Metadiario – 149 – La scommessa della Marmolada – 01 (1-2) (AG 1988-005)
(da Rifiuti verticali, di Alessandro Gogna e Mario Pinoli, AlpineStudio, 2012)
Molti alpinisti, appassionati di montagna e osservatori in genere, non compresero lo spirito di iniziative ambientali a carattere provocatorio, come quella sul Monte Bianco del 16 agosto 1988. Non avevano riconosciuto il valore simbolico di quella dimostrazione e la qualificarono un’utopia. Mountain Wilderness non si ribellò a quella condanna, anzi ribadì che la provocazione ha sempre accenti utopici. Quelle persone invece considerarono di buon occhio e di buon grado l’altra azione estiva del 1988, quella della Marmolada.
Mountain Wilderness, 1988, Marmolada, raccolta rifiuti al bivacco Dal Bianco, 30 luglio 1988
Dalla dirigenza di Mountain Wilderness questo era stato previsto: fu infatti volutamente approvato per la stessa estate un programma con due azioni diverse: una simbolica e di rottura provocatoria, l’altra più inserita nel benpensare comune. Nessuno infatti giudicò male la nostra iniziativa di ripulire la Marmolada. Questo genere di azioni non era certo una novità: per anni e anni c’erano state iniziative varie (del CAI, dei boy-scout, ecc.), nelle più disparate zone montuose: non eravamo i primi e non saremmo stati gli ultimi.
Siamo però dell’opinione che ripulire le montagne non risolva il vero problema, a volte pensiamo perfino che la presenza degli spazzini delle Alpi incoraggi lo spargimento di pattume. Le immondizie sono un sintomo, non una causa. A monte di esse c’è una cattiva utilizzazione della montagna, un “uso” sempre più protervo e rapinatore e sempre meno ricco d’Uomo e di Natura. Per la legge i responsabili di questo sono i frequentatori della montagna, gli operatori turistici e i gestori delle strutture: ma il vero responsabile è l’insieme di ciò che chiamiamo Cultura.
Base della parete sud della Marmolada, raccolta rifiuti, 31 luglio 1988
Le informazioni di Maurizio Giordani sullo stato miserando della parete sud e del Ghiacciaio della Marmolada si erano non solo rivelate tragicamente esatte: in alcuni casi il degrado che si venne poi a scoprire assomigliava a un cancro a prima vista insospettabile.
Il 24 luglio 1988 ci fu la manifestazione alla Forca Rossa 2490 m, raggiunta direttamente da Malga Ciapela per la Val de Franzedaz. Lassù ci incontrammo con la delegazione ladina, proveniente dal Passo san Pellegrino.
Il 29 e 30 luglio ci fu la raccolta lattine al Passo Ombretta. Al bivacco Dal Bianco 2727 m, con i volontari riempimmo 43 sacchi di barattoli: in vent’anni quel bivacco era diventato una pattumiera senza una vera utilità. Un foglietto dattiloscritto, appeso sull’interno della porta e firmato dall’allora presidente del Club Alpino Accademico Italiano, Ugo di Vallepiana, pregava «i Signori Alpinisti ed Escursionisti di gettare i propri rifiuti nel canalone a ovest»! Naturalmente questo canalone, di scomodo accesso, era pulito: i rifiuti erano a est, nel canaletto proprio sotto alla porta! In seguito facemmo una proposta, quella di spostare il bivacco accanto al rifugio Falier, a mo’ di ricovero invernale. Ma non vi fu mai dato seguito in sede competente.
Rosanna Manfrini, pulizia della Via dell’Ideale, Marmolada, 23 luglio 1988
La colpa di quel degrado era unicamente degli anonimi visitatori, i cosiddetti appassionati di montagna: e nessuno potrà mai incolparli di niente. Lungo il sentiero tra il rifugio Falier 2074 m e il Passo Ombretta 2702 m, furono raccolti 40 sacchi.
Sotto alla parete sud, a una quota variabile tra i 2600 e 2750 m, e precisamente nei pressi degli attacchi delle vie Gogna, Messner e Tempi Moderni, il 31 luglio ne riempimmo altri 60. Qui la responsabilità, a giudicare dalla tipologia del barattolo, era da attribuire in buona parte ai resti della prima guerra mondiale e in minima parte agli arrampicatori. Il resto era dovuto alle discariche (solo recentemente impedite e poi risolte) della capanna Punta Penìa, un piccolo rifugio sulla vetta della Marmolada 3343 m.
