Udite, udite! In vista dell’elezione del nuovo Presidente Generale del Club Alpino Italiano per il triennio 2022/24, il candidato designato da molti Gruppi Regionali CAI (un’eccezione importante è quella del Gruppo Triveneto che sosterrà Francesco Carrer, vedi qui il suo programma elettorale), ha deciso di creare, per la prima volta nella storia del Sodalizio uno spazio in cui sarà possibile condividere con Soci e Stakeholder della montagna idee e progetti da inserire non solo nel programma elettorale ma anche nelle future linee di indirizzo dell’associazione.
Questa è un’iniziativa davvero nuova e al passo con i tempi. Il plauso che mi sento di esprimere al riguardo va oltre all’eventuale e augurabile successo dell’iniziativa stessa. E’ la degna continuazione di sei anni di presidenza Torti, che tanto vento nuovo ha fatto soffiare nelle stanze direttive e che ha registrato la risoluzione di molti problemi da tempo soffocanti. E’ il segno di una mentalità foriera di un atteggiamento nuovo, l’unico che abbia possibilità di rinnovare immagine e sostanza di un sodalizio oggi purtroppo ignorato da una gran parte dei giovani appassionati di montagna.
La Presidenza condivisa
di Antonio Montani
Sono Antonio Montani, attualmente Vicepresidente Generale del Club Alpino Italiano, nonché unico candidato designato per la Presidenza Generale 2022/2024. Ho deciso, al fine di creare un reale movimento di modernizzazione, nonché apertura per il Sodalizio, di indire ufficialmente una Call per la condivisione di idee e progetti che permettano di proiettare l’associazione in un futuro moderno, digitalizzato e giovane.
A tal fine oggi (29 marzo 2022, NdR) ho creato un blog personale denominato Presidenza condivisa, raggiungibile al link www.presidenzacondivisa.it, che sarà aperto e fruibile fino al 29 maggio 2022, giornata nella quale avverrà a Bormio l’elezione del nuovo Presidente Generale.
Uno spazio informale, aperto e libero per discutere del futuro e delle prospettive dell’associazione che dal 1863 promuove la frequentazione, lo studio e la difesa delle montagne italiane.
La condivisione, anche delle scelte strategiche, è indispensabile per la buona riuscita dei progetti. Il CAI è una grande associazione con numerose articolazioni, un obiettivo o un’azione condivisa da tutto il corpo sociale del Club Alpino Italiano può avere profondi risvolti e grande forza in ambito territoriale. Troppo spesso le iniziative, pur meritevoli, vengono colte come “calate dall’alto” e quindi non sono sentite dal corpo sociale. Queste incomprensioni portano a sprechi di tempo e di denaro.
La condivisione è una garanzia contro scelte sbagliate! Per questo motivo ho deciso di proporvi un luogo di discussione nel quale decidere insieme dove vogliamo andare.
Non un programma elettorale ma un metodo di lavoro
Voglio invitare i soci del Club Alpino Italiano, le sezioni, le associazioni che lavorano in ambito montano e/o ambientale e gli stakeholders delle aree interne a fornire il proprio contributo per un dibattito libero e apolitico su come il Sodalizio possa contribuire a migliorare le aree montane italiane e su come favorire l’auspicabile nonché necessaria fase di modernizzazione e apertura dello stesso.
Da oggi, martedì 29 marzo 2022, nello spazio di www.presidenzacondivisa.it sarà possibile trovare idee che ho steso come linee guida per la mia futura presidenza e articoli, scritti anche da altri soggetti che contribuiscono al dibattito.
Le tematiche
Le tematiche sono suddivise in tre aree:
1. Dove vogliamo andare?
2. Il CAI dei soci
3. Sede Centrale
All’interno di queste si troveranno tutti gli argomenti che andranno a comporre le linee guida del percorso futuro. Tra i quali, di fondamentale importanza, i giovani, la digitalizzazione, le politiche ambientali e lo sviluppo delle aree interne, in particolare del centro e sud Italia.
Call for proposal
Non volendo limitare il dibattito all’attuale classe politica dell’ente, anzi desiderando il confronto, l’apertura e la contaminazione con gli altri soggetti interessati invito associazioni, enti, istituti di ricerca, società e gruppi di lavoro a fornire commenti e articoli su quanto ancora il CAI debba fare per migliorarsi nonché contribuire costruttivamente e collegialmente con chi opera per il futuro delle aree montane italiane.
Inoltre, consapevole dell’importanza che rivestono Soci, Sezioni e Gruppi Regionali per la costruzione di strategie territoriali, nonché per l’individuazione di obiettivi mirati, invito gli stessi ad esporre le problematiche in essere, possibili soluzioni e/o idee per poter favorire un rapporto più orizzontale ed integrato tra essi e la sede centrale.
Da martedì 29 marzo 2022 a venerdì 27 maggio 2022 si può commentare gli articoli esistenti e/o inviare articoli personali all’indirizzo a.montani@cai.it con richiesta di pubblicazione. Gli articoli confluiranno nell’elenco dei post che costituiscono il blog: il sito li alloggia al fondo della presentazione di ciascuna delle tre aree tematiche.
Tengo a precisare due importanti regole del blog:
– L’utilizzo di un linguaggio offensivo e la trattazione di argomenti non attinenti non verranno tollerati;
– Il blog, pensato per aiutare la futura presidenza del CAI, è comunque un sito privato e non impegna in alcun modo il sodalizio.
Tematica 1. Dove vogliamo andare?
Il CAI è la più grande, storica e radicata associazione di alpinismo italiana. Con le oltre ottocento tra sezioni e sottosezioni e con i suoi oltre 320.000 rappresenta una ricchezza di storia, conoscenza e cultura del mondo della montagna.
Questa ricchezza va messa a disposizione del paese, va condivisa. Il CAI può e deve essere il capofila (capocordata) di tutte le tante altre associazioni che si occupano di promozione, frequentazione e difesa delle montagne.
In una società fluida, non ha più senso arroccarsi su rendite di posizione, restare chiusi in noi stessi ingessati da regolamenti anacronistici, è necessario aprirsi al confronto e al dialogo, consapevoli che la nostra storia, la nostra tradizione e i nostri valori rappresentano una bussola che ci indica il cammino.
In questa sezione, più che nelle altre, ho lasciato spazio al confronto tra quello che ho visto in questi anni di esperienza ai vertici del CAI e quello vorrei fosse la nostra associazione. Quello che vorrei tenere e quello che vorrei cambiare rappresentano quello che più, in questo blog, si avvicina ad un programma. Vedi https://www.presidenzacondivisa.it/dove-vogliamo-andare/.
Tematica 2. Il CAI dei soci
La frequentazione della montagna è prima di tutto gioia, divertimento, svago. Il compito del CAI è di affiancare consapevolezza, cultura e riduzione del rischio.
La serietà e preparazione dei nostri volontari e dei nostri titolati, rappresentano l’elemento di diversità dalle altre numerose associazioni che promuovono l’outdoor.
Come possiamo prescindere dall’opinione dei nostri volontari per poter progettare un futuro in questa area?
