Le competizioni, ma anche le corse non competitive, distolgono dal sentire la natura e l’ambiente che ci circondano. La serie di sguardi al cronometro ne è la dimostrazione più evidente.
D’accordo, c’è differenza tra una partitella di calcio parrocchiale e una qualificazione nazionale.
La maggior parte pensa che le corse tra amici, o altre manifestazioni simili, siano più giustificate e accettabili di altri agonismi dichiarati, o mascherati, striscianti, perché, almeno per una parte di partecipanti, favoriscono il piacere dell’agire insieme