Il materiale fu raccolto grazie solo a una decina di volontari, per un totale effettivo di circa 25 giornate-uomo, con la coordinazione di Gianfranco Sperotto. Particolarmente attivo il volontario Andrea. I 143 sacchi furono evacuati il 3 ottobre dello stesso anno con l’aiuto dell’elicottero dei VVFF di Trento. A coordinare l’operazione di recupero era sempre Sperotto, con me, Giuseppe Miotti e Marco Milani. Furono necessarie alcune rotazioni nelle tre location differenti in cui erano stati concentrati i sacchi.
Ma, come tutti sapevano, l’inquinamento maggiore era attribuibile alle funivie. Sapevamo che per anni dalla stazione terminale (Stazione di Punta Rocca 3250 m) un’enorme quantità di materiale era stato gettato nel vuoto dei 900 metri della parete sud.
10 settembre 1988, ricognizione sul Ghiacciaio della Marmolada alla ricerca di rifiuti. Marmolada Pulita 1988, Ornella Antonioli e Andrea.
Ancora prima in L’Avventura Alpinismo, Reinhold Messner raccontava come nel 1967 egli fosse salito con tre compagni per la via dell’Ideale, aperta da Armando Aste e Franco Solina nel 1964. Gli altoatesini fecero una variante finale che non era altro che lo scarico dell’ora smantellato rifugio Dallago. Nello stesso punto, poco tempo dopo, fu costruita la Stazione Punta Rocca e in quel momento si ebbe la discarica di materiali da costruzione più alta delle Alpi.
Nel 1982 Igor Koller, primo salitore della via del Pesce, scrisse che durante l’ascensione fu sfiorato da una “valanga”, composta da un troncone di tre metri e da altri materiali (Der Bergsteiger 9/1982).
È del 1986 una foto di Giordani che mostra l’uscita della variante Messner completamente colma di rifiuti solidi ingombranti. Ma nel 1987, per via delle prime esperienze giudiziarie, la gestione delle funivie si affrettò a fare una sommaria pulizia, semplicemente gettando giù tutto ciò che ostruiva l’uscita.
Ma non basta. Durante tutti quegli anni, sempre lungo la linea della via dell’Ideale, si era creata una visibilissima striscia marrone, alta circa 800 metri e larga 10-15. Rifiuti organici? Anche, ma soprattutto oli esausti dalla manutenzione dei motori (siti appunto a monte dell’impianto, nella Stazione Punta Rocca). Ogni giorno avveniva uno scarico in parete di circa 150 litri di liquido, con partenza da un tubo ben visibile da chiunque.
Marmolada, vallone d’Antermoia, 11 settembre 1988
Il 23 luglio 1988, con Giordani, Rosanna Manfrini, Giusto Callegari, Paolo Leoni e Graziano Maffei, salimmo la via dell’Ideale (con uscita Mariacher) alla parete sud della Marmolada d’Ombretta. Facemmo due docce maleodoranti e potemmo osservare, documentandolo, il getto quotidiano.
A fine luglio, Mountain Wilderness riuscì ad avere la collaborazione della Guardia di Finanza: quindici uomini ripulirono integralmente l’uscita originale di Armando Aste della via dell’Ideale, tramite una calata di 160 metri. L’operazione era coordinata da me. Ma il getto di liquami e oli esausti continuava quotidiano.
Si era perciò cominciato ad affrontare il problema, ciò nonostante eravamo ancora ben lontani da un’apparenza di dignità.
Si rivelò più delicato il lavoro alla discarica sotto la “parete d’argento”, quindi sotto la via dell’Ideale, costellata di materiali molto più ingombranti tra cui una putrella di ferro di 7-8 m, ponteggi e relativi tubi, sciacquoni con i rispettivi tubi di scarico, pezzi di lamiera, bidoni di metallo, cassette di plastica, pezzi di stufe, vasche di zinco, filtri dell’olio, metri di cavo elettrico di ogni tipo. Rispuntava in pratica tutto il materiale che la Società Funivie Tofane-Marmolada SpA aveva cercato di occultare con badilate di terra dopo una diffida del Comune di Rocca Pietore, dell’8 luglio ’81, che le imponeva la rimozione dei rifiuti alla base della parete in quanto materiale che non deriva dalla affluenza turistica, ma da scarti di manutenzione.
