La rinuncia alla comunicazione satellitare

La rinuncia alla comunicazione satellitare
di Michele Comi
(pubblicato su LinkedIn il 15 ottobre 2021)

Poco fa, nell’ambito di MountLab – servizi professionali per la montagna, ho declinato l’ennesimo invito a comparire su una delle tante piattaforme di “vendita” di attività outdoor in circolazione. Si tratta di strumenti certamente efficaci e ben costruiti, ma l’idea di ritrovarmi in uno sterminato supermarket di attività ludico ricreative, accanto a escursioni a motore di ogni genere e altre decine di attività tutte indistintamente “adrenaliniche”, perfette per qualsiasi occasione, mal si combina con il mio modo d’andar per monti.

Al posto d’inseguire il mirabolante “marketing multiavventura” vorrei ricordare ai compagni di cordata, vecchi e nuovi, di cosa occorre essere informati prima di ogni salita…

Consenso informato
Dichiaro/a di essere stato/a informato/a in modo comprensibile ed esauriente rispetto al fatto che:

– 𝗮𝗻𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗻𝘁𝗮𝗴𝗻𝗮 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗽𝗮𝘇𝗶 𝗱𝗲𝗻𝘀𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗶𝗰𝗼𝗹𝗶, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲 𝗻𝗼𝘁𝗶 𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗿𝗶𝘀𝗰𝗵𝗶 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗰𝗶𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝘃𝗮𝗹𝘂𝘁𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶, 𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗶𝗻𝗱𝗶𝘃𝗶𝗱𝘂𝗮𝘁𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘂𝗻𝗶𝗰𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗹𝘃𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗲 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮𝘁𝘂𝗿𝗲;

– 𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗲𝘇𝘇𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹’𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝘃𝗲𝗱𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗲̀ 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻𝗲𝗹𝗶𝗺𝗶𝗻𝗮𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗮𝗺𝗯𝗶𝗲𝗻𝘁𝗶 𝘀𝘂𝗴𝗴𝗲𝗿𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗯𝗮𝘀𝘁𝗮 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗴𝗶𝘂𝘀𝘁𝗮 𝗶𝗻 𝗼𝗴𝗻𝗶 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗼𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗮. 𝗣𝘂𝗼̀ 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗵𝗲 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲, 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗽𝗶𝗰𝗰𝗼𝗹𝗼, 𝗽𝗼𝗿𝘁𝗲𝗿𝗮̀ 𝗮 𝗳𝗮𝘃𝗼𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝘃𝗲𝗿𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝗿𝘀𝗶 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗼𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝘃𝗶𝘀𝘁𝗮;

– 𝗹𝗮 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮 𝗡𝗢𝗡 𝗲̀ 𝗶𝗹 𝗴𝗮𝗿𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗶𝗰𝘂𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮, 𝗺𝗮 𝗶𝗹 𝗴𝗲𝘀𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗿𝗶𝘀𝗰𝗵𝗶𝗼;

– 𝗹’𝗶𝘁𝗶𝗻𝗲𝗿𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗽𝘂𝗼̀ 𝗮𝘁𝘁𝗿𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗽𝗮𝘇𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝗰𝗼𝗽𝗲𝗿𝘁𝗶 𝗱𝗮 𝗿𝗲𝘁𝗲 𝗰𝗲𝗹𝗹𝘂𝗹𝗮𝗿𝗲, 𝗹’𝗮𝘀𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗶 𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗳𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗲𝘀𝗽𝗲𝗿𝗶𝗲𝗻𝘇𝗮, 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗡𝗢𝗡 𝗮𝗱𝗼𝘁𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗺𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗮𝘁𝗲𝗹𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗱’𝗲𝗺𝗲𝗿𝗴𝗲𝗻𝘇𝗮, 𝗺𝗮 𝗰𝗶 𝗿𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗮𝗹𝗹’ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗹𝗹𝗶𝗴𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗰𝗮𝘂𝘁𝗲𝗹𝗮, 𝗮𝗹 𝗿𝗶𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗲𝗿𝗶𝗰𝗼𝗹𝗶 𝗲 𝗽𝘂𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗽𝗿𝗲𝗽𝗮𝗿𝗮𝗿𝘀𝗶 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝘃𝗶𝘀𝘁𝗶.

