Nessuno avrebbe potuto immaginare la buriana mediatica che si sarebbe scatenata al seguito del convegno Croci di Vetta in Appennino tenutosi all’Università Cattolica di Milano nel tardo pomeriggio del 22 giugno 2023.
L’evento è stato organizzato per presentare il volume di Ines Millesimi Croci di vetta in Appennino, sicuramente al centro di una riflessione originale e per certi versi necessaria, visto che negli ultimi anni le croci svettanti sulle montagne sono state oggetto di dibattiti aperti, tra puristi della natura selvaggia e difensori di un marker della nostra geografia culturale.
E in effetti la presentazione della recente fatica di Ines Millesimi è stata uno stimolante confronto tra diverse visioni del rapporto uomo-natura: da notare la location del dibattito, perché “cattolica” ha parecchia responsabilità storica nell’attuale disastroso atteggiamento antropocentrico della nostra civiltà.
Introdotto e moderato dal prof. Ciro De Florio (docente di Logica e Filosofia della Scienza alla Cattolica), il dibattito si è svolto grazie agli interventi, oltre che dell’autrice, di Monsignor Melchior Sánchez De Toca Alameda (Sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede vaticana), di Marco Valentini (Consigliere di Stato e Docente di Diritto Penale) e di Marco Albino Ferrari (Direttore editoriale e responsabile attività culturali del CAI). La relazione di quest’ultimo era intitolata Uno sguardo culturale sulle vette, da Scheuchzer al CAI.
“Luogo: Università Cattolica di Milano. Protagonisti: una storica dell’arte, un alto prelato, un giurista e il sottoscritto collaboratore del Cai. Si parte con la dichiarazione dell’alto prelato che, citando il Papa, dice che non si deve banalizzare il simbolo della croce facendone uso improprio, il suo proliferare ne affievolisce il significato, dunque meglio non erigere ciclopiche croci sulle montagne, come avviene di recente. Tutti i relatori concordano con le parole dell’alto prelato. Poi i saluti, le strette di mano, gli scambi di indirizzi; la sala si svuota, ritorna il silenzio, e nessuno può immaginare in quel silenzio che già la miccia è innescata, che la fiammella corre veloce e che presto raggiungerà la bomba (Marco Albino Ferrari)”.
In questo post cerchiamo di ricostruire la spiacevole vicenda. Nella presentazione del libro, Marco Albino Ferrari ha espresso un concetto, che – per quanto possa contare – noi andiamo predicando da anni, ovvero “lasciare le croci che ci sono, ma non metterne altre, perché l’ambiente alpino è fin troppo antropizzato: ci sono troppi segni umani”. A maggior ragione lo stesso dovrebbe valere per nuovi rifugi e bivacchi, nuovi impianti, nuove strade.
Ma questo non significa che il CAI o Mountain Wilderness abbiano mai auspicato la rimozione delle croci in loco. Non risulta che ciò sia mai stato detto o scritto.
La bufera si è innescata nel mondo mediatico e poi è stata alimentata a dismisura dalla cassa di risonanza dei social. Quando gli organi di informazione escono con titoli quali Lo stop del CAI alle croci di vetta, è chiaro che, se sono in buona fede, hanno preso “Roma per toma”, se invece in mala fede, hanno volutamente gettato benzina sul fuoco. Quello che ne deriva è tutto pane per il loro denti.
Concetti chiari e limpidi, che però sono stati travisati per ”fare titolo” da alcuni media (facile far leggere un ”il CAI contro le croci in vetta”) e poi per alimentare una polemica politica tutta strumentale a distrarre l’attenzione dei cittadini (per esempio da inchieste e problemi reali).
Difatti i Ministri hanno risposto con proclami da Crociata medievale, costringendo il Presidente Montani a una dichiarazione ufficiale in cui ha sottolineato che il CAI in quanto tale non ha mai neppure affrontato il tema, meno che mai ha assunto delle delibere in merito.
La cosa poteva finire lì. Ma l’amplificazione esacerbata dei social ha comportato la successiva decisione di Ferrari e Lacasella a dimettersi perché non si sono sentiti tutelati dalla Presidenza.
Il CAI ha bisogno tanto di un Presidente attivo e con nuove idee, quanto di esperti del settore editoriale come Ferrari, Greci e Lacasella. Troppe le macerie sul terreno. Sarà difficile conciliare le esigenze di dignità personale con la necessità che un rinnovato spirito di squadra riprenda in mano la situazione.
13 giugno 2023
Riportiamo l’articolo con il quale, dieci giorni prima, loscarpone.cai.it presentava il convegno.
Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove
di Pietro Lacasella
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 13 giugno 2023)
(A questo articolo, in un secondo tempo, è stata aggiunta la nota: come già ribadito dalla Presidenza, il testo seguente non riporta la posizione ufficiale del Club Alpino Italiano ma quella dell’autore.
La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce di vetta? Ha ancora senso innalzarne di nuove? […]
L’evidenza della morte e il conseguente timore condizionano il pensiero e le azioni dell’uomo da migliaia di anni.
A questa inquietante certezza abbiamo sempre cercato di ovviare, perché aggirare gli ostacoli è una caratteristica intrinseca alla nostra specie (così come crearne).
La paura del deperimento fisico ha trovato dunque sollievo nella speranza dell’immortalità spirituale, ma anche nel tentativo di lasciare sulla terra un segno del nostro passaggio. Le religioni – nelle loro più differenti declinazioni – così come le innumerevoli sfumature culturali sono in parte una risposta all’angoscia causata dai terreni ancora inesplorati della morte.
Nel simbolo della croce di vetta troviamo riassunte sia la speranza di vita eterna, sia la necessità di lasciare sulla terra, in un luogo emblematico e visibile, una testimonianza della nostra esistenza individuale ma, soprattutto, sociale. D’altronde l’uomo ha sempre cercato di plasmare il paesaggio a partire dalla propria concezione del mondo, dalla propria cultura.
Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove?
Probabilmente la risposta è no.
Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale.
In secondo luogo perché la montagna è un elemento paesaggistico che, per ovvie ragioni, da sempre si carica sulle spalle una gravosa valenza simbolica, capace di influenzare il pensiero collettivo: il messaggio trasmesso dai rilievi non dovrebbe più riflettere il periodo compreso tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo (arco temporale nel quale furono installate la maggior parte delle croci di vetta), ma dev’essere riadattato sulle caratteristiche e sulle necessità di un presente che non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà.
Perciò, se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità.
[…]
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23 giugno 2023
Il mattino seguente al convegno, alcune testate giornalistiche riportano la notizia che il CAI dice “basta alle nuove croci sulle vette delle montagne”.
Abbiamo scelto di riportare due tra gli articoli più rappresentativi, quello su Il Giornale e quello sul Corriere della Sera, che facciamo precedere dalla dichiarazione sull’organo ufficiale del CAI a conclusione del convegno.
Croci di vetta: qual è la posizione del CAI?
di Pietro Lacasella
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 23 giugno 2023)
(A questo articolo, in un secondo tempo, è stata aggiunta la nota: come già ribadito dalla Presidenza, il testo seguente non riporta la posizione ufficiale del Club Alpino Italiano ma quella dell’autore.
Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta.
Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare.
Per fortuna, da questa visione dicotomica, che si sviluppa per contrasti, ogni tanto emergono interessanti e necessarie sfumature intermedie, capaci di osservare il tema con sguardo oggettivo, svincolato da ferree ideologie e pronto a contestualizzare il fenomeno. È proprio ciò che è avvenuto ieri, giovedì 22 giugno 2023, durante un convegno organizzato all’Università Cattolica di Milano […] Al convegno […] si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.
Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano. Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.
Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne.
Che poi, a ben guardare, è lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti.
Sarebbe interessante se, per una volta, il dibattito riuscisse a smarcarsi dalla logica del tifo per abbracciare il desiderio di ascoltare, comprendere e riflettere. Una necessità di dialogo che di sicuro alzerebbe il livello del dibattito.
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L’ultima croce
(Il Club Alpino Italiano: “Basta crocifissi in montagna, non indicano più una visione comune”. E i soci protestano)
di Alberto Giannoni
(pubblicato su ilgiornale.it il 23 giugno 2023)
«Anacronistiche». Sulle croci di vetta si abbatte, gelido come la tramontana, il verdetto del CAI, il Club Alpino Italiano.
La tesi non ha la furia cieca della «cancel culture» quando si abbatte sulle statue; il passo è rispettoso, eppure è spinto dallo stesso vento: il politically correct: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no».
È solo l’ultima diatriba, l’ultima «croce» di una modernità che tutto mette in discussione, tutto vuol cambiare o liberare.
Ieri la questione è stata sviscerata nel corso di un convegno nell’aula magna della Cattolica di Milano, in occasione della presentazione di Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi, volume dedicato a questa usanza antica, che si perde nei secoli nel cuore di un’Europa cristiana che da sempre trova nell’ascesi lo slancio di un rapporto intimo con Dio – basti pensare ai santuari mariani e, più di recente, al «Papa montanaro», Giovanni Paolo II.
Se i monti sono luoghi dello spirito, le croci nel tempo diventano segno di passaggio, richiesta di protezione – anche dalle intemperie – e preghiera, devozione votiva. In ogni caso, frutto di una cristianità che a queste latitudini è cultura condivisa. O forse lo era.
E dunque: ha ancora senso? Domanda, e risposta, sono contenute appunto in un breve articolo comparso su Lo scarpone, il portale del CAI, autorevole associazione che da 160 anni si occupa di studio e tutela dei monti. «Sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove» asserisce Pietro Lacasella, curatore del portale, annunciando l’evento di Milano. «La croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale», assicura.