10 settembre 1988, Operazione Marmolada pulita, Mountain Wilderness al Pian dei Fiacconi e Pian dei Fiacchi
Dunque, alla base della via dell’Ideale la discarica era ancora intatta: ci voleva altro che un pugno di giovani volontari per ripulire quel canaletto ghiaioso dalle sue ingombranti macerie. Serviva il lavoro di una squadra di operai per parecchi giorni e l’aiuto dell’elicottero.
Mountain Wilderness aveva ripulito quanto era in suo potere e cioè la sporcizia di alpinisti ed escursionisti. Il resto avrebbe dovuto essere compiuto dai responsabili dell’inquinamento.
Ma vediamo da vicino cosa emerse durante l’estate 1988, al di là della già nota discarica dalla parete sud.
Ghiacciaio della Marmolada.
Grazie all’abbondante documentazione fotografica dei mucchi di spazzatura rovesciati dai gatti delle nevi, e grazie alle calate nei crepacci che rivelarono quanto sconvolgente fosse il loro interno (nostra ricognizione del 10 e 11 settembre 1988), Mountain Wilderness rivolse una precisa accusa contro chi, per il divertimento di pochi sciatori estivi e uno sbandierato ma dubbio vantaggio economico per la valle, contribuiva (e ancora oggi lo fa) a un decisivo e galoppante ritiro del ghiacciaio. Nella conca glaciale racchiusa tra la Marmolada di Rocca 3309 m e la Forcella Seràuta 2878 m ancora oggi si scia d’estate. La neve è martoriata quotidianamente da due gatti che la ribaltano, la impastano, la spruzzano: la pappa che ne risulta non può che sciogliersi con celerità. I cristalli si trasformano molto più velocemente di quanto non accada se lasciati stare nel normale accumulo e riposo.
I resti di skilift in disuso erano abbandonati in luogo e così putrelle, blocchi di cemento, ringhiere, tettoie. E accenniamo solo agli sbancamenti insensati fatti per ricavare piste sciistiche sempre più veloci e sempre più equalizzate.
Ghiacciaio della Marmolada, alla ricerca del polietilene espanso
Sulla Società Funivie Tofane-Marmolada SpA gravava un’ordinanza di rimozione dal ghiacciaio di rifiuti “particolari”, cioè i famigerati sacchi di materiale termosanitario, non ben identificato, che da qualche anno veniva tranquillamente gettato nei crepacci del ghiacciaio e sepolto facendo brillare cariche di esplosivo.
Grazie infatti a una denuncia di un ex-operaio delle funivie, si era venuti a sapere di quella pratica, poi interrotta dai carabinieri; il materiale termosanitario venne identificato in strisce di polietilene espanso, gettato verso fine agosto di ogni anno a tonnellate nei crepacci, in modo da poterli riempire più facilmente con la neve di riporto che i gatti prelevavano dai bacini di accumulo naturale (le riserve del ghiacciaio) e rendere possibile quindi la continuazione anche in settembre dello sci estivo. Si seppe anche il nome della discarica da cui la società si riforniva a camionate, quella di Francesco Dalla Rosa, di Bolzano.
Per la verità, nelle nostre ricognizioni del 10 settembre 1988 e 11 settembre 1991, non trovammo traccia nei crepacci di quel materiale. Ne rinvenimmo solo qualche quintale, ancora chiuso nei sacconi neri di plastica, depositato a monte della galleria di collegamento tra la pista di sci e la Stazione Seràuta. Probabilmente il movimento dei ghiacci aveva completamente macerato il tenero materiale plastico a strisce grigie.
Vallone di Antermoia.
Dalla Stazione intermedia Seràuta, durante la costruzione dell’impianto, vi fu uno spargimento di rifiuti edili lungo l’intero vallone (3 kmq) racchiuso tra Punta e Piz Seràuta.
Il Vallone d’Antermoia era infatti letteralmente tappezzato di rifiuti: dove prima avrebbe potuto essere fatto un bellissimo sentiero, ricavandone una specie di museo bellico a cielo aperto, perché in una zona tra le più ricche di residui in quanto a più alta densità di combattimenti, allora si sarebbe potuto fare solo il “trekking delle discariche”.
Dal self service della Stazione Seràuta colavano i liquami di scarico tramite un tubo di gomma di qualche decina di metri. Il tutto, non depurato e a dispetto dei regolamenti vigenti, da ormai 20 anni si spandeva nel vallone. Intere funi di acciaio, fino a cento metri di lunghezza, erano abbandonate nelle ghiaia e così, in gran quantità, fusti vuoti di combustibile, bombole di gas e altro.