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La rinuncia alla comunicazione satellitare ultima modifica: 2021-11-07T05:07:00+01:00 da GognaBlog

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36 pensieri su “La rinuncia alla comunicazione satellitare”

  1. Benassi. Sono d’accordo. Francamente,  pur  nel mio auto-imposto ottimismo, ciò che mi fa più pensare è proprio il narcisismo della società dei selfie, che non l’uso delle tecnologie per garantirsi un maggiore margine di sicurezza. Il secondo corrisponde ad un istinto umano di autoprotezione, che può più facilmente trovare un equilibrio rispetto al desiderio di mettersi in gioco. Il primo rischia di rendere le persone dipendenti dall’approvazione sociale e quindi più fragili nell’accettare la frustrazione e il rifiuto. Sono convinto che tantissime persone si portano il cellulare in montagna per farsi le foto da pistate più che per orientarsi e per sicurezza. Guarda Facebook. Ha volte provo imbarazzo per persone che conosco e stimo. Passi per i ragazzini ma parliamo di persone adulte e mature. Sembra che tutto sia rappresentazione per un pubblico sempre presente, anche nei momenti più privati e che trovi il suo valore proprio in questa rappresentazione più che nel contenuto in se stesso.

  2. Roberto è chiaro che ci dobbiamo assumere le proprie responsabilità, ma per la maggioranza di oggi sei un matto.
    “Vai in montagna senza il cellulare…?!?!?!?”
    “E come fai ?!?!?”
    Non si riesce a concepire che per andare in montagna non serve il cellulare ma la voglia di faticare e di mettersi in gioco.
    Poi se lo porti è un’arma in più, una possibilità in più, ma non è indispensabile.
    Oddio è vero anche che oggi senza il cellulare come faresti a mettere in giro subito le foto delle gesta personali. Non avresti subito i like…non avresti gli immediati applausi dei  fan. L’immagine ne soffrirebbe.

  3. Ps. Per evitare equivoci: il goditi ciò che ti piace etc non era rivolto a te ovviamente ma era un modo di dire generico rivolto a tutti noi. Ciao

  4. Benassi. No Alberto, se non porti il cellulare non sei un matto. E se lo porti non sei uno che non sa cosa vuole andando nella natura. È sempre la stessa storia. Ti piace semplicemente provare certe sensazioni. Come andare slegato o navigare senza bussola guardando le stelle come hanno fatto gli uomini per migliaia di anni. C’è persino chi paga profumatamente per farsi ammanettare e frustare. Poi gli uomini tendono a trasformare in virtù le loro preferenze perché non resistono all’idea di trovare una motivazione generale al loro comportamento. Fallo e basta, goditi quello che ti piace, ma prenditi le tue responsabilità e gestisci le conseguenze su di te e sugli altri. Ah….vecchio Kant, con la tua morale laica e illuminista..quanto ci manchi. 

  5.  tutti vogliamo immergerci nella natura. Ma poi prendiamo di portaci le comodità e sopratutto le sicurezze della città.
    Mi pare un pò un controsenso.
    Per decenni siamo andati in montagna sensa cellulare. Non era un problema. Adesso se non lo porti sei un matto e se lo porti ma non ti riesce di comunicare vai in crisi.