La maggior parte delle croci risale al XIX-XX secolo. A volte sono solo due scarne tavole di legno, altre monumenti veri e propri, che evocano la torre Eiffel e possono superare i 20 metri. Difficile censirle tutte, stabilire davvero quante siano e quando siano comparse. Il Club Alpino Svizzero attesta che sono documentate dal quarto secolo: «Come si legge in un articolo dello storico Peter Danner – spiega un saggio del CAS – la prima croce sulla cima elevata di una montagna in ambito cristiano sorgeva sull’Olimpo (a quota 1951), a Cipro». Il Concilio di Efeso la adottò come simbolo cristiano ufficiale nel 431. «Poco prima del 1100 – prosegue – i crociati eressero croci in legno e in ferro ovunque fossero passati, per indicare la strada a chi li avrebbe seguiti e anche per mostrare alle popolazioni del luogo dove stesse il vero Dio». Documentata, all’epoca, una croce a Roncisvalle, sui Pirenei. Davanti a quella, come ad altre, i pellegrini di San Giacomo si inginocchiavano, chiedevano protezione divina «rallegrandosi al tempo stesso perché, da quel punto in poi, la via sarebbe stata in discesa».
Le croci di vetta suscitavano anche allora l’irritazione di sparuti contestatori. Liberi pensatori, anticlericali. Nel 1928 – lo ricorda il CAS – l’alpinista e insegnante ginnasiale viennese Eugen Guido Lammer, in un libro diventato di culto, si scagliava veemente contro questi simboli. «Cosa ha da dire la croce nella solitudine della montagna? – scriveva – Lasciate che risuoni pura la lingua degli elementi, lasciate che la natura parli inalterata alla vostra anima!».
Voci isolate. Oggi invece è il più noto fra gli enti di alpinismo che, con le dovute cautele, prova a «smontare» questa costruzione dell’immaginario europeo. Non tutti però sono d’accordo». Qualcuno accusa il CAI di essere diventato «divisivo», un altro protesta: «La passione per la montagna dovrebbe unirci invece… Io sono socio dagli anni Settanta ma medito di non rinnovare più se continuate così». C’è chi sottoscrive la tesi del CAI, la considera «equilibrata». Ma un alpinista chiude lapidario: «Si può andare in montagna anche senza tessera».
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Svolta del CAI
(Basta nuove croci sulle vette delle montagne: anacronistiche, non rappresentano tutti gli scalatori)
di Paolo Virtuani
(pubblicato su corriere.it il 23 giugno 2023)
La posizione del Club Alpino Italiano accende la polemica: «Quelle attuali non saranno toccate, ma le cime devono essere territorio neutro».
Sul Balmenhorn, vetta del gruppo del Monte Rosa di 4167 metri, c’è un Cristo benedicente in bronzo alto quasi 4 metri. «Nessuno pensa di toglierlo, come nessuno pensa di spostare, per rispetto e per motivi storici, le croci presenti su quasi tutte le cime del Rosa», dice Andrea Enzio, presidente del Corpo della guide alpine di Alagna. Sulle Alpi sono presenti 327 croci di vetta, alcune posizionate da secoli. Il recente articolo di Pietro Lacasella sul portale web del Club Alpino Italiano (CAI) ha riaperto il dibattito se abbia ancora un significato piantarne di nuove, ribadendo nello stesso tempo con forza che nessuno intende smantellare quelle presenti, alcune delle quali, soprattutto su Dolomiti, Ortles-Adamello, altopiano di Asiago, Pasubio e Monte Grappa, sono legate a drammatici episodi della Grande Guerra. Un tema che è poi stato approfondito all’Università Cattolica di Milano durante la presentazione del libro Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi, che ha censito 68 croci.
La posizione del CAI
«Se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità», scrive Lacasella. La posizione del CAI è quella apparsa in un altro articolo sul portale: «Il CAI guarda con rispetto le croci esistenti, si preoccupa del loro stato e, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché — è giusto evidenziarlo una volta di più — rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza». Secondo il Club Alpino Svizzero (CAS), le croci di vetta sulle Alpi sono documentate fin dall’anno 327 della nostra era. Il Cas ha dedicato all’argomento un’ampia documentazione, dando spazio alle diverse posizioni.
Il dibattito
L’associazione Mountain Wilderness da tempo ha intrapreso una campagna contro l’installazione di nuove croci e altre testimonianze sulle vette italiane. E ricorda iniziative stravaganti, come un dinosauro in legno posto sulla vetta del Pelmo, nelle Dolomiti, dove in effetti erano state rinvenute orme di dinosauri. Il dibattito alcuni anni fa venne ripreso anche in un articolo di Avvenire, che invitava «a non banalizzare quei simboli sacri».
Le lapidi
«Già nel 1993 avevamo avviato un’iniziativa per sensibilizzare parenti e conoscenti di coloro che avevano perso la vita in montagna, per posizionare nuove lapidi in un memoriale che abbiamo identificato nella cappelletta di Sant’Antonio vicino al rifugio Pastore», ricorda Enzio. «Su alcune vie di salita al Monte Rosa si trovano 3-4 lapidi proprio in mezzo al percorso: non vogliamo toglierle e non vogliamo mancare di rispetto a nessuno. Vogliamo solo invitare chi ne vuole mettere di nuove, di posizionarle in un memoriale. Non vogliamo vietare niente», aggiunge. «È solo un suggerimento che diamo, insieme al Comune, per non disseminare la montagna di “ricordi”».
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25 giugno 2023
E’ domenica, ma il presidente generale del CAI, Antonio Montani, per affrontare le prime polemiche scatenate dagli articoli del giorno prima, si affretta a precisare quella che secondo lui è la posizione del Club Alpino Italiano.
Croci di vetta, il presidente generale Montani chiarisce la posizione del Club Alpino Italiano
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 25 giugno 2023
Il Presidente generale del Club Alpino Italiano Antonio Montani, in riferimento a quanto pubblicato oggi dalle agenzie di stampa, intende chiarire la posizione del CAI.
“Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce.
Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”.
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A questo punto, così l’agenzia adnkronos ha riassunto la vicenda.
Montagna, via croci da vette?
(CAI: “Un equivoco”. Scuse a Santanchè)
(pubblicato su adnkronos.com il 25 giugno 2023)
Il Club Alpino Italiano non ha nessuna intenzione di togliere le croci dalle vette delle montagne. Il presidente generale del CAI, Antonio Montani, chiarisce la posizione dell’organismo e prova a chiudere il caso che ha suscitato una serie di reazioni, compresa quella della ministra del Turismo, Daniela Santanchè. “Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato – spiega Montani – è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. Voglio scusarmi personalmente con il ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto“.
“Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto“, ha detto Santanché prima delle parole di Montani. “Un territorio – sottolinea – si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori. Invito il presidente del CAI a rivedere la sua decisione“.
Il chiarimento del CAI
Già prima delle parole di Montani, il CAI ha precisato la posizione: il Club Alpino Italiano “guarda con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli). Questo perché, è giusto evidenziarlo una volta di più, rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza“. Ma “è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne“.
“Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta. Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare“, sottolinea il CAI, sul portale loscarpone.cai.it, ricordando quanto emerso in un convegno che si è svolto giovedì a Milano, dove “si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime“.
[…]
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26 giugno 2023
Il lunedì la polemica è ormai scatenata. Riportiamo gli articoli apparsi su ildolomiti.it e su ilfattoquotidiano.it.
Croci in montagna, l’unica cosa anacronistica sono le polemiche
(l’intervista a Marco Albino Ferrari)
di Tiziano Grottolo
(pubblicato su ildolomiti.it il 26 giugno 2023)
“Davvero Marco Albino Ferrari non ha nulla di meglio e di più onorevole da fare che sputare veleno contro i simboli della nostra identità e della nostra cultura?”, così la deputata di Fratelli d’Italia, Alessia Ambrosi, non trova “niente di meglio da fare” che chiedere le dimissioni del direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del CAI. Il motivo? Rispondendo per le vie brevi verrebbe da dire un’incredibile strumentalizzazione, ma per capire meglio occorre fare un passo indietro.
Nei giorni scorsi su Lo Scarpone, il portale del Club Alpino Italiano, appare un articolo firmato da Pietro Lacasella (antropologo e scrittore) dal titolo Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove. Il testo è di facile comprensione, ma a quanto pare non per tutti. Tuttavia all’interno dell’articolo si legge: “[…] se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità”.
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“Al convegno – si legge nel resoconto pubblicato da Lo Scarpone – si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime”.
Cosa poteva andare storto? Tutto, ovviamente, perché in Italia la strumentalizzazione politica è diventata un’arte. Ovviamente nel dibattito ci si fionda chi di solito la montagna la vede solo dal binocolo (o peggio vorrebbe costruirci sopra degli aeroporti). A scomodarsi, oltre alla deputata Ambrosi, sono addirittura due ministri. Matteo Salvini è arrivato a dire che prima di togliere una sola croce si dovrà passare sul suo corpo: “Penso – ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – che la proposta di ‘vietare’ il Crocifisso in montagna perché ‘divisivo e anacronistico’ sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso, che nega la nostra Storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro”. La ministra per il Turismo, Daniela Santanchè, ha parlato invece di una decisione inaccettabile da parte del CAI: “Un territorio si tutela fin dalle sue identità e l’identità delle nostre comunità è fatta anche di simboli”.
Nella psicosi generale, fra la stampa di Destra, c’è addirittura chi avrebbe visto delle guide alpine iniziare a smantellare le croci. Tutto falso, ovviamente, ma ormai la polemica è servita allo scopo. Il dibattito, alimentato ad arte, ha ottenuto una tale portata che persino il presidente generale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani, è dovuto intervenire per scusarsi con la ministra Santanchè “per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa”, precisando inoltre di non aver “mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tanto meno prendendone una posizione ufficiale”.
Per chiudere il cerchio Il Dolomiti ha intervistato Marco Albino Ferrari che, oltre a essere il direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del CAI, è anche giornalista, scrittore (il suo ultimo libro è Assalto alle Alpi) e sceneggiatore ed è da sempre molto legato alla montagna.