Ghiacciaio della Marmolada, alla ricerca del polietilene espanso
Canalone sotto la Prima Stazione (Banc del Gigio).
Un profondo colatoio nella roccia, visibile solo da Ciamp d’Arei vicino a Malga Ciapela e immediatamente sottostante la Prima Stazione (il Banc del Gigio 2311 m), era stato scelto dalla Funivia come discarica occulta.
Questo canalone, chiamato anch’esso «del Gigio», ha un dislivello di 276 metri ed è largo in genere dai due ai cinque metri. La sua esposizione è NNE. Situato sulla destra idrografica del Vallone d’Antermoia, è ubicato proprio alla fine di questo, poco prima dell’orlo del grande salto roccioso che divide appunto il Vallone d’Antermoia dalla Val d’Arei (carrozzabile Passo di Fedaia – Malga Ciapela).
Ricordo che lo osservai da Ciamp d’Arei un pomeriggio, ed ebbi subito il sospetto di come fosse stato utilizzato. L’11 settembre 1988, assieme a Nella, Maurizio Lazzaro, Andrea e un altro Maurizio, iniziai a risalire questo canalone. Eravamo appena reduci dalla discesa del Vallone d’Antermoia, nauseati da tanta raccapricciante devastazione. Non sapevamo che il peggio dovevamo ancora incontrarlo. Il Canalone del Gigio alla sua base (posta a 2055 m) era un solo accumulo di macerie e rifiuti grossi, assieme a migliaia di lattine sparse.
Per tutto il suo sviluppo era ingombro di solidi e rifiuti di ogni tipo, fino a uno spessore di più di un metro. Vi figurava pure una buona camionata di quel polietilene espanso che tanto era stato cercato, anche dai carabinieri, in precedenza.
Giunti più o meno a metà del dislivello, giudicai troppo pericolosa la prosecuzione in quell’antro infernale: la nostra arrampicata su reti metalliche, lamiere e altro rischiava di provocare una frana di rifiuti su di noi. Così decidemmo di scendere a corda doppia, non prima di aver documentato lo scempio.
Qualche giorno dopo, il 14 settembre, tornammo, questa volta decisi a scendere il canalone dall’alto e con una serie di corde statiche. La squadra era composta da Reinhold Messner, Roland Losso, Giuseppe Miotti e da me: con noi scesero pure i giornalisti Leonardo Bizzaro e Marco Benedetti. La seconda visita confermò la prima: l’ingombro era totale, un’ininterrotta discarica presumibilmente di 290-300 metri di lunghezza, con forte pendenza e con qualche raro salto verticale. Per la sua pericolosità e difficile accessibilità, giudicai la bonifica di quel luogo la più grande impresa possibile (o forse impossibile) nel campo delle azioni ambientali in montagna. E fu in quell’occasione che giurai a me stesso che un giorno quel canalone sarebbe stato interamente ripulito.
Intanto il clima era davvero diventato rovente. Una buona parte della popolazione valligiana ci era contro. Mentre la sera del 14 settembre, quando, presente Messner, denunciammo in una sala di Canazei la situazione, l’accoglienza fu freddina ma tollerante, la sera del giorno dopo, a Rocca Pietore ci fu un movimentato incontro: ci fu bucata qualche gomma e rischiammo la rissa con gli esaltati del luogo che non volevano si parlasse di una Marmolada “sporca”. Evitammo le vie di fatto grazie ai due carabinieri che vegliavano su di noi e che comunque fecero fatica a proteggerci. Sostanzialmente, a Canazei pensavano che tutto ciò non fosse affare loro; a Rocca Piétore invece si sentivano danneggiati e temevano un contraccolpo delle presenze turistiche.
Nell’ottobre 1988, a conclusione dell’operazione Marmolada, durante un processo per diffamazione intentato dalla gestione delle funivie al giornalista Giordano De Biasio e ad altri due suoi colleghi che si erano occupati del caso, i testimoni di Mountain Wilderness accusarono i responsabili della Società Funivie Tofana Marmolada SpA di aver provocato lo scempio ventennale che ho appena finito di descrivere. L’Amministratore venne condannato a un miliardo di lire di multa (da spendere per la bonifica) e a 6 mesi di reclusione (con condizionale). Cessò lo scarico sulla parete sud e iniziò un lungo braccio di ferro tra le USSL (poi ASL) e gli esercizi di ristorazione degli impianti. Nel 2000 l’amministrazione trentina, definiti finalmente i contrasti territoriali con Belluno, realizzò finalmente un’accurata bonifica dell’intero ghiacciaio, con il giusto impiego di uomini e mezzi, senza badare a spese.
