La via ferrata Che Guevara

Il 10 giugno 1959 Gianni Bassetti, Francesco Petrolli e Arrigo Pisoni aprivano un itinerario di grande respiro sul più imponente appicco della Valle del Sarca, la parete est del Monte Casale 1632 m, localmente noto anche come Monte Daino. Per maggiori dettagli, vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/daino-amore-mio/.

Tre giovani locali erano stati presi dalla passione più genuina, quella di scalare ciò ai cui piedi erano nati. Senza termini di paragone, al di fuori della storia.
Ed è proprio per questa loro non appartenenza alla comunità alpinistica di allora che la via della Parrocchia di Santa Lucia avrebbe dovuto essere più rispettata, proprio per il rispetto che si deve a chi ha vissuto una grande avventura fuori del circuito competitivo.

La parete est del Monte Casale (Valle del Sarca)
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La via della Parrocchia fu invece ripresa, probabilmente senza nulla saperne, dall’alpinista Giorgio Bombardelli, che privatamente o quasi nel 1990 vi sovrappose un itinerario ferrato, tra molte polemiche proprio sulla proliferazione di questo genere di percorsi. La via ferrata fu intitolata al rivoluzionario argentino Ernesto Che Guevara (che pare comunque abbia avuto anche lui dei trascorsi alpinistici). Nel 1993 Mountain Wilderness con un blitz rimosse 200 metri di cavi, ma la reazione di sdegno per questo gesto fu quasi unanime, perfino fra alcuni soci dell’associazione (me compreso). Il tratto fu poi ripristinato, e oggi è normalmente percorribile.

La via ferrata Che Guevara
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Questa via ferrata è impegnativa e si svolge in ambiente assai selvaggio per quasi 1400 metri di dislivello. Sbuca su verdi pascoli nei pressi della cima, dove sorge il rifugio Don Zio.

Dalla cima il panorama si apre a 360 gradi e spazia sugli altri gruppi montuosi, in particolare sul Brenta.
Il rientro avviene dalla parte opposta (necessaria un’auto) oppure sullo stesso versante Sarca per il sentiero attrezzato del Rampin.

I tratti attrezzati sono molto vari, mai molto difficili, talvolta impegnativi per lo sforzo atletico richiesto. La presenza di diversi tratti di sentiero esposti e non protetti e di qualche canale detritico rende il percorso adatto solo a escursionisti veramente esperti.
Recentemente, l’ampliamento della concessione per lo sfruttamento della cava ha comportato lo spostamento del primo tratto della salita.

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In linea di principio
Così scrisse al tempo del blitz Carlo Alberto Pinelli: “In linea di principio la nostra opposizione alle vie ferrate e a ogni altra forma di colonizzazione degli spazi montani non tradizionalmente antropizzati affonda le sue radici proprio nella genuina dimensione culturale che noi attribuiamo al rapporto tra l’uomo civilizzato e la natura incontaminata. Tale rapporto, ove si esaurisse in una prospettiva banalmente ludica e ginnica, perderebbe i suoi connotati più autentici e tradirebbe la sua potenziale funzione di ausilio all’armonica maturazione della personalità umana. Equipaggiare la montagna selvaggia con impianti di risalita, strade di quota, vie ferrate e quant’altro equivale ad addomesticare un ambiente geografico che trae il suo significato proprio dal proporsi come NON addomesticato e NON addomesticabile. L’antropizzazione forzata e innaturale di questi spazi ne soffoca irrimediabilmente la vocazione: non li trasforma in docili schiavi. Li uccide.

Questo è quanto noi sosteniamo in linea di principio. Nella pratica – e limitando il discorso ai soli itinerari montani attrezzati – riteniamo che sia opportuno, oggi, distinguere tra via ferrata e via ferrata, evitando di assumere posizioni oltranziste che la maggioranza dei frequentatori delle nostre Alpi non sarebbe ancora culturalmente preparata a recepire.

Per il momento basterà dire che siamo assolutamente contrari alle vie ferrate costruite per raggiungere le vette e a quelle che cancellano precedenti vie alpinistiche. Con una precisazione: nessuno di noi pensa che chi utilizza una via ferrata compia automaticamente una azione riprovevole. Però non possiamo fingere di ignorare che di per se stesse le vie ferrate nascondono sempre una sottile, pericolosa mistificazione: esse inducono l’escursionista a credere che quelle monotone sequenze di cavi metallici e scalette rappresentino per lui l’unica possibilità di avvicinarsi alle emozioni della montagna verticale; mentre in realtà dalla vera esperienza della montagna lo allontanano.

Diversi convegni organizzati in passato, anche per merito del CAI, nelle proprie conclusioni hanno segnalato la necessità di smantellare progressivamente la maggior parte delle vie ferrate sulle Alpi, fatte salve soltanto quelle che presentano un preciso e inequivocabile interesse storico”.

Sulla Che Guevara
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L’azione dimostrativa
L’azione dimostrativa compiuta da Mountain Wilderness contro la via ferrata del Monte Casale avrebbe voluto essere l’anticipo di ciò che allora sembrava inevitabile, lo smantellamento delle vie ferrate invasive e abusive.

Del resto è nei compiti istituzionali di Mountain Wilderness quello di dar vita ad azioni provocatorie ed esemplari, capaci di scuotere l’opinione pubblica, facendo crescere tra i cittadini la consapevolezza dell’importanza di problemi considerati fino a quel momento marginali, se non addirittura del tutto ignorati. Il cosiddetto “blitz” di Mountain Wilderness contro la via ferrata del Monte Casale rientrava in pieno in una simile strategia.

