Il 5 ottobre 2020 uscimmo con il post Una montagna sacra per il Gran Paradiso in seguito alla proposta di Antonio Farina, consigliere del Parco Nazionale del Gran Paradiso, di scegliere una montagna del Parco e di “farla sacra”, cioè non salibile, in nome di un concetto, quello di limite, che di questi tempi nessuno è portato a rispettare.
Il 12 gennaio 2021 la proposta è stata ripresa e per la prima volta amplificata da un organo importante di comunicazione, Il fatto quotidiano. Purtroppo l’articolo, come si può vedere qui sotto, era ricco di inesattezze, anche importanti e fondamentali, sì da richiedere, due giorni dopo, una rettifica dello stesso Antonio Toni Farina.
Fridays For Future: vietato salire sul Gran Paradiso, divenga una montagna sacra
di Claudio Gianotti (Fridays for Future Italia)
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it del 12 gennaio 2021)
Vietato Salire sul Gran Paradiso. È la proposta di Antonio Farina, membro del consiglio direttivo del Parco del Gran Paradiso. Con i suoi 4061 metri di altezza è la più alta montagna in territorio Italiano e cuore dell’omonimo Parco Nazionale e potrebbe diventare una Montagna Sacra, ad imitazione delle culture orientali. La più famosa di esse è il Monte Kailash, in Himalaya. Sei religioni, tra cui il Buddismo Tibetano e l’hinduismo, lo considerano sacro e dalla sua vetta sgorgano quattro dei fiumi più importanti dell’Asia. Per queste popolazioni è importante compiere un pellegrinaggio girando attorno a questa montagna, dimora di Shiva e asse del mondo, e non salirne la cima. La cima è pertanto considerata inviolata e nessun uomo l’ha mai raggiunta.
Questa visione della montagna si discosta da quella dell’alpinismo e della cultura occidentale, che punta alla vetta e al superamento del limite. Sono valdostano e amo la montagna. La vivo e sono permeato della cultura che genera l’andare in montagna e io stesso mi sentirei offeso dell’affermazione che l’alpinismo è il superamento del limite. So che salire una montagna può essere socialità, divertimento, avventura, rispetto per la Natura, riscoperta di sé, del proprio corpo e in alcuni momenti un’esperienza spirituale molto intensa. Negli ultimi anni però è innegabile che la ricerca del record di velocità, della via sempre più difficile e dello spostare il limite umano ultimo più in là sia entrato prepotentemente nel mondo dell’alpinismo. In quest’ottica la proposta di trasformare il Gran Paradiso in una montagna sacra è rivoluzionaria. Pensare che una comunità (i valdostani e gli alpinisti di tutto il mondo) decida di rinunciare a una vetta storica dell’alpinismo che ogni anno richiama moltissimi appassionati per darsi un senso del limite per sé e per il mondo tutto sarebbe fantastico. Un messaggio per dire che la Natura non è qualcosa da sfruttare e conquistare ma da rispettare e vivere con gratitudine.
Tra l’altro questo sarebbe un progetto vantaggioso anche da un punto di vista economico, che smonta la narrazione dello scontro tra economia e sostenibilità. Una vetta storica ma meno blasonata rispetto ai più impegnativi Monte Bianco e Monte Cervino diventerebbe immediatamente famosissima e, seppure preclusa la vetta, i territori circostanti richiamerebbero moltissime persone interessate a un mondo più sostenibile, con la possibilità di proporre un’idea di montagna diversa, più autentica e un mondo che genera cultura e esperienza più che un ricettacolo di persone che vuole le stesse comodità della città. Un posto dove conoscere il volto più autentico della natura, scomodo forse, con dei limiti, ma bellissimo e maestro di lezioni che difficilmente possono essere imparate altrove.
Non so se questa proposta verrà accolta, anche se la trovo affascinante e simbolica. Ma il mondo della montagna si troverà nei prossimi anni ad affrontare radicali trasformazioni. Il riscaldamento globale infatti renderà meno stabile la coltre nevosa, rendendo sempre più difficile un’economia basata sugli sport invernali. E quindi perché non approfittare di un cambiamento ormai obbligato per rifondare un mondo su valori di rispetto, sostenibilità e cultura? La stessa domanda inoltre può essere estesa a tutta la popolazione umana e al nostro rapporto con la natura e l’utilizzo delle risorse che ci mette a disposizione.