Le aree che ci interessano sono Escursionismo estivo ed invernale, Ciclo-escursionismo, Alpinismo, Sci-alpinismo, Arrampicata libera (e, perché no? arrampicata sportiva), Speleologia, Torrentismo.
Queste aree rappresentano il vero valore del CAI, unica associazione che è in grado di lavorare su discipline così diverse. La forza del sodalizio sta nella capacità delle sezioni di organizzare queste attività ed è responsabilità imprescindibile della dirigenza futura coadiuvare in tutti i modo possibili le sezioni e le scuole.
Con la seguente mappa concettuale desidero porre alla vostra attenzione le mie proposte per il futuro del Sodalizio
Tematica 3. Sede Centrale
Con questa mappa non si vuole affrontare il tema dell’organizzazione della sede centrale.
Come sappiamo, il CAI centrale è un ente pubblico e la sua struttura è normata da rigide regole. Certamente è indispensabile intervenire anche su di essa, ma sarà necessario farlo con l’ausilio della consulenza di professionisti, limitandoci a indicare le priorità.
Diversamente è indispensabile organizzare alcuni servizi che sarebbero utilissimi alle sezioni!
Mi riferisco in particolare ad alcuni temi che solo la sede centrale può affrontare compiutamente. Li elenco qui a mero titolo indicativo, ognuno di essi meriterà un approfondito progetto.
Vuoi sapere di più su di me?
Ho preso la decisione di candidarmi alla carica di Presidente Generale ad agosto 2021 perché penso di poter dare un contributo al futuro della nostra associazione, il Club Alpino Italiano.
Sono stato designato come candidato dai Gruppi Regionali: Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Marche, Abruzzo, Lazio, Sicilia, Calabria, Basilicata.
Il Comitato Elettorale Centrale ha formalmente sancito la mia eleggibilità alla carica nel febbraio 2022.
Per ulteriori informazioni: www.presidenzacondivisa.it
Per info e/o contatti scrivere a a.montani@cai.it.
Precisazione: per soci “alpinisti” intendo quelli che hanno la mentalità alpinistica, modulandola sulle proprie discipline preferite. non solo quelli che effettuano ascensioni alpinistiche in senso stretto. Quindi possono essere alpinisti classici, estremi, scialpinisti, ripidisti, escursionisti, trekker ecc ecc ecc. Questa fascia di soci, tranne alcune isole felici (fra cui sicuramente Torino) si sentono “ospiti” a casa loro, ovvero il CAI è diventata la casa di “altri”. Non saranno 100.000 i soci con mentalità alpinistica? Bene, riduciamo ulteriormente le dimensioni del Club. Sono 50.000? Bene, facciamo un CAI da 50.000 soci totali. E così via. Il CAI che invece propinate dalla Sede Centrale (da decenni, eh, non da adesso) è un CAI alla “volemose bene“, alla “aggiungi un posto a tavola…“… e così si imbarcano soggetti che non hanno mentalità alpinistica. Il problema NON è la convivenza fra queste tipologie di soggetti, ma il loro diverso peso specifico sul totale. Se su 350.000 soci totali diciamo che sono 100.000 quelli con mentalità “alpinistica”, significa che ce ne sono 250.000 con mentalità “non alpinistica”. Il peso specifico di questo ultimo sottoinsieme tende a far sì che il CAI nel suo complesso sia un Club “non alpinistico”.
Vuole alcuni obiettivi per il “prossimo presidente” desideroso di alimentare ANCHE la parte alpinistica del CAI? A raffica le dico i primi che mi vengono in mente: rilancio del CAAI; rilancio attività delle spedizioni del sodalizio; ulteriore irrobustimento della pubblicistica alpinistica (va bene, per carità, ma potrebbe essere molto più ampia e robusta); ritorno dell’intera stampa sociale verso impostazioni tradizionali da stampa “alpinistica” (qualche settimana fa, per una ricerca che sto conducendo, ho consultato i Bolllettini CAI di fine ‘800: che meraviglia! quella roba lì dovremmo proporre oggi); Infine: nell’ambito di un’attività didattica generale che considero molto positiva, dovrebbero essere ulteriormente aumentati i corsi base- Per corsi base intendo quelli di manovre di sicurezza per l’arrampicata (soste ecc) e quelli di nivo-valangologia per scialpinismo e ciaspole. Si dovrebbe arrivare ad avere i corsi base 12 mesi all’anno, durata 4 week end (un mese), partenza uno dietro l’altro. Il tutto finalizzato a dare una solida e certificata impostazione di base ai giovani e ai neofiti di qualsiasi età. Ovvio che per fare questo occorre moltiplicare il numero di istruttori, per cui quest’ultimo è obiettivo propedeutico a quello dei corsi base a manetta.
Buonasera,
scusate se rispondo a pezzettini, ma anche questo è il bello del volontariato (puro) che ti obbliga a fare i salti mortali tra lavoro famiglia e, appunto, volontariato.
Rispondo volentieri su tre temi sollevati, numero soci, istruttori (titolati) e biciclette.
Parto da qui, nel 2018 (se non sbaglio) su mia iniziativa e su sollecitazione della Sezione CAI di Finale Ligure organizzammo una bella giornata di studio e riflessione sull’impatto delle biciclette sul mondo della montagna (a Finale! tipo parlare di corda in casa dell’impiccato!) e chiamammo proprio Alessandro Gogna a “moderare”. Il tema era e rimane se è possibile governare il fenomeno, se si può evitare che Finale diventi un modello da replicare.
Riportando il tema alla realtà CAI, la domanda è: Il CAI può avere un ruolo di formazione, di educazione di promozione di una seria autolimitazione ai cicloescursionisti? O viceversa, se il CAI decidesse che il cicloescursionismo non è attività che gli compete, vedremmo una diminuzione del fenomeno e dei problemi che può creare? Secondo me no. Secondo me una grande associazione deve avere il coraggio di esserci e di esercitare un ruolo. Penso che in ogni sezione CAI dovrebbe esserci un gruppo MTB che fa cicloescursionismo, ovvero escursionismo con la bicicletta (con tutte le connotazioni culturali che ne conseguono) . E questo per fare attività di formazione, per insegnare il limite, il rispetto, dei sentieri, della natura, dei pedoni. Se ci siamo possiamo contribuire a governare se non ci siamo no.
Alpinismo, l’ho già detto e lo ripeto senza alcun problema, cos’è oggi l’alpinismo in termini sociologici? Come è evoluto (o involuto) l’alpinismo negli ultimi 40 anni, dal punto di vista del fenomeno sociale di massa? Perché su vie classiche in cui trent’anni fa ci si metteva in coda oggi non c’è più nessuno (e il grado tecnico medio dei praticanti invece è aumentato)? Il CAI può avere un ruolo nell’analisi di questi temi? Si. Il CAI ha avuto un ruolo negli ultimi 20 anni? Secondo me, no, non ne è stato capace. Qualcuno di voi ha mai visto un presidente generale in carica legato a una corda su una parete? O dormire in un rifugio in alta quota? Forse da li bisogna partire.