  6. Sarà. Nella mia piccola vita di tapascione alpino mi sono trovato nel Giurassico di fronte alla classica alternativa se scendere a chiamare aiuto o aspettare con il campagno infortunato la mattina successiva. Quell’esperienza al bivacco Pocchiola Meneghello non la dimentico e non la voglio ripetere. Perciò mi porto nello zaino sia il cellurare che un aggeggino di rintracciamento e messaggistica. Sono contento che ci sia questa roba, non per questo è aumentata la mia propensione al rischio e non mi sento un cacasotto o una merdaccia. Mi sento un pochino più tranquillo e soprattutto è più contenta mia moglie quando vado da solo. Anche se sono sicuro che al momento non risponderebbe subito, perché le mogli hanno di solito il telefono in borsa o spento o da qualche parte. Infatti il primo nome nella lista non è lei, ma non lo sa. Se uno non lo vuole usare, per vari motivi, libero di farlo. Contento lui, contenti quelli come me, senza giudicare. Please. Se poi una guida non vuole portarselo, scelta sua. Ne risponderà eventualmente alla sua coscienza e al giudice, nel caso qualcosa andasse storto.  Non è detto venga condannato. Ci sono numerosi precedenti di cui si è parlato anche qui. Eventualmente potrebbero esserci problemi poi nell’addormentarsi ma anche per questo non è detto. Si trova sempre una motivazione che allegerisce il carico.Le nuove tecnologie indeboliscono alla lunga il sistema 1 di Kahneman e diventeremo tutti come Spok in Star Trek? Anafettivi e quantitativi?  Ho dei seri dubbi. Il sistema 1 è roba tosta, frutto dell’evoluzione e iscritta nel patrimonio genetico. Un vantaggio evolutivo probabilmente. E poi lo diceva anche mia nonna del telefono a cornetta che teneva a distanza, su un tavolino e con sotto un centrino di pizzo ricamato a mano. C’è un processo di inglobamento e adattamento( vedi Harari, Homo Deus) e qualche accortezza da adottare, soprattutto nella fase di crescita dei nostri cuccioli, ma poi la specie ha grandi capacità integrative e compensative. Ci sono grandi cambiamenti negli atteggiamenti ma poi i ragazzi sono ragazzi e molti tengono ancora un diario scritto a mano e non disdegnano l’analogico. Come ogni panteista ho fiducia nell’evoluzione. Non siamo poi così male come specie ovviamente, a parte ovviamente un certo numero di eccezioni che fanno notizia e rumore.  Amen. 

  7. Forse saper d’essere vulnerabili e imperfetti, senza la possibilità di comunicare di continuo, non può che aiutarci  a mettere a fuoco le proprie percezioni, da cui consegue ogni decisione, buona o cattiva…
    Questa è musica per le mie orecchie!
    Nel 1999 con il mio amico Lorenzo Nadali vincemmo il Polartec Challenge, un premio in denaro per finanziare spedizioni esplorative originali. Nel concorrere sottolineammo che non avremo portato con noi nessun sistema di comunicazione e…vincemmo. Poi sul terreno le cose non andarono come previsto, ma l’avevamo previsto. Avevamo delle mappe aggiornate al 1974 e trovammo due ghiacciai che erano notevolmente cresciuti a causa di scorrimenti della massa glaciale dovuti al riscaldamento di origine vulcanica del sottosuolo. Furono i 60 giorni più belli della mia vita proprio perché caratterizzati dall’incertezza e dalla precarietà. Chissà se oggi un’azienda finanzierebbe un progetto che fa dell’incertezza la sua missione?

  8. Il fatto delle cappelle di un tempo o di oggi, non è tanto in termini che un tempo NON si facevano cappelle in assoluto, ma se ne facevano poche in termini relativi, rispetto agli allora fruitori della montagna. C’era un “muro” oggettivo, di introduzione all’Alpe, muro che oggi è facilmente scavalcabile grazie appunto agli aggeggetti. Si cera una illusione, che “ciunque” pèossa fare della montagna. In più il fenomeno (quello delle cappelle) un tempo era meno “sparato” dal punto di vista mediatico. Allora se quattro gadani si perdevano, lo venivano a sapere giusto i loro famigliari e forse i soci CAI della loro sezione. Tutti ne ridevano (parlo di avventure finite bene) e tutto finiva lì. Oggi fra giornali, social, TV ecc, basta che un fessacchiotto qualsiasi metta un piede fuori dal sentiero e lo sanno perfino in Uganda (in tempo reale). Questo incide molto sulla “sensazione” che oggi si facciano molte più cappelle in montagna. Cmq, da sempre, ai miei allievi io dico: in montagna ci va prima la testa e poi seguono le gambe. La mia sensazione (da vecchio e rinco come sono adesso, visto che sono compagno di cordata ideologica di Sansonetti) è che oggi sia quasi un vanto andare in montagna prima con le gambe e la testa… la si lascia a casa (ammesso che il tipo ce l’abbia, la testa). Di fronte a questo approccio, non c’è tecnologia che tenga. Queste considerazioni riguardano l’attività dilettantesca. Per i professionisti (guide) le cose cambiano perché dovrebbero avere la testa anche per i clienti. In genere ce l’hanno, ma anche per le guide quello che rileva non è se usano o meno la tecnologia, ma se hanno o non hanno la testa. Buona giornata!