Le croci di vetta sono sempre un argomento spinoso, ma si aspettava tutte queste polemiche?
“Qualche polemica me l’aspettavo ma non fino a questo punto, i giornali legati alla Destra hanno colto al volo l’opportunità, ma non ho mai detto di essere contro le croci in montagna né di volerle smantellare”.
Quindi le sue affermazioni sono state travisate?
“Il primo giornale ha costruito un titolo che era a dir poco una forzatura, innescando una valanga di commenti e prese di posizione, fino a Salvini e Santanché che hanno stravolto la realtà come spesso accade in Italia, purtroppo. All’incontro all’Università Cattolica di Milano, riprendendo una posizione già espressa da papa Francesco, assieme a uno dei prelati si è convenuto sulla necessità di non abusare del simbolo della croce e da qui è nata la polemica”.
Quindi che ne facciamo delle croci di vetta?
“Sono un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato. Il CAI le guarda con rispetto, non a caso continua a occuparsi della loro manutenzione, ripulendole dagli adesivi e restaurandole quando sono pericolanti. Certe montagne, senza le loro famose croci non sarebbero neppure lontanamente le stesse”.
E su quelle nuove? Penso per esempio a quella monumentale che il Comune di Malcesine avrebbe voluto innalzare sul monte Baldo…
“Penso che prima di farlo sia bene pensarci due volte, soprattutto perché il più delle volte si parla di opere monumentali che per dimensioni hanno poco a che vedere con l’identità e la cultura della montagna. Diciamo che preferisco una piccola croce in legno o quella storica del Cervino a una specie di traliccio alto diverse decine di metri, come invece si tende a fare oggi”.
Fake news ad alta quota
di Davide Turrini
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 26 giugno 2023)
Il CAI vuole togliere le croci di vetta per favorire l’interculturalità? È falso. I giornali hanno inventato tutto. Il cortocircuito sulla montagna dell’estate 2023 è servito. È bastato che all’Università Cattolica di Milano, durante la presentazione del libro Croci di vetta in Appennino, alla presenza dell’autrice Ines Millesimi, si affrontasse genericamente la questione al centro del volume e il telefono senza fili dell’informazione contemporanea ha sfornato titoli a nove colonne come “Il CAI: Basta nuove croce sulle vette di montagna”. Una “notizia” che ha fatto il giro d’Italia, e anche oltre, vista la risonanza che le questioni inerenti la montagna hanno da decenni. Con l’aggiunta dei due pezzi grossi di governo: il ministro Santanchè e il ministro Salvini pronti a scandalizzarsi. La prima si è dichiarata “basita” e ha parlato di “decisione contro i nostri principi”; il secondo l’ha argomentata prendendola più larga: “Penso che la proposta di ‘vietare’ il Crocifisso in montagna perché ‘divisivo e anacronistico’ sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso”. Insomma, direbbe Shakespeare di fronte alle fake news: tanto rumore per nulla. Infatti dopo nemmeno 24 ore è stato il presidente del CAI, Antonio Montani, a smentire categoricamente qualsivoglia posizione ufficiale di cancellazioni delle croci di vetta. “Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro”, ha spiegato Montani. “Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”, ha concluso il presidente del Club Alpino Italiano.
Solo che la questione non si ferma qui. Perché FQMagazine ha contattato i partecipanti all’incontro svoltosi alla Cattolica e ha scoperto che nemmeno Marco Albino Ferrari ha mai esposto alcuna ipotesi di cancellazione di croci in vetta alle montagne. “Ma scherziamo? Non l’ho mai detto”, esclama Ferrari. “Monsignor Sanchez, che ha parlato prima di me, ha affermato che le croci esistenti vanno mantenute e preservate, mentre bisogna fare attenzione a metterne di nuove perché, come ha detto Papa Francesco, spesso l’uso della croce viene strumentalizzato e banalizzato, si vedano quelle croci di 15 metri che sembrano tralicci). Io sono intervenuto mostrandomi d’accordo con lui. Il mio intervento ha riguardato lo sguardo culturale dell’uomo nel corso dei secoli sulle montagne ed è mia opinione che le croci vanno lasciate. Lo dico da laico. Fanno parte del paesaggio alpino e, anzi, immaginiamo se il Cervino non avesse la sua croce. Sarebbe una montagna spoglia priva di senso. Cosa diversa se ci fosse una croce in cima all’Everest. Oggi si dice spesso che le croci ci rappresentano meno perché è una società multiculturale. Ma questo non toglie valore alle croci perché non hanno un valore religioso, ma storico culturale. Sono come i campanili”.
“È davvero incredibile come sia passato il concetto di togliere le croci dalle vette di montagna che nessuno alla presentazione ha mai esposto”, sottolinea Ines Millesimi, autrice del libro al centro del dibattito, a FQMagazine. “Anzi, il messaggio generale di tutti i relatori è stato ben altro rispetto al togliere croci. In vario modo, infatti, abbiamo parlato di un nuovo corso per la loro manutenzione e sull’opportunità e il senso di inserirne di nuove in luoghi già eccessivamente antropizzati. Al di là delle croci la montagna, oggi è troppo piena di “oggetti” e lo spiego nel mio libro”. Millesimi conclude: “L’aspetto che mi sorprende è che al convegno non c’era nessun giornalista, eppure è uscita e ha circolato la notizia che qualcuno tra noi ha parlato di togliere le croci dalle vette. Possibile che direttori di giornale, redattori, cronisti non verifichino in modo oggettivo ciò che si è detto in quell’occasione?”.
Preoccupazione legittima, quella dell’autrice del volume Croci di vetta in Appennino, perché il telefono senza fili sullo “scandalo” delle croci da asportare dalle cime delle montagne con il coinvolgimento ministeriale pare sia nato dalla ripresa di un articolo del 13 giugno 2023 – quindi di 15 giorni fa – sul portale del CAI Lo Scarpone. L’articolo intitolato Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico installarne di nuove, a firma di Pietro Lacasella era di presentazione, a sua volta, e una decina di giorni prima, dell’evento alla Cattolica di Milano. In un passaggio Lacasella scrive: “Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no. Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”. Da questo non spunto di cronaca è quindi partita la fake.
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Scende in campo anche il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo (Forza Italia): “Il dibattito sulle croci in cima alle vette, ritenute ‘anacronistiche e divisive’, mi lascia attonito”, dice indicando la croce come “punto di riferimento per gli scalatori” e simbolo religioso la cui “lezione di umanità è universale e valida per tutti”. Poi è un tutto susseguirsi di dichiarazioni indignate targate soprattutto FdI, che culmina con la richiesta di dimissioni per “chi ha avuto questa pensata” avanzata dal deputato Mauro Malaguti.
”Le croci sulle montagne della Lombardia e dell’Italia intera non si toccano e continueranno a essere installate quando ve ne sarà occasione”, assicura il presidente della Lombardia Attilio Fontana, che dopo la smentita di Montani derubrica l’accaduto a “un’uscita improvvida, dettata forse dai primi caldi”. Smentita di cui prende atto con soddisfazione il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, che avverte: “la croce non si tocca”.
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27 giugno 2023
Il GrIG (Gruppo d’intervento giuridico web), con la nota seguente, condanna l’abitudine di suscitare polemiche allo scopo di celare le vere problematiche.
Ma sono questi i “problemi” delle montagne?
a cura delGruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
(pubblicato su gruppodinterventogiuridicoweb.com il 27 giugno 2023)
Davanti alla consueta ma evitabilissima orgia di opere pubbliche distruttive e dispendiose per la XXV Olimpiade invernale, davanti alla stradomania sulle Alpi, davanti alla sciagura ambientale dell’overdose di neve artificiale, davanti al massacro industriale delle Alpi Apuane, davanti alla follia del proliferare delle stazioni sciistiche senza neve, davanti alla distruzione dei crinali appenninici grazie alla speculazione energetica, il problema è rappresentato dalle croci sulle vette? Polemiche assurde, armi di distrazione di massa.
La crocifissione della realtà
di Michele Serra
(pubblicato su repubblica.it nella rubrica l’Amaca, il 27 giugno 2023)
Come si fa a scatenare una polemica contro una cosa mai detta? Non sto parlando di una frase decontestualizzata (sui social la decontestualizzazione è materia prima di molte polemiche), né della distorsione malevola di una cosa davvero detta. Sto parlando di una cosa mai detta, eppure spacciata per detta. I fatti. In un convegno all’Università Cattolica un vescovo, monsignor Sanchez, citando il Papa, dice che usare la croce come simbolo identitario significa banalizzarla. Dunque è meglio non erigere nuove croci sulle vette alpine. E presente il direttore editoriale del Club Alpino, Marco Albino Ferrari, che si dice d’accordo. È proprio il CAI che ha cura delle croci di vetta e si occupa della loro manutenzione perché “rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato”. Ma è giusto non aggiungerne altre, in sintonia con l’orientamento della Chiesa. Come sia possibile che da questo scambio di opinioni sia sortito, su un quotidiano di destra, il titolo Il CAI è contro le croci, è un mistero. Ma il peggio è che questo titolo, e altri simili, abbiano indotto un vicepresidente del Consiglio e un ministro a rilasciare le seguenti dichiarazioni. Salvini: “Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina”. Santanchè: “Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero“. Da ridere, ma anche da piangere. Non hanno, Salvini e Santanchè, portavoce e addetti alla comunicazione che li assistano, e li proteggano da se stessi? E, più in generale, come accidenti funziona il sistema politico-mediatico italiano?
Dal canto suo, Marco Albino Ferrari pubblica un post sul suo profilo facebook:
“Una perfetta ricostruzione di come si sia innescata la polemica sulle croci di vetta, la fa oggi Michele Serra nella sua rubrica su La Repubblica (da leggere!). Anche molti altri media stanno raccontando i fatti correttamente, smentendo le dichiarazioni inventate secondo le quali io avrei detto che le croci di vetta vanno tolte.