Rettifica
di Antonio Farina, membro del consiglio direttivo del Parco del Gran Paradiso
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 14 gennaio 2021)
L’articolo di Claudio Gianotti dei Friday for Future pubblicato nella newsletter Fatto for Future di martedì 12 gennaio contiene diverse inesattezze. In particolare:
– il progetto/idea “Una Montagna Sacra per i 100 anni del Parco nazionale Gran Paradiso” non ha mai preso in considerazione la cima da cui il parco prende il nome, ovvero il Gran Paradiso, unico 4000 interamente italiano che vede ogni anno migliaia di salitori.
– in ogni caso non si prevede alcun divieto (tra l’altro privo di appigli giuridici) ma solo la condivisione e l’accettazione spontanea di un simbolo.
– la proposta esula da specifici riferimenti devozionali (culture orientali) ma ha come fine principale quello di ribadire l’importanza attuale del concetto di Limite.
– “una Montagna Sacra per i 100 anni del Parco nazionale Gran Paradiso” è un progetto culturale il cui fine è la creazione di consapevolezza sui problemi ambientali.
Considerazioni
(a cura della Redazione)
Siamo dell’opinione che, comunque la si pensi al riguardo di questa proposta, essa non potrà mai essere presa in considerazione (magari anche solo per scartarla definitivamente) fino a che non si farà il nome dell’eventuale cima da riclassificare come “sacra”. Indipendentemente quindi dai significati a volte ben diversi che possiamo dare alla parola “sacra”, a prescindere dalla simpatia o meno che c’ispira la proposta, e infine tralasciando di discutere quale ne sarà l’utilità, pratica e/o “etica”, nulla potrà mai essere seriamente discusso fino a che non si farà un nome e non se ne esporranno le ragioni della scelta. Anche due/tre nomi comincerebbero a smuovere, ma probabilmente si aggiungerebbero discussioni inutili più o meno legate alla scelta geografico/storica che non aiuterebbero.
Da segnalare ulteriori discussioni e approfondimenti su questo tema:
https://www.mountainwilderness.it/editoriale/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso-reazioni-e-commenti-1-di-2/
https://www.mountainwilderness.it/editoriale/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso-2-di-3/
https://www.mountainwilderness.it/editoriale/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso-3-di-4/
https://www.mountainwilderness.it/editoriale/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso-4-di-4/
Selezione commenti al post sul sito ilfattoquotidiano.it
Cesare Santanera, 13 gennaio 2021
Assolutamente favorevole, anche se sono salito su tante cime. Sarebbe bello camminare in fondo valle e dire “Lì no. Quello è un altro mondo…”
Antonio Farina, 12 gennaio 2021
Sono Antonio Farina, consigliere del Parco nazionale Gran Paradiso designato dalle associazioni di tutela ambientale, autore della proposta Montagna sacra per i 100 anni del Parco. Per tale ragione è mio dovere precisare che l’articolo di Gianotti è pieno di inesattezze. Non so dove l’autore abbia ricavato quanto affermato. Allo stato attuale non è prevista l’individuazione di alcuna cima e, a mio avviso, non potrà in ogni caso trattarsi della cima da cui il parco prende il nome. E soprattutto non ci potrà essere alcun divieto formale, peraltro non possibile, ma sono condivisione di un simbolo. Chi è interessato può trovare il documento relativo alla proposta sul sito di Mountain Wilderness e sul blog Camosci Bianchi con relative approfondite discussioni.
https://camoscibianchi.wordpress.com/2020/09/29/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso/
https://www.mountainwilderness.it/editoriale/una-montagna-sacra-per-il-gran-paradiso/
L’articolo è frutto di inammissibile leggerezza. Il sig. Gianotti non mi ha mai contattato. Chiedo a lui e al Fatto Quotidiano immediata rettifica del contenuto dell’articolo. Grazie.