  9. @22 Non è che voglio metterla forzatamente in politica. Segnalo che se uno come me, di destra storica fin dalla nascita (per consolidata tradizione famigliare: parlo di destra di governo, non di “saluto romano” ecc), a 60 anni si riconosce in quello che oggi afferma un giornalista 70enne (Sansonetti) esplicitamente PCI della vecchia scuola, mentre è esterefatto di fronte a quello che dicono i giornalisti cosiddetti di destra, significa che a una certa età “convergiamo” tutti verso un modo di pensare più pacato e saggio. Il mondo di oggi giorno non è più composto da due poli contrapposti (destra e sinistra per semplificare), ma è caratterizzato dalla contrapposizione fra saggezza silver e frenesia junior. Quest’ultima sconfina spesso nell’irragionevolezza. Vale per tutti i risvolti della realtà e pertanto arriva perfino al tema “come andare in montagna”. E poi sul come usare la tecnologia, se “solo” come extrema ratio in caso di incidente o come strumento abitudinario (cosa che ottunde l’acquisizione di esperienze personali ed epidermiche). 

  10. Che un tempo si facessero meno cappelle mi pare tutto da dimostrare…in realtà mi pare che la vera differenza sia che una volta era pacifico che avresti potuto sbagliare o non trovare i punti di riferimento (e quindi perdere orientamento, strada, fessura e qualche volta versante o vallone); lo mettevi in conto e stavi attento ad avere vie di fuga.
    Parafrasando Comi poter uscire dalla rotta prefissata era una possibilità concreta e qualche volta, forse, anche un obbiettivo voluto (di la cosa c’è? e se provassi a passare?)
     
    Il ventenne che si perde dietro alla svedesi invece attiene a un altro genere di fenomeno, che è sempre esistito e per fortuna pare resistere ancora…
     
     

  11. Ciao a tutti. Ciao Marcello e Lorenzo, grazie per la considerazione.Sono convinto che il rischio in montagna rappresenti un grande alleato nei processi educativi, a patto di riconoscere che tutto dipende da come ci rapportiamo con essa. Per conviverci cerco di lavorare sugli atteggiamenti e stili di relazione… prima che su tutto il resto. Mi piace raccontare che sbagliare non è sbagliato, a patto di riuscire ad attivare compensazioni di successo, così come ripensamenti e cambiamenti sono utili all’apprendimento. Se rifiutiamo da principio la possibilità di fare errori, scartando l’idea di poter uscire dalla rotta prefissata, alla fine ci perdiamo sul serio. Insomma, più cerchiamo in modo ossessivo la “sicurezza”  più ce ne allontaniamo. La  “sicurezza” dunque sta in quello che portiamo con noi o in quello che possiamo fare senza? Poi non mi va di leggere istruzioni, aggiornare software, caricare batterie, caricare le tracce, caricarmi di altro peso (seppur piccolo), abbonarmi al servizio satellitare… e, soprattutto, sottrarre anche la più piccola attenzione da dedicare al sentire, sentirsi e fare attenzione. Forse saper d’essere vulnerabili e imperfetti, senza la possibilità di comunicare di continuo, non può che aiutarci  a mettere a fuoco le proprie percezioni, da cui consegue ogni decisione, buona o cattiva…

  12. 12 ).. lo fanno anche in bicicletta e vanno a sbattere.
    Visto anche scenetta: gruppetto di giovani con carta e bussola e litigavano sulla direzione da prendere..e stavano accanto a pilone dif erro di linea ad alta tensione.
    Altra vicenda ..in gara di orientamento, un giovene  atleta lascio’ perdere carta e bussola e seguì  gruppetto di giovani concorrenti ragazze Svedesi.
    Comunque  ci si puo’portare aggeggi moderni ma pronti ad alternative, conta molto essere Guide Indigene che conoscono un territorio..a vista , a naso e ad udito e ad esperienze .

  13. Tecnologia sì, tecnologia no: questo è il dilemma!
    Come prendere decisioni?
    Lettura della sera: Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman.
    Buonanotte.

  14. Possiamo anche mettere il telefono satellitare nello zaino senza dirlo a nessuno, e tirarlo fuori se serve, senza mancare al nostro ruolo di guide alpine e maestri di alpinismo calati nel loro ambiente. Abbiamo delle responsabilità professionali innanzitutto, che ci richiamano a dotarci di tutto quello che serve per essere sempre pronti a dover affrontare un’emergenza. Se la tecnologia ci aiuta ben venga, dipende da noi come interpretare questo aiuto. E come trasmettere questo concetto ai nostri clienti, spesso più attrezzati di noi da questo punto di vista.