Ma perché è stata scelta quella particolare vie ferrata e non un’altra? E soprattutto perché io ero contrario?

Era opinione del consiglio direttivo di MW che la via ferrata del Monte Casale non solo costituisse un’offesa al senso civico di tutti noi, in quanto è stata posta in opera in aperto spregio della diffida inviata ai suoi autori dalle competenti autorità del luogo, ma anche presentasse un doppio tipo di pericolosità.

La croce di vetta del Monte Casale
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Anzitutto la pericolosità oggettiva e immediata. Per la “scadente qualità della roccia”, per “infelice disegno del tracciato”, per la “mancanza di punti di fuga”. In secondo luogo, ma non meno importante, il pericolo che deriva dal carattere scandalosamente diseducativo della storia di questo manufatto. MW riteneva che lasciar correre e chinare la testa di fronte al fatto compiuto significasse riconoscere implicitamente che l’abuso, qualora venga perseguito con sufficiente arroganza, nella nostra società può diventare una carta vincente e si trasforma in norma.

Carlo Alberto Pinelli: “E’ tempo che la montagna – come già sosteneva un illustre cittadino di terra trentina, il sen. Giovanni Spagnolli – perda definitivamente lo status di res nullius, abbandonata senza difesa al capriccio vandalico dei primi venuti; e venga definitivamente considerata – non solo in teoria ma anche nella pratica – res communitatis. Un bene di tutti che nessun singolo individuo può impunemente violare e manomettere senza pagarne le conseguenze”.

Mentre sul secondo argomento ero e rimango assolutamente d’accordo, il primo mi vide e mi vede del tutto scettico: non si può non accettare che non devono essere gli alpinisti a parlare di pericolo! Il pericolo fa parte della nostra vita, riteniamo che sia giusto correre dei rischi in modo responsabile e ci battiamo per questa nostra libertà. Dunque non possiamo essere noi a predicare che le vie ferrate sono pericolose, in particolare la Che Guevara!

Panorama dalla vetta del Monte Casale
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Per quel blitz Mountain Wilderness è stata citata in giudizio per danneggiamento, poi assolta. L’assoluzione non ha procurato grande gioia, in quanto l’opinione pubblica era ed è rimasta del tutto contraria. Pur rispettosa di questo “giudizio” pubblico, MW fu tuttavia tutt’altro che pentita. Pinelli: “Abbiamo raggiunto lo scopo che ci eravamo prefissi: aprire e mantenere vivo un dibattito a largo raggio sul problema delle vie ferrate. La denuncia penale ci ha obiettivamente aiutati. Per quel che ci riguarda, abbiamo vinto due volte”.

In seguito all’assoluzione Mountain Wilderness aveva denunciato a sua volta i pubblici amministratori locali per omissione di controllo nei lavori e nella assenza di autorizzazioni per la costruzione del manufatto.

Solo nel 2007 gli avvocati di MW (lo Studio Canestrini e Lorenza Cescatti di Rovereto), dopo ripetute richieste di informazioni sulla situazione della pratica, sono venuti a sapere che la denuncia di MW contro il Comune era stata archiviata, in silenzio, già il 23 ottobre 2002, con la motivazione che “la notizia del reato è infondata e gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio“.

Considerazioni
Io penso che a volte può essere necessario infrangere la lettera dei codici, per obbedire a imperativi etici volti non a delegittimare il dettato legislativo, ma anzi intesi a far trionfare un’interpretazione più alta e più attuale dello spirito della legge.

Ciò che non si può infrangere è il comune sentire della maggioranza, perciò a mio parere un’azione di questo tipo non deve essere ripetuta, almeno fino a che decine e decine di persone risaliranno la Che Guevara ogni weekend di bel tempo, felici di farlo.

Dobbiamo invece fare autocritica, perché il nostro messaggio evidentemente non ha avuto un’eco sufficiente o un effetto risolutivo. I nostri sforzi devono allontanarsi con energia dalle prese di posizione che risultano impopolari e rivolgersi invece a diffondere in ogni modo il messaggio culturale fiduciosi che, prima o poi, questo trionferà, senza alcun ulteriore ricorso a blitz impopolari.

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La via ferrata Che Guevara ultima modifica: 2017-02-28T05:12:01+01:00 da GognaBlog

34 pensieri su “La via ferrata Che Guevara”

  1. 34
    Alberto Benassi says:

    Giacomo io parlo a nome MIO!  non di M.W.

  2. 33
    Giacomo G says:

    Per spiegare a chi evidentemente non coglie il punto: se la costruzione della ferrata fosse avvenuta sovrapponendosi ad una via ‘da palestrari’, attrezzata a spit, MW sarebbe intervenuta con la stessa solerzia?  In questo consiste l’abuso: nell’autoassegnarsi il diritto di decidere cio’ che e’ bene e cio’ che male, in nome di un presunto primato etico.

  3. 32
    Alberto Benassi says:

    “Atti di prepotenza ( e di illegalita’ ) come quelli della distruzione di un manufatto, sono inaccettabili. Trovo incredibile che tante opinioni la considerino come una valida opzione.”

    Se la vogliamo dire tutta la prepotenza è da ambo le parti.