Reinhold Messner, discesa del Canalone del Gigio, 14 settembre 1988, Marmolada Pulita 1988
Nel frattempo, nell’ambito di un programma di risanamento avviato da una rinnovata (e indubbiamente più avveduta) gestione delle funivie, nel 1999 e nel 2000 gli altri luoghi deturpati videro una prima revisione. Autori di queste operazioni furono alcuni operai delle funivie, coordinati da Leo Olivotto (ex direttore tecnico degli impianti) e da Attilio Bressan. Ma vi collaborarono anche dei volontari e perfino squadre del corpo degli Alpini. Furono così ripuliti la base della parete sud in corrispondenza dell’ex-discarica della via dell’Ideale e naturalmente fu affrontato il Vallone d’Antermoia.
Vista la mole del materiale recuperato, una ventina di rotazioni di elicottero, il lavoro fu indubbiamente accurato, anche se sappiamo purtroppo bene che solo dopo un po’ di passaggi il terreno ghiaioso permetterà una pulizia completa. In più il Vallone d’Antermoia spesso e volentieri è invaso dalla neve residua dell’inverno e questo certo ha impedito una pulizia totale. Per esempio, nell’estate 2001, dopo una stagione invernale di abbondanti nevicate, non vi fu possibile alcuna azione di recupero, per gli spessi nevai che ricoprivano le ghiaie anche d’agosto e settembre.
L’1 agosto 2001, Marco Preti, Mario Pinoli e io, scendemmo ancora una volta nel Canalone del Gigio per fare un film per una possibile sponsorizzazione da parte della Luxottica, constatammo che il fondo del canale era invaso da decine di metri cubi di neve residua che avrebbe impedito qualunque asportazione di materiale sottostante. Inoltre, da alcuni mozziconi di sigarette, ci accorgemmo che qualcuno era sceso nel canale, non sappiamo se l’anno prima: probabilmente uomini del Soccorso Alpino. Questo voleva dire che i tempi erano maturi: forse avevo la possibilità di vincere la scommessa che avevo fatto con me stesso tredici anni prima.
Era quello il momento di avviare la lunga e costosa operazione di bonifica del Canalone del Gigio. Quell’atto finale non sarebbe servito solo a dare lavoro agli specialisti: sarebbe stato un primo passo, un esempio sopratutto per altre strutture turistiche che, ben sappiamo, avevano fatto buona compagnia ai misfatti della funivia della Marmolada.
Luca Grigolli (della Tequila ProAd) doveva darsi da fare e convincere la Luxottica che quella era davvero una splendida iniziativa. Il 21 settembre, ad Agordo, ci fu la presentazione ufficiale del progetto. Cominciava qui anche l’importante lavoro di Mario Pinoli (di Montana srl), un’accurata tessitura di relazioni pubbliche e private che ci avrebbe permesso di mandare avanti l’operazione: infatti i rapporti che intercorrevano tra la gestione delle funivie, il comune di Rocca Piétore, la provincia, Mountain Wilderness, il CAI, il Soccorso Alpino e tutti coloro che avevano lavorato nel 1999 e 2000 erano così delicati da rischiare che il nostro improvviso inserimento facesse saltare in aria le buone volontà di tutti. Solo Mario Richelieu Pinoli poteva garantire il successo nella mediazione.
Continua con https://gognablog.sherpa-gate.com/la-scommessa-della-marmolada-2/
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Dopo una faticosa giornata a far legna, avevo aperto il Metadiario, convinta di trovare uno dei coinvolgenti racconti d’avventura di Alessandro.
La tristezza è aumentata parola per parola, spegnendo qualunque commento possibile.
Il lungimirante sindaco ha ordinato di multare chi sale in auto lungo la strada asfaltata nella valle di Malga Ciapela: il turismo sotto è molto diminuito, anche se poi ha istituito un servizio di pulmini.
In vetta però è aumentato, mi han detto che ora ci si possono portare fino a 5000 persone al giorno….. in discesa 5000×13 fa 65.000, che mi sembra una buona cifra….. da mantenere a qualsiasi…rifiuto.