  15. «Non a caso io stravedo per Piero Sansonetti, PCI della vecchia scuola, per 30 anni giornalista all’Unità, ora direttore del Riformista. È l’unico (o uno dei pochissimi) giornalista che dice cose sensate e pacate. I giovani giornalisti, sia di qua che di là, mi fanno venire i capelli dritti.»
     
    Vogliamo fare un discorso politico? Ebbene, facciamolo! Io sono d’accordo con Carlo. E spesso pure con Sansonetti (PCI della vecchia scuola e per trenta anni giornalista all’Unità), anche per la sua sensatezza e pacatezza.
    … … …
    Caro Pasini, qui non c’è piú religione…

  16. Forma Mentis è il titolo di un famoso libro di Hovard Gardner sulla pluralità delle intelligenze e dei talenti. Un discorso affascinante per chi si interessa a come svilupparle. Si potrebbe applicare anche al tema  del muoversi consapevolmente negli ambienti naturali. Che poi se non sbaglio era proprio il terreno sperimentale su cui si muoveva l’iniziativa formativa raccontata da Gogna purtroppo durata poco. Forse troppo avanti per il tempo in cui fu lanciata.

  17. Ma povero Pasini, trascinato nel processo di beatificazione in chiave DC che sta coinvolgendo anche il PD, erede del glorioso PCI. Eppure, proprio in questa fase convulsa, occorre coccolarsi i vecchi comunisti, che spesso sono portatori di antica saggezza. Non a caso io stravedo per Piero Sansonetti, PCI delle vecchia scuola, per 30 anni giornalista all’Unità, ora direttore del Riformista. È l’unico (o uno dei pochisdimi) giornalista che dice cose sensate e pacate. I giovani giornalisti, sia di qua che di la’ , mi fanno venire i capelli dritti. Dovremmo tenere in maggiore considerazione la saggezza “silver”, quella dai capelli brizzolati. Anche in montagna. Soprattitto in montagna. Neppue io cerco che si possa trasmettere l’esperienza, ognuno se la deve fare in prima persona. Però si può e si deve insegnare una specifica forma mentis che consente a ciascuno di accumulare le proprie esperienze. Come si può pensare di costruirsi una conoscenza del terreno se si va con il cellulare in mano (gps)? Totalmente diseducativo. Altro è il discorso della tecnologia come strumento di emergenza in situazioni critiche. Ma qui non c’entra. Tuttavia tutti quelli delle generazioni silver, a cominciare da sottoscritto, hanno imparato a muoversi quando l’attuale tecnologia non esisteva proprio. Forse per questo non si facevano tante cappelle. Oggi sembra che la correlazione sia completamente opposta. Più fai cappelle e più sei figo. Peccato.

  18. Sorry. Non Marco ma Matteo. Sempre comunque Evangelisti. Ps. Una curiosità: non conosco i programmi dei corsi guida, ci sono delle unità didattiche dedicate alla relazione con il clente, alla gestione dei clienti “problematici” e alla gestione delle persone in situazioni di emergenza? So che Comi ha lavorato anche in chiave formativa sui processi decisionali. 

  19. Cominetti. Ogni tanto mi dimentico dei miei ruoli pastorali ed ecumenici in questo blog e mi prendo un po’ di pausa, anche se non si può rinunciare alla propria natura profonda 😀 Forse mi aiuterebbe nel gioco dei ruoli assumere un’altra identità. Ci penserò.  Poi non è vero che tutti i liguri sono burberi come dice Marco. Non ci sono più i liguri di una volta. Infatti hanno scelto per la seconda volta come governatore un toscano bello arrotondato e paffutello. Ciao. 