    E’ prepotente ci smonta. Ma lo è anche chi decide di costruire una ferrata su un itinerario esistente distruggendolo a suo di fittoni e cavo d’acciaio.

    Non si può sempre porgere l’altra guancia. Anche perchè c’è sempre qualcuno in particolare che prende più schiaffi di altri.

  4. 31
    Giacomo G says:

    Si ritorna su un bell’esempio sul quale a mia opinione, MW sbaglia doppiamente, rendendo vane battaglie i cui intenti sono piu’ che condivisibili. In primo luogo dovrebbe smetterla con gli atteggiamenti di prepotenza culturale. La bonta’ degli intenti non autorizza a considerare gli alpinisti ( e in particolar modo quelli “fedeli alla linea”)  come gli unici depositari “per volonta’ divina” dell’etica per i comportamenti nell’ambiente montano. Se si cade nell’autoreferenzialita’ non si e’ nulla, ma assolutamente nulla. Mi spiace ma l’unica via e’ il proselitismo, che esclude ogni forma di presunzione e privilegia semmai l’empatia come chiave di accesso a chi ha meno sensibilita’ su certi temi. Atti di prepotenza ( e di illegalita’ ) come quelli della distruzione di un manufatto, sono inaccettabili. Trovo incredibile che tante opinioni la considerino come una valida opzione.

  5. 30
    Alberto Benassi says:

    @ Casanova

    “Cari alpinisti, non guardate solo in casa d’altri, ma anche in quanto voi provocate nel consumare spazi liberi e territorio libero.”

    Gli alpinisti, gli arrampicatori, gli escursionisti, insomma tutti noi che frequentiamo l’ambiente montano dovremmo avere come principio il rispetto di questo ambiente. Chiaramente salire una parete, vuole anche dire invadere questo ambiente, un territorio di altri: piante, animali. Di certo lo si può fare in tanti modi diversi. Comunque qualche cambiamento all’ambiente naturale viene portato. Vedi ad esempio le azioni di pulitura, risistemzione di vie con taglio di piante, asportazione di erba, rovi, ect. Ma anche solamente piantare un chiodo.

    Quindi cosa dovremo fare?

    Forse smetterla con l’alpinismo? con l’arrampicata?

     

    Di certo abbandonare rifiuti, come purtroppo molti noi fanno. Non se ne discute nemmeno.

     

  6. 29
    Luigi Casanova says:

    Certo i capannoni e il disordine, elementi tipici dl Trentino e non solo del Veneto, impressionano. Ma a me ha impressionato fin da subito la costruzione di questa ferrata, abusiva, che ha cancellato una via di arrampicata, che ha invaso un territorio delicato. Cari alpinisti, non guardate solo in casa d’altri, ma anche in quanto voi provocate nel consumare spazi liberi e territorio libero.

     

  7. 28
    agh says:

    A me pare che, mentre ci si accapiglia sul caso specifico, si perda di vista la questione generale, che è la progressiva distruzione del territorio. A pochi metri da ordinati vigneti dalle geometrie perfette, vanto della bellissima Valle dei Laghi dove si produce il Vino Santo, chi volesse intraprendere il sentiero che va all’attacco della celebre via ferrata “Che Guevara” (tra le mete predilette dai turisti germanici), deve attraversare una lunga serie di capannoni industriali dove regna il degrado più deprimente. In un penoso zig zag tra cemento, ferraglie, rottami, e persino un tanfo insopportabile, il povero escursionista costeggia infine un’enorme cava di ghiaia che ha inghiottito tutto il conoide, con relativo bosco, sotto alla grande parete del Monte Casale. Anche mentre si arrampica, meglio non voltarsi: non tanto per la paura del vuoto, ma per il degrado sottostante. Non si mette in discussione l’esistenza della cava di ghiaia e di una attività industriale con relativi posti di lavoro, ma un minimo di decenza in una zona a forte vocazione turistica dovrebbe forse essere preteso. Che biglietto da visita offre il Trentino ai turisti con questi contrasti stridenti? Da una parte le bellezze naturalistiche che tutto il mondo ci invidia, dall’altra, a pochi metri, lo squallore totale di una zona industriale da terzo mondo.

    Immagine di vigne e cave dalla ferrata Che Guevara https://i.imgur.com/3wBhZck.jpg

  8. 27
    Alberto Benassi says:

    “La montagna è di tutti anche dei “cannibali”. ”

    Giusto…infatti le Apuane le stanno divorando.

  9. 26
    Mauro Stani says:

    Sono un Vecchio e Modesto Alpinista.
    Chi siamo noi per dire come e chi deve andare in montagna ?
    La montagna è di tutti anche dei “cannibali”.
    Ciao a tutti.

  10. 25
    Alessandro Gogna says:

    Non ci arrenderemo, Betto. Ma la tattica andava cambiata.

