L’alba dell’arrampicata sportiva in Valle d’Aosta
(nei ricordi di un protagonista)
di Guido Azzalea
(pubblicato su grivel.com il 16 giugno 2020)
Correva l’anno 1970, avevo frequentato un corso di avvicinamento all’alpinismo con il CAI di Aosta. Le lezioni si tenevano alla palestra del Castello del Generale Cantore di Aosta. Lì, oltre a conoscere gli istruttori (tutte guide alpine), uscivo per la prima volta da un mondo fatto di letture di libri di montagna e avrei conosciuto qualche amico per condividere la stessa passione.
Si scalava con i pantaloni al ginocchio e gli scarponi. L’unico che scalava con delle specie di strane pedule con la suola di corda era la guida Adolfo Giulio Ourla che, oltre a essere molto bravo, era stato capo partigiano ed era prodigo di consigli per tutti noi.
In seguito andavo spesso alla sede del CAI di Aosta per conoscere nuovi amici e anche perché c’erano parecchie ragazze. Non avendo ancora la patente ci muovevamo in bicicletta e andavamo spesso alla palestra di Pollein. C’erano alcune brevi linee su qualche placca aggettante chiodate a chiodi a pressione e a sinistra una linea con un piccolo tetto orizzontale che mi faceva molta paura. Un altro posto era la palestra BC (ora peraltro ricoperta da reti di contenimento). Usavo una corda, moschettoni e staffe con i gradini di metallo. Si scalava in palestra non proprio per il gusto di scalare, ma con l’intento di prepararsi per andare a fare quelle cose in montagna. In seguito conobbi Pino Trevisan che un giorno mi chiese di andare con lui a Pollein a fare passaggi… A sinistra in basso mi mostrò alcuni passaggi a 2/3 metri da terra che a me parevano impossibili.
Tra l’altro scalava con le Clarks con la suola di para. Colpo di scena… avrò avuto 13 anni e la cosa mi pareva scandalosa, ma come? E gli scarponi? Seguì la mia prima vera via in montagna con Ezio Donzel: la Ottoz all’Aiguille Croux. Fu una battaglia terrificante. Non mi ricordo quanto tempo ci mettemmo, ma se non fosse stato per la bravura di Ezio le cose sarebbero finite male. Per me fu una dura lezione… una delle tante.
Pian piano i pantaloni alla zuava lasciarono il posto a normali pantaloni lunghi… Marco Giordano scalava addirittura in blue jeans… Arrivarono i primi imbraghi bassi (il Don Whillans) tra le ire di vecchi istruttori che ne dichiaravano l’assoluta pericolosità. Nel 1975 presi la patente e quindi ci si muoveva un po’ meglio. Si andava ad Arnad in Gruviera.
In quell’anno da solo ero salito dalla cresta sud-est del Grand Combin e, arrivato non so ancora adesso come, chiesi ad una guida svizzera da dove si scendeva per tornare in Italia… Lui voleva a tutti i costi che scendessi con lui in Svizzera e dovetti scappare per non farmi prendere. Conseguito il brevetto di aspirante guida e non avendo più voglia di studiare, decisi di andare a fare il militare negli Alpini firmando per tre anni di servizio. Fu un po’ come ricominciare tutto da capo, ma questa è un’altra storia e ve la racconto un’altra volta.
Siamo alla fine degli anni ‘70. Le vie a Machaby continuano ad aumentare. Giannico Rossi con pochi chiodi e dal basso sale Maga Magò, una bella variante al Diedro di Fausto, Vittor Pisani sale Freevolezze, con Giannico salgo Erbetta per Bianchina (indovinate cosa avevo seminato alla base?), con Ugo Page saliamo Principe azzurro, una variante superiore della Jaccod. In quel periodo compare Corrado Framarin, fortissimo scalatore di Quart che darà in seguito una forte scossa al movimento in Valle. Alla Corma apre due belle linee, Pépé le Moko e Patata Bollente assieme a Massimo Arcaro.
Si aggira intanto un forte scalatore friulano che arrampica sempre slegato in Gruviera. Ernesto Lomasti prima del suo incidente sale il pilastro in alto della Corma. A mio avviso questa via determinerà una delle svolte storiche per noi scalatori locali. Con Alberto Cheraz facemmo forse la prima ripetizione della via prendendoci degli spaventi senza senso. Due nostri amici avevano provato nei giorni precedenti e uno dei due era caduto sulla fessura obliqua iniziale fratturandosi una gamba. Mi ricordo che ai piedi avevamo le famose San Marco gialle e nere. Poco dopo Corrado con Massimo salì una linea a sinistra della via di Lomasti. Corrado dimostrò tutta la sua bravura salendo un diedro svaso di 30 m e riuscì a piantare solo 2 chiodi schifosi sul tiro che presenta difficoltà di 6b+.
