La parete ovest del Cervino – 1
di Renato Chabod
(la prima ascensione completa della parete ovest del Cervino, Renato Daguin e Jean Ottin, 13 agosto 1962)
(pubblicato su Rivista Mensile del CAI, gen-feb 1963)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)
La parete ovest venne attraversata molto in alto, dalla cresta italiana alla cresta di Zmutt, per la cosiddetta «Galleria Carrel», nella prima (Jean-Antoine Carrel e Jean-Baptiste Bich, 17 luglio 1865) e seconda (Florence Crauford Grove con Jean-Antoine Carrel, Jean-Baptiste Bich e Salomon Meynet, 13-15 agosto 1867) ascensione della via italiana del Cervino. Il 13 settembre 1867 Jean-Joseph e Jean-Pierre Maquignaz aprivano l’attuale via diretta da sud e la «galleria» venne praticamente abbandonata.
Alberto Deffeyes con Louis Carrel e Pierre Maquignaz, nel loro primo giro completo della Testa del Cervino (Spalla italiana – Cresta di Zmutt – Spalla svizzera -Spalla di Furggen – Spalla italiana) la percorsero deliberatamente ed integralmente.
La parete ovest del Cervino. Foto: Marco Milani.
Nella prima ascensione della cresta di Zmutt (3 settembre 1879) Albert Frederick Mummery e le sue guide la raggiunsero invece per errore e la percorsero solo parzialmente, nel suo tratto più vicino alla cresta di Zmutt: «Raggiungiamo un punto donde ci sembra possibile riprendere la cresta di Zmutt, ma Alexander Burgener non ne ha l’assoluta certezza; e quando sa che Carrel ha attraversato su una cengia più elevata, preferisce prendere questa direzione. Raggiungiamo tosto questa cengia, la famosa «galleria» delle prime salite dal Breuil, e non troviamo difficoltà a seguirla, a parte che essa ci sbarra l’accesso alla vetta. Johann Petrus viene tosto spedito al termine della corda per vedere se l’ultimo potrà scendere senza aiuto. Accertato che ciò è impossibile, srotoliamo la nostra seconda corda. Impieghiamo parecchio tempo per fissarla; il solo spuntone adatto è troppo rotondo perché vi si possa fissare bene l’anello di corda. Ho così il tempo di esplorare la nostra cengia, che serpeggia come un sentiero verso la cresta sud, seguendo tutte le sinuosità del monte. Essa è interamente spoglia di ghiaccio o neve e nelle condizioni attuali potrebbe essere facilmente attraversata. Ritrovo anche, fissato alla roccia, un chiodo molto arrugginito, una reliquia, penso, della salita di Grove nel 1867. Dopo aver ritirato la corda, troviamo il resto della cengia in condizioni assai diverse. Invece di offrirci buoni appigli rocciosi per i piedi, è coperta di neve polverosa; le poche protuberanze che ne escono sono vetrate e rotte. Queste difficoltà non sono, fortunatamente, lunghe e possiamo tosto immergerci nella neve della cresta (ore 12.50). Petrus, che per tutto il giorno ha vagabondato davanti a noi, è scomparso. Seguiamo le sue piste, talvolta sulla cresta, ma più spesso sul ripido pendio di sinistra e in 45′ lo raggiungiamo sulla vetta (ore 13.45). La giornata era perfettamente calma, senza nubi. Il tempo fuggiva rapidamente e, quando Burgener venne a legarmi, alle 14.30, penai molto a convincermi che avevamo trascorso lassù tre buoni quarti d’ora. Scendemmo allora per la cresta nord-est, tappezzata di corde, fino alla spalla, dove attendemmo qualche minuto per contemplare la cordata Penhall che spuntava precisamente sulla nostra cresta di Zmutt. Dopo un jodel di saluto ai nostri amici, scendemmo rapidamente… » (A. F. Mummery, Le mie scalate nelle Alpi e nel Caucaso, traduzione francese di M. Paillon, Parigi, 1903, pag. 17-18).
Lo storico percorso della «Galleria» (non segnato sullo schizzo, per mancanza di conveniente spazio) non costituiva però, ovviamente, una salita della parete ovest. Per avere detta salita dobbiamo così arrivare al 3 settembre 1879, quando William Penhall con Ferdinand Imseng e Ludwig Zurbrücken (cioè Aloys Zurbriggen), attaccando sulla destra orografica del gran canalone che dai Denti di Zmutt scende sul ghiacciaio di Tiefenmatten (poi chiamato «couloir Penhall») traversando il canalone stesso nel suo punto più stretto e poi risalendo la parete, raggiungeva la cresta di Zmutt «a circa tre quarti d’ora dalla vetta italiana» (it. segnato con le lettere IPZ sullo schizzo). Come risulta dalla relazione Mummery la comitiva Penhall seguì quella Mummery a poche ore di distanza, tenendosi però assai più lontana dalla cresta di Zmutt.
«Seguimmo la cresta (di Zmutt) fin dove essa diventa non solo verticale ma strapiomba realmente. Dovevamo quindi salire diagonalmente per la grande parete ovest… Scaliamo delle placche vetrate e in equilibrio instabile. Tutto sommato, non sono proprio difficili e avanziamo rapidamente. Avremmo probabilmente trovato un miglior percorso sulla nostra destra, ma Burgener non volle, a ragione, andare in quella direzione perché ci avrebbe portati troppo sopra l’altra comitiva (Penhall). Anche dove ci trovavamo insisteva perché avessimo la più gran cura di evitare cadute di pietre. Ho poi appreso da Penhall che la sua cordata era troppo lontana sulla destra per dover temere le pietre da noi distaccate, e che nessuno dei due o tre blocchi da noi smossi si fece vedere o sentire da loro (op. e loc. cit.)».