Ma attenzione, io non vedo la contrapposizione tra un CAI di 100.000 soci alpinisti e 300.000 soci multidisciplinari. (PS trovatemeli 100.000 alpinisti in attività oggi in Italia!!!) Io credo, sono convinto, che il CAI debba essere una grande famiglia dentro la quale ci stanno tutte le attività (lecite ed etiche) che si svolgono in montagna. Solo così si può contare, solo così si può intervenire con “peso” a bloccare, suggerire, correggere su interventi a volte sbagliati. Una associazione forte che possa essere utile per le montagne italiane.
Istruttori – titolati. Il CAI ha migliaia di titolati, ovvero soci che avendo una competenza in una particolare disciplina decidono di intraprendere un lungo e impegnativo percorso formativo per acquisire competenze da mettere a disposizione gratuitamente ad altri cosi neofiti. Ora, io credo che questa sia una delle forme più belle (ma anche gratificanti) del volontariato CAI. Credo che i titolati, istruttori, accompagnatori ecc siano una grande ricchezza per il CAI.
Perdonatemi il tono informale.
se è per quello, il Sig Montani non ha risposta neanche alla mia di domanda.
13 lorenzo merlo
Caro Lorenzo, MONTANI non ti ha risposto… Non è solo LA BICI che il CAI ha autorizzato… salvo poi ripensamento… per mantenere alto in numero di iscritti, MA l’elicottero – il treno a vapore – le gare – la musica in quota – l’influencer, Cattura giovani, che nel suo profilo social, promuove l’eliski – l’arrampicarsi sugli specchi durante la pandemia dove ha perso circa 25mila soci, (nel 2021 i soci sono stati 302mila) – E I SOLDI PUBBLICI? 2 MILIONI DI EURO CON MARTINI E CIRCA 5 MILIONI DI EURO CON TORTI, DONATI DAL MINISTRO DEL TURISMO GARAVAGLIA. Poi… la diatriba per l’elezione A PRESIDENTE CENTRALE, mi ha confermato che… “LA MIA SCELTA AD ABBANDONARE IL CAI, DOVE NON MI CI TROVO PIU’, NON MI RAPPRESENTA”, E’ STATA AZZECCATA!
Montani @40
Buongiorno, grato della sua attenzione. Mi guardo bene dall’addentrarmi pubblicamente nell’insidiosissimo terreno delle valutazioni sulla qualità della stampa sociale e della Rivista (M360) in particolare. Il tema è stato toccato, innescando non pochi sfrigolii, nei commenti a corollario di un articolo pubblicato su questo Blog un po’ di tempo fa. Le suggerisco, però, di leggerli (come il relativo paragrafo di detto articolo), proprio per il suo ruolo di candidato alla Presidenza. Il post è il seguente: https://gognablog.sherpa-gate.com/gli-accademici-si-raccontano/.
Non sono “contro” alle novità in quanto tali. Ma non penso che, il non attirare i giovani, sia una questione di linguaggio o di tipologia di comunicazione. E’ una questione di sostanza. Il CAI attira i giovani interessati alla montagna, se il CAI mantiene la sua cifra fondamentale di “club degli alpinisti”. Se, invece, diventa un minestrone di tante cose, paradossalmente non attira più i giovani alpinisti, come dimostra il commento che ho riportato in 39. Ripeto: qui a Torino non abbiamo assolutamente questo problema. Non abbiamo penuria di giovani e, in oltre 50 anni di CAI a titolo personale, non ho mai sentito un socio torinese dire che “non trova nel CAI un punto di riferimento”., anzi. Io penso che questo dovrebbe essere l’obiettivo strutturale del CAI nazionale. Viceversa un CAI che si “perde” in mille rivoli, dall’ambientalismo alla MTB, per carità tutti legittimi in quanto tali, smorza però la sua cifra fondamentale (quella “alpinistica”). Ecco perché, a livello nazionale, i giovani non sono attirati dal CAI.
La stampa sociale segue l’impostazione generale. Se il CAI nel suo complesso è formato da una pancia di iscritti che badano ai “rivoli” collaterali, logicamente la stampa sociale è indirizzata verso quei temi. Ecco perché la stampa sociale non è più quella degli anni ’60-70 (come lamentato dai commenti citati): perché il CAI non è più quello di allora. Solo un CAI tornato pienamente “alpinistico” riproporrà riviste, guide, pubblicazioni ecc di qualità, proprio perché “alpinistiche”. Se poi, anziché cartacee saranno digitali perché i tempi questo impongono (ahimè!), è dettaglio collaterale. La questione è di contenuti, non di veicolo tecnologico.
In sintesi: più che inventare ex novo una app, io mi preoccuperei di altri problemi del CAI, a puro titolo di esempio rilanciare il CAAI, che dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello (la squadra corse di F1 per un’azienda automobilistica, la cui produzione di serie è, metaforicamente, il CAI) e invece sta spegnendosi nell’indifferenza generale (vedi: https://gognablog.sherpa-gate.com/caai-siamo-un-club-conservatore/).
Concludo sottolineandole che sono uno strenuo difensore degli ideali del CAI, però quelli “veri” e originari. Non tutto è problematico nel CAI, anzi. Vi sono risvolti di grande positività, come (a puro titolo di esempio) l’intera struttura didattica, con scuole in tutti le discipline e grande efficacia di formazione. Altrettanto per il sistema delle biblioteche, a cominciare dalla Biblioteca Nazionale, e per la capacità di creare cultura alpina, sia centralmente che sul territorio. Quindi NON sono un disfattista sul CAI: i miei sono solo spunti per migliorare e, al limite, correggere gli errori in essere. La scelta cardine però è quella che ci divide: io preferisco un CAI da 100.000 soci “alpinisti” che un CAI da 350.000 soci, dove gli alpinisti si sentono estranei a casa loro (tranne le isole felici, fra cui Torino). Gli ultimi decenni mi hanno dimostrato che gli organi centrali, invece, preferisco i grandi numeri, a scapito della cifra alpinistica dell’associazione. Ciò nonostante, sono uno strenuo difensore degli ideali del CAI. Viva il CAI!
Faccio “outing” 😀 per offrire la mia -parziale- esperienza sul tema giovani e CAI.
Io sono istruttore di alpinismo (IA) di una bella scuola veronese. Per l’attività della scuola vedo molto interesse (grande partecipazione alla presentazione dei corsi, numero di domande di gran lunga superiore alle disponibilità, ecc…), anche da parte dei giovani. Non solo per partecipare ai corsi: abbiamo ricevuto -e tuttora riceviamo- interessamenti da giovani che vogliono entrare nella scuola perché “con il corso ho ricevuto tanto, e voglio ricambiare”. Per giovani mi permetto di considerare la fascia 18-35…
Sono anche vice-presidente della sezione e delegato, e per l’attività della sezione vedo invece molto meno interesse. Ma moooooolto meno. Le attività sezionali sono perlopiù escursionistiche. E qui in parte è anche colpa “nostra” come scuola per non proporre attività sezionali alpinistiche, però è assai difficile farsi carico di responsabilità al di fuori dei corsi con soci che magari vedi quel giorno per la prima volta, a differenza di un allievo che hai modo di conoscere gradualmente e di apprezzarne la (im)preparazione.