Ma torniamo a La Ravoire. Un bel giorno si presenta Pascal Gravante, svizzero di Ginevra ma cresciuto a Roma. Guarda Fammi di Tutto e dice “Ma perché non la salite in libera?”. Corda dall’alto e giù a provare. In poco tempo altri scalatori del posto cominciarono a vedere e chiodare nuove linee grazie agli spit (sempre da 8 e messi a mano), Hans Marguerettaz e Luca Ferraris tra i più attivi. Sta di fatto che in poco tempo si passò dal 6c al 7b. Dopo un po’ si aggirava anche un certo Andrea Plat che se pur molto giovane scalava bene. Nacquero Mostro Alfonso, Messico e Nuvole, Spit Fire, Rain and Tears…
Il Becco dell’Aquila (in faccia a Courmayeur) secondo me ha avuto una grande importanza per l’arrampicata in Valle. Angelo Piccioni aveva già messo mano su una parte di porzione rocciosa a sinistra del canale del Becco chiodando due itinerari di circa 100 m con difficoltà intorno al quarto/quinto grado. Dopodiché, sempre dal basso con chiodi normali ed alcuni a pressione, salì i due spigoli del Becco, la Mara 3 e lo spigolo di destra. Aprì un’altra via al centro, via tra l’altro molto bella su bella roccia ma stranamente poco percorsa. Non mi ricordo chi abbia cominciato a chiodare il settore basso centrale. Massimo Datrino chiodò due tiri tutto a destra, uno si chiama Capitan Manetta di difficoltà intorno al 6b. Dopo un po’ chiodai a sinistra i due tiri di Mamma EB. Il secondo tiro è veramente bello, caratterizzato da un granito verticale a liste e il grado è intorno al 6c. Bisogna anche ricordare che gli spit da 8 mm li piantavamo col perforatore a mano e quindi ogni singolo tiro richiedeva qualche giorno di paziente lavoro. Valerio Bologna chiodò una bellissima linea di due lunghezze e la chiamò Belfagor. Bisogna anche dire che un bel giorno decise di salirla slegato e a mio avviso fu vero exploit… eravamo ai primi anni ‘80. Un altro assiduo frequentatore del luogo fu Hans Marguerettaz che chiodò un’altra linea di due lunghezze che chiamò Bicycle Girl. Nasceva una dei primi tiri di 7b in Valle. Successivamente chiodai un’altra linea a destra della via di Hans che Manolo salì a vista gradandola 7a+ (il nome non me lo ricordo). I frequentatori del sito erano sempre gli stessi in quegli anni, Carlo Ziggiotto, Bibo Colnaghi, Pierino Rey, Corrado Framarin e altri local. Nel 2000 con Pierino Rey richiodai a fix inox tutte le linee, ma purtroppo qualche anno dopo una grande frana interessò la porzione di spigolo della Mara 3 cancellandone i primi tre tiri. Un’ordinanza comunale vieta l’accesso alla falesia e il sentiero che saliva nel canale boscoso d’accesso è stato completamente cancellato. Sono salito qualche anno fa a fare un giro e ho scoperto che l’evento franoso non ha minimamente interessato nessuna delle linee, ma purtroppo senza un’adeguata bonifica il sito rimane per me a rischio.
Guido Azzalea
67 anni (63 ai tempi dell’uscita del presente articolo), guida alpina e istruttore, ama soprattutto l’arrampicata sportiva di cui ha seguito la nascita e l’evoluzione. Da sempre amico di Grivel, il suo prodotto preferito è l’imbracatura TREND PYTHON.
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E’ bello sentire questi racconti per me che ho scoperto Arnad poco prima del 2000….Adesso li intorno è tutto un fiorire di vie plasir
Ciao Guido sei stato mio istruttore ai corsi per tecnico di soccorso ancora quando c’era il mitico Franco Garda. Andavamo a scalare nelle pause sui monotiri sotto al Monzino….ci siamo poi rivisti in giro nei soliti posti.Un grande abbraccio.
Sulle vie di Machaby mi sono divertito parecchio , quando ancora non era invasa dalle placchette metalliche rivettate sulla roccia. Un’ autotentica bruttura.
il musicale e gradevole tintinnio dei gradini delle staffe è sempre stato inconfondibile. Praticamente scomparso, come quello dei bong, sostituiti dai silenziosi friends.
Ciao Guido, come stai ?
Ovviamente, imbracatura TREND PYTHON nella variante leopardata.
Un po’ di epoca del bong.
Tra Cuneo di legno e friend.
Suoni di gradini di staffe e musica di bong che non echeggiano più.
Tra i suoni riconoscibili ci metto anche gli excentric. Oggi la musica è sparita. Si ascolta in cuffia o (peggio) negli auricolari bianchi.
E di cinghiali è pieno.
Ciao Guido!