  11. 24
    Carlo Alberto Pinelli says:

    Ciò che scrive e sostiene anche in pubblico Alessandro Gogna non è privo di una sua logica e certamente stimola riflessioni sulle iniziative “garibaldine” che hanno caratterizzato Mountain Wilderness nei primi anni della sua comparsa sulla scena dell’ambientalismo internazionale. Mi permetto tuttavia di non essere del tutto d’accordo. Se è vero che la maggioranza dei frequentatori delle montagne ha difficoltà ad accettare che le vie ferrate rappresentino il primo scalino di una discesa verso una utilizzazione della montagna prevalentemente ludica e banalizzante (parchi tematici, passerelle tra gli alberi e le guglie, ponti “tibetani” e altre sciocchezze del genere), è altrettanto vero che le cose stanno esattamente così; e di conseguenza non è inutile o controproducente mettere ogni tanto questa pulce nell’orecchio alle folle vacanziere che vogliono sperimentare il brivido della verticalità eliminando però quasi totalmente i rischi che ad essa si associano e ad essa donano un senso profondo. Le vie ferrate sono divertenti, favoriscono un piacevole impiego delle proprie predisposizioni atletiche, permettono di fotografare i monti da una diversa prospettiva ? D’accordo. Ma dove va a finire la libertà di decidere il proprio itinerario, appiglio dopo appiglio, la capacità di imparare dai propri errori, l’ingegnosità di individuare vie d’uscita dalle difficoltà e dai pericoli? Le vie ferrate favoriscono atteggiamenti passivi (tanto ci sono cavi e scalette a guidarci passo passo); non sono formative; non ci liberano dai condizionamenti urbani di cui siamo succubi e non contribuiscono a rivelarci aspetti creativi della nostra psiche che giacevano sul fondo, senza possibilità di emergere e di esprimersi. Restano soltanto un gioco epidermico. Sarebbe bene che i frequentatori se ne rendessero conto. Forse era troppo ingenua e radicale la strada intrapresa da Mountain Wilderness per fare capire al pubblico che l’incontro autentico con la montagna si colloca in una dimensione radicalmente diversa. Difatti il pubblico non ci ha capiti. Ma ciò non significa arrendersi, perché la posta, lo si capisca o no, è troppo alta.

  12. 23
    Alberto Benassi says:

    sono d’accordo con Luigi.
    Anche perchè non si può sempre porgere l’altra guancia con la speranza che chi è dall’ altra parte capisca e ci ripensi.
    Questi eccome se capiscono. Ma se ne fregano altamente. Anche perchè sanno che tanto porgeremo l’altra guancia.
    A tutto c’è un limite e quando ci vuole ci vuole!

  13. 22
    Alessandro Gogna says:

    Caro Gigi (Luigi) Casanova: è un errore che tu scriva “Non condivido il pensiero di Gogna che sostanzialmente dice “quando si ha contro la maggioranza si sta fermi””.
    La mia frase “I nostri sforzi devono allontanarsi con energia dalle prese di posizione che risultano impopolari e rivolgersi invece a diffondere in ogni modo il messaggio culturale fiduciosi che, prima o poi, questo trionferà, senza alcun ulteriore ricorso a blitz impopolari” non può essere ridotta in alcun modo a ciò che mi attribuisci con il tuo “sostanziale” riassunto. Come te, anch’io mi trovo, tutti i giorni, ma proprio tutti, a lottare contro maggioranze varie. Avere opinioni diverse sulle tattiche non significa che lo scopo da raggiungere sia differente, quindi ciò che non deve mancare è la solidarietà. Che francamente di solito aiuta.

  14. 21
    Luigi says:

    Ho partecipato, non come un ladro, ma in modo pubblico, alla demolizione della ferrata e ho sostenuto il successivo processo. Non condivido il pensiero di Gogna che sostanzialmente dice “quando si ha contro la maggioranza si sta fermi”. Fosse così questa nostra società non si smuoverebbe. Prima dell’azione avevamo provato tutto il percorso istituzionale: confronto (sempre rifiutato) con il Comune di Drò, con la SAT (che sosteneva il nostro pensiero, ma non l’azione), con le guide alpine. Abbiamo trovato davanti a noi un muro di omertà e di difesa del Bombardelli che si è così ritenuto libero di proseguire nella sua azione di demolizione di una via e di una parete, ferrandola. Non è nemmeno vero che l’epoca delle ferrate sia finito: si guardi a cosa realmente succede in Dolomiti, tutte. Guide alpine e Aziende di promozione turistica invitano a costruyirne in modo sempre più diffuso, si pensi alle idiozie della valle di San Nicolò o a quanto si propone a Moena verso Piz Meda. Si vanno ad intaccare gli spazi più selvaggi, si è perso ogni senso del limite. Ai nostri lettori chiedo di approfondire anche l’azione di Mountain Wilderness svolta alle Pale di San Martino, sulla Bolver Lugli, anche lì demolendo una via alpinistica. Lì, in modo più educato, avevamo apposto una elegante tabella in legno che invitava alla riflessione. Pochi giorni dopo le guide di San Martino di Castrozza l’hanno divelta e fatta sparire. Come si vede, anche da tanti altri episodi, non è MW che deve imparare l’educazione, ma tanti, troppi operatori della montagna. Fortunatamente non tutti. Luigi Casanova

  15. 20
    Marco Furlani says:

    Per quanto riguarda l’incursione sulla ferrata dedicata al Mitico “Che” so che sono arrivati di notte come i ladri distruggendo un lavoro fatto con fatica da altri che ci credevano lasciando tutto in loco in nome della pulizia e dell’etica e sono scappati come ladri.