Nei giorni scorsi, il Presidente del CAI ha contribuito ad alimentare l’equivoco: si è scusato con il Ministro Santanché per una colpa inesistente prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta. Peccato, non difendendo i suoi collaboratori e il suo Ente da infondate polemiche, ha perso l’occasione per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta.
Per questo, per la serietà a cui non posso sottrarmi, ho dato le dimissioni da Direttore editoriale e Responsabile delle attività del Club Alpino Italiano. Quest’onda di polemica ha investito anche Pietro Lacasella, curatore de Lo Scarpone, e Andrea Greci, Direttore de La Rivista del CAI, che stanno valutando cosa fare.
Il lavoro di questi mesi ci ha portato a progettare la nuova “Rivista” e il portale “Lo Scarpone” che iniziava a essere alimentato da podcast, video, dalle voci di autorevoli blogger, da diari di viaggio nei diversi continenti. In programma c’erano altre novità dal mondo dei libri, del teatro, dei documentari…
A giorni, nell’ultima puntata di questa saga, racconterò qui e sui giornali alcuni retroscena interessanti. Poi basta, ci metteremo davvero una croce sopra! (Marco Albino Ferrari)”.
Anche il Corriere della Sera fa un po’ di marcia indietro. Ecco l’articolo.
Croci sulle vette, il giornale del CAI sciopera contro la presidenza: «Non ci ha difeso»
di Ricccardo Bruno e Agostino Gramigna
(pubblicato su corriere.it il 27 giugno 2023)
C’è maretta nel mondo dell’alpinismo italiano. Le polemiche dei giorni scorsi (per taluni surreali) sullo stop alle croci sulle vette della montagna hanno lasciato il segno nella più antica associazione di appassionati della montagna: il CAI (Club Alpino Italiano).
A ratificare lo stato di «maretta» ci sono le freschissime dichiarazioni di alcuni esponenti de Lo Scarpone, lo storico giornale del CAI. Attraverso una nota, i collaboratori del portale hanno attaccato la presidenza e annunciato lo sciopero.
Dal canto suo il presidente del CAI si dice «stupito» da questa presa di posizione e conferma la posizione ufficiale dell’associazione che guida dal maggio del 2022. Ma per capire cosa sta succedendo all’interno (a questo punto) del «diviso» mondo dell’alpinismo occorre fare un passo indietro.
L’articolo che ha scatenato il tutto
Tutto è partito da un articolo uscito su Lo Scarpone a firma di Pietro Lacasella, antropologo e scrittore, dal titolo: Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove.
Tema dibattuto nei giorni scorsi anche durante un incontro all’università Cattolica di Milano («le croci esistenti vanno preservate, ma è necessario evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime») dove il concetto è stato ribadito dal direttore editoriale, Marco Albino Ferrari.
Nonostante le chiarificazioni dei protagonisti (per Lacasella e Ferrari il loro pensiero è stato travisato e mal compreso: «Non abbiamo mai detto che le croci vanno rimosse»), le parole hanno acceso la polemica.
In difesa delle croci sono scesi in campo ben tre ministri.
Matteo Salvini («Dovete passare sul mio corpo per togliere anche solo un crocifisso da una vetta alpina»), Antonio Tajani («Difendiamo i nostri valori») e Daniela Santanchè («decisione inaccettabile»).
Come se non bastasse, alle loro parole si sono unite pure quelle di dissenso degli assessori lombardi alla Montagna e alla Cultura.
Tutto finito? No, perché sulla vicenda ha preso posizione anche il CAI, con tanto di scuse. «Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale» ha dichiarato il presidente generale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani. «Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro».
La nota dei collaboratori
Una presa di posizione che non è piaciuta per nulla a una parte del mondo CAI. Così i collaboratori del portale hanno manifestato e condensato il loro malumore in una nota.
Si legge: «La presa di distanze della presidenza CAI da Lacasella e dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari ha amplificato ulteriormente le critiche ingiustificate rivolte loro, spingendoli alle dimissioni. Siamo stupiti da come la presidenza CAI non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli. Chiedendo a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata».
Il comunicato si chiude con lo sciopero: «Pertanto, finché il CAI non assumerà una posizione chiara e trasparente, libera da ingerenze politiche e travisamenti, e non avrà confermato nei loro ruoli Lacasella e Ferrari, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per le pagine del portale Lo Scarpone.
La replica del presidente
Il presidente Montani dal canto suo ribadisce al Corriere che si è limitato a precisare che «il CAI non ha mai discusso del tema delle croci. C’è un organo interno preposto a farlo, come il Comitato di indirizzo e controllo, che non ha mai preso una posizione ufficiale».
E spiega che ha semplicemente chiesto scusa dopo le polemiche perché «le opinioni espresse in merito da singole persone, al di là se siano condivisibili o meno, non rappresentano la posizione ufficiale dell’associazione che io rappresento».
Vuol gettare acqua sul fuoco? Tutt’altro, perché subito dopo ci tiene ad aggiungere: «Su una cosa non intendo sorvolare: a chi come Marco Albino Ferrari mi accusa di aver perso un’occasione per tenere la schiena dritta, ribadisco che la mia posizione era dovuta per il ruolo che rivesto. E che non prendo lezioni da nessuno. Ho solo fatto chiarezza su una posizione che ha ingenerato degli equivoci».
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Alla notizia delle dimissioni di Ferrari e di Lacasella, Ildolomiti.it, con un articolo di Tiziano Grottolo e dopo aver riassunto la situazione, annota:
“Una nota che ha fatto storcere il naso a molti fra cui i collaboratori de Lo Scarpone che hanno indetto uno sciopero: “Vogliamo manifestare la nostra vicinanza a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari, chiedendo loro di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata”.
Di seguito il testo integrale della nota sottoscritta dai collaboratori de Lo Scarpone.
“In quanto collaboratori del portale online del CAI “Lo Scarpone”, siamo colpiti da come i due articoli sul significato simbolico delle croci di vetta, pubblicati dal suo curatore Pietro Lacasella, siano stati travisati e decontestualizzati.
Il mondo dei social network e della stampa ha ribaltato il significato delle parole di Lacasella, attribuendo al CAI la volontà di eliminare le croci di vetta. La polemica si è allargata sempre più coinvolgendo persino due ministri della Repubblica, che hanno insistito nel travisamento.
La posizione assunta dalla presidenza CAI, che ha di fatto preso le distanze da Lacasella e dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari (quest’ultimo coinvolto direttamente nella polemica, perché partecipe della presentazione di un libro riguardante le croci di vetta a cui gli articoli di Lacasella avevano dato voce), ha amplificato ulteriormente le critiche ingiustificate rivolte loro, spingendoli alle dimissioni.
Siamo stupiti da come la presidenza CAI non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli.
Vogliamo manifestare la nostra vicinanza a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari, chiedendo loro di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata. Auspichiamo altresì una presa di posizione da parte della presidenza CAI in tal senso. Pertanto, finché il CAI non assumerà una posizione chiara e trasparente, libera da ingerenze politiche e travisamenti, e non avrà confermato nei loro ruoli Lacasella e Ferrari, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per le pagine del portale Lo Scarpone.
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Anche Montagna.tv, a firma di Stefano Ardito, riassume la vicenda condannandone la pretestuosità. Ne riportiamo alcune affermazioni:
“Il TG1 della sera è visto da milioni di persone, e si occupa raramente di montagna. Chi lo ha seguito domenica 25 giugno, quando è andato in onda un servizio dedicato alle croci di vetta, si dev’essere convinto che il CAI è un’associazione di estremisti e fanatici. In circa un minuto, le parole “rimuovere” e “smontare” sono state pronunciate molte volte. Le immagini del servizio hanno a lungo mostrato la vetta e la croce di ferro del Cervino, un monumento storico capace di commuovere anche l’alpinista più laico. Il messaggio, fin troppo evidente, era “chi mai può voler smantellare un oggetto così?”
[…]
Lunedì 26 giugno, la stampa e le radio si sono scatenate. Sul Corriere della Sera ha difeso le croci di vetta Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra e alpinista. Ai microfoni di Radio 24, Paolo Mieli ha affermato “non sono cattolico, ma le croci di vetta mi danno un grande senso di pace”. Anche Fahrenheit, trasmissione culturale di Radio Rai Tre, ha dedicato la puntata alla questione.
In realtà questa polemica è costruita sul nulla, perché nessuno (e tantomeno il CAI) ha proposto di rimuovere le croci dalle vette italiane…
[…]
A scatenare le reazioni della destra sono state due frasi. “Da ateo, dico che le croci devono rimanere sulle montagne: è giusto rimangano perché sono un segno del territorio. Allo stesso tempo, credo che non se ne debbano mettere di nuove” ha detto Marco Albino Ferrari all’Università Cattolica, aggiungendo che questa tesi è “condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano”.
“Ha raccolto il plauso di molti la proposta di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime” ha commentato l’indomani Pietro Lacasella su Lo Scarpone, il sito ufficiale del CAI.
“La somma tra le parole di Ferrari e l’affermazione «condivise pienamente dal Club Alpino Italiano» ha acceso la polemica, nella quale qualcuno ha aggiunto la fantasia che ci fosse un piano del CAI per la rimozione delle croci, che quelle sul Cervino o sul Gran Paradiso fossero già state rimosse o peggio ancora” ha spiegato Manlio Gasparotto sul sito del Corriere della Sera.
