La neve artificiale e le contraddizioni dello sci d’oggi

La neve artificiale e le contraddizioni dello sci d’oggi
di Giorgio Daidola
(da L’Adige 1 dicembre 2018)

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)

Nel mese di novembre di ogni anno i media si scatenano e la voglia di sci e di neve diventa incontenibile. Anche se la neve non c’è o è insufficiente, o c’è solo in alto, oltre i 2000 metri. La cosa più importante è che faccia freddo, così i cannoni possono lavorare a pieno ritmo per garantire la neve artificiale almeno per l’inizio di dicembre. Questa neve serve anche per fare il fondo duro delle piste moderne che devono sopportare il passaggio di migliaia di sciatori. La sua produzione comporta una spesa molto elevata, ribaltata in gran parte (cioè al netto dei contributi pubblici sugli impianti di innevamento) sul prezzo degli skipass, che sfioreranno o supereranno quest’anno i 60 euro giornalieri. Pochi si rendono conto che senza neve artificiale gli skipass costerebbero dal 30 al 40% in meno. Da notare che il costo della neve finta è presente anche negli anni di buon innevamento come quello scorso perché il grosso della produzione deve essere effettuato per sicurezza ad inizio stagione.

Filiberto Daidola nella discesa del Gronlait (Lagorai-Trentino). Foto: Giorgio Daidola

Mettere in dubbio l’utilità della neve artificiale oggi vuol dire rischiare il linciaggio. Infatti è stata la sua diffusione, iniziata alla fine degli anni ottanta, a cambiare tutto, dall’attrezzatura alla tecnica di discesa, al tipo di piste e di impianti di risalita. Il turismo invernale delle città in montagna è diventato un business di enormi dimensioni. Ritornare indietro causerebbe dolorose riconversioni, che nessuno ha interesse o voglia  ad affrontare. Si continua piuttosto a fare ciclopici investimenti in nome della complementarietà fra impianti di risalita e industria alberghiera senza pensare (troppo) al futuro.

Paradossalmente il cambiamento epocale causato  dalla neve artificiale ha interessato non solo lo sci di pista ma anche lo scialpinismo, che si è sviluppato in gran parte grazie agli insoddisfatti della stessa neve artificiale e delle conseguenti piste autostrade. La maggior parte dei nuovi  scialpinisti, considerate le origini pistaiole, non ha quella sensibilità nei confronti della neve vera e della montagna che risultano fondamentali per far fronte ai rischi al di là delle piste battute. Osservazioni analoghe valgono a maggior ragione per i freerider.

Stazione con folla, Livigno. Foto: Giorgio Daidola

In conclusione tutto lo sci d’oggi, sia quello dei lunapark bianchi che lo scialpinismo e il freeride tende ad essere  “sci in montagna”, privo di quel senso della neve e di quella passione autentica che sono propri dello “sci e montagna”, secondo la sottile distinzione che fece Philippe Traynard, uno dei più apprezzati scialpinisti degli anni Ottanta.

Questa situazione ha delle negative ripercussioni per quanto riguarda la tanto ricercata sicurezza, sia per gli scialpinisti-freerider che per gli sciatori pistaioli.

Per i primi l’incompetenza, l’inesperienza e soprattutto l’eccesso di sicurezza dovuto a una buona preparazione tecnico atletica, ai gadget tecnologici come gli Artva e gli Airbag e ad attrezzature sempre più  performanti, li portano ad affrontare pendii pericolosi, in periodi come quelli di inizio stagione in cui la neve notoriamente non è ancora assestata. Ne sono una conferma i recenti incidenti su tutto l’arco alpino riportati dai giornali. La ricerca quasi maniacale della neve polverosa dei mesi più freddi dell’inverno porta poi ad un alto numero di incidenti nel mese di febbraio, quando il manto nevoso è particolarmente instabile, a causa del vento che crea cornici e placche, con i classici cedimenti che provocano le valanghe a lastroni e, nel caso di molta neve fresca, le pericolosissime valanghe di neve polverosa.

Per i secondi, ossia i pistaioli, le levigate piste autostrade messe in sicurezza in modo quasi ossessivo per evitare responsabilità in caso di incidenti, hanno paradossalmente fatto aumentare il numero di questi ultimi. Tali piste consentono infatti velocità folli, che insieme al gran numero di sciatori che le frequentano (in conseguenza della grande portata degli impianti), le trasformano in percorsi di guerra.

Effetto gregge nello scialpinismo moderno, Livigno. Foto: Giorgio Daidola

Quali consigli dare agli uni e agli altri?

Innanzitutto riscoprire che la grande stagione dello sci non è l’inverno ma la primavera, quando la neve è più assestata e trasformata e il rischio di valanghe ridotto. La neve primaverile permette di trasformare la sciata in una danza leggera, in una libera interpretazione del pendio naturale.  Purtroppo gli attuali operatori del turismo invernale ignorano quanto scrissero in proposito grandi sciatori del passato, come Arnold Lunn, Marcel Kurz e Jacques Dieterlen a proposito delle differenze fra inverno alpino e inverno di calendario.

In secondo luogo occorre riscoprire l’amore per la neve vera, amore che è necessario per sentirla, per capirla, per godere del fruscio inconfondibile che provoca sotto le solette degli sci, e per evitare così la famosa “valanga assassina”.

In terzo luogo evitare gli impatti mediatici delle folli discese adrenaliniche dei film di aspiranti suicidi  che si vedono in internet. Il vero freeride, secondo un campione del mondo di questa disciplina come Arno Adam, è tutt’altra cosa. Esige infatti l’uso del “cervello, nonché di quelle qualità troppo spesso dimenticate che sono la modestia ed il rispetto”. Buon inverno e soprattutto buona primavera sulla neve.

Sci di privamera in Cevedale. Foto: Giorgio Gualco
 

4
La neve artificiale e le contraddizioni dello sci d’oggi ultima modifica: 2018-12-17T05:57:32+01:00 da GognaBlog

9 pensieri su “La neve artificiale e le contraddizioni dello sci d’oggi”

  1.  

    Caro Giorgio, le contrddizioni di cui scrivi sono evidenti,non torneremo più allo sci alpinismo di una volta, noi settantenni abbiamo avuto dalla nostra parte condizioni migliori di neve e di affollamento. Oggi anche noi ci saremmo adeguati alle novità ,forse divertendoci un pò meno. Saluti Alberto

  2. Caro Giorgio,

    volevo dirti che nonostante l’inevitabile situazione di cui hai scritto esiste ancora una piccola speranza. Ci sono persone come me, sciatori e alpinisti della nuova generazione (se così si può dire se sei nato nel ’90) che nonostante siano il frutto di questo sistema, nonostante siano cresciuti a pane e video di discese adrenaliniche, hanno deciso di vivere l’inverno come la natura vuole. Ti spiego come: in autunno scegliamo un posto. Un posto che ci ispira, selvaggio quanto basta, contaminato al punto giusto. Speriamo che lì nevichi, perchè lo skipass non lo compreremo, nonostante sarebbe bello godere della giostra infinita di salite e discese in fresca. Andiamo a sciare la neve, quella vera, e lo facciamo faticando e entrando lentamente, in punta di piedi, nell’inverno. Ci vuole tempo, ci vuole voglia, non tutti gli sciatori ne anno.

    Probabilmente a primavera avremmo sciato in discesa talmente poco che le gambe ci faranno ancora male e la tecnica difficilmente sarà migliorata. pazienza.

    Tutto questo te lo dico non per vanità, non perchè noi siamo ‘i giusti’  da prendere ad esempio. é solo per dirti che qualcuno che rispetta e ama l’inverno (e ti assicuro anche la primavera) ci sta.

    p.s. l’inverno scorso l’ho passato a Livigno, e a fare scialpinismo eravamo 4 gatti. “l’effetto gregge” della foto, mi viene da supporre, appartiene all’eccezionalità della Skieda. magari sbaglio, ma non ho mai visto in altre occasioni tutta queste persone in giro.

    Buon inverno a te.

  3. Mentre bisognerebbe cercare una simbiosi, un’adattamento, una armonia  tra l’uomo e quello che la natura ci può dare senza violentarla.

    Violenze che poi producono conseguenze che si ripercuotono su di noi.

    L’ innevamento artificiale è il SIMBOLO evidente di una montagna sempre più usata e piegata alle esigenze più egoistiche dell’ uomo.

  4. “Nessuno ci obbliga a seguire le tendenze del momento, se non sono condivise”

    Sarebbe vero se le tendenze del momento non stravolgessero e contaminassero il campo di gioco (e in realtà l’universo mondo). Vedi il discorso sulla sicurezza tanto caro a Gogna, e le relative derive normativo-legali.

    In ogni caso lo spreco folle dell’innevamento artificiale e il relativo inquinamento (ambientale ma anche culturale) obbligano a una presa di posizione

  5. Quello che è stato scritto è molto vero. La montagna è molto meno vissuta e molto più consumata. Lo si nota pure sulle vie classiche di roccia, dove le cordate orami si contano sulle dita di una mano, quando prima all’attacco di certe vie si faceva la coda; in compenso le falesie rigurgitano di arrampicatori.
    Per fortuna la montagna è grande e lascia molti spazi a coloro che la vogliono vivere secondo canoni etici oggi poco seguiti dalla massa. Nessuno ci obbliga a seguire le tendenze del momento, se non sono condivise.
    Orsen

  6. E vero che a primavera è ( o forse era ) tutto più semplice e sicuro.

    Tuttavia c’è da  dire che le condizioni in generale sono  cambiate, nel senso che mentre un tempo si assisteva ad una primavera in cui si succedevano temperature miti diurne a temperature fredde notturne, oggi il rigelo notturno è molto minore; in pratica è molto più difficile trovare  neve primaverile, con strati di fondo consolidati dal freddo.

    Il firn è scarso ed anche poco di moda. Gli sci stessi sono cambiati e molto più adatti  a neve polverosa che compatta.

    La conseguenza è che tutti appena nevica, come forsennati, si buttano a fare ogni tipo di gita. Il tutto aggravato dal fatto che air bag e artva, danno un senso di falsa sicurezza.

    E’ sintomatico che molti diano più enfasi a esercitazioni di artva o sondaggio, che allo studio del manto nevoso e alla sua metamorfosi alla luce della situazione climatica odierna. Le gite in neve fresca invernale si sono sempre fatte, ma scegliendole con cura.

    C’è inoltre da dire che gli orari di partenza delle gite sono cambiati. Tutti tendono a partire tardi; ciò aumenta di molto il rischio complessivo della gita e diminuisce la possibilità di scegliere  il momento  della discesa per trovare condizioni ottimali.

  7. E come si fa a non apprezzare quanto dice Giorgio Daidola???

    Il punto cardine è in quella sottile differenza per cui è fondamentale praticare lo sci “in montagna”, il che significa entrare in punta di piedi in un mondo diverso dal nostro dominato dalle logiche umane, rispettarne le regole millenarie, anzi addirittura apprezzarle… solo così si ha un godimento consapevole della “vera” neve

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.