  16. 19
    Alberto Benassi says:

    In linea di principio certe azioni, come quella di MW non c’è da esserne fieri. Non sono certamente da portare ad esempio. Un confronto a tavolino sarebbe di sicuro più civile.
    Ma bisogna anche dire che a volte non ci sono altre possibilità se non quella di reagire in maniera FORTE.
    Anche perchè chi è dall’altra parte agisce, spesso e volentieri di nascosto e ti mette davanti al fatto compiuto. Contando sul fatto che oramai il danno è fatto e che, ci sarà chi si incazza, ma tutto finirà li.
    Potrei portare diversi esempi qui in Apuane.
    Allora se di rapporti civili si parla, devono essere da entrambe le parti.
    Altrimenti che scontro sia . Quando ci vuole , ci vuole!
    Inoltre c’è un altro diritto di cui di norma non si parla mai.
    Quello dell’ambiente, della montagna, della parete.

  17. 18
    Gianni Sartori says:

    Entro, indegnamente, nel dibattito soltanto perché conoscevo bene uno di quelli che parteciparono alla demolizione, l’indimenticabile Gianfranco Sperotto, esponente di M.W e di Legambiente., grande ambientalista (negli ultimi anni girava solo in bici e in corriera; lo incontravo talvolta in Val d’Astico, anch’io solitamente in corriera, durante i suoi giri “promozionali” di libri sulla Natura, sulla Resistenza etc. (con la sella della bici, rimasta parcheggiata alla stazione di Thiene, dentro lo zaino per evitare che la fregassero; la bici, non la sella).
    Pacifista dagli anni sessanta (quando, militante PSIUP, organizzava la fuga dei disertori dalla Ederle a Vicenza accompagnandoli fino in Svezia), presente fino alla fine alle manifestazioni contro il Dal Molin, gli era un po’ seccato soltanto che fosse una ferrata dedicata proprio al “CHE” (e su questo concordavo, avendo conosciuto, oltre a Pombo e Ignacia, suoi compagni di lotta in Bolivia, anche l’altro Ernesto, il padre del CHE ). Certo sarebbe stato meglio, che so, demolirne una dedicata al papa o a un generale…
    Ma quando ci vuole ci vuole! Almeno era stato dato un segno, gridato che c’era un limite…
    Ovviamente non mi aspetto che altri siano d’accordo. In ogni caso mi pare che il dibattito sia già animato e non intendo contribuirvi.
    Solo un’osservazione:
    “E basta con la solita storiella dell’impatto ambientale di chi va in montagna, arreca assai più impatto al Pianeta il vivere in città”.

    Parli sul serio?
    Come ci vai in montagna? Presumo in auto (ne conoscevo solo un paio che usavano la corriera…uno appunto era Sperotto); personalmente conosco molte persone che vivono in città, usano l’autobus e la bici, piantano alberi e arbusti anche in “pergolo”…e non se la tirano con “sto qui in mezzo alla natura” dopo aver fatto due-trecento chilometri in auto per fare una paretina di pochi metri. Vedi il solito Lumignano, dove nessuno, neanche i vicentini, si degna più di arrivare in tram (informo che c’è l’8, prima di Porta Castello, vicino alla stazione per chi arrivasse, improbabile ma sempre possibile, in treno) o in bici 8c’è la pista ciclabile, tra l’altro dedicata a Renato Casarotto, quindi in tema).
    Come diceva quasi trent’anni fa proprio Sandro Gogna (cito a memoria) “in fondo ama di più la Montagna chi non ci va”. Senza arrivare a tanto, sarebbe il caso di (ri) cominciare a pensare anche a come ci si va , altrimenti è veramente un ridurla a sfogatoio, discarica esistenziale di chi per il resto della settimana marcia a pieno ritmo con il…chiamiamolo sistema produttivo, capitalismo, società dello Spettacolo…insomma quella roba lì.
    Forse sarebbe ora di smettere di cercare la “natura” sempre più lontano, in luoghi sempre più inaccessibili…di fatto contribuendo alla sua ulteriore colonizzazione e cercare invece di riportarla dove stava prima, con ogni mezzo necessario (citazione da Malcom X). Anche demolendo, se occorre, senza complessi. E per l’arrampicata? Che ne dite dei piloni dell’autostrada? “Bellissimi” quelli assurdamente imponenti del ponte della A31 (si vedono da Lumignano) tra Colzé e Montegalda. Qualche spit, qualche presa artificiale…e il divertimento sarebbe assicurato.
    Ultima cosa: emblematica la morte di Gianfranco Sperotto, criminalmente investito da un’auto mentre attraversava sulle strisce.
    Un ringraziamento a chi gestisce il sito per avermi consentito di ricordarlo.
    GS

  18. 17
    Valerio Rimondi says:

    Mario Bultrini, auspico vivamente che l’ultima parte del tuo intervento volesse essere mirata perchè se dobbiamo intenderlo in senso generale non so come si possa essere d’accordo. In montagna si possono svolgere attività più o meno impattanti. Certamente è più impattante la costruzione di una pista da sci di una ferrata, credo che su tale evidenza non possano esservi dubbi.
    L’articolo postato da Alessandro Gogna verte su un tema preciso e sul quale come sempre si è in parte divagato, ma va bene così perché da cosa nasce cosa.
    Io credo che, in linea di principio, non sia buona cosa attuare comportamenti come quelli di Mountain Wilderness però è altrettanto vero che a volte ci si trova di fronte a dei muri con i quali non è possibile dialogare. In concreto, le ferrate si continuano a costruire e affrontare la questione solo ed esclusivamente in termini culturali può non portare nell’immediato ai risultati sperati.
    Per quanto concerne la Che Guevara. L’ho percorsa due volte e la ritengo una ferrata di ottima fattura.
    Sulla prima parte del commento di Mario sono invece pienamente d’accordo. Sovente a pontificare ci si mettono proprio coloro che per primi hanno fatto cose di cui poi si sono pentiti. Per carità il pentimento, soprattutto nella nostra cultura, è una dimostrazione di grande valore simbolico però a volte penso che ci si potrebbe anche pensare prima, in particolar modo quando un certo tipo di messaggio è già passato. Quando per esempio sento fare discorsi etici e ambientalistici da parte di gente che ha forato la montagna in lungo e in largo mi viene da dire – da che pulpito! –
    Per me il vero messaggio che dovrebbe passare è quello che l’ambiente non è un luogo dove sfogare le proprie pulsioni. Però vedo che dal giro vizioso non se ne esce in quanto alla fine i più attivi sono anche quelli che ritengono di avere una sorta di diritto di prelazione sulla montagna e pensano di poter dettare le regole secondo la loro visione facendo e disfando a piacimento.

  19. 16
    Alberto Benassi says:

    “lasciamo assaporare il piacere di stare in montagna a chiunque, come meglio crede.”

    E il diritto ad essere rispettata della montagna, della natura. Dove lo vogliamo mettere?
    C’è o non c’è questo diritto/dovere…??

  20. 15
    Mario Bultrini says:

    Questo discorsi mi ricordano l’operato di alcuni politici che, andati in pensione a quarant’anni, hanno progressivamente imposto a tutti gli altri di lavorare fino alla vecchiaia.
    Cosa voglio dire con questo?
    Che proprio da chi per primo ha raggiunto ”luoghi lontani” viene in mente che tali attività arrecando danni, disturbi e quant’altro a natura, fauna flora.
    Senza entrare nel merito se sia più etico salire su una cima con la ferrata, con gli spit o col freesolo, dico solo questo:
    lasciamo assaporare il piacere di stare in montagna a chiunque, come meglio crede.
    A tavola ci sono i carnivori, i vegetariani, i crudisti e i vegani?
    Bene, rispetto per tutti…idem per i ferratisti, i falesisti, gli escursionisti e gli alpinisti!
    E basta con la solita storiella dell’impatto ambientale di chi va in montagna, arreca assai più impatto al Pianeta il vivere in città.

  21. 14
    Valerio Rimondi says:

    In teoria sono d’accordo con Alessandro Gogna, in pratica è pur vero quello che dice Luca Visentini.
    Da quando il CAI ha preso posizione, almeno a parole, di ferrate ne sono state costruite. E’ pur vero che qualcuna è stata smantellata per motivi di sicurezza.
    Però diciamola tutta, in montagna molti fanno quello che gli pare. Dal costruttore di ferrate a quello che è stato definito un chiodatore seriale sono tutti bravi a giustificare le proprie scelte e a criticare quelle degli altri.
    Tutti sbagliano e nessuno sbaglia. Se la ferrata la faccio io è un capolavoro, se la fa Tizio o Caio è una porcata. Se la via la chiodo io va bene ma se la chioda un altro deturpa la roccia. Mi dispiace ma così non va bene. Forse sarebbe meglio se i più attivi cominciassero a darsi una calmata e riscoprissero la pace e la serenità di farsi una passeggiata.

  22. 13
    Luca Visentini says:

    Non mi riferisco alla via ferrata Che Guevara, di cui sapevo la storia ma che non ho mai percorso. Prendo invece spunto dalle conclusioni di Alessandro, sull’inutilità dei “blitz”. Ecco, qui non sono d’accordo. Le ferrate sono da quei primi tempi di discussione sulla wilderness (c’ero anch’io al convegno di Verona di MW sul tema) proliferate, specialmente in Dolomiti, nonostante i diversi inviti del CAI a smetterla con questo tipo di banalizzazione e commercializzazione della montagna. Non c’è quasi rifugista che non le vorrebbe, sopra la propria testa. E non so quanti professionisti si tirerebbero indietro dal realizzarle. Beh, io una ferrata l’ho smantellata, di notte, prima ancora che la inaugurassero. Era “illegale” ma intendevano giocare sul “dato di fatto”. Andava data una risposta negli stessi termini. E visto l’andazzo, penso di avere fatto bene.

  23. 12
    Giandomenico Foresti says:

    “ad informarmi meglio”…??? Ma siamo in un blog o in Questura?

  24. 11
    Marco Furlani says:

    Bene gia conoscere nome e cognome va molto meglio e magari riusciro ad informarmi meglio io ho scritto quello che pensavo senza peli sulla lingua come nel mio stile facendo un po di storia e qualche considerazione.
    Infine non sono dottore ho fatto la terza media di notte dopo 10 ore di lavoro duro.

  25. 10
    Giandomenico Foresti says:

    Mi dispiace dover abbandonare lo pseudonimo GIANDO a cui ero affezionato e che usavo da quando ho cominciato a postare commenti su questo blog.
    In un paese come il nostro dove la forma conta spesso più della sostanza spero di aver fatto cosa gradita, soprattutto al dott. Furlani (che peraltro adesso su di me ne sa quanto prima, bah..).