ErVippeimPrenditoreColSUVve, 12 gennaio 2021
Due anni fa salii in bici sul Nivolet, all’andata partendo presto, verso le 7 non trovai nessuno, ma al ritorno verso le 11/12 c’era un casino immane di auto, camper e chi più ne ha più ne metta, anche nella tratta passo del Nivolet-Ceresole. Secondo me dovrebbero fare come in Austria e Svizzera, dove molte strade d’alta montagna sono a pedaggio(giustamente assai cospicuo).
Emanuela Corinti, 12 gennaio 2021
Sono favorevole a salvaguardare qualsiasi ambiente, mare , luogo o paesaggio dall’invadenza dell’uomo, in ogni caso. Siamo molti e non tutti educati a rispettare la natura, anzi direi che il turismo di massa la uccide.
Alessandro B., 12 gennaio 2021
Sono occidentale e non me ne vergogno, amo la montagna, per esperienza so bene che “salire una montagna può essere socialità, divertimento, avventura, rispetto per la Natura, riscoperta di sé, del proprio corpo e in alcuni momenti un’esperienza spirituale molto intensa” (non avrei saputo esprimerlo meglio). Proprio per questo spero che questa proposta simbolica che non mi affascina venga respinta senza clamore. Che brutto criminalizzare gli alpinisti. La montagna è Sacra quando è vissuta con rispetto da chi la frequenta, non quando è vietata. Anche questa proposta si inscrive perfettamente nella generale tendenza verso la progressiva limitazione della mobilità personale. Ci volete tutti sedentari, chiusi in casa a fare shopping su Amazon, a guardare Netflix o PrimeVideo, a ordinare il vitto a poveracci in bici col cassone di Glovo, JustEat o UberEATS sulla schiena? Questo è il vostro mondo cosiddetto “sostenibile”? Sfruttati e/o telelavoratori-consumatori condannati alle ciabatte? Il divano come apoteosi del tempo libero? Beh, tenetevelo.
Mario Macchiorlatti, 12 gennaio 2021
Invece di azioni simboliche, cominciate a chiudere al traffico privato la strada che sale al Colle del Nivolet, in pieno Parco. Dopo potrete anche sbizzarrirvi. Prima tacete e vergognatevi.
Pedro Navarra, 12 gennaio 2021
Caro signor Gianotti, sono un montanaro e le dico che la sua è una buona idea ma anche che il suo ottimismo la ucciderà….
Selezione commenti commissione scientifica di Mountain Wilderness
Sandro Lovari, 12 gennaio 2021, ore 18.10
Mi sembra un’idea da considerare molto seriamente… Dubito però che la nostra “civiltà” l’accetti!!!
Carlo Alberto Pinelli, 12 gennaio, ore 18.42
L’argomento è stato sviscerato ampiamente nel sito di Mountain Wilderness Italia. A tale riguardo prego leggere il mio contributo, segnalando da subito che la proposta, anche se avanzata in buona fede dal caro amico Toni Farina, mi trova decisamente contrario. Un provvedimento del genere (sancito da quale autorità?) sarebbe controproducente, destinato al sicuro fallimento, addirittura ridicolo. Usiamo le nostre energie per affrontare problemi più urgenti.
Sandro Lovari, 12 gennaio 2021, ore 19
A me piacerebbe: tutto quello che può limitare l’interferenza con la montagna merita positiva riflessione. Ma – come ho aggiunto nel mio messaggio – dubito molto che la nostra civiltà e modo di vedere la natura accetterebbe la “consacrazione” di una montagna come invece avviene in Asia. Anche io vedo l’iniziativa come molto poco realistica, insomma.
Paolo Cognetti, 13 gennaio 2021, ore 14.44
Io personalmente ho aderito. Non so bene perché si dica che un eventuale divieto sarebbe “privo di appigli giuridici”: le riserve integrali esistono. In Italia la più antica è quella del Pedum in Valgrande, risale agli anni Sessanta e da allora è diventata il simbolo del Parco.