Chiudo con una precisazione: io mi posiziono esattamente sullo spartiacque tra giovani e meno giovani, ecco 😀
Per Pasini: sì bidecalogo probabilmente era il nome più brutto che si potesse dare 😀
Quando i vecchi vogliono fare i giovani risultano patetici e spesso combinano danni.
Il Cai ai giovani non interessa, tanto vale orientarsi ai vecchi che con allungarsi dalla vita abbondano. Se l’obiettivo è mantenere alto il numero dei soci.
Caro Carlo @39
Le assicuro che la mia intenzione non è tagliare il tagliabile, nè ardere libri..il che mi pare leggermente postapocalittico come scenario.
La domanda (provocatoria) che mi ha portato a quella parte di mappa concettuale è se per la rivista attuale vale la pena che i soci spendano 1.5 milioni di euro circa (tutti numeri identificabili sul bilancio pubblico del CAI) oppure se vale la pena porsi la domanda che è ANCHE, e certamente non solo, la nostra comunicazione a non riuscire ad attirare i giovani. E con questo non intendo il cartaceo ma intendo la qualità, gli argomenti, il linguaggio, la possibile autoreferenzialità che viene posta negli articoli ecc..
Secondo lei?
Penso sia un ragionamento da farsi ed eventualmente valutare soluzioni alternative (ad esempio un bimestrale e non um mensile con contenuti differneti). Per quanto riguarda la QUALITA’ di eventi, mostre pubblicazioni ecc sono perfettamente d’accordo con lei. Ma anche qui la mia domanda è: lei ad oggi vede questa qualità?
Io la vedo sul lavoro sui sentieri, la vedo nei nostri istruttori, non posso dire però di vederla sempre in tutti gli argomenti che abbiamo citato poco fa, forse ragionare su come modificare convegni, conferenze ecc in un’ottica di apertura e non parlando sempre di noi stessi, chiamando a parlare esperti del settore anche se non sono soci CAI potrebbe essere un argomento su cui riflettere.
Se, nell’articolo, guardate la prima delle due mappe concettuali, quella “CAI dei soci”, vedrete che in basso a sinistra si accenna la tema Rivista (quindi, per estensione, “cultura”). Il candidato si pone il problema se abbia ancora senso, quali alternative, in che direzione (interno/esterno?), valutazione di un’app (?!?) dei soci, ecc. A me viene il sospetto che un’impostazione del genere, probabilmente molto in linea con i tempi attuali della società “liquida” e tecnologica, non sia indirizzata a curare/evolvere la cultura del e nel CAI. Altro che riprendere la Guida ai Monti d’Italia, la cui interruzione fu un vero “crimine” ideologico. Taglieranno tutto il tagliabile, compresi i bibliotecari, bruceranno i libri, con la giustificazione che trasferiranno tutto sul web. Ma allora interroghiamoci: sentiamo l’esigenza di un blog in più? Direi di no. Piuttosto mi pare, anche da vostri vecchi commenti su queste pagine, che si senta l’esigenza di una rivista di qualità. Non solo Rivista: libri, pubblicazioni, mostre, conferenze…. di qualità. Secondo step: assodata la qualità richiesta, su quali temi indirizzarsi? Va bene un tema ambientalistico (e relativa presa di posizione), ma solo se inserito in una generale impostazione “alpinistica”. Infatti avere una sfilza di testi, di conferenze, di tavole rotonde SOLO ambientalistiche NON è finalità del CAI. Temo che, qualora dovessero riprendere in considerazione la Guida ai Monti d’Italia (non ci credo…), la farebbero in versione “ambientalista” e non “alpinista”…
Per spiegare meglio cosa intendo per un CAI “alpinistico”, riprendo alcuni concetti estratti dal commento 7 del post uscito su questo blog in data 9/12/21: https://gognablog.sherpa-gate.com/caai-siamo-un-club-conservatore/
Tal Cristiano, in quel commento 7, asserisce: nel CAI chi pratica l’alpinismo è una minoranza…..Nel senso che al momento il CAI non ha uno spazio per gli alpinisti, se vado in sede, è poco probabile che trovi qualcuno con cui condividere la mia passione per l’apinismo. Gli spazi sono altrove, tipicamente sui social…………….Adesso chi fa alpinismo non ha un punto di riferimento, chi esce dai corsi CAI, o si aggrega spontaneamente o non trova un “nucleo stabile” cui fare riferimento.
Nei giorni scorsi ho definito la comunità CAI del torinese un’isola felice, perché qui si trovano facilmente dei “nuclei stabili di riferimento”, offerti dai vari CAI. Parlo al plurale (nuclei) sia per sottolineare che coprono tutte le discipline (alpinismo classico, impegnativo, scialpinismo, escursionismo, arrampicata, MTB ecc ecc ecc) sia perché molte sezioni, dalle due grandi cittadine a quelle più piccole dell’hinterland, offrono questo “riferimento”. Abbiamo quindi “tanti” nuclei di riferimento. Per questo siamo un’isola felice. Credo dipenda dalla ns tradizione, dal modo di vedere la montagna, dall’attaccamento al CAI o, semplicemente, dal caso… ma cmq siamo un’isola felice. NON è l’unica isola felice CAI sul territorio nazionale, molte altre ne ho viste con i miei occhi, specie (ma non solo) nei grandi centri metropolitani.
IL PUNTO E’: NON CI DEVONO ESSERE DELLE “ISOLE FELICI” SPARSE, CASUALMENTE, QUA E LA’. IL CAI INTERO DOVREBBE ESSERE COSI’, DAL BRENNERO A RAGUSA, DA BARDONECCHIA A GORIZIA. Invece non lo è e soprattutto i vertici NON danno la sensazione di auspicare un suo ritorno a tale impostazione.
Il motivo? Semplicissimo: questione di numeri e quindi di soldi che girano. Un CAI “alpinistico” si ridurrebbe a meno di 100.000 soci nazionali (contro gli attuali 350.000)., forse addirittura sui 50-60.000.
Per i non iscritti un rifugio virtuale web:
https://museodolom.it/
poi fateci sapere a cose fatte!
La mia proposta è raccogliere le domande, sintetizzarle per priorità e sentire le risposte dei candidati confrontandole. Mi pare che su alcuni punti la candidata ritirata fosse stata chiara. Provare non costa. A Torino direbbero in dialetto come penso confermerebbe Crovella “ fa fine e non impegna” ?
Domanda al candidato (alla presidenza): “Se lei fosse nominato presidente quale linea ritiene dovrebbe adottare il Cai di fronte alle proposte di costruzione di nuovi impianti di sci da discesa?”.
Risposta del candidato (per essere eletto): “???⚡??”.