La polemica sulle croci di vetta, se si bada a questi interventi, può sembrare un fuoco di paglia o una polemica estiva, accesa da politici sempre pronti a intervenire (a proposito o meno) sulla stampa, in televisione e sui social. “Sarebbe interessante se, per una volta, il dibattito riuscisse a smarcarsi dalla logica del tifo per abbracciare il desiderio di ascoltare, comprendere e riflettere. Una necessità di dialogo che di sicuro alzerebbe il livello del dibattito” aveva concluso il 23 giugno 2023 Pietro Lacasella sullo Scarpone.it.
[…]
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A poche ore dalla pubblicazione di questo articolo arrivano le dimissioni del Direttore editoriale e Responsabile delle attività del Club Alpino Italiano, Marco Albino Ferrari.
Ne dà notizia anche Mountcity.it:
Croci nelle vette, CAI nella palude
“Per la serietà a cui non può sottrarsi”, Marco Albino Ferrari ha rassegnato le dimissioni da direttore editoriale e addetto alla cultura del CAI. Decisione gravissima per un intellettuale che alla montagna ha dedicato un’attività più che trentennale, tra saggi, romanzi, riviste in carta patinata, spettacoli teatrali. E anche una pagina vituperevole del CAI da cui emerge la scorrettezza del presidente generale che, prendendo una cantonata, ha gettato su Ferrari la responsabilità della dichiarazione secondo cui le croci di vetta andrebbero tolte una volta per tutte. Concetto mai espresso da Ferrari.
Il vero problema delle croci di vetta è che sono cresciute a dismisura come è stato riferito in MountCity. Se ne parla da tempo e a occuparsene sono le principali associazioni ambientaliste, ma l’argomento risulta ancora tabù per l’associazione fondata da Quintino Sella. Peccato che il presidente non ne sia a conoscenza e faccia un uso tanto sgradevole della sua autorevolezza, assecondando polemiche pretestuose di chi governa l’Italia in nome di “dio, patria e famiglia”.
Resta poi inaccettabile per noi di MountCity, iscritti da oltre mezzo secolo al CAI, che un presidente degli anni in cui viviamo senta il bisogno di scusarsi con le superiori autorità che ci governano allo scopo di prendere le distanze da una dichiarazione mai fatta da Ferrari. “Un’occasione persa”, conclude amaramente lo scrittore, “per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta. A giorni, nell’ultima puntata di questa saga”, precisa ancora in Facebook Ferrari, “racconterò qui e sui giornali alcuni retroscena interessanti. Poi basta, ci metteremo davvero una croce sopra!”.
Una croce sopra non siamo invece disposti a mettercela noi iscritti al Club Alpino Italiano. Il minimo che si possa fare è invitare i soci che la pensano come noi a raccogliere firme perché sia il presidente a dare una volta per tutte le dimissioni. Noi che a un CAI con la schiena dritta ci teniamo, e parecchio (Roberto Serafin)”.
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28 giugno 2023
Mountcity.it pubblica l’importante commento di Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness Italia:
Croci di vetta e rispetto per i paesaggi
“Condivido il pensiero del presidente del CAI Alto Adige Carlo Alberto Zanella. Si chiede stupefatto se non ci sia altro da discutere oggi. Si parla delle croci mentre si demoliscono con le ruspe la cultura, l‘essenza stessa della montagna. Vedasi Cortina e Dolomiti: caroselli sciistici, urbanizzazione in quota, vie ferrate ovunque, ponti tibetani, quad e moto che scorrazzano, sentieri regalati alle imprese di presunti biker. Tutto avviene in assenza di vigilanza avendo cancellato il Corpo Forestale dello Stato.
La montagna è territorio di libertà. Sta alla mia sensibilità, al mio senso del sacro, individuarne la religiosità più intima: personale, poche volte collettiva, sempre diversa anche di giorno in giorno. Non c’è bisogno delle croci abnormi in vetta per dirsi religiosi. Queste croci, sempre più diffuse, sempre più invadenti, più che il sacro rappresentano la visione della montagna come obiettivo di conquista. Come potere. Di un gruppo associativo, di una municipalità, di pochi singoli che non sanno come gettare il loro tempo.
Oggi, lo dimostrano quei miseri politici che hanno attizzato la polemica, addirittura ministri della Repubblica, la religione è propaganda e spettacolarizzazione, umiliazione della spiritualità e dell’autenticità delle nostre vette. Per fortuna le montagne, a differenza di cosa ne pensino certi politici, se ancora riescono a pensare, ci impongono il rispetto verso il territorio e verso le diversità, tutte, di genere, di nazionalità, di pensieri. Sono simbolo di delicata accoglienza, sufficiente leggere i Vangeli.
Mi dispiace che una ricercatrice universitaria tanto impegnata e uno scrittore – giornalista di alto profilo – siano stati travolti da una simile barbarie politica. Io rivendico orgoglioso quella piccola parte di contributo che ho offerto alla ricerca di dottorato della professoressa Ines Millesimi. La ringrazio perché un tema tanto spinoso è stato capace di trasformarlo in ricerca scientifica, culturale, storica e in un necessario, opportuno inventario.
Le croci in montagna ci possono accompagnare. Ma solo quando rispettano il valore autentico del Vangelo. Niente spettacolo, zero mercificazione (vedasi il Cristo Pensante a Paneveggio) e tanta sobrietà (Luigi Casanova)”.
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Un ultimo riassunto, con alcune notizie regionali, ce lo offre il corrieredeltrentino.corriere.it:
Croci sulle vette, è bufera nel CAI
(si dimette il direttore editoriale Marco Albino Ferrari)
di Marika Giovannini
(pubblicato su corrieredeltrentino.it.corriere.it il 28 giugno 2023)
La tensione, dopo la nota diffusa domenica dal presidente del CAI Antonio Montani, è salita alle stelle. E ieri, al termine di un’altra giornata di polemiche — social, ma non solo — sulla controversa questione delle croci di vetta, nel Club Alpino Italiano si sono registrati i primi, importanti scossoni.
Con le dimissioni, a poche ore di distanza, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari e del curatore del sito internet Pietro Lacasella (il primo chiamato in causa dallo stesso presidente Montani, il secondo autore di un articolo sul web proprio sul tema delle croci di vetta).
E con la proclamazione dello sciopero da parte dei collaboratori de Lo Scarpone (il portale online del CAI) per protestare contro il trattamento riservato dai vertici del club a Ferrari e Lacasella.
Ferrari, che era finito nel mirino anche del centrodestra (nazionale e locale), ha affidato ai social la sua decisione. Prendendo subito le distanze dalle «dichiarazioni inventate secondo le quali io avrei detto che le croci di vetta vanno tolte».
Un equivoco che, aggiunge, «Il presidente del CAI ha contribuito a alimentare: si è scusato con il ministro Santanché per una colpa inesistente prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta. Peccato, non difendendo i suoi collaboratori e il suo ente da infondate polemiche, ha perso l’occasione per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta».
La solidarietà dei collaboratori del portale
Da qui, prosegue Ferrari, sono maturate le dimissioni da direttore editoriale e responsabile delle attività del Club, presentate «per la serietà a cui non posso sottrarmi».
Si limita a comunicare la notizia delle sue dimissioni, invece, Lacasella. «Avrei tanto cose da dire in questi giorni di tensione», scrive sui social.
Ma «l’essenziale», aggiunge, è dare la notizia delle sue dimissioni.
Alle quali è seguita la nota, dura, dei collaboratori del portale del CAI. «Siamo stupiti di come la presidenza CAI — si legge nella nota — non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli».
A Ferrari e Lacasella i collaboratori esprimono solidarietà, invitandoli a tornare alla guida della testata.
Ai vertici del Club, invece, si chiede “una presa di posizione chiara e trasparente”: «Finché non la assumerà, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per il portale».
Dopo le dimissioni del direttore altre polemiche
In serata, sempre via social, il CAI ha provato a spiegare, con domande e risposte, il proprio pensiero.
Ribadendo che «sulle croci di vetta nessuna delibera è mai stata dibattuta o votata».
E precisando che l’articolo pubblicato sul sito del club “è stato steso da un collaboratore”: «L’articolo, così come pubblicato, lasciava intendere che vi fosse una posizione ufficiale, quando in realtà si trattava meramente di un’opinione personale».
Per quanto riguarda le scuse alla ministra, si legge, «il CAI aveva il dovere di farle».
Ma il post ha scatenato un ampio dibattito, con giudizi contrapposti tra chi ha gradito e chi, invece, lo ha giudicato «incommentabile».
Intanto le prese di posizione non si placano, con Alessandro Urzì (FdI) che già nelle scorse ore si era scagliato contro Ferrari e che ieri ha criticato lo sciopero dei collaboratori del portale online del CAI: «Il direttore ha infangato il governo» sottolinea Urzì.
Luca Zeni (Pd): «Tutte polemiche strumentali»
Da appassionato di montagna riflette sul tema anche Luca Zeni. «Sabato mattina — osserva il capogruppo del Pd — ho fatto una splendida corsa in Brenta, passando per tre cime: Piz Galin, Croz dell’Altissimo e Cima Lasteri. Su ogni cima c’era una croce. E ho percepito quelle croci come parte di quell’ambiente, non ho avvertito il senso di disturbo che provo in inverno sentendo la musica da discoteca provenire dai rifugi sulle piste, o quando passa un veicolo a motore in mezzo ai boschi».
«Croci» precisa Zeni «del colore delle rocce, non arlecchinate, integrate con il paesaggio».
«Allo stesso tempo — prosegue — trovo serio che chi si occupa e vive la montagna si interroghi sul futuro, ne parli e gestisca con equilibrio eventuali nuove installazioni in montagna, ed è legittima la posizione di chi, come Messner, ci richiama ad una sacralità delle vette che dovrebbe lasciarle libere da ogni manufatto. La polemica sollevata per alcune dichiarazioni in quel senso da parte di un esponente del CAI è strumentale, perché non una sola persona ha mai immaginato di “togliere” le croci esistenti».