  26. 9

    Fabio Bertoncelli:
    cultura non è opinione ma uno sforzo per evolvere, non quello della tecnologia che evolve se stessa ma quello di evolvere noi stessi!!!
    Che vada in porto o meno è una questione di menti pensanti ma non sono le leggi che cambiano le cose, quelle mettono dei paletti a spauracchio, è la concezione delle cose che le cambia.
    “Tanto c’è ben altro…”, “Tanto sono tutti uguali..” questi sono concetti anti-culturali che cavalcano l’onda da decenni!
    Se si vuol cambiare si fanno le cose nei modi più appropriati e non solo quando aggrada. Sulla denominazione della via ferrata in questione, in quegli anni ho sentito di tutto e di più, e nel cattolico /vescovile Trentino molti godettero per aver stroncato i “comunisti” , quindi già di per sé si cavalcò un’onda checché oggi se ne dica… e questo non è certo educativo!!!
    Poi come ho già citato chi compì l’opera di “epurazione” lascio dietro a sé gli scheletri della stessa, in bella mostra, scheletri che ancor’oggi “chiedono giustizia” quindi qual’è l’ìnsegnamento?
    Considerando anche che tra tutte quelle esisteni ed impattanti (ferrata dell’amicizia a Riva ad esempio, con centinaia di metri di scale metalliche), è stata scelta proprio quella meno impattante e probabilmente più consona… se d iconsono vogliamo parlare…

  27. 8
    Fabio Bertoncelli says:

    “Finché decine e decine di sciatori voleranno con l’elicottero ogni fine settimana, felici di fare eliski, non sono accettabili azioni di disturbo.
    Finché centinaia e centinaia di centauri scorrazzeranno per i boschi con le loro moto, felici di farlo, non sono ammesse azioni di disturbo.
    Finché esisteranno fuoristrada, quad, funivie, seggiovie, sciovie e porcherie, non sono ammesse azioni di disturbo, perché qualcuno ci si diverte.
    Il problema si deve risolvere con il messaggio culturale.”

    Provare a risolvere il problema della criminalità con il solo “messaggio”. Poi mi saprete dire se basta.

  28. 7

    Caro Giando sarebbe meglio rispondere ad un nome e cognome ma evidentemente ti nascondi dietro uno pseudonimo, alcune considerazioni sulla ferrata del Casale.
    Per quel che riguarda il mitico Bombardelli, non ha mai avuto nessun problema con la sezione locale della quale faccio parte anch’io.
    Bombardelli ha costruito la ferrata privatamente a sue spese e talvolta aiutato da molti membri della sezione, non a nome della sat ma aiuto dato da semplici alpinisti, la cengia del Maurizio per esempio è stata dedicata a M. Petrolli che è stato anche vicesindaco del comune di Dro proprio perchè collaborava attivamente alla costruzione.
    lo stesso Gianni Bassetti apritore della via della parrocchia nel 59 (riscoperta dal sottoscrotto) la cui ferrata discosta parecchio dall’itinerario originale, collaborò col Bombardelli.
    Come sempre Michelazzi nella sua lucida capacita di sintesi denuncia che M.W. dopo aver smantellato vigliaccamente di notte cosa che reputo una porcata fatta solo per pubblicità e nel nome della pulizia lasciò tutto il materiale in loco.
    Veniamo alla ferrata vera e propria che ritengo un vero capolavoro che bisognerebbe prendere ad esempio di come si costruisce una ferrata in netta controtendenza alla recente ricostruzione di quella di Mori dove i tecnici in nome della sicurezza hanno ferrrato in modo smodato ed imbrigliato di ferro la montagna (una vera porcheria ed esempio di come non fare ) sale una parete che altrimenti non sarebbe più stata salita e non da fastidio ad altre ascensioni, quelli che la ritengono lunga se ne vadano da un’altra parte su una ferrata più corta nella valle ce ne sono tante e quelli che hanno troppo caldo vadano nelle occidentali al fresco, quelli che criticano ci sono sempre ma se tanto mi da tanto oltre 2000 passaggi all’anno con delle riviste che la decantano come possibilita di fare uno dei più bei viaggio lungo una grande parete anche per alpinisti che altrimenti non lo potrebbero fare.
    Io la percoorro diverse volte all’anno l’ultima volta con Lucia mia figlia (11 anni) e Laura mia moglie in gioventù sono salito anche con il rampichino sulla schiena e la ritengo molto bella e sono in totale disaccordo (unico Punto) col mio grande amico Alessandro. Per quanto riguarda la pericolosita in montagna non esiste montagna sicura la sicurezza e chi non vuole esporsi se ne stia comodamente a casa sul divano a guardare la TV.

  29. 6
    GIANDO says:

    Pur non avendo nulla a che vedere con l’articolo sono assolutamente d’accordo con Luigi Spagnolli perché quello dei chiodatori seriali è un problema. Mi fa piacere che Luigi abbia analizzato la questione con dovizia di particolari. Peraltro ce ne sarebbero altri da aggiungere, compreso quello che alcuni definiscono “inquinamento visivo” (è un termine che ho coniato io? Boh.. Ormai con tutti questi commenti non mi ricordo nemmeno più ciò che elaboro e ciò che prendo a prestito da terzi..).
    Solo che quando si parla di queste cose c’è sempre qualcuno che considera tali considerazioni talebane in quanto limitanti la libertà altrui. Bah..