Che mi risulti, il Parco Nazionale d’Abruzzo ne ha una mentre il Gran Paradiso non ne ha nessuna. Sarebbe bello istituirla. Io dicevo a Toni Farina che mi sarebbe piaciuto che dentro ci fosse una sorgente, più che una cima. Comunque la trovo una buona idea.
Carlo Alberto Pinelli, 13 gennaio 2021, ore 14.56
Leggo solo ora la precisazione di Toni Farina […] Noto con piacere che col passare del tempo l’originale proposta si sia spostata su posizioni più laiche. Però ora non mi è chiaro dove Farina voglia arrivare. Se non si appongono divieti, si cancella la parola “sacra” e la montagna prescelta può tranquillamente venire scalata, quale è in sintesi il messaggio? A questo punto sarebbe meglio ripetere che tutte le montagne sono sacre e che il concetto di limite va ricercato dentro di noi e non ribaltato abusivamente su questo o quell’accidente geografico. Aggiungo, con la pedanteria propria di un ex antropologo, che nell’occidente ebraico-cristiano la sacralità delle montagne – se pure sia esistita – non ha mai implicato il tabù della salita. Al contrario ha suggerito il raggiungimento della vetta, per avvicinarsi al regno del sacro. Le montagne erano immaginate come ponti capaci di unire il cielo divino alla terra degli uomini. Innalzarsi lungo quel percorso poteva rappresentare una prova iniziatica ardua, ma certamente non era vietato. La Bibbia dice: “Sul monte il Signore vedrà” e Mosè non compie un sacrilegio salendo i pendii del Sinai, tutt’altro. Un lontanissimo antenato di mia madre, Rotario d’Asti, per sciogliere un voto fatto durante la Crociata salì il Rocciamelone e depositò sulla vetta un trittico religioso. Insomma, più in alto si sale e più vicini a Dio ci si trova. Ovviamente tutto questo l’abbiamo lasciato alle nostre spalle. Ciò detto, non dimentichiamo che le montagne nel mondo sono in grave pericolo. Occupiamoci di questi reali problemi.
Franco Tessadri, 13 gennaio 2021, ore 15.10
Stiamo affrontando una questione importante e legittima, ma molto teorica. Da parte mia sarebbe anche condivisibile rendere sacro e intoccabile un particolare ambiente o sito, ritenuto “speciale” o molto rappresentativo, ma non mi sembra siamo in una situazione troppo favorevole. Penso che ci si troverebbero di fronte molte contrarietà che scatenerebbero discussioni infinite e poco costruttive.
Come dice Betto Pinelli sarebbe invece, visti i tempi, molto più utile concentrarsi ed essere più incisivi su realtà e questioni molto più pregnanti (… vedi progettazione impianti di risalita, costruzioni di bacini idrografici, e qualsiasi altro intervento in quella direzione) che sono pericolosamente in via di progettazione su Alpi e Appennini.
Duccio Canestrini, 13 gennaio 2021, ore 15.14
L’iniziativa di Farina a me piace perché ha una forte carica simbolica, e correttamente divulgata potrebbe comunque innescare riflessioni sulla montagna (salirci o non salirci, e come) che mancano nella cronaca e più in generale nella pubblicistica.
Franco Michieli, 14 gennaio 2021, ore 10.35
Grazie a Toni Farina per aver chiarito subito l’inesattezza dell’articolo del Fatto quotidiano; i contenuti erano talmente diversi e assurdi rispetto a quanto proposto e in seguito dibattuto che sospettavo fosse un’invenzione di Gianotti.
[…] Anch’io, come Paolo, avevo pensato che si sarebbe potuto far coincidere l’intangibilità di un luogo con un’area a protezione integrale, come ce ne sono tante in altre aree protette; è vero che finora si tratta di scelte solo protezionistiche dell’ambiente, e non rivolte all’autolimitazione da parte dell’uomo; ma si tratterebbe di rinnovare e ampliare il concetto, introdurre cioè nella comunicazione l’idea che il futuro della vita sulla Terra dipende dalla capacità umana di darsi dei limiti, più ancora che dal proteggere delimitate aree.