[…]
La netta contrarietà degli Schützen
Netti, infine, gli Schützen altoatesini: «Non lasciamoci privare delle nostre tradizioni e costumi religiosi e culturali — tuona Martino Robatscher — comprese le croci di vetta. Soprattutto non da esponenti del CAI, che farebbero meglio a ripercorrere la storia imperialista e nazionalista, che incontriamo in innumerevoli nomi di rifugi e nomi inventati e fascisti nel nostro mondo montano».
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29 giugno 2023
E’ di questa data il Comunicato stampa del Comitato Centrale di indirizzo e controllo del Club Alpino Italiano:
“Milano, 29 giugno 2023
In relazione al dibattito generato dalla falsa notizia che il Club Alpino Italiano si sarebbe pronunciato a favore della soppressione delle croci di vetta, il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo ricorda di non aver mai trattato la questione né, men che meno, di aver mai emanato alcun atto in materia.
Il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo medesimo ribadisce piena fiducia nell’operato, oltre che del Presidente generale Antonio Montani e del Comitato Direttivo Centrale, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari, del direttore responsabile de La Rivista del Club Alpino Italiano Andrea Greci e del responsabile de Lo Scarpone Pietro Lacasella, auspicando che i malintesi che si sono creati e che hanno portato all’annuncio di dimissioni dei responsabili dell’area cultura e comunicazione, si possano considerare chiariti, in modo che tutti gli interessati proseguano l’importante lavoro di rinnovamento dell’area cultura e comunicazione proficuamente da essi avviato negli scorsi mesi.
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1 luglio 2023
Come un coltello nel burro
di Michele Serra
(pubblicato su L’amaca di Repubblica il 1 luglio 2023)
Vale la pena tornare sulla questione “croci di vetta” perché il suo esito è una specie di triste memento di quanto la prepotenza affondi nel burro. In sintesi: autorevoli collaboratori del Club Alpino vengono accusati, da un giornale di destra, di voler togliere le croci dalle vette. Non è vero (esiste un concetto più definitivo di “non è vero”?), ma non conta. Due ministri, Salvini e Santanchè, su quel falso montano un putiferio: giù le mani dalla croce!
Voi penserete che il presidente del CAI abbia preso le difese dei suoi collaboratori ristabilendo la verità sulle parole pronunciate e su quelle non pronunciate. Invece no, porge le sue scuse al governo e scarica coloro che, come presidente, avrebbe dovuto difendere. Nel frattempo, in poche ore, emerge facilmente la verità: nessuno, in nessuna sede aveva proposto di levare le croci dalle vette alpine. Al presidente del CAI, Antonio Montani, non resterebbe che scusarsi con la vera parte lesa (che sono i suoi collaboratori). Ma non lo fa.
Risultato finale: i suoi collaboratori si dimettono, non essendo sopportabile lavorare per un’associazione che antepone la convenienza politica alla verità. Il presidente – l’unico che dovrebbe dimettersi per avere esposto il Club Alpino e i suoi tanti iscritti ai capricci di due ministri – rimane al suo posto.
La vicenda è indicativa di quanto può accadere, e anzi accade proprio, quando un potere particolarmente aggressivo e intollerante pretende obbedienza. La ottiene in un attimo se le persone sono disposte a rinunciare a fare il loro dovere e onorare le proprie responsabilità. Accadrà ovunque: alla Rai, negli istituti culturali, nelle cose pubbliche di ogni ordine e grado. Pochi prepotenti avranno la meglio grazie a molti obbedienti.
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Alle volte, per conforto, ripeto a me stesso quel breve aneddoto – forse vero, forse di fantasia – che lessi tanti anni fa e che ora vi propongo, tale e quale.
… … …
Ai tempi dell’Unione Sovietica, a Mosca, una sera si tenne al Cremlino un gran ricevimento ufficiale, con numerosa partecipazione di uomini illustri e di potenti.
A un certo punto un cosmonauta, ateo, e un neurochirurgo, credente, si intrattennero in conversazione.
“Io sono stato nello spazio”, disse il cosmonauta, eroe del regime, “ma non ho mai visto Dio”.
“E io ho operato tanti cervelli”, ribatté l’altro, “ma non ho mai visto un pensiero”.
@ 144
Il testo che accompagna il video dice: “Dio è nel vento, nelle nuvole, nelle rocce, nella neve, nello scorrere dei torrenti e nel volo degli uccelli”.
È davvero cosí? Io sono agnostico (non ateo) e, nel dubbio, pessimista: mi attendo il peggio. Le nuvole, le rocce e la neve possono benissimo essere una manifestazione di casualità nell’universo mondo.
Forse noi siamo qui solo per caso: il nostro biglietto è stato estratto alla lotteria della vita.
E chi invece non esiste? Semplice: non ha vinto alla lotteria. Se le cose stanno in questi termini, la nostra esistenza non è un dono di Dio: è frutto del caso.
Meditate, gente. Meditate.
Le montagne senza croci, come sarebbero? Che esperienza potremmo vivere?
https://youtube.com/watch?v=PpTElSzMd_8&feature=shared
Ormai fuori tempo massimo: con Ferrari, senza se e senza ma
Ines, grazie.
Speravo in una riconciliazione, ma cosí non è stato.
PENSIERINO DEL MOMENTO
La vita è breve. E l’uomo litiga per puttanate.
Il presidente Montani si scusa con il governo (di destra) invece di difendere i suoi delfini che invece si dimettono.
Se lo stesso presidente avesse difeso i suoi sarebbe stato accusato di non essere super partes e di difendere i suoi sottoposti solo perché facenti parte della stessa parrocchia.
Il problema non è l’importanza dell’argomento ma della forma politica che quest’ultimo assume a seconda degli umori del momento.
Il tutto è mandato avanti da un branco di idioti incompetenti che, nientemeno, gestiscono un paese a suon di colpetti quà e là tanto da garantirsi la carega e ottime retribuzioni.
Silver Nervuti, nonostante le orribili camicie che non si possono guardare, fa un sunto chiarificatore che la dice lunga, ma è snobbato dal benpensantismo italiota perché ritenuto complottista… E allora beccatevi quello che vi meritate!
https://www.youtube.com/watch?v=IiFh8k2xJrg
Le vere “croci” sono gli imperiti che dilagano.
rispondo alla domanda 139 di Bertoncelli. A quanto ne so restano i loro nomi fino a scadenza naturale del contratto, dicembre 2014, ma non credo collaborino più apponendo le loro firme ad articoli nuovi.
Nonostante le loro dimissioni, il sito dello Scarpone indica tuttora Marco Albino Ferrari come “direttore editoriale e responsabile attività culturali CAI” e Pietro Lacasella come “curatore e responsabile social”.
Qualcuno sa come stiano le cose? Le dimissioni sono state ritirate? Le parti si sono chiarite? riappacificate?
@Pasini 🤣🤣🤣 accurata
Agnese. Può essere applicata ad esempio agli attori della commedia burlesque “Vette in croce” e al suo seguito sui media. Così tanto per celiare e per non farsi contagiare e piangere sull’onda del “Mio Dio, come sono caduta in basso” (disse la croce di vetta vedendo la signora Garnero che se la strungeva al petto mentre il prode Felpa in versione crociato roteava lo Spadone lombardo, un po’ moscio ultimamente 😀).
@Pasini
pur trovandomi totalmente d’accordo con Don Mariano sull’umanità, non arrivo a cogliere del tutto il senso della citazione.
a chi ti stai riferendo con le varie definizioni di uomini, mezz’uomini etc? Perchè io una vaga idea ce l’ho ma la citazione è comunque interpretabile in tanti modi 🤗
Carlo. Don Mariano è siculo. La sua visione del mondo è gerarchica e la sua gerarchia è basata sull’onore. Le anatre, evidentemente per qualche suo pregiudizio che ha a che fare con il loro verso che alle orecchie umane non è un ruggito, stanno in basso nella gerarchia dell’Essere. La sua è un’antropologia finalizzata al governo di un’organizzazione di successo esportata in tutto il mondo come il Made in Italy e se ne catafotte della correttezza al etologica. Buone vacanze. 🏖
Cosa glielo fa pensare? Sono animali straordinari, in grado di sopravvivere ad alluvioni e incendi devastanti, eruzioni vulcaniche e terremoti. Sanno nuotare, volate, camminare e correre…persino arrampicarsi sugli alberi !!!Non hanno problemi a cibarsi, sono ovipare ed hanno le piume. A guardarle per la maggior parte del tempo sono noiosissime, ma quando fanno qualcosa ci allietano lo spirito e ci meravigliano. Non capisco perché il citato Don Mariano le citi come eccezione negativa….avremo solo da imparare dam loro
Azzurra. Visto che è estate insieme al melone ci sta la filosofia da ombrellone: la vetta, alla fine è uguale per tutti, con la croce, grande o piccola, senza la croce, con i sassi, le bandierine, la spada e via cantando, ciò che è diversa e’ la via con cui ci arriviamo. Per qualcuno è un fatto etico, per altri estetico, per altri un investimento per l’aldila’, per altri una pura utilita’ ….in ogni caso le differenze tra le vie di salita si vedono e cone si vedono. Vamos a la playa….
“Le anatre, però, ci sopravviveranno…..”
Direi che è molto più probabile che ci sopravvivano scarafaggi e vermi
Le anatre, però, ci sopravviveranno…..
Moriremo tutti e tutte.
Cara Agnese, nella vita, sul lavoro, in montagna, in mare, in politica, nei giornali, in televisione, sui social, nelle associazioni….. ovviamente vale per tutti maschi e femmine, Don Mariano era un po’ tanto maschilista come da copione letterario
«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo.»
127
Alberto Benassi
Le montagne come le conosciamo sono resti, ci parlano come scheletri parlano di antenati, umani o animali.
Sono destinate a scomparire.
Il Cervino è ciò che rimane della placca africana.