  30. 5
    luigi spagnolli says:

    I tempi cambiano: oggi il problema non è più l’apertura di nuove vie ferrate, la cui autorizzazione è rigidamente regolamentata (e sostanzialmente impossibile in zone dove già ci sono altre ferrate presenti), bensí piuttosto, per esempio, nell’Alto Adige dolomitico, il proliferare dei “Klettergärten”, piccole pareti attrezzate per l’arrampicata.
    In Valle di Landro, Comune di Dobbiaco, ne sono state aperte alcune decine in pochi anni: in pratica ogni giovane rocciatore del posto si è attrezzato la sua paretina, dove conduce, a pagamento (se guida alpina) o anche no, altre persone. Non essendoci norme che disciplinano tale attività, ci si ritrova di fronte ad un fatto compiuto – lí siamo nel Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto -, che provoca impatti consistenti sulla natura della valle, in considerazione dei numeri consistenti del turismo in quella parte di Alpi. Gli impatti consistono:
    1. nel fatto che le vie aperte non tengono conto delle peculiarità naturalistiche presenti: sono stati visti chiodi a mezzo metro da un nido d’aquila;
    2. nella conseguente necessità, per i frequentatori, di attraversare il bosco, a quote tra i 1400 ed i 2000 metri, fuori dalla rete ufficiale dei sentieri, generando, a causa della quantità delle pareti attrezzate – come detto diverse decine in pochi km di valle – un disturbo continuo alla fauna, che si ritrova costretta a rifugiarsi su balze scoscese, piú in alto, dove c’è meno nutrimento ed a fronte di maggiori consumi energetici, cosa grave in particolare a fine estate, quando l’avvicinarsi dell’inverno imporrebbe di evitarli;
    3. in generale, dell’incremento dell’antropizzazione del wilderness, che è l’anticamera della sparizione del wilderness stesso.
    Sarebbe interessante conoscere se vi sono territori montani che hanno normato questo tipo di uso della montagna, e come.

  31. 4

    Sarebbe interessante ed utile che magari dopo tanti anni chi eseguì il blitz si prodigasse anche a togliere ciò che rimane dei cavi che a suo tempo furono tolti e lasciati lì… !!! Molti sono arrivati a valle da soli complice probabilmente la pioggia che su quelle placche scorre abbondante ma fino a due anni fa, data della mia ultima frequentazione, facevano ancora bella mostra di sé diversi chili di cavo…
    Nota storica:
    Che Guevara ebbe un trascorso alpinistico con salite di diverse cime attorno ai 5000 metri tra le quali il Popocatèpetl a cui è relativa questa foto:
    http://www.garage-gibraltar.ch/perso/che/31a.jpg

  32. 3
    GIANDO says:

    Qualche locals mi ha sempre detto che il Bombardelli non era ben visto dalla SAT locale. Pertanto, posto che si tratta solo di congetture, non è da escludere che l’azione di MW sia maturata in un contesto di tensione.
    Sicuramente, se proprio avessero voluto manifestare in maniera più coerente, gli affiliati a MW avrebbero dovuto smantellare la vicina Rino Pisetta, la quale rappresenta l’antitesi di quei percorsi di ampio respiro citati come esempio da Matteo.
    Tralasciando il punto focale dell’articolo, relativamente al quale ho già espresso condivisione con le opinioni di Alessandro, mi pare corretto sottolineare che la Che Guevara ha sempre destato perplessità fra gli stessi amanti delle vie ferrate (basta fare un giro su qualche blog dei cosiddetti “ferratisti” per rendersene conto). Molti la considerano una via assurda, per la lunghezza, per l’esposizione al sole e per la mancanza di acqua. A salirla d’estate c’è da star male, a meno che non si parta nel cuore della notte per sfruttare il clima più mite e l’assenza del sole a picco.
    Per quanto riguarda Carlo Alberto Pinelli e le sue considerazioni dell’epoca, peraltro da molti condivise tutt’ora, non credo proprio che le vie ferrate allontanino dalla vera esperienza della montagna. Se così fosse non si spiegherebbe come mai molti alpinisti ed arrampicatori di punta abbiano cominciato a muovere i primi passi proprio sui suddetti percorsi attrezzati. Ciò che può allontanare è la cosiddetta ferrata sportiva, tipo appunto la Pisetta, che si snoda lungo una parete con passaggi di V-VI grado. Queste sono a mio avviso le ferrate che andrebbero smantellate, non certo in autonomia bensì col benestare delle amministrazioni locali.

  33. 2
    matteo says:

    In linea di principio anch’io sono contrario alle ferrate, proprio perché credo che “droghino” l’esperienza del muoversi in montagna e viverla.
    D’altra parte però, bisogna riconoscere che alcune ferrate (o sentieri attrezzati) sono semplicemente dei capolavori: basta pensare alle bocchette in Brenta.
    Proprio questa primavera ho salito la Che Guevara con le figlie e amici locals e devo dire che rientra appieno in questa categoria.
    Più che una ferrata è un sentiero attrezzato, con lunghi tratti senza nulla e tutt’altro che banali, sale in un ambiente di notevolissima bellezza, in una parete che altrimenti non salirebbe nessuno.
    Il dislivello e l’impegno richiesto sono decisamente importanti, per cui non credo banalizzi proprio niente.
    Direi che in questo caso MW abbia proprio sbagliato obbiettivo: sarebbe come se (per rimanere nella nostra zona) si disattrezzasse la direttissima in Grignetta e si lasciasse stare la ferrata dei piani d’Erna!

  34. 1
    GIANDO says:

    Sono d’accordo con le conclusioni di Alessandro.

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