La trappola del liberismo e il sentiero stretto

La trappola del liberismo e il sentiero stretto
di Andrea Zhok
(pubblicato su www.rinascitaitaliasocialista.it il 15 dicembre 2018)

Spessore 3 , Impegno 2, Disimpegno 0

Esiste un meccanismo antropologico, innescato dal liberismo economico (ma già ben presente alle origini del liberalismo politico) che ne aiuta l’autoriproduzione.

Il liberismo assume la natura ostile, aggressiva, egoistica, callosa e gretta dell’uomo. Si fa vanto di fornire un sistema di relazioni (da Thomas Hobbes ad Adam Smith) che sarebbe capace di funzionare anche in presenza di esseri umani repellenti, interessati alla sola coltivazione della propria curva di utilità e refrattari a cooperazione ed empatia.

Poi, nel costruire le istituzioni che dovrebbero produrre magicamente pubbliche virtù da vizi privati, di fatto crea un sistema che incentiva sistematicamente la trasformazione di tutto ciò che c’è di decente nell’umanità in spazzatura. Ciascun soggetto è costantemente e sistematicamente incentivato a ridurre sempre di più la sfera delle cose cui tiene, fino ad arrivare solo a se stesso, e a ridurre anche la durata temporale delle proprie aspirazioni, spostandole sempre di più verso il breve termine. Ogni istanza di umanità scadente viene poi presa come una conferma della giustezza di un modello che, si presume, può fare a meno di virtù.

Il sistema di relazioni capitalistiche è un sistema che immagina di partire da un’umanità costituita di atomi autoreferenziali, e poi questa umanità se la costruisce.

Ogni estensione affettiva che vada al di là di sé o sia rivolta ad un futuro esteso (al di là della propria vita) rappresenta un fattore di debolezza nella competizione economica.
L’opportunismo, la disponibilità a cogliere qualsiasi occasione a prescindere da promesse e lealtà passate, il mors tua vita mea sono piccoli insegnamenti impliciti nelle pratiche economiche di maggiore successo.

La produzione di maggior successo del capitalismo è la produzione di umanità spazzatura.

Ma qui sta anche il cul-de-sac in cui questo sistema di relazioni tende a condurci.

Da un lato esso crea condizioni in cui alternative politiche all’imperialismo economico siano sempre più difficili: ogni alternativa politica richiede il costituirsi di una volontà generale attraverso la leale messa in comune di idee e speranze, dunque esige sempre una dose significativa di lealtà, onestà, generosità, tutta merce che il sistema di relazioni di capitale tende ad estinguere.

Dall’altro lato il sistema di relazioni di capitale, come è stato notato più volte, tende alla lunga ad essere insostenibile perché erode il capitale sociale, producendo in ultima istanza individui incapaci persino di quel minimo di rispetto necessario per far funzionare anche meri scambi concorrenziali di mercato. Il sistema produce sistematicamente free rider e ad un certo punto il numero dei free rider e la conflittualità sociale divengono fattori di degrado che sono troppo anche per essere digeriti dalla mano invisibile di Adam Smith.
Nei paesi perdenti a questo gioco il corpo politico si disgrega, lo Stato scompare, si avvia una lotta hobbesiana di tutti contro tutti (molti paesi con guerre civili endemiche rappresentano bene questa situazione).

Paradossalmente, il sistema degli scambi competitivi può essere mantenuto in vita solo da quelli che lo odiano e disprezzano, cioè da quelli che, preservando lealtà e onestà, fanno andare avanti la baracca consentendo ai free rider, agli individui prototipo dell’Homo Oeconomicus, di proliferare (sono i maestri di scuola, impiegati, carabinieri e tramvieri che fanno il loro dovere quotidiano a tenere in vita squaletti e speculatori finanziari).

Il sistema dunque riesce a sopravvivere cannibalizzando quelli che lo disprezzano, quelli con un senso dello Stato e del rispetto interpersonale, con un amore della cosa pubblica e delle generazioni future.

Quali sono i margini per uscire da questo cul de sac? Sono esigui.

Se non si vuole lasciare il sistema al suo tendenziale degrado, fino all’annichilimento, la sfera della decisione politica deve costituirsi in forza politica di massa. Ma perché ciò accada essa deve superare un colossale problema rappresentato dalla ridotta capacità stessa di stare assieme, capacità costantemente erosa dai meccanismi economici vigenti (opportunismo politico, carrierismo, corruzione).

In un sistema del genere la tentazione più forte, e quasi fatale, è quella di dare solidità interna al gruppo politico creando un oggetto d’odio esterno. Questo meccanismo, di cui un sottocaso è il meccanismo del capro espiatorio, può diventare una necessità, giacché il sistema delle relazioni umane ordinarie, civili, è avvelenato da costanti tendenze centrifughe e dissolutive.

Perciò il consolidamento politico di forze antisistema è sempre in un equilibrio precario e pericoloso, dove la tentazione autoritario-aggressiva è sempre presente (l’evoluzione politica europea degli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale ne è stata eloquente illustrazione).

Chiunque voglia evitare l’autodissoluzione del liberismo, e al contempo voglia evitare soluzioni autoritario-aggressive è condannato a percorrere un sentiero stretto tra due scarpate, un sentiero difficile ma anche necessario.

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La trappola del liberismo e il sentiero stretto ultima modifica: 2019-04-26T04:18:28+02:00 da GognaBlog

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