Altrimenti sono pietre morte, indifferenti a tutto e tutti.
Hanno perso il mistero perchè hanno perso il loro valore simbolico, non sono più qualcosa che rimanda ad altro, che ci riconduce spiritualmente ad altro, ma sono diventate loro stesse oggetto di culto
Perchè possa essere così occorrerebbe che un luogo abbia da trasmettere una sensazione di mistero.
Quanto ancora è misteriosa la montagna?
124 Ines Millesimi
E’ possibile che tra qualche decennio le croci di vetta uscite dalla storia a causa della perdita del loro significato vivo, vi faranno rientro come tracce di un’era passata, insomma diventeranno archeologia: come le rune incise si sassi, come i menhir. Si faranno dei tuor guidati – magari a pagamento – per guardarle, insomma desteranno una curiosità morta per una forma di spiritualità che non dirà più niente a nessuno, come ora i riti celtici e cose del genere.
Di questa prospettiva, l’estinzione della cristianità, molti, moltissimi sono contenti: è già nell’aria, sopravvie in forme light.
C’è da chiedersi a cosa si indirizzerà l’anelito al sacro dello spirito umano oppure se ci sarà ancora qualcosa che corrisponderà all’umano come noi lo rappresentiamo ora e se questo “umano” futuro anelerà ancora a qualcosa.
Chiediamoci: la montagna resterà un luogo simbolico cui ascendere al divino, al sacro, o allo spirituale (come è stato nei secoli e per molte culture Grecia antica, asia, medio oriente )? questo spirituale avrà una dimensione collettiva?
Lacasella (l’autore dell’articolo uscito sullo Scarpone) intanto ha confermato le sue dimissioni, non è finita a tarallucci e vino come alcuni pensavano.
il CAI con l’infelice comunicato di scuse ha perso dopo solo pochi un collaboratore non da poco.
👏🏻👏🏻👏🏻 (ovviamente gli applausi sono ironici)
In risposta a Ratman (122).
Non ci avevo pensato, in effetti è una considerazione sensata, una croce costa. II problema però è anche estetico, in Appennino non ci hanno speso soldi in generale. Mi è capitato schedare la storia di due tubi innocenti o due travette di ferro incrociate e assemblate. In effetti l’aspetto economico conta. Il CAI di Rieti nel 2015 rifece il facsimile della croce in ferro del 1955, ritrovata a brandelli in un vallone, ricostruì tutte le avventurose vicende legate all’apposizione dei 4 giovani soci su loro iniziativa, ma nel sugello della sezione, e poi una volta sulla vetta occidentale del Costone (oggi Parco regionale Sirente Velino) decise di sospendere l’apposizione. Fu una scelta lungimirante e precorritrice, bisognava chieder i diversi permessi al Parco e ai Comuni interessati, si urtavano alcune sensibilità, già era presente un’altra croce in buone condizioni sulla vetta orientale, che senso “aggiunto” avrebbe avuto rinnovare quella vecchia croce con un ripristino che era un falso? In sezione ci sono quindi le due croci, quella a brandelli storica e arrugginita, quella nuova, alta e candida.
Secondo il mio modesto avviso, resta però la necessità di dotarsi di un disciplinare, per motivi estetici ed ecologici (misure, materiali ecc). Se proprio i soci CAI ritengono necessario, identitario e condiviso da tutta la sezione, restassero nel solco di una visione rispettosa del simbolo e della montagna, dopo aver analizzato tutta la complessità del gesto e delle conseguenze nel tempo. Ho visto innalzare crocifissi lignei giganteschi con la faccia di Babbo Natale come pendenti di cioccolata che si mettono sull’albero natalizio, ho visto putrelle in ferro e travi di acciaio senza più la vernice protettiva, ho visto trekker che salgono trionfanti sulle croci come trofei di “conquista” di una vetta. Mi piacerebbe che ci fosse più sensibilità e auto responsabilità nella condotta all’interno almeno del CAI e delle associazioni.
Il caso è esploso solo perché la ministra aveva bisogno di un diversivo per distrarre dai suoi problemi di bilancio, e ha colto la palla al balzo – manco sa com’è fatta la vetta di una montagna, secondo me.
Poteva essere gestito meglio, soprattutto senza scusarsi.
Viaggio alla fine del cristianesimo
Quando si arriva a definire la Croce un “marker della nostra geografia culturale” significa che si è già all’interno di un processo consolidato di manipolazione del reale tramite il linguaggio e del tentativo più o meno maldestro di rappresentarne uno che più ci piace.
Questa non è neppure più una battaglia di retroguardia contro l’oscurantismo religioso, ma ha più l’aspetto del colpo alla tempia dei feriti avversari al termine di una guerra vinta.
Per quanto pilatesca quella del CAI – ne con la chiesa ne contro la chiesa – è una posizione coraggiosa di rispetto dei superstiti: basterà non stanziare fondi e le croci di vetta spariranno da sole, è solo questione di tempo.
Nessuno ne metterà altre: il cristianesimo è una religione in ritirata: non ci sono più preti e suore, le chiese chiudono; figurarsi se qualcuno pensa a colonizzare le montagne: quel tempo è finito (sarebbe interessante sapere quanti hanno iniziato ad amare le montagne grazie alle gite parrocchiali).
#120:
Il CAI, per sua natura congenita, è “istituzionale” e “filogovernativo”.
Crovella dixit.
La verità fattuale è che un PG ha presentato le sue scuse personali, assolutamente indebite, per “articoli apparsi sulla stampa”, ovvero al di fuori delle sue responsabilità e competenze (dimostrando così di non conoscerle o di non considerarle a fronte del suo bisogno di prostrarsi davanti al “nostro Ministero vigilante”
Per non parlare dell’impatto alla dignità del Sodalizio e alla sua (presunta) indipendenza.
Nessuno ha fatto fuori nessuno. Non avrebbe neppure senso. Ferrari è stato nominato pochi mesi fa da questi stessi dirigenti con delibera ad hoc. E’ irrealistica l’ipotesi che i vertici del CAI si siano già “scocciati” di lui in pochissimi mesi.
Sono state avanzate delle dimissioni, ma io confido che rientreranno, anche perché non si collegano a strappi gravi. Non c’è mai stato alcun dissapore interno.
Il casino è stato innescato dai giornalisti generalisti che hanno preso “roma per toma”, interpretando un pensiero personale come una posizione ufficiale del Sodalizio. A quel punto era inevitabile la precisazione del PG che non ha MAI né polemizzato né sconfessato il direttore editoriale per le sue idee. Ha solo sottolineato che un’idea personale NON è la posizione ufficiale del CAI. E’ questa è la realtà fattuale.
Evidentemente la loro l’ intelligenza, la prepararazione e la passione li rendeva troppo liberi. Tutto questo ha dato noia a qualcuno che ha subito approfittato per farli fuori senza tanti scrupoli.
Bando alle ciance di Crovella! Da non credente condivido questo intervento di Bergoglio del 2021 che con chiare parole seppellisce tutti quei politici che, per dirla breve, nascondono sotto la croce tutta la loro ipocrisia. https://www.google.com/amp/s/www.ilmattino.it/AMP/primopiano/papa_francesco_crocifisso_sovranisti_salvini_europa_slovacchia_ungheria_orban_meloni-6195168.html
Non sono stupita che si scateni un putiferio sul nulla – da anni il giornalismo non esiste, se non grazie a rari professionisti- e neppure che il CAI si allinei al volere politico – lo aveva fatto anche durante l’epoca fascista, alimentando la sete di conquista dei territori, escludendo dall’organizzazione valenti alpinisti ebrei e non curandosi delle brutture che stavano manifestandosi.
Sono dispiaciuta per l’onda che ha travolto la redazione della Rivista e de Lo Scarpone, avendo contezza della passione che guida i professionisti coinvolti.
Per quanto riguarda la seconda parte del tuo intervento, non vedo perché tocchi a me “pretendere” alcunché dal PG. Io no ho votato Montani per il semplice motivo, già accennato, che non ricopro cariche e non sono delegato all’assemblea.
In ogni caso sa Montani con il suo staff (Consiglio Centrale ecc) che Ferrari e il suo staff editoriale sono individui maturi, maggiorenni e vaccinati. Non hanno bisogno di guardie svizzere. Sono stati legittimamente nominati nelle adeguate sedi (il PG nell’assemblea elettiva 2022, il direttore edit. con apposita delibera) per cui sono nel pieno delle loro funzioni: devono solo esser lasciati tranquilli dai soci e liberi di lavorare. Al limite anche liberi di commettere degli errori, perché no.
A maggio 2025 i delegati voteranno il PG per il prossimo triennio. Se Montani a fine triennio non piacerà, non sarà rieletto. Fermo restando che il PG, che fisicamente sia tizio o caio o sempronio, poco cambia, perché i suoi margini di manovra sono molto limitati dalle norme generali e specifiche del CAI.
Ma quello che nessuno dei frignoni seriali coglie è che il PG viene eletto in un’assemblea cui possono accedere esclusivamente i delegati (ovvero i Presidenti di Sezione più un delegato ogni 500 soci per le Sezioni più numerose). Non vorrei sbagliare, perché cito a memoria, ma i delegati sono meno di mille. Diciamo per semplicità che sono mille. Cioè il PG viene eletto a maggioranza entro un bacino di 1000 persone, non di 327.000 (questa regole è sigillata nelle norme del CAI ed esiste dalla notte dei tempi).
Di conseguenza sono ridicoli i semplici soci che protestano a titolo personale o sbandierano i loro cosiddetti feedback. Tanto o riuscite a farvi rappresentare in assemblea da almeno 501 delegati (51% di 1000), o nessuno terra’ mai conto delle vostre opinione, per cui incidete una bella cippa di niente sulla gestione dell’associazione. Questo meccanismo è uno dei tantissimi risvolti di quella che io chiamo la palla di pongo. Ce ne sono migliaia. Resto basito che nessuno si renda conto di tutto ciò.