Ne ho parlato con mia moglie Giovanna, che è stata guardaparco al Gran Paradiso: lei trova la tua idea interessante e positiva, e ipotizza che qualche piccola sommità selvaggia e dirupata, senza sentieri, magari dimora di molti ungulati, come ce ne sono nel parco, possa essere scelta per simboleggiare questa proposta di autolimitazione umana; senza influire quindi sulla normale frequentazione del parco, ma stimolando comunque una riflessione. Mi piace anche l’idea di Paolo Cognetti di scegliere per esempio una sorgente anziché una montagna. Forse, per iniziare, si potrebbe pensare solo a qualcosa di molto piccolo da lasciare in pace.
A parte queste ipotesi, per me resta fondamentale la testimonianza di persone note che frequentano la montagna limitando il proprio potere invasivo, sempre e non importa dove. Per me la discriminante è sempre stata quella di muoversi con forze umane naturali, rinunciando a fare cose che solo infrastrutture impattanti e nuove tecnologie rendono oggi facilmente fattibili. Non usare mai impianti di risalita, farlo sapere e contagiare altri; essere in montagna senza rete e senza gps, cosa che costringe e interagire, interpretare e infine capire gli equilibri naturali, anziché avanzare a testa bassa; ma anche distogliersi dall’idea delle mete prefissate e obbligate, accettare la flessibilità del percorso, così da essere pronti a fermarsi o deviare quando ci si accorge di causare un danno evidente (incontro con nidiate, aree di stazionamento di madri con piccoli, ecc.); ma anche evitare di fare viaggi in luoghi particolarmente fragili, che pure darebbero fama a chi li compie. Questo riesco da tempo a metterlo in pratica; individuare luoghi del limite nei parchi, forse ci si arriverà, ma viste le reazioni dei consiglieri del Gran Paradiso ci vuole probabilmente un’evoluzione culturale più lunga. Che si può tenere viva.
Luisa Bonesio, 14 gennaio 2021, ore 11.20
Aggiungo una considerazione, anche se non sono alpinista, a quelle avanzate dagli altri interlocutori. Personalmente sono convinta che una moratoria alla salita su almeno una montagna fortemente iconica sarebbe un segnale fortissimo – certamente divisivo, basta guardare i commenti innescati dalla chiusura degli impianti di sci. Sottolineerebbe che le montagne al di sopra di una certa quota sono una realtà che merita il massimo rispetto, che va conservata per quanto possibile, che occorre salvaguardare da una retorica del “playground” di illustre memoria. Personalmente non ho difficoltà a riconoscere una “sacralità” delle montagne che attiene alla loro natura simbolica; perciò un conto è il pellegrinaggio, il cammino meditativo o iniziatico, un altro conto è la dimensione sportiva, lo svago, la prestazione ginnica.
Oltretutto una pausa nell’assalto alle montagne le “ricaricherebbe” di significato e di valore e probabilmente favorirebbe nuovi discorsi e nuove prospettive. Inoltre, oltre alle spiritualità orientali, in tempi abbastanza complicati, anche il cattolicesimo controriformista (ri)vide nelle montagne un’espressione di sacralità, realizzando i Sacri Monti, che hanno funzionato anche per i “laici” come straordinarie “macchine” – in senso scenografico – di esperienza spirituale e/o estetica. Oggi non sarebbe possibile né opportuno perseguire questo genere di riconsacrazione, ma fondamentale sarebbe riportare alla coscienza collettiva la necessità di “riserve/risorgive” di significati e di luoghi che più esemplarmente di altri ci facciano riconsiderare la nostra sconsiderata pretesa di appropriarci di tutto.
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Nella sacralità a volte risuonano imprecazioni e urla che l’eco fa rimbombare , schiamazzi e a volte si trovano tracce di attivita’ umane ..troppo umane.La voglia di “chiusura”viene…non rimane che cambiare zona.