Qualcuno sa dove si possono trovare dati sulle caratteristiche demografiche e non solo degli iscritti al Cai ? GrazieSono d’accordo con chi dice che una trasformazione “ambientalista” farebbe perdere la specificità dell’organizzazione. Però è anche vero che ambiente montano e attività alpine (o meglio diremmo “di montagna” o “in montagna” in altre lingue) sono fin dalla fondazione i due valori cardine del sodalizio. Le attività da un lato le problematiche ambientali dall’altro si sono allargate nel corso del tempo e questo richiederebbe probabilmente un lavoro di aggiornamento della “Missione” originaria e una ridefinizione della Visione per il futuro. Attività che dovrebbe coinvolgere sia la base sociale sia la dirigenza, in vari modi, anche on-line. Penso che il blog potrebbe contribuire al dibattito facendo delle domande concrete ai candidati. Magari ognuno potrebbe proporre le sue e Gogna raccoglierle, fare un lavoro redazionale pubblicando una sorta di 10 domande ai candidati insieme alle risposte. Io faccio la prima che mi viene in mente “ Se lei fosse nominato presidente quale linea ritiene dovrebbe adottare il Cai di fronte alle proposte di costruzione di nuovi impianti di sci da discesa e cosa dovrebbe fare l’organizzazione per adottare comportamenti coerenti nelle diverse realtà territoriali su questo tema? “A proposito di utilizzo di professionisti. Un po’ scherzando ma non troppo non penso che nessun professionista della comunicazione avrebbe mai chiamato qualunque “oggetto” Bide-calogo ?
Caro Marco, il tuo accenno alla Guida dei Monti d’Italia svenduta a due euro mi ha fatto ricordare che anni fa noi avemmo uno scambio di commenti in proposito. Allora stavo ricercando gli ultimi volumi per completare la collezione e tu mi suggeristi di rivolgermi al CAI Milano (o alla Sede Centrale, ora non lo ricordo piú).
Ebbene, ora posso proclamare urbi et orbi (agli urbi e agli orbi ???) che la mia collezione è completata! Si tratta della seconda serie, quella che iniziò nel 1934 col volume sulle Alpi Marittime. Possiedo anche tutti i volumi della prima serie, iniziata nel 1908 con lo storica guida di Giovanni Bobba, anch’essa dedicata alle Alpi Marittime. Mi mancano però cinque fascicoli (non volumi); formalmente fanno parte della collana, ma sono di importanza secondaria e rari quasi quanto la Bibbia di Gutenberg.
… … …
Oltre che per vantarmi con voi, tutto il pistolotto mi è servito anche per ricordare al prossimo presidente generale del CAI che aver cessato la pubblicazione della Guida dei Monti d’Italia è un crimine che grida vendetta. E va pure contro lo Statuto del CAI, sin dai tempi di Quintino Sella.
Signor Antonio Montani, orsú, dia ordine di riprendere la storica Guida e ponga fine al mio dolore!
vero, volevo scrivere alpinismo.
La furia fa nasce i gatti cei.
Io ho lavorato una decina d’anni al CAI Milano come bibliotecario/catalogatore in SBN. Da professionista pagato. Malamente fatto fuori per questioni di soldi che la Sezione non sapeva trovare (nonostante avessi indicato molte soluzioni in merito). Ma tant’è, acqua passata. Una cosa però: basta con questa idea bislacca del volontariato sempre e comunque: per molti ruoli ci vogliono i professionisti, e vanno pagati. A partire dai dirigenti (economici) in giù. Un conto è gestire i sentieri (per altro ci vogliono architetti o ingegneri o geologi, e li paghi eccome), un altro gestire le finanze. Troppe volte nella mia esperienza decennale ho visto “rovinare” molto proprio dai volontari, quando sarebbero serviti dei professionisti. La seconda Biblioteca del CAI d’Italia dopo la Centrale di Torino, con un patrimonio librario di tutto rispetto e ancor più un archivio fotografico da 55.000 immagine (dalle lastre in vetro alle diapositive moderne) lasciato all’abbandono… Una mentalità, mi perdonino tutti, “bigotta” della serie “la cultura non dà da mangiare”. E se penso alle migliaia e migliaia di Guide dei Monti d’Italia svendute a 2 (DUE) euro dalla Sede Centrale mi cadono le braccia. Sulla cultura, il CAI ha sempre fatto tante chiacchiere (come sull’ambiente) e pochi fatti…
@30 Alberto Benassi
mi corre l’obbligo di una precisazione:
fonte: https://www.cai.it/attivita-associativa/ambiente/
In effetti, il BIDECALOGO è un meraviglioso documento (purtroppo da molte sezioni disatteso, si vedano gare/inaugurazione ferrate/ecc…) dove l’ambientalismo è un tema di primissimo rilievo.
Nella tua elencazione poi appare due volte escursionismo e manca l’alpinismo…lapsus calami o freudiano? 😉
Trovo invece decisamente “burocratici” e cavillosi i motivi che hanno portato Lorella Franceschini a ritirare la propria candidatura: peccato!
il CAI non è un’associazione ambientalista, lo scopo del CAI è promuovere l’escursionismo, l’arrampicata, l’escursionismo e relativa cultura della montagna. Poichè queste attività, chi le pratica, dovrebbe avere l’ambizione di praticarle in un’ambiente il più naurale e sano possibile.
Il CAI dovrebbe prendere posizione nella difesa dell’ambiente stesso.
Crovella presidente del CAT ( Club Alpino Torinese )
@25 e chi sta sostenendo il contrario? Non bisogna però girare completamente le priorità, sennò il CAI diventa (come ho argomentato) una delle tante associazioni ambientaliste e smorza la sua peculiarità istituzionale. Inoltre “ambientalismo” significa anche contrapporsi all’eccessiva frequentazione antropica, sennò l’ambiente va a farsi benedire. Più che una questione meramente numerica, è una questione qualitativa. Il CAI dovrebbe essere l’argine istituzionale attraverso il quale si de-cannibalizza la frequentazione della montagna, estendendo a tutti la didattica e diffondendo a tutti la cultura montana. Ma allora occorre scegliere: o si desidera un CAI alla volemose bene e allora viene fuori un bel minestrone tutto “tarallucci e vino” (che voi stessi criticate – spesso su queste stesse pagine – come ambiente “caiano”, amanti di polentate, ecc ecc ecc) oppure torniamo ad un CAI costituito da soci con la mentalità “alpinistica”. Non è una questione di candidato maschio o femmina: è una questione di programmi elettorali. Personalmente me ne posso fare un baffo lungo tre km: tanto, che vinca Tizio o Caio o Sempronio, nel medio-breve qui nell’ambienta CAI del torinese non si verificheranno modifiche profonde. Ciao!
Prima del presidente uscente Torti (lombardo), i veneti hanno già avuto Martini come presidente generale che è succeduto a Salsa (ligure).
Adesso la presidenza aspetta al candidato dei Gruppi Regionali: Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Marche, Abruzzo, Lazio, Sicilia, Calabria, Basilicata ai quali molto probabilmente si accoderanno la Toscana ed Emilia Romagna.
Il candidato veneto ha probabilità di rischiare di essere bruciato?
@ 16 e 24. I maschi temono le donne, gli uomini no.
Per quanto mi riguarda alpinismo e ambientalismo dovrebbero andare a braccetto, nel senso che l’alpinista dovrebbe avere a cuore il rispetto del luogo naturale che gli permette di praticare la propria passione.
Il luogo naturale non può essere visto e trattato come fosse un muro sintetico d’arrampicata.