  20. Oltre alla montagna, ho imparato ad andare in barca quando non c’era il gps e anche solo traversare da Caorle alla Yugo (come si diceva allora) richiedeva una gran precisione nel timonare per non finire troppo bassi o troppo alti. Sono contento, però adesso grazie gps, anche se magari nella formazione non lo farei usare, così chi timona non si distrae e tiene sempre conto quando varia dalla rotta prestabilita per seguire il vento.
     Sono d’accordo con Merlo quando dice che l’esperienza non è trasmissibile. Se ci riferiamo all’esperienza soggettiva profonda. Anche gli artisti più bravi, professionisti eccelsi dei vari linguaggi, riescono solo a trasmetterci frammenti di esperienza soggettiva del mondo. Quando usi un linguaggio, inevitabilmente cristallizzi un contenuto emotivo. È tuttavia trasmissibile attraverso procedure e formazione l’esperienza operativa e in parte quella relazionale. Questo accade in vari campi e può costituire la base, lo zoccolo duro, per un percorso più complesso e lungo, che può essere aiutato da un proprio Virgilio di fiducia, ma resta comunque personale e soggettivo. Compreso il terreno del rischio e della sicurezza da fornire ad altri o gestire per se stessi in montagna. 

  21. Ho solo detto che l’esperienza nella natura per essere tale va  vissuta senza diavolerie digitali.

     
    VANGELO!!!
    e viva il gatto, l’animale più bello del mondo. Ne ho uno rosso con un carattere incredibile.

  22. Perche’ l’adozione di sistemi di comunicazione satelittare in montagna dovrebbe automaticamente incrementare comportamenti di minore attenzione al rischio? Esistono studi in merito relativi ad altri campi? Mio padre, ad esempio, si occupava di sicurezza domestica. Ricordo che mi diceva che l’adozione del salvavita non ha reso le persone più orientate al rischio nell’uso dell’elettricità in casa.  Ha semplicemente salvato un sacco di vite umane. Questo ovviamente non significa non organizzare campagne sulla educazione alla sicurezza, che dipende in modo determinante dai comportamenti umani, come dimostrano tutte le statistiche sugli incidenti. Un esempio: qualunque corsetto anche on-line sull’uso della motosega da parte dei fornitori insiste sempre non solo su tecnologie e DPI ma sui comportamenti dell’utilizzatore ed è obbligatorio per un uso professionale. Certamente i vari produttori per la montagna dovrebbero insistere di più su questi temi preventivi legati ai comportamenti. Lo fanno i produttori di attrezzature come Petzl ad esempio, meno i fornitori di aggeggi satellitari. Bisognerebbe imporglielo. Crovella a suo tempo rese meritoriamente noto uno studio ponderoso sul tema delle responsabilità in montagna relative al concetto di accompagnamento. Mi sembra che puoi far firmare tutto quello che vuoi prima ma poi in tribunale non vale nulla, rispetto alla valutazione di cio’ che è successo. Non sono mai andato con una guida al di fuori del rapporto amicale. Non so se il briefing di sicurezza, compreso il tema dei comportamenti/atteggiamenti di attenzione all’ambiente e al “sentire”sia una prassi consolidata da noi. In altre attività lo e’. Se vai ad esempio in uno stabilimento chimico o petrolchimico con operazioni pericolose. In tutte le professioni di aiuto/accompagnamento lo stile personale non è standardizzabile. L’atteggiamento di base già di più. Quest’estate al Monzino ho visto fare un accurato briefing da guide francesi sulla progressione su ghiacciaio. Non burbere, non paracule: professionali. Una delle due era chiaramente più aperta alla relazione ed espansiva, l’altra più riservata ma gli atteggiamenti di base erano uguali. Evidentemente frutto di una prassi e di un addestramento. 

  23. Circa gli animali più comuni ho sempre preferito il gatto al cane e il camoscio allo stambecco. Non mangio funghi perché ritengo non abbiano alcun sapore ma solo profumo. Questione non solo di gusti ma anche di inclinazioni e percezioni personali. La tecnologia è anche quella che ci permette banalmente di essere qui sul gognablog adesso e non l’ho mai rinnegata. Ho solo detto che l’esperienza nella natura per essere tale va  vissuta senza diavolerie digitali. Perdersi non è un delitto ma fa parte della propria formazione. Per ritrovarsi ben vengano strumenti vari ma senza l’esperienza dell’essersi persi qualche volta si vivrà nella certezza della precisione del raggiungimento dell’obiettivo che non è detto sia il vero punto al quale si vuole arrivare. 
    Parto, raggiungo la cima (meta), scendo, salgo in macchina e torno a casa (vivo, possibilmente) sono la teoria. La pratica è tutto quello che provo in ogni momento, senza distogliermi.
    Uso il termine “burbero” ma ne servirebbe uno più preciso. Ho scoperto strada facendo che l’entusiasmo si trasmette di più in silenzio a chi lo sa recepire. Se serve tanto rumore si avranno allievi da villaggio turistico. Per carità, ti pagano anche quelli, ma ho sempre detestato i villaggi turistici e le vacanze. Eppure ci va un sacco di gente.