Un mese prima della prima inlucchettatura.” Limpido !Si vedono le Pale di San Martino che chiamano(possibile anche da Venezia vedi sul web Dolomiti viste da Venezia)”Andiamo a Xxyy a respirare un poco di aria dolomitica.” Appena arrivati.. fumo di centrale termica col teleriscaldamento aggiunto a decine di camini sfumacchianti.Sembrava di essere entro un locale attrezzato per l’affumicatura dello speck.Cambio zona nelle vicinanze:pista fondo chiusa per produzione neve programmata. Si scavalca un passo confine di Regioni..pure li’ cannoni in azione.Allora dopo peregrinare..passeggiata in valle semi deserta di san Lugano sconvolta da Vaia.(raffiche di fotoalle varie pareti incombenti..).e , finalmente..un villaggio con vecchie abitazioni e fienili e stalle ricchi di caratteristici intagli geometrici decorativi .Ogni edificio ha il suo stile.Poi altri edifici con moderni murales con la tecnica del graffiato o dell’affresco mono cromatico, raccolta di sassi e frammenti di roccia nel torrente , foto naturalistiche di effetti del ghiaccio.Provvista finale di formaggi locali di malga.Giornata salva e remunerativa con parecchi adattamenti e cambi di programma. Il”sacro” a volte sta negli occhi di chi sa e vuole vederlo.
Amo moltissimo il Gran Paradiso, l’ho salito tante volte e spero di tornarci ancora, se riuscirò a superare problemi di salute, anche se assurdamente fosse vietato, e se dovessero darmi una sanzione amministrativa non gliela pagherei, quando creperò andrebbe in prescrizione.
Qualcuno ha mai visto il film di Jodorowski:”La montagna sacra ” ?, nel 1973 ci fu l’assalto al cinema da parte dei neo 18-nni in su..In seguito su una bancarella libri a meta’prezzo, trovai di Edwin Bernbaum “Le montagne sacre del mondo”, esauriente e direi definitivo. Forse si trova in vendita su web.
“Oh montagne , voi sostenete l’azzurro senza smussare le vostre cime, senza il vostro sostegno il cielo cadrebbe!” Senza leggi e divieti, osservarle innevate dalla pianura e non poterle raggiungere in una ,due, tre ore per via del Covid, alimenta molto il senso di sacralita’e di trascendenza, mentre magari chi ci abita impreca contro strade ingombre, tetti sfondati, attivita’ economiche ferme.. Dino Buzzati:”Le montagne sono proibite”un piccolo capolavoro!
Più che istituire una montagna “sacra” occorre pensare ad una “sacralità” della montagna. Escursioni più consapevoli, meno improntate al “consumo” della montagna, al collezionismo di vette, di metri di dislivello e al cronometro. Apprezzando la gita come momento di svago, di libertà dalla caotica e frenetica vita quotidiana, andando a percorrere anche tracciati meno battuti. Possibilmente lasciando l’auto un poco più a valle dell’ultimo parcheggio disponibile.
L’idea di una montagna sacra è estranea alla nostra cultura e non va imposta ma deve essere il risultato di un pensiero diffusosi in una maggioranza. Piuttosto le cime del Parco Nazionale Svizzero, che come noto è riserva integrale, non ricevono la visita di escursionisti né di alpinisti. Se per motivi ambientali si istituisse una riserva integrale all’interno del Parco del Gran Paradiso allora nei suoi confini sarebbe vietato uscire dai sentieri. Eviterei di istituirla nelle zone in cui si trovano i rifugi ma opterei su qualche valle secondaria che ne è priva.
P.S.limitiamo il traffico privato sulla strada che conduce al Colle del Nivolet mettendo un servizio di navette (covid permettendo).
Pasini, sono più offensive, irrispettore e poco educate alcune colorite parolacce del dizionario nazional-popolare italiano?
Oppure certe inutili iniziative della politica, o dei vari funzionari pubblici, dove vengono buttati via soldi pubblici, facendo per altro anche figure di m…. ??