Sì, da tempo sono perfettamente consapevole dell’esistenza di quelli che io chiamo i “falsi” soci CAI, a tal punto che da anni auspico un ridimensionamento del CAI a circa 150.000 soci (contro gli attuali 327.000), scremando via, con meccanismi adatti, tutti quelli che non “percepiscono gennuinamente” il valore del senso di appartenenza al Sodalizio. I numeri chi cito derivano da mie sensazioni soggettive, ma, dopo 54 anni di CAI, è abbastanza probabile che il mio istinto ci azzecchi. Igliaio più, migliaio meno, quelli sono gli ordini di grandezza. Ma questo è un argomento che non c’entra un fico secco con l’episodio di questi giorni.
Crovella, ma lei è consapevole che una fetta consistente dei suoi 300,000 e ancora mille sodali ha la tessera in tasca solo perché:
1. è costretta a prenderla per partecipare ai corsi CAI;
2. Ha lo sconto nei rifugi;
3. Ha (o crede di avere) il soccorso gratuito in caso di incidente.
e che a questa massa di persone le beghe della Presidenza non potrebbero interessare di meno, ma non in quanto sono solidali col PG, ma proprio perché non gliene potrebbe fregar de meno?
Piuttosto dovrebbe mettersi lei a fare il “frignone” e pretendere da questo tartufo che vi siete scelti esattamente quanto lei ha appena scritto: . Piuttosto si occupi di veri scempi ambientali come, a puro titolo di esempio, la funivia del Piccolo Cervino (purtroppo già inaugurata) o l’eventuale rifacimento della pista da Bob di Cortina.
Almeno abbiamo capito tutti che quello di Crovella è uno scherzo.
E comunque saltando a pié pari la lettura dei suoi commenti ci si accorge della loro inutilità e il discorso fluisce in avanti benissimo. Provateci.
Bertoncelli. Per carità i cavalli sono già partiti al galoppo, le spade sguainate…non aggiungere altri squilli di tromba. Vai in pace verso il fresco del tuo Appennino dove si può frignare felici e cercare di lenire (invano) le nostre insoddisfazioni esistenziali circondati dall’affetto delle zecche e di qualche vipera gentile.
——— AI DIRETTI INTERESSATI ———
Carlo (Crovella) vi ha definiti “frignoni seriali con insoddisfazione esistenziale”.
SONDAGGIO
1) Siete d’accordo col suo giudizio?
2) Molto d’accordo?
3) Poco d’accordo?
4) Per niente d’accordo?
5) [CENSURA]
Caro Balsamo c’è un punto della ridicola commedia che abbiamo visto, recitata da attori di serie C , che è tragico,purtroppo, e che tu hai ricordato come “morale della favola”. Chi tocca certi temi da noi si brucia. Penso ad esempio ad un tema come il finevita che mi sta molto a cuore, soprattutto dopo le mie frequentazioni ospedaliere invernali e la conferma de visu dell’imperante ipocrisia (si fa ma non si dice). Siamo persino regrediti rispetto alla prima Repubblica dove politici democristiani e al tempo stesso ferventi cattolici ebbero posizioni coraggiose su temi molto sensibili come l’aborto difendendo libertà e laicità dello Stato. Con tutti i loro difetti e responsabilità erano comunque “uomini” e non quaccaraqua’ o ominicchi per usare la terminologia del capomafia di Sciascia, che rimane sempre valida nel valutare le persone.
Più che difendere Montani in quanto tale, difendo il diritto dell’intero staff dirigenziale, compresi tutti i consiglieri e i direttori vari, più tutto lo staff editoriale, anche qui inteso in senso ampio, di LAVORARE IN PACE, senza che ciascuno dei 327.000 soci ogni giorno glielo faccia a fette, vivizezionando ogni minima frase che scrivono o dicono.
Tanto non è il singolo episodio che innesca scontento, quando c’è da parte dei frignoni seriali una insoddisfazione esistenziale di fondo (che va addirittura al di là del CAI) che essi (i frignoni seriali) convogliano cogliendo al volo l’episodio del giorno. Da anni sono convinto che tali frignoni seriali non solo non portino valore aggiunto.al Sodalizio, ma rompono gli zebedei per il solo gusto di romperli. Nell’ottica dell’associazione molto meglio disfarsene.
Quanto alla posizione ufficiale del CAI sulle croci non credo che esista, quanto meno non credo che esista al momento. Non per ponziopilatismo, ma perché (come ha detto il PG) il Sodalizio non ha mai dibattuto sul tema e quindi non ha mai assunto delibere in merito. A titolo personale io non credo che sia un tema sul quale debbano perdere tempo i dirigenti CAI. Un conto è dialogare su tale tema a titolo culturale (e in tale tale ottica si inserisce l’intervento personale di Ferrari), altro è che il CAI, con la miriade di questioni impellenti sulla scrivania, debba occuparsi anche delle croci. Piuttosto si occupi di veri scempi ambientali come, a puro titolo di esempio, la funivia del Piccolo Cervino (purtroppo già inaugurata) o l’eventuale rifacimento della pista da Bob di Cortina.
Ottima ricostruzione.
Per ulteriore divertimento del lettore (ho trovato l’intera vicenda ridicola, al limite della farsa) avrei aggiunto una rassegna dei titoli dei principali quotidiani.
Da ciò traggo qualche conclusione.
Sventolare il drappo rosso paga in termini di visibilità e copie vendute, anche se dietro c’è il nulla. Questa è la situazione del giornalismo italiano (o parte di esso).
Far cagnara paga in termini di polarizzazione dell’elettorato (fidelizzazione) e di attenzione distratta dalle questioni reali. E questa è la situazione della politica italiana (o parte di essa).
Guai a sollevare certi temi (religiosi) in Italia (chi tocca la croce… muore 🙂 ). Il tutto a discapito della professionalità e del tanto sbandierato merito da premiare.
P.S.
Crovella, la tua difesa del P.G. e del CAI “a prescindere” fa tenerezza.
Ma, quando un P.G. si scusa per un errore commesso da altri (non saprei come altro interpretare le parole: “Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa“), buttando ai pesci i propri collaboratori e l’autonomia decisionale della propria associazione (“voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto“), secondo me c’è qualcosa che non va.
Credo che sarebbe interessante (e, forse, ormai doveroso), che sulla questione “croci di vetta” il CAI abbandonasse l’attuale atteggiamento pilatesco e ci facesse finalmente sapere qual’è la sua “posizione ufficiale”.
Mentre è ormai partita l’inarrestabile (fino ad esaurimento dei cavalli) carica dei Lancieri di Pinerolo contro le composite e promiscue truppe ribelli caiane delle province del Regno, non ci resta che attendere cosa si inventeranno i due crociati, il Felpa e la Pitonessa, per animare sulle vette dei monti e sul bagnasciuga balneato per i prossimi 30 anni questa gloriosa estate. Invano incalzati dalla coppia Avvocato del Popolo e ZTelly, in deciso ribasso nonostante la cura del fazzoletto da giacca e dei colori politicamente armoniosi e corretti.
Dai, lo sapete che qualsiasi cosa dite lui continuerà a ripetere come un disco rotto le stesse cose.
lasciatelo giocare con la sua palla di pongo e vivere nella fantasia della sua ragione.
Crovella, bastaaaaaaaa…
Ottima conclusione di Michele Serra.
E’ anche per questo che non bisogna andarse, ma restare a rompere le scatole.
Certo è che questo sodalizio è più immutabile delle montagne !!!
Lasciate lavorare in pace tanto il PG quanto il direttore editoriale, senza andare a vivisezionare ogni minima frase che scrivono, sia l’uno che l’altro, come se ogni loro frase fosse un nuovo articolo della Costituzione. Sfrigolii quotidiani capitano anche nelle migliori aziende (e famiglie), ma poi ci si ricompone perché prevale lo spirito di squadra.
Viceversa i “frignoni seriali” frignano a prescindere, cioè scaricano in critiche costruite su episodio strumentalizzati le proprie insoddisfazioni generali. Piuttosto che stare lì a farlo a fette giorno per giorno, oggi al PG, domani all’altro, dopodomani all’altro ancora ecc ecc, lasciate terminare il triennio (maggio 2025) e l’assemblea valuterà l’operato complessivo. Ah dimenticavo, a tale assemblea NON partecipano tutti i soci CAI, ma solo i delegati. E’ così dalla notte dei tempi, è uno dei tanti “meccanismi” del CAI. Quindi NON c’è una valutazione da parte di tutti i soci, ma solo di una ristretta rappresentanza (cmq non piccolissima). Ma l’opinione in merito del singolo socio (a cominciare dal sottoscritto, non essendo io delegato al momento) non ha alcune peso assembleare. In ogni caso, se non è piaciuto il triennio prevarrà il voto per un eventuale candidato alternativo. Credete che cambieranno gli standard? Ma ‘sta cippa. Di Presidenze ne ho viste forse venti, forse addirittura di più (devo andare a contarle): le gestioni stanno sempre dentro alvei con margini molto alti e abbastanza ristretti.
Certo che la seconda parte della mia frase è una valutazione soggettiva, ma alla fin fine corrisponde alla realtà dei fatti. Quando mai una associazione corre dietro ai soci scontenti? Avendone tra l’altro in numero così enorme come l’attuale CAI… Chi è contento non ha bisogno di farsi correre dietro, chi è scontento… che se ne vada pure. Oggi con la legge sulle ASD bastano 3 persone fisiche e un capitale minimo e si crea una associazione sportiva dilettantesca: createvi le vostre ASD, che bisogno avete di “costringervi a stare” a tutti i costi nel CAI che – per vostra stessa ammissione – non vi piace???. E’ questo punto specifico che irrita.