Lorella Franceschini era candidata alla presidenza generale del CAI, ma per un cavillo interpretativo sul possesso dei requisiti per essere eletto presidente generale, ha dovuto ritirare la propria candidatura; il CAI purtroppo è anche questo!
Ben venga la conidvisione di idee e progetti, ma attraverso un confronto aperto, partecipativo e democratico fra diversi candidati; Francesco Carrer del Veneto si candida (notizia abbastanza fresca); probabilmente molte idee e programmi saranno comuni ai due candidati (basta confrontarli) e allora sarà opportuo valutare il valore umano e morale, le capacità di governo e gestionali, le competenze e le esperienze che i candidati mettono a disposizione; tutto il resto ha un pò il spaore della “falsa democrazia”.
@21 ma stai tranquillo che leggo. Tra l’altro sei tu che dai prova di leggere poco, nel senso che dimostri di non essere al corrente delle mie posizioni (anche qui molto presenti) di difesa dell’ambiente. Ma un conto sono le posizioni personali, di ciascuno, un conto è l’essenza dell’associazione: a livello del CAI se fai un gioco delle tre carte e metti l’ambientalismo al posto dell’alpinismo, come cifra caratterizzante l’associazione, sposti il CAI su un terreno dove esistono già numerosissime istituzioni che, tra l’altro, operano con efficacia e con prestigio. Non è quello il posto del CAI. In ogni caso: volete che il CAI sia sostanzialmente un’associazione di biker (cfr 13) e ambientalisti? Ma per carità, lasciamo pure che si vada in quella direzione. Non lamentatevi, poi, se in “quel” CAI non si parlerà più di alpinismo… Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Saluti!
ah sì sì, se vi piace fate benissimo, ma, poi, non lamentatevi
Che ci sia ancora qualcuno che fa fatica a capire il nesso tra alpinismo e ambientalismo (commento N° 17 – Crovella) nel 2022, deve fare pensare.Le Tesi di Biella sono del 1987, basterebbe fare un piccolo sforzo: leggere.
Invece di sprecare fiumi di inchiostro virtuale per ripetere sempre i soliti 4 concetti, bisognerebbe leggere. Leggere per capire, leggere per fare qualche piccolo passo in avanti rispetto alle proprie granitiche certezze.
Condivido in toto l’intervento n. 13, sarebbe auspicabile una risposta chiara da parte dei candidati, chiara e non in politichese perchè per il CAI è il momento di scegliere ed illustrare chiaramente la strada futura, i soci hanno il diritto di conoscere l’indirizzo primario dell’Associazione a cui aderiscono, per questo non basta un blog o uno schema organizzativo.
Altra domanda, perchè c’è un solo candidato alla Presidenza? Lorella Franceschini si è ritirata ?
Bene che vada pure in quella direzione.
Vorrà dire che si andrà nella direzione opposta. Dal 1979 che ci sono iscritto come socio e dal 1984 come istruttore mica mi ha dato da magnà.
@ 17
Taci tu, che ragioni di pancia!
Purtroppo è nel “buonismo” espresso dal commento 8 che si annida il prerequisito del processo di de-alpinistizzazione del CAI. Se vi piace quell’impostazione, fate bene a perseguirla e a richiederla ai candidati presidenti. Ma poi non lamentatevi (come capita frequentemente, anche su queste pagine) che il CAI non è più quello di una volta, neppure nei risvolti collaterali, quali (a puro titolo di esempio) la Rivista, verso la quale in tempi non lontani avete lanciato strali indemoniati (anche qui), proprio perché non è più “bella” come quella degli anni ’60-70. La stampa sociale, come tutte le altre iniziative complessive, segue le richieste della pancia associativa. Se la pancia va in una certa direzione, questo incide su tutto l’insieme, dalla burocrazia alla stampa ecc.
Il mio candidato ideale per la carica di Presidente Generale è colui che decide di ri-mettere davanti a ogni cosa l’art 1 dello Statuto del CAI (peraltro mai abolito), ovvero: il CAI è una libera associazione nazionale, ha per scopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale. C’è ovviamente un fondo di ambientalismo, cioè di ideologia ambientalistica (ante litteram) anche molto schierata, ma l’ambientalismo NON è l’anima ideologica del CAI. Altrimenti siamo una brutta copia (“brutta” perché appesantita dalle dimensioni mastodontiche) di Mountain Wilderness o di Italia Nostra o della LIPU o di mille altre istituzioni del genere. Se l’ambientalismo diventa l’essenza caratterizzante il CAI, diventiamo una “copia” di istituzioni già esistenti. Per caratterizzarci dobbiamo mantenere una nostra identità particolare che è, appunto, l’ “alpinismo”, non l’ “ambientalismo”. Preciso a scanso di equivoci che per “alpinismo” non intendo solo arrivare in cima per un itinerario di VI grado, ma tutto un insieme di componenti, anche culturali, storiche e tecniche (compresa la didattica). “Alpinismo” è una categoria ideologica.
Io mi considero fortunato, come ho già raccontato, perché la realtà del CAI a Torino è un’isola felice: c’è una sostanziale mentalità “alpinistica”, tra l’atro in una comunità CAI rilevante come dimensioni (due sezioni cittadine da 3.000-3.500 soci l’una, più tutte quelle dell’hinterland, con molti soci che in realtà risiedono nel territorio del capoluogo: credo si arrivi ben oltre i 10.000, forse ci si avvicina ai 15.000 individui). Da ciò deriva una nostra impostazione molto marcata: scuole importanti, nei diversi campi, personaggi di spicco, attività (sia sociale che individuale) di rilievo, propensione culturale e sociale (sempre collegata alla montagna) molto viva. Devo dire che la comunità del CAI a Torino è proprio degna di nota: mi piace farne parte. Ovviamente Torino non è l’unica realtà italiana “positiva”, ce ne sono anche molte altre, sul territorio nazionale. Ma la grande pancia del CAI è indirizzata in un’altra direzione. E’ quello il problema. E chi vuole governare l’insieme non può non tener conto delle esigenze della grande pancia del CAI e quindi si va in quella direzione.
IL BLOG PER PAR CONDICIO DOVREBBE OSPITARE ANCHE LA CANDIDATA DONNA (FRANCESCHINI).
PURTROPPO NELL’APERTURA DELL’ARTICOLO NON E’ STATA NEMMENO NOMINATA!
CIO’ RIVELA L’ARTICOLO ESSERE UNA INFORMAZIONE QUANTO MENO VIZIATA ED ESCLUSIVAMENTE E CHIARAMENTE DI PARTE CHE FAVORISCE UN SOLO CANDIDATO A CUI E’ STATO CONCESSO LO SPAZIO SU QUESTO BLOG.
altra domanda.
In quale considerazione terrà il CAI le proprie scuole di alpinismo/sci-alpinismo, arrampicata ect. e soprattutto gli istruttori?
Gli istruttori saranno considerati un valore, un PATRIMONIO del CAI , quindi difendere.
Chiaramente le responsabilità sono sempre personali, ma gli istruttori, che: mettono a disposizione a gratis il proprio tempo libero, la propria attrezzatura, i propri mezzi, rischiano in proprio dal momento che si mettono nelle mani di un allievo, sono o non sono un patrimonio del CAI?
Perchè quello che si percepisce non è proprio così e quindi: arriverderci e grazie perchè quello che conta soprattutto è il numero degli iscritti?!?!?
Grazie, Fabio Bertoncelli!
Porrei una domanda al signor Mantani.
Il Cai per mantenere alto in numero di iscritti ha dato spazio alla bicicletta e altro di limitrofo.
La modalità bici collide con la modalità escursione a piedi.
La bici dissoda il terreno e demolisce opere d’arte montanara.
In tutto ciò – e non solo per le bici – fa da sfondo la montagna come campo di gioco, di consumo del tempo libero, dell’attività verde quindi migliore di altre e perciò scevra da critiche. Il risaltato è tutto nel momento, condiviso tra filosofia del Cai e suoi iscritti, che sta nel concetto di merce.
È consapevole ill Cai di tutto ciò?
Vuole mantenere gli iscritti e basta o ritiene politica primaria e identificatoria di sé avviare un processo culturale nei confronti della formazione degli istruttori tutti affinche la montagna divenga valore di per sé e non più oggetto di consumo?
Questa sarebbe una svolta, un fatto culturale italiano significativo. Assai più che darsi da fare per mantenere alto il numero dei tesserati e morta lì.
So che non è solo così che si può concludere. Ma per chi vuole intendere c’é da intendere.
Per dettagli vedi Guido dalla Casa.
Intanto grazie ad Alessandro che ha voluto concedermi questo importante spazio, e poi grazie a tutti quelli che hanno voluto commentare. Alla fine il CAI suscita sempre interesse, anche a chi lo vorrebbe diverso da quello che è, magari più giovane, più dinamico, più aperto al cambiamento e al passo con i tempi. Io sono tra quelli, ma lo sono proprio perché sono innamorato di questa associazione, ne conosco tutte le potenzialità i valori e anche i limiti. La grande forza del CAI sono le sezioni, il resto dovrebbe esistere solo per agevolarne il lavoro sul campo che è tanto.
Ho letto i commenti e in ognuno di essi c’è una verità. Dal fatto che il CAI non è più un’associazione di alpinisti, o meglio solo di alpinisti, ma cos’è l’alpinismo oggi rispetto solo a trent’anni fa? Quanto è cambiato? Dove sono i luoghi di dibattito sul futuro dell’alpinismo? Ma poi, siamo così sicuri che quarant’anni fa o più le nuove tendenze nascevano e si sviluppavano dentro il CAI?
La partecipazione, la condivisione ha momenti che devono essere importanti, seri e concreti, poi c’è un momento in cui chi ha la responsabilità deve decidere e assumersi le proprie responsabilità.
Il CAI se vuole essere davvero d’aiuto alla montagna (altrimenti detta “terre alte”, ma per favore non “Aree marginali”) deve farsi carico di occuparsi seriamente, convintamente di ambiente e sostenibilità, di socialità, di amore e di bellezza. Non basta più promuovere la frequentazione, è necessario intervenire nei processi decisionali per far valere la voce di chi ama la montagna, siano essi cittadini o alpigiano.
Spero di leggere ancora molti contributi, che reputo utilissimi per la riflessione e di poter di nuovo intervenire.
Grazie
A parte equiparare gli istruttori nazionali alle guide alpine (come le sarà venuto in mente?), collaborare con Pegliasco, dire tutte le cose che l’utente medio della montagna vuole sentirsi dire, una donna presidente del Cai sarebbe, in ogni caso, una mossa vincente. Perché anche la peggiore delle donne ha capacità dirigenziali superiori al migliore degli uomini. Se questa Franceschini va al potere convinta: non ce n’è più per nessuno! Speriamo accada.
Poi, come anche lei ha specificato, ci penserà la burocrazia da brontosauro a riportare tutto com’era, nonostante le migliori intenzioni, ma intanto l’egemonia di 48 presidenti maschi sarà stata ribaltata. Bella lì e tanti auguri.
https://www.dire.it/23-10-2021/679864-montagna-per-la-prima-volta-una-donna-corre-per-la-presidenza-del-cai/
Ma c’è anche una donna che corre per la presidenza?
Se ci fossero piú persone sagge come Guido Dalla Casa, il CAI sarebbe migliore, il mondo dell’alpinismo sarebbe migliore e anche l’Italia sarebbe migliore.
Sono socio del CAI dal 1947, quando avevo 11 anni. Ho quindi totalizzato, con quest’anno, 76 bollini. Sono stato iscritto a diverse Sezioni: Bologna, Milano, Torino, Vercelli, poi ancora Milano. Il Presidente uscente mi ha scritto una graditissima lettera per questa mia anzianità di Sodalizio. Quante cime, escursioni, traversate! Ora gli anni si fanno sentire. Segnalo qui come vedrei il CAI del futuro, con alcuni indirizzi generali che, a mio parere, dovrebbe prendere l’Associazione:
– Dedicarsi soprattutto alla protezione della Natura alpina;
– Opporsi ad ogni tipo di impianti cercando di contrastare la diffusione dello sci da discesa e di altre attività “industrializzate”;
– Avvicinarsi alle posizioni dell’Ecologia Profonda e di Mountain Wilderness, ricordando che i maggiori esponenti dell’Ecologia Profonda erano anche appassionati di montagna: lo stesso “fondatore in Occidente”, il filosofo norvegese Arne Naess, che ha trascorso una parte della vita nel suo rifugio di Tvergastein, è stato un alpinista, avendo salito il Tirich Mir nel 1950;
– Vedere l’ascensione soprattutto come integrazione nella Natura alpina a quota più alta;
– Tendere ad abolire ogni spirito di competizione nell’alpinismo, come dovrebbe essere anche nelle altre attività umane;
– Favorire, non solo in senso economico, i piccoli insediamenti ancora esistenti sulle Alpi e sugli Appennini, ricordando che, nei momenti difficili, di solito la salvezza si è trovata fra le montagne;
– Diffondere, soprattutto fra i giovani, le idee sopra elencate.
Non vorrei esser frainteso: io non sono “contro” il CAI. Anzi. Sono nato in una famiglia in cui “andar in montagna” e “partecipare attivamente al CAI” sono due concetti indissolubili: non esiste andar in montagna senza far parte attivamente del CAI. Far parte non significa semplicemente essere iscritti, pagar la quota, beneficiare della copertura assicurativa, ecc ecc ecc. Cioè far parte del CAI non è una posizione passiva, di chi aderisce ad una piattaforma di servizi, paga una quota annuale (al limite specifiche quote su specifiche iniziative, es iscrizione a un determinato corso), sfrutta i relativi servi e poi… buona notte al secchio. Far parte significa costruire la crescita di un interesse comune, coltivarlo, dialogare e, nel dialogo/condivisione, arricchirsi reciprocamente. Il punto è: qual è, oggi, l’ “interesse comune” che aggrega la maggioranza dei 350.000 soci CAI? Non è più quello alpinistico, laddove non intendo attività “estrema” ma anche di livello medio, purché animata da un certo tipo di humus ideologico. L’interesse comune è quella della piattaforma di servizi. Servizi che possono essere i più disparati, dalle gite sociali al coro di montagna alla polentata collettiva. si riceve la newsletter, si aderisce al servizi, si paga il prezzo e via andare. Io lo chiamo l’andazzo da tram. Chi sale su un tram cittadino, mica lo fa per partecipare alla costruzione di una “casa ideologica” comune. Lo fa perché deve andare in un certo posto e il tram lo porta lì. Il tipo sale, paga il biglietto (almeno quello!), sta in silenzio in una carrozza piena di altri tipi come lui, alla sua fermata scende e… buona notte al secchio.
A spanne gli alpinisti (cioè i soci con la mentalità alpinistica come la intendo io) totali all’interno del CAI raggiungono il numero di 50.000 a livello nazionale (su 350.000): ecco perché il CAI si rivolge ad “altri” obiettivi, perché i 6/7 dei suoi soci vuole “altro”. Avrebbe senso tornare ad un CAI di “soli” alpinisti? In linea teorica sì, ma dovremmo selezionare ideologicamente gli iscritti, ipotesi improba, anche perché la “macchina” è diventata così complessa che richiede una marea di risorse (innanzi tutto finanziarie, ma non solo) che con 1/7 del totale dei soci non metteremmo insieme. Troppi interessi economici ormai “spingono” verso gli “altri” obiettivi”. Da questo punto di vista, che il Presidente Generale si chiami Torti (quello uscente) o Montani o Carrer non cambia proprio nulla. Speriamo almeno che la “macchina organizzativa” continui a funzionare senza intoppi, almeno quello. In conclusione, rivolgo cmq un in bocca al lupo al Presidente entrante, chiunque sia, perché l’attuale società (in cui siamo condannati a vivere) è diventata così complessa e stritolante che gestire una organizzazione complessa come il CAI è un ‘impresa davvero titanica.
In una situazione di disgregazione della società civile e di tendenziale scomparsa dei cosiddetti “corpi intermedi”, un’organizzazione con 350.000 iscritti (più di quelli di un partito politico), con discrete risorse, un esteso radicamento territoriale, con una qualche vita sociale, la presenza al suo interno di persone con ruoli anche importanti nella società e una discreta disponibilità al volontariato ambientale è potenzialmente qualcosa di interessante. Ovviamente se ben guidata e con una solida piattaforma di valori tradizionali/moderni sulle terre alte e sull’ambiente “outdoor”, magari ampliati rispetto a quelli più ristretti della cultura “alpinistica” in senso stretto. Non sarebbe una potenzialità da buttare. Non conosco bene l’organizzazione e non so se il CAI così come messo oggi può sviluppare questa potenzialità. Nello specifico, trovo corretto aprirsi ad una prospettiva social, ma senza far sparire quella poca socialita’ in presenza che ancora rimane (almeno così vedo qui da me). C’è il rischio di virare troppo verso una dimensione virtuale blog e noi qui ne vediamo i grossi rischi e pericoli, solo in parte contenuti dalle regole formali di comportamento.
Ben venga la volontà di coinvolgere più Soci in tutte le forme possibili. Abbiamo bisogno di idee fresche e di capire le difficoltà esistenti nell’ intercettare la domanda di montagna che in questi anni, complice la pandemia, è aumentata, spesso al di fuori della nostea organizzazione. Quindi partecipazione e programmi rivolti ai giovani (di non facile identificazione).
Anche questi, che sostengo da 44 anni, sono alla Macedonia, da un bel po’.
Il problema non è nei candidati, ma nello spirito che anima , oggi, l’intera associazione del CAI. Non voglio riscrivere una lunga tiritera che ho pubblicato come commento ad un articolo di Manera sul CAAI, di cui allego anche il link. A seguire la tiritera. Il succo è che, da 20-30 anni, il CAI non è più il club degli alpinisti, o meglio non è più il club dei “soli” alpinisti, ma è l’associazione degli appassionati di attività varie che si svolgono in montagna. Da questa differenza parte tutto il resto. La pancia del CAI è volta in una direzione che noi “alpinisti (estremi come Ugo o medi come in sottoscritto) non riusciamo neppure a capire fino in fondo, figuriamoci a condividere. Di conseguenza è quasi irrilevante se vince il candidato A p quello B, se sarà un uomo o una donna, se la sede centrale riuscirà o meno ad interagire con i singoli soci tramite blog o quant’altro. Il punto è che il CAI nel suo insieme è profondamente cambiato. Ciò non toglie che esistano isole felici, dove la mentalità “alpinistica” (anche a livelli medi) resta ben salda. Io mi considero fortunato perché le due sezioni torinesi (le frequento entrambe) conservano ancora una genuina mentalità “alpinistica”. Si “respira” montagna alpinistica che sia con gli sci o senza, di VI o di III grado, con i ragazzi o con gli evergreen, d’estate o d’inverno. Vai al Monte dei Cappuccini, così per caso, e trovi Manera o Giorda o Mellano (vecchio leone della montagna) o i mille scialpinisti con le pelli già attaccate sotto agli sci… Ma , qui a Torino, noi siamo fortunati. Probabilmente esistono molte altre isole felici. Però il CAI nazionale non è più così, cioè “guarda” ad altro. Parlo proprio della pancia, degli iscritti. I soci vogliono “altro” e chiaramente i candidati vanno dove li porta la ricerca del consenso…
https://gognablog.sherpa-gate.com/caai-siamo-un-club-conservatore/
Cerco di dare una risposta obliqua, che coinvolge in primis il Cai nazionale. Io sono molto affezionato al Cai, per impostazione famigliare. Per me “andare in montagna (cioè alpinismo)” e “far parete del Cai” sono due facce della stessa medaglia. Far parte del Cai significa non solo essere iscritto, ma contribuire, come istruttore/direttore di corsi/scuole, consigliere, ispettore dei rifugi, oratore in tavole rotonde/conferenze ecc. Quando ero ragazzino i concetti “Cai” e “praticare alpinismo” coincidevano perfettamente. Nei decenni si sono allontanati e, oggi , il Cai non è più il Club degli alpinisti, ma l’associazione degli appassionati di discipline sportive che si praticano in montagna: MTB, corsa, torrentisti, falesisti ecc. Nulla da eccepire sulle attività, semplicemente hanno spostato il baricentro del Cai. Si sa che il Cai intero vanta circa 350.000 soci . Non ho statistiche oggettive, ma a sensazione una bella fetta (io dico 200-250.000) non possiede “corda-imbrago-piccozza-ramponi”. In parole povere: non sono alpinisti, ma frequentatori della montagna. La pancia del Cai è ormai andata in quella direzione e si sposterà sempre di più verso quegli iscritti.
E perché no una donna presidente?
Iniziativa lodevole, nelle intenzioni. Ma se guardiamo ai casi noti in politica si tratta dell’anticamera del caos, la crisi dichiarata della leadership. La base sociale dovrebbe dettare direttamente la linea, anziché esprimere candidati che ne sposino le idee… Mah?
Unico candidato, la dice lunga su cosa sia la partecipazione oggi: scrivere su un blog…