Questa storia della Montagna Sacra mi ricorda la Primula dell’ arch. Boeri. Magari in buona fede, ma mi sembra figlia della stessa cultura dell’immagine. Non sappiamo quando ci potremo vaccinare e se ci saranno dosi e siringhe in numero adeguato, abbiamo le pezze al culo e non siamo in default solo grazie ai soldi che ci prestano, ma abbiamo la Primula. È stato fatto un bando di gara per la fornitura di tendoni a forma di primula e Boeri ha rilasciato un’intervista al New York Times per ribadire quanto brillanti e originali siamo. A volte si fa davvero molta fatica a rimanere pacati ed educati e a non usare una delle tante brevi ed efficaci espressioni del ricco vernacoliere italiano.
A quando il prossimo Climbing Girls?
E’ una prima idea che a me non dispiace. Concordo però con la redazione che occorre concretizzare l’idea con un nome per poter dar adito ad un più ampio dibattito per poi giungere ad una conclusione.
Idea bislacca al limite del ridicolo. La sacralità di una montagna, anzi più in generale della montagna, può essere una condizione dell’anima che ci attraversa sempre e non l’ennesimo divieto posto alla libertà individuale. Inoltre è un’ ulteriore e inutile imposizione a coloro, come il sottoscritto, che pur amando la natura incontaminata e l’approccio “no trace” non hanno alcun motivo di considerare un luogo ancorchè bello come sacro, concetto religioso che non deve per forza appartenere a tutti.
Mi auguro che queste follie, figlie di infatuazioni new age e vuoti di pensiero di una cultura occidentale che oltre al consumismo ha poco, lascino il tempo che trovano.
Posso essere d’accordo sul preservare la “sacralità” del monte, ma l’idea di chiudere il Gran Paradiso è semplicemente assurda e ridicola, e non sarebbe sicuramente compresa ne rispettata visto il fascino che questo facile 4000 esercita su moltitudini di persone. Proprio volendo si potrebbe pensare ad una vetta meno attrattiva, molto meno frequentata e meno sicura, esempio : la Grivola. Ma sono comunque molto scettico sulla possibilità di realizzazione di un simile progetto. Il concetto di una montagna sacra ed inviolabile appartiene a culture lontane dalla nostra.
Ho già avuto modo di comunicare pubblicamente a Toni Farina (di cui apprezzo moltissimo lo spirito e l’attività) che l’idea della cima sacra nel PNGP a me appare un po’ tirata per i capelli. Mi affascina l’idea in sé, ma la trovo improponibile per il mancato pregresso storico in tal senso. Si tratterebbe di un cocuzzolino che, dalla sera alla mattina, diventa “sacro”. Le montagne sacre in giro per il mondo lo sono da secoli, forse addirittura millenni, per le credenze (spesso a fondamento religioso) delle popolazioni locali. Mi ricordo di aver letto a suo tempo che i celebri alpinisti britannici Boardman e Tasker si fermarono pochi metri sotto la punta del Kanchejunga proprio per rispettare la tradizione popolare che riserva(va) tale vetta solo agli dei. Parliamo di fine anni ’70 o giù di lì. Ma il significato è ben diverso, rispetto a prendere una vetta calpestata da secoli e trasformala d’emblée in un luogo “vietato”. Certo è che fra le due ipotesi antitetiche (1-tutto vietato e 2-tutto permesso) propendo per la prima, ma non credo affatto che la funzione divulgativa ed educativa (e-ducere… e ridaia! è un mio tarlo fisso) del PNGP, e dei parchi in generale, sia vietare l’accesso all’uomo. La funzione dei parchi deve essere quella di far evolvere la “cultura ambientale” che i frequentatori medi hanno della natura, avvicinandoli ad una fruizione sana e consapevole. Il PONGP lo fa già, egregiamente, e non mi dilungo a descriverla (gli interessati si rivolgano al sito del parco). Questa finalità può espletarsi sui semplici sentieri, oppure sulle creste e perfino sulle vette, senza che vi siano recinti, specie se imposti dalla sera alla mattina. Inoltre, data la mentalità media italiana, mettere recinti è una cosa che scatena reazioni simili alla ribellione contro le ordinanze dei sindaci (vedi articolo di qualche giorno fa): agli occhi del popolo comune, le due cose confluiscono, anche se hanno radici profondamente differenti, e appaiono entrambe sbagliate e negative. Cose da cancellare. Meglio “accompagnare” (anche nel senso stretto del termine) i frequentatori del parco che farli sentire “esclusi” da un pezzo dello stesso (che magari è insignificante, ma diventa la pietra dello scandalo). Buona giornata a tutti!