  24. nel pensiero di molti diviene diritto di consumo del proprio tempo libero. Quando cioè è una merce.
    il cui risultato implica che le nuove generazioni non ne possono fare a meno, e soprattuto credono che con l’acquisto del dispositivo sia implicito un rialzo della sicurezza
     
    completamente d’accordo con quanto scrive Merlo al Punto 9.

    Proprio ieri mi trovavo su un sentiero nel bosco neanche tanto fitto che permette bene di guardarsi intorno e orientarsi in zona assai battuta . Arrivano 2 ragazzi con cellulare in mano che li guidava passo passo. Già questo camminare con il cellulare in mano come se fosse il bastone di un cieco,  mi fa abbastanza sorriridere. Cercavano la foce delle Porchette, valico superfrequentato che divide il Monte Croce dal monte Nona in Apuane. Non sapevano più dove andare. Consultata la bibbia digitale dello smartphone decidono di prendere una traccia abbandonando il sentiero principale. Traccia che li avrebbe portati  alla foce del Procinto esattamente sul versante opposto.
    Gli chiedo dove vogliono andare e gli dico che è dalla parte opposta.

  25.   carta, bussola, altimetro..cartellina plasticata con riepilogo stampato dei segnali di richiesta soccorso, fischietto assordante ,  torcia con pile fresche o a manovella, odore pungente avvertibile da cani molecolari..non sono da scartare ( con o senza GPS, Artva ecc). Quanto al Marketing professionale o  commerciale, pare abbiano ri-scoperto il passaparola tra umani in carne ed ossa , con capacità di saper raccontare bene storie e vicende.

  26. Ben detto Comi!
    E onore al merito di chi rinuncia ad allargare il proprio mercato per rispettare la propria deontologia.
     
    Quanto al profilo più adatto per la guida (ma direi in generale per il “maestro”), credo che l’essere burbero, motivante o leggero non possa essere definito in generale e in modo assoluto, ma sia più questione di carattere personale e di situazione contingente.
     
    Comunque un genovese sarà burbero anche quando scherza o incoraggia!

  27. Alberto, belle note.
    Se avrai tempo-voglia troverai molto qui in merito al significato di quanto accennato sotto traccia da Michele. Per esempio a partire dal recente https://gognablog.sherpa-gate.com/sicurezza-dentro-o-fuori/
     
    Non si tratta di misconoscere l’importanza del gps e altro di simile, si tratta di evidenziare la perdita culturale dell’orientamento naturale e strumentale analogico, si tratta di evidenziare il lato b della tecnologia, che provoca dipendenza, che implica il massimo del danno in caso di avaria del dispositivo. La to b sempre taciuto dai venditori  – forse anche ignari  e prostrati alla tecnologia – il cui risultato implica che le nuove generazioni non ne possono fare a meno, e soprattuto credono che con l’acquisto del dispositivo sia implicito un rialzo della sicurezza, 118 incluso. Sostanzialmente, un disastro di conoscenza.
     
    Per il divertimento in montagna, pari-pari, senza cambiare un concetto. Il luna park è una sottrazione di evoluzione personale, è una sottrazione di apprendimento, di processo all’autonomia, di assunzione di responsabilità. Sostanzialmente un disastro anche qui, quando la natura diviene campo di gioco, e quando, nel pensiero di molti diviene diritto di consumo del proprio tempo libero. Quando cioè è una merce.

