La prima invernale al Diedro Casarotto dello Spiz di Lagunàz

Oggi, 31 dicembre 2019, cade il trentennale di una salita importantisima, la prima invernale del Diedro Casarotto allo Spiz di Lagunàz (Pale di San Lucano). La ripresa di questo articolo è in onore e memoria dell’amico Giorgio Anghileri, deceduto appena 26enne a Civate (LC) in un incidente stradale. Mentre si allenava in bicicletta con altri due compagni è finito contro un’autocisterna che stava rallentando. E’ morto sul colpo. Era il 30 maggio 1997.

La prima invernale al Diedro Casarotto dello Spiz di Lagunàz
(27-31 dicembre 1989)
di Riccardo Milani
(pubblicato su Uomini e Sport n. 25, ottobre 2017)

Tutti sappiamo che concretizzare un grande sogno, tenuto a lungo nel cassetto, è qualcosa di bello e unico. Poi, quando ciò si rivela un’affascinante avventura ricca di emozioni, paure, fatica, ci si fa consapevoli che qui si è arbitri di se stessi, riconquistando il proprio valore umano: gioia di essere alle soglie di un’avventura da tempo sognata, ostinatamente voluta e preparata e ora pronta per essere vissuta.

Giorgio Anghileri

Dolomiti, gruppo delle Pale di San Lucano, diedro Casarotto allo Spiz di Lagunàz. Tradotto in cifre: sviluppo di 1600 metri circa di parete, di cui 800 di zoccolo e il resto V, V+, VI, VI+, VII-, VII+. Poi una lunga e complessa discesa sul versante nord: la porta d’uscita da questo sogno. Il tutto in cinque giorni e sei notti: ma le sensazioni vissute e gli stati d’animo provati ci accompagneranno per tutta la vita. Sicuramente non sarà una salita che sommeremo alle altre.

I protagonisti: siamo in tre, Giorgio Anghileri, anni 20, Manuele Panzeri, anni 19, Riccardo Milani, anni 21, alternati, tutti appartenenti al gruppo alpinistico lecchese Gamma.

È il 27 dicembre quando partiamo dalla locanda di Col di Prà 843 m. Sulla porta a salutarci ci sono sempre loro: Mauro, Ester ed Elso Benvegnù (il Capitano). Li conosciamo da anni, da quando, in estate, veniamo in campeggio in questa meravigliosa Valle di San Lucano. Noi li sentiamo come secondi genitori, gente semplice, che sa trasmetterti il suo affetto e farti sentire a casa tua nella loro casa. Durante la colazione i nostri sguardi e gesti sono freddi. Loro con qualche battuta cercano di diminuire questa tensione, anche se i nostri pensieri sono altrove. Per tre quarti di zoccolo ci accompagnano due papà, Aldo Anghileri ed Ernesto Panzeri, aiutandoci anche a portare il materiale. Ci incamminiamo nella fitta nebbia, e un freddo pungente ci porta a pensare ai bivacchi che ci aspettano in parete.

In arrampicata (estiva) sul Diedro Casarotto allo Spiz di Lagunàz

Dopo cinque ore circa di cammino i due ospiti del nostro sogno ritornano a valle. Questa divisione crea ancora maggior tensione in Giorgio e Manuele. lo, a questo punto, rimango un po’ in disparte, anche se dentro ne sono partecipe. Durante il cammino erano riusciti a farci ridere e divertire, come se non fossimo lì, in quell’ambiente un po’ tetro. Noi risaliamo ancora per un centinaio di metri per poi svoltare l’angolo e, continuando per una cengia, arriviamo all’inizio vero e proprio della parete. I nostri sguardi vanno subito verso l’alto, alla ricerca della via, nel grigio della roccia. Trovandoci all’interno del Boràl di San Lucano, una gola profonda centinaia di metri, tra pareti alte quasi duemila metri, ci sentiamo per un attimo immersi in un mare di calcare. Mai i nostri occhi, in tutte le Dolomiti, hanno potuto vedere un ambiente selvaggio e opprimente come questo. Riusciamo anche ad attrezzare i 150 metri iniziali, poi ci infiliamo nei sacchi: il bivacco, anche se comodo, non è mai come il letto di casa.

È il 28 dicembre: oggi il primo di cordata è Manuele, noi due seguiamo imprecando, dato che abbiamo sulle spalle zaini enormi. Ogni tiro difficile è seguito dal recupero degli zaini troppo pesanti, così il buio ci sorprende ancora in basso rispetto a dove volevamo bivaccare. È una piccola cengia di tre metri per uno: ma nonostante il poco spazio, riusciamo a dormire.

Manuele Panzeri

È il 29 dicembre: oggi il primo di cordata è Riccardo, e proprio durante il superamento di difficoltà elevate e manovre di recupero, ci rendiamo conto delle capacità tecniche di Casarotto, il primo salitore che, nel 1975, superò passaggi estremi in libera, calzando ancora gli scarponi, mentre noi, nonostante il freddo calziamo le scarpette. Il buio ci sorprende all’inizio del diedro. Lo si vede quasi tutto: dritto e verticale sale verso il cielo, 400 metri sopra di noi. Pensiamo che ogni alpinista, nel vederlo, ne rimarrebbe incantato come noi. Nel buio cerchiamo… l’hotel assegnatoci dall’agenzia per pernottare. Non lo troviamo, così ci caliamo 50 metri, su un piccolo spiazzo, dove, martellando sassi per cinque ore, riusciamo a ricavare un dignitoso posto da bivacco, in mancanza di meglio. Ci addormentiamo stanchi, con la contentezza di esserci lasciati dietro i tiri più duri.

È il 30 dicembre: oggi tocca a Giorgio condurre le operazioni. Verso le sedici il diedro è superato: i tiri, uno più bello e particolare dell’altro, però se li è goduti solo lui, maledetto, poiché noi due dietro risaliamo con le maniglie jumar (dispositivo meccanico che consente di salire lungo una corda con azione manuale: tipo di autobloccante che si apre nel movimento di salita, ma che blocca quando viene caricato il peso, NdR) e con quei maledetti zaini – ah, le comodità… Davvero eccellente l’hotel, una grotta: sul fondo sabbia finissima, che materasso stanotte!

Riccardo Milani

È il 31 dicembre. Dopo tre lunghezze siamo in cima. La felicità ci ha fatto superare questi tre tiri velocemente: sono le 9.30. Una semplice stretta di mano, le ultime due foto, e poche parole: ognuno di noi si guarda attorno chiuso in se stesso. Un solo pensiero ci unisce: la discesa. Nasce una discussione circa la posizione del nord e dell’ovest. Al primo pino mugo buttiamo la prima corda doppia. Ne seguono altre, sperando di aver imboccato la discesa giusta. Il terreno si fa più insidioso. Dobbiamo risalire per arrivare in cima a una torre da dove dovrebbe iniziare la discesa, ma la torre non è quella giusta. Giorgio supera due tiri su roccia friabile e con neve, con il buio che ci insegue. Arrivati in cima alla vera Torre di Lagunàz, effettuiamo quattro calate al buio, abbastanza allucinanti e finalmente rimettiamo i piedi in terra dopo cinque giorni. Risaliamo un pendio nevoso di circa 200 metri, poi, nuotando nella neve, cerchiamo di capire da dove diavolo si scenda. Siamo stanchissimi: la bocca secca e impastata. L’acqua è finita e così pure il cibo: ci dissetiamo mangiando neve. Nel buio non si riesce proprio a trovare la discesa, poiché la neve rende tutto uguale. Si parla di bivaccare ancora una volta, sotto un grosso masso. Alla parola “bivacco” (e sarebbe il quinto…) a Giorgio spuntano le antennine: scende per 30 metri e nel suo “ravanare” trova la catena della ferrata, lungo la quale, dopo alcune ore raggiungiamo la forcella. Da qui in poi la discesa la conosciamo bene. Sono le 23.45 del 31 dicembre: si sentono i primi botti, in fondo si intravedono le luci di Alleghe. Siamo esausti. Continuiamo a scendere nei boschi. Mancano cinque minuti a mezzanotte quando troviamo una grande fontana. Festeggiamo l’anno nuovo anche noi: acquaaaa, e quanta, invece di champagne! Alle due, mentre tutti festeggiano, arriviamo a Col di Prà. L’accoglienza è grande, come il nostro entusiasmo in queste ore di festa con gli amici più cari. Il nostro sogno sembra finito, svanito nel nulla. Ritornati a casa, nei primi giorni ricordando soprattutto i passaggi, i momenti che ci sembra ancora di rivivere, col tempo focalizziamo le più piccole sfumature dell’essere umano a confronto di quest’avventura vissuta intensamente. Quando siamo partiti, tutti e tre ritenevamo fosse importante rimettere a nuovo certe sensazioni che si provano solo nello sforzo considerevole di tempo, di energie fisiche e mentali, arrampicando immersi in un ambiente ostile e isolato, dove si può contare solo su se stessi. Ma adesso, col trascorrere del tempo, ci accorgiamo invece di esserci anche arricchiti e migliorati sia sotto l’aspetto umano che quello sportivo. Consolidando insieme una relazione salda e duratura, una grande amicizia fra compagni d’avventura, tre ragazzi quasi coetanei, forse un po’ troppo sognatori.

La parete ovest dello Spiz di Lagunàz con il suo mirabile diedro, dalle Cime del Van del Pez. Foto: Ettore De Biasio.

Appunti
(sulla parete ovest dello Spiz di Lagunàz 2338 m, diedro Casarotto, inquadrato nei suoi aspetti tecnici, geografici e storici)

Dislivello: 1350 m (di cui 600 m di zoccolo);
23 lunghezze;
Difficoltà: V+, VI, tre brevi tratti di Vl+, un passaggio di VII- e due brevi tratti di A1 (oppure VII+);
prima salita: Renato Casarotto e Piero Radin, dal 7 all’11 giugno 1975;
seconda salita e prima solitaria: Lorenzo Massarotto, dal 10 al 12 luglio 1982;
terza salita: Loris Del Col e Sergio Matten, 30 e 31 agosto 1988;
quarta salita: Fausto Conedera e Serge Duffau, dal 17 al 19 agosto 1989;
quinta salita e prima invernale: Giorgio Anghileri, Riccardo Milani e Manuele Panzeri, dal 27 al 31 dicembre 1989;
sesta salita (prima in giornata): Daniele Costantini e Gianni Del Din; Stefano Santomaso e Paolo Zasso, 14 agosto 1990;
settima salita: Marco Anghileri e Lorenzo Mazzoleni, 25 e 26 giugno 1994.

Il diedro Casarotto allo Spiz di Lagunàz è stato salito per la prima volta nel 1975 dal mitico Renato Casarotto e Piero Radin, entrambi vicentini. L’impegno richiesto per affrontare la via è confermato da Gino Buscaini, che nelle sue Cento più belle delle Dolomiti Occidentali la considera la prima in ordine di difficoltà complessiva. Buscaini assegna alla salita una valutazione di ED+, con punte di VII-. Pur non trovandosi in alta quota, il diedro Casarotto è considerato una salita ardua. L’avvicinamento lungo e faticoso, la discesa dai connotati epici, che attraversa guglie sperdute e ancora poco esplorate, la lunghezza dell’itinerario e la difficoltà ne fanno una delle vie alpinistiche più importanti delle Dolomiti.

Riccardo Milani (a sinistra) con Mauro Bubu Bole

È una salita dove il grande isolamento in cui ci si sente immersi, consente di provare una sensazione che si percepisce subito, già durante l’avvicinamento un po’ complicato. La via è tecnicamente impegnativa, con arrampicata molto bella ed elegante. La si può dividere in quattro parti distinte: i primi tiri, in pratica sul facile dove la roccia non è tanto bella: non si deve però sbagliare. Queste lunghezze conducono alla fascia gialla e strapiombante dove l’arrampicata diventa difficile. Levigate ma solide placche con tratti in traverso, più articolati ma friabili, portano ad un provvidenziale spigolo grigio che permette l’accesso al grande desiderato diedro. Lo si sale con una arrampicata tecnica ma insidiosa, per diverse lunghezze che richiedono largo uso di protezioni veloci per niente facili da inserire. Con la quarta parte, per placche e diedrini di roccia solida articolata e di moderata difficoltà, si arriva in vetta. Da un mugo sulla cima comincia un’altra via: la discesa. Occorrono sei doppie per scendere ad una forcella tra lo Spiz e la Torre di Lagunàz. La sella che divide le due torri è l’unico punto di “sbarco” circondata da profondi canali pericolosi e impercorribili: i cosiddetti Boràl. Con sei tiri di corda, si risale la Torre di Lagunàz e sono poi altre quattro complicate calate, sempre fra strapiombi, che depositano sulla “terra ferma”. Ora finalmente si cammina: prima si sale a una spalla, poi alcune rocce e placche, poi un sentiero poco visibile che, inoltrandosi nei boschi sottostanti, diventa più bello e precipita a valle fino a raggiungere la strada asfaltata di Valle San Lucano.

La prima invernale al Diedro Casarotto dello Spiz di Lagunàz ultima modifica: 2019-12-31T05:38:45+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “La prima invernale al Diedro Casarotto dello Spiz di Lagunàz”

  1. Per correttezza storica: la discesa durante la salita invernale del 1989 fu effettuata seguendo le Creste di Milarepa (la classica discesa dallo Spiz di Lagunaz) come ben descritto nell’articolo. Lo posso dire con certezza perché ricordo che durante la nostra ripetizione nell’estate sucessiva non abbiamo trovato nessuna sosta nella via, c’erano solamente i chiodi di passaggio lasciati da Casarotto e Radin più qualcun altro ma poca roba, Una dozzina in tutta la via circa. La discesa lungo la via è stata effettivamente preferita da Marco Anghileri dopo la solitaria del Diedro dei Bellunesi, per il peso eccessivo del suo materiale mi disse Marco. Oggi la discesa sulla via  visto il materiale in parete è senz’altro possibile anche se credo non sia cosa per tutti. 

  2. per Dino M: guarda che gli articoli di opinione e i récit d’ascension (o similari) sono due generi che non vanno assolutamente confusi.
    Come pensare di mescolare, su un quotidiano,  un editoriale con un articolo di cronaca. Entrambi ricoprono una separata funzione informativa.

  3. Drugo, solo per creare curiosità e provo ancora.
    Giorgio era sceso dove era salito, anche Marco era sceso da lì dopo il bellunesi ricordandosi del fratello, gli altri avevano fatto il giro solito.
    Le storie sono tante e sarebbe bello conoscerle tutte.
    Purtroppo alcuni di loro non possono più raccontarle.

  4. Si paolo.
    Ma cosa c’entra?
    Da primavera a tardo autunno ne salgono ancora di più.

  5. La descrizione fatta dai salitori, bella, semplice, asciutta e priva di retorica conferma che i forti sono semplici e modesti. A loro non è necessario autoincensarsi; i fatti parlano per loro.

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