Oltre ad aborrire la parola sacro, che come esito ultimo ha sempre una crociata, a me fa rabbrividire un valdostano che propone l’intangibilità di una cima con la motivazione che “sarebbe un progetto vantaggioso anche da un punto di vista economico…e i territori circostanti richiamerebbero moltissime persone”
Perché ho visto come i valdostani (e altri montanari) intendono la valorizzazione economica e cosa hanno fatto alle loro valli…
Mi sembra che il commento che dice innanzitutto di chiudere le strade nella parte alta della valle, anziche’ concentrarsi su un’iniziativa discutibile, sia il piu’ sensato. Non abbiamo bisogno di azioni dimostrative da pubblicizzare sui social ma di fatti. Ridicolo poi che nell’articolo si dica che rendere il Grampa montagna sacra richiamera’ molti turisti! E quindi? Altre auto a Pont Valsavaranche.
Il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente si fanno con il lavoro paziente, costante, silenzioso di ognuno di noi ogni giorno. Non con le sparate. Curioso poi che il titolo dell’articolo contenga Friday For Future, diventato ormai un trade mark da social. Quale sia il nesso profondo fra FFF e proporre una montagna inviolabile (negli ultimi, diciamo, 1000 metri di salita?), solo chi lo ha scritto lo sa. servono cultura forte del rispetto dell’ ambiente, che e’ un dovere di ogni uomo semplicemente perche questa terra ci e’ donata. Per il resto, ogni movimento ideologico sul rispetto dell’ ambiente e’ destinato a fallire perche’ contiene o perfino genera il suo contrario e fa di un ovvio quanto indispensabile valore umano , il rispetto per gli altri e per l’altro appunto, una questione politica, ideologica, motivo di divisione. Quando tutti dovremmo trattare il pianeta in cui viviamo come casa nostra e non credo che in casa nostra entriamo in salotto con l’auto ne’ buttiamo la sigaretta per terra. meno slogan, piu’ fatti.
saluti a tutti
In tema di sacralità concordo con Pinelli, ma è un discorso privo di appeal nella attuale società e non mi ci soffermo. Ho già espresso mesi fa il mio pensiero.
Confesso invece che non gradisco il discorso “chiusura”. L’idea che esclusione antropica rappresenti una forma di tutela, anche se lasciata alla libera decisione del singolo (fallimentare in partenza senza norme e sanzione) mi fa riflettere. Temo che ciò che si chiude, che deve essere lasciato là, monumento muto alla base di una preoccupazione positiva, possa generare in realtà l’effetto opposto. Ciò che non posso vedere, ciò che non posso raggiungere, conoscere, godere, alla fine genera disinteresse, se non aperta ostilità a un certo punto. Perché devo preoccuparmi di tutelare qualcosa che non ho modo di vivere? Di capire? È vero che stiamo parlando di una cima isolata, ma sappiamo che eventuali emulazione possono generare circoli viziosi in amministratori zelanti e un po’ fanatici.
A volte penso al diffuso malumore sempre più percepibile attorno al FAI. I luoghi acquisiti, pur protetti e restaurati, di fatto sono sottratti alla collettività, alle forze locali giovani che vorrebbero innescare circoli virtuosi positivi, economici. Diventano monumenti meravigliosi inavvicinabili, generando sentimenti opposti ad un desiderio di bene comune, rispettato e difeso da tutti. Il FAI ha già avanzato qualche istanza sui beni naturalistici. E conosco qualche montanaro (nell’accezione positiva del termine) che darebbe fuoco a tutto piuttosto che perdere il suo diritto di goderne.
Scusate il lungo excursus, apparentemente fuori tema, ma era un esempio forzato, per tornare a parlare di urgenza nell’educazione, capillare, diffusa, pluralistica.