle spalle.
    Quanto a Carlo (4), per favore non parlare di argomenti che non conosci.
     

  13. Grazia, ma per quanto mi riguarda tu hai tutti i diritti del mondo, figurati. Solo, non posso non notare la sottile ipocrisia di un certo modo di ragionare. Cerca di seguire, per un attimo, la mia logica:
     
    1) Se puoi permetterti di “basare il tuo reddito sulla vita all’aria aperta”, significa che c’è qualcun altro che, basando il proprio reddito, invece, sul lavoro d’ufficio (o di fabbrica, o di cantiere), ha dei soldi da spendere per il lusso di fare le vacanze in un certo modo, all’aria aperta. Chiaramente è questione di scelte e ognuno fa le proprie – e sono sicuro che tu sia stata coraggiosa, nelle tue scelte – solo, per cortesia, non fare la classifica tra chi ha più diritto di parlare.
     
    2) Chi basa il proprio reddito sulla vita all’aria aperta ha bisogno dell’ambiente naturale, è una questione proprio utilitaristica. Poi, anche qui, uno può svegliarsi tutte le mattine e passare del tempo abbracciato agli alberi del bosco, ed è anche questa una cosa che rispetto, ma non c’entra niente col fatto di avere scelto di fare un lavoro invece che un altro.
     
    3) L’ambiente della scalata è competitivo. Punto. Ci sono ambizioni, obiettivi e sfide (per qualcuno anche l’opportunità di una sponsorizzazione). Dire che il vocabolario di questo ambiente dovrebbe cambiare, che parole come “conquista” o “vittoria” non dovrebbero più essere usate, secondo me, ci allontana dalla realtà. Poi, logico, se a usare questi termini è un turista, allora è semplicemente ridicolo, ma qui si parlava d’alpinismo.
     
    4) Anche l’alpinismo ha “bisogno” delle montagne, che non sono solo “impalcature”, certo, e nel caso degli alpinisti più consapevoli sono mucchi di sassi ma con un’anima (o per meglio dire con una storia alpinistica da rispettare, e con un ambiente da rispettare e da salvare, in molti casi). Però si tratta pur sempre del luogo che si presta alle imprese degli alpinisti, il “parco giochi”, come dicono molti, compresi quelli che magari snobbano la parola “conquista” perché non è più di moda.
     
    Ripeto: puoi dire quello che vuoi. Dall’Omo per me è credibile quando dice che lui non ha conquistato niente: le pareti sono un posto dove si va, si scala e si torna indietro. Lui può anche dire che le montagne sono templi (non so se lo dice, qui del resto parlava di tutt’altro): in effetti non ci ha mai guadagnato niente. Spero di essermi spiegato.

  14. Patrizio, quando qualcuno mi dice “Ho fatto l’Etna”, “Ho fatto Taormina”, ecc,  io chiedo sempre “Cos’hai fatto? Hai visitato? Hai camminato? Hai fatto un giro in auto, in elicottero”?
     
    Interessante pure leggere che qualcuno può avere più diritto d’altri di dire o non dire in rapporto al proprio vissuto (sarebbe bello sentire cosa ne pensa Maurizio Dall’Omo, vista la sua visione!).
    E perché chi basa il proprio reddito sulla vita all’aria aperta invece di stare in ufficio  non ha diritto di parlarne come un pari e non come una miniera? 
     
    Evviva la biodiversità! 

  15. quella scena ertana degli anni novanta che era tutta una sfida, con prese per il culo epiche, dove le vie facili si chiamavano “test: se non passi qui, vendi tutto”, con persone molto semplici e molto unite dalla comune passione, ma anche molto competitive

    Mica accadeva solo ad Erto. Anche in tanti altri luoghi meno o per nulla famosi

  16. Secondo me, Dall’Omo qui parla soprattutto di umiltà. Lui è sempre stato molto modesto, ma rivelare che anche lui si “cagava sotto” è un passo che va oltre la modestia, non tanto in relazione all’alpinismo molto temerario di cui è stato protagonista, quanto semmai in relazione all’ambiente da cui proviene: quella scena ertana degli anni novanta che era tutta una sfida, con prese per il culo epiche, dove le vie facili si chiamavano “test: se non passi qui, vendi tutto”, con persone molto semplici e molto unite dalla comune passione, ma anche molto competitive. E la sfida girava tutta attorno al concetto di “paura”. Chi ne ha di più, chi ne ha di meno. Trovo, ancora una volta, particolarmente nobile e coraggioso l’atteggiamento di Dall’Omo, che non si nasconde, come sempre. Altri non riuscirebbero.
     
    e infine: non ne posso più di leggere commenti sognanti su “la montagna che ti lascia passare”, “la montagna non si conquista” (questa poi, detta da gente che sulla montagna costruisce la propria fonte di reddito): sono tutte, perdonatemi, cazzate. Lo può dire Dall’Omo, che ad un certo punto della sua vita, forse già abbastanza appagato da un percorso d’alpinista così fuori dall’ ordinario, può permettersi di dire di non essere più ossessionato dagli obiettivi, dalla ricerca dell’ adrenalina, o dall’ansia di superarsi. Chiamatelo come volete: conquista, obiettivo, superamento. È sempre la stessa cosa. Questo è il Dall’Omo crepuscolare, non quello che anni fa provava le vie, a Erto. Sempre modesto, tranquillo, accogliente, ma anche determinato (a “fare” la via). Ha ragione Cominetti: le montagne sono mucchi di sassi. Bisogna farsene una ragione.

  17. Mi è capitato parecchie volte di dire al secondo “mi sto cagando sotto”, ma non mi sono mai avvicinato a quello che fa Icio.
    Cazzo!
    🙁 🙁 🙁

  18. Belle i giuste parole. Vanno però contestualizzate, nel senso che i rischi oggettivi che si corrono in falesia o in dolomite sono infinitamente minori rispetto a quelle delle grandi pareti nord. La scala francese delle difficoltà alpinistiche mi pare evidenzi anche questo aspetto

  19. ti hanno solo permesso di salire…

    quindi è la montagna che decide della vita e della morte di chi prova a salirla?
    E fosse così, su che base lo decide?

  20. Bravissimo; poche, precise e sacre parole.  Personalmente, sorrido quando qualcuno mi dice “ho fatto il Bianco”, “ho fatto il Cervino”, “ho fatto il Monviso”…guarda che non li hai fatti tu, c’erano già…ti hanno solo permesso di salire…

  21. Grazie per questa intervista raccontata con delicatezza. 

    Ho più volte scritto qui e altrove che nel 2023 sento fuori luogo esprimersi ancora com termini come “conquista” o “vittoria” rispetto a un luogo e sono felice di sapere che da qualche parte qualcuno condivide la mia visione. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.