Il 3 agosto 1887 Eugen Guido Lammer e August Lorria «lasciarono la capanna dello Stockie all’1.45 a.m. per tentare l’ascensione del Cervino per l’itinerario Penhall. Essi giunsero a poca distanza dalla vetta, ma alle 13 furono costretti a battere in ritirata, a causa del vetrato che ricopriva le rocce. Tra le 5.30 e le 6 pomeridiane, mentre attraversavano il Couloir Penhall, furono travolti da una valanga. Colpito da commozione cerebrale, Lorria ebbe inoltre la gamba destra fratturata sopra la caviglia, e, avendo perduto i sensi suoi piedi furono parzialmente congelati. Quanto a Lammer, se la cavò con una dolorosa distorsione; ciononostante riuscì a trasportare l’amico sino a una roccia, e ricopertolo con la sua giacca, andò a cercare soccorso. Non avendo trovato alcuno alla capanna dello Stockie, si trascinò sino ai pascoli di Staffel, donde spedì un messaggio a Zermatt. Una comitiva di soccorso salì immediatamente e raggiunse Lorria, che giaceva sempre svenuto (The Alpine Journal XIII, pagg. 399-400)».
Il 17-19 luglio 1929 il viennese Fritz Hermann compie, da solo, la seconda ascensione della via Penhall: «alla luce della nostra odierna conoscenza della parete e con lo studio della sua relazione originale, pensiamo, e siamo, per quanto ci riguarda, certi che Hermann salì fino a metà canalone (Penhall) sulla costola sinistra (salendo); poi, dopo aver traversato sulla costola destra fino a raggiungere quasi la spalla, continuando la salita per la via normale di Zmutt, dove questa abbandona la cresta… In conclusione egli fece da solo la via di Penhall (nota Taddei-Carrel in Rivista Mensile del CAI 1948, pag. 56)».
Il 24 luglio 1931 Amilcare Crétier e Leonardo Pession partono dal rifugio dell’Hörnli e scendendo sul ghiacciaio del Cervino ne costeggiano la seraccata, fino all’attacco normale della via di Zmutt e al ghiacciaio di Tiefenmatten.
«Attaccata decisamente la parete ovest del Cervino, col solo aiuto dei ramponi (assai facile) si attraversa delicatamente il canale Penhall a quota 3600 circa (difficile). Per un improvviso cambiamento di tempo si decise a questo punto di seguire una via nuova, attraverso una ben visibile cengia che fascia tutta la parete ovest del Cervino e che dal Couloir Penhall (q. 3550 m circa), interrotta solo a brevi tratti, va a finire sulla cresta italiana a circa 3750 m. Traversando verso destra per infide placche ricoperte di vetrato, a tratti per comoda cengia e attraversando canaloni assai difficili, si perviene a quota 3680 m circa, sotto il caratteristico «esse» che il serpentino verdastro descrive sotto il grande strapiombo del versante ovest del Pic Tyndall. Dopo la traversata di due altri impervi canaloni, la bufera, infuriando sempre più, obbligò la comitiva al bivacco in una non troppo comoda posizione (ore 16). Alle 10 del giorno successivo (25 luglio) erano caduti 30 cm di neve fresca e si era formato abbondante vetrato. Non era possibile in tali condizioni parlare di ritorno. Traversate placche ripidissime e canaloni di ghiaccio assai pericolosi (assicurazioni con chiodi a ogni lunghezza di corda). Alle 13 un violento temporale inchiodò nuovamente la cordata su una placca scoperta e senza riparo alcuno, poi l’avanzata continuò di nuovo monotona e lentissima. A un tratto la cengia è interrotta e per riprenderla si debbono scalare 4 o 5 m di un muro verticale di roccia (molto difficile e pericoloso, ore 15.30). Si sale leggermente per placche, si attraversano due canali di ghiaccio vivo (assicurazione con chiodi e piccozza), poi altre placche, fino a che, sempre sotto l’imperversare della bufera, vengono raggiunte le placche Seiler, a una quota lievemente superiore alla vicina Testa del Leone 3723 m. Ore 19. Discesa al Colle del Leone e al rifugio Oriondé, direttamente per il canalone (ore 21.30). Ascensione molto difficile (in specie per le avverse condizioni di tempo) ma pur sempre molto interessante. Molto pericolosa. (Annuario CAAI, 1927-31, pag. 211 – itinerario segnato sullo schizzo con le lettere CP)».
Il 18, 19 e 20 agosto 1947 Louis Carrel con Carlo Taddei apre la via, completamente autonoma, descritta in Rivista Mensile del CAI 1948, pagg. 49-56. Incontrarono difficoltà molto forti e furono costretti a due bivacchi in parete. La sera del secondo giorno «la tempesta che si scatenava sulla Dent Blanche ci raggiunge presto, alle 22 siamo bianchi di neve, alle 24 torna il sereno, alle due nuovamente neve e questa volta molta». In siffatte condizioni fu già ventura poter uscire «all’enjambée du Pic Tyndall», anche se la via interamente originale (segnata con le lettere CT sull’attuale schizzo) avrebbe meritato quella uscita diretta che è ora stata finalmente aperta dalla cordata Ottin-Daguin (it. OD dello schizzo) e di cui riportiamo la relazione originale.
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Anche i disegni di Chabod!
Già la foto di Marco Milani vale il post.