  28. Non sono, invece d’accordo con la rinuncia al satellitare.
    Le giovani guide di esperienza come me (qualche anno più di voi) quando hanno cominciato non avevano il telefonino (non esistevano, satellitare?).
    GPS? Carta bussola e altimetro!
    Eppure ce la siamo sempre cavata.
    Perché, oggi, rifiutare la tecnologia: ci può facilitare in situazioni che possono essere gravi.
    Ancora una cosa: bisognerebbe stilare un protocollo di comportamento in caso di pericolo (comunemente chiamato protocollo di sicurezza) per le varie attività, aggiornarlo costantemente sull’esperienze vissute e proporlo ai clienti.
    Per Marcello, perché essere burberi, piuttosto seri e persuasivi.
    Se posso scegliere meglio lo stambecco!
     

  29. Buonasera.
    Sono Alberto Borello, guida e maestro di sci.
    Di solito non scrivo su social e forum (tranne quelli specifici riservati alla categoria professionale) ma voglio fare un’eccezione perché alcuni colleghi hanno dato un loro indirizzo comportamentale verso i clienti.
    Premetto che non conosco personalmente Michele Comi, Lorenzo Merlo e Marcello Cominetti.  
    Per la loro presenza costante nel Gogna Blog mi sono fatto un’idea sul loro pensiero.
    Comunque intervengo specificatamente su La rinuncia alla comunicazione satellitare e qui mi piacerebbe il confronto.
    Concordo con Michele sul consenso informato e che la guida sia un gestore del rischio e non un “dispensatore” di sicurezza (come traspare da alcune definizioni del commento di Lorenzo) e che la montagna non sia un luna park.
    Però penso anche che, in fin dei conti, tralasciando elucubrazioni mentali e spiegazioni pseudofilosofiche, andiamo in montagna perché ci divertiamo.
    E, guarda caso, quale è il sistema per avvicinare facilmente bambini e ragazzi alla montagna?
    Farli divertire!

  30. Concordo pienamente con le tesi di Michele Comi anche sul mettersi su certi siti che propongono un minestrone outdoor che ti fa ritrovare con persone che prendono la guida per una giostra.
    Oggigiorno è dura, perché la platea di fruitori della montagna si è enormemente allargata e di conseguenza anche il numero delle guide alpine in attività è cresciuto e questo porta a un doversi cercare, o farsi trovare, da clienti selezionatissimi. Ritengo che la guida alpina rivesta anche un ruolo di educatore e non è escluso che dei cazzoni da selfie ebbasta possano trovare, se ben motivati da un professionista, degli aspetti dell’andare in montagna non solo legati all’adrenalina stile luna park.Io sono per la guida alpina burbera e non per quella sempre entusiasta e animatrice e credo che il muoversi nella natura si rifaccia alla nostra parte più selvaggia e quindi autentica. Ho sempre pensato che il mio compito è quello di farla venire fuori da chi viene in montagna con me. I tecnicismi odierni sono una meraviglia ma affidarvisi totalmente è un errore che si può pagare molto caro. 
    E’ il camoscio che dev’essere il nostro maestro, non google nè inmarsat o turaya.

  31. Non conosco Michele Comi, ma mi pare una persona anticonformista; al giorno d’oggi una «mosca bianca».
    … … …
    Caro Michele, rimani cosí come sei, finché campi. È la tua fortuna.

  32.  Su rivista  skialp ebbi l’occasione di leggere un interessante articolo, circa le dinamiche  di gruppo di fronte a decisione da prendersi in ipotesi di  situazione problematica . Se il gruppo e’ abbastanza numeroso, con Guida, alcuni spingono la guida a procedere ad oltranza, altri  suggeriscono di ritirarsi o cambiare programma , altri si adeguano alla decisione di chi grida piu’forte.Meglio quindi avere una  guida dotata di carisma e se occorre autoritaria.Oltre a  gps , artva ecc..non butterei via altre soluzioni che si vedono sul web.La pala vale sempre.

  33. Avercene di Michele Comi.
    Abbiamo avuto invece:
    “L’importante è che si divertano”.
    “Ai clienti puoi dire quello che vuoi”.
    “Io sono guida [leggi: tu non conti nulla]”.
    “Non puoi non avere il gps”.
    “Pacchetto sicurezza” (Artva, pala sonda).
    “Professionisti della sicurezza”. (Slogan di comunicazione del Collegio nazionale dell Guide).
    Non sono state solo voci ma emblemi di mentalità, di inconsapevoli filosofie, di pretese di status.
    E di verità, per chi le subiva, guide, clienti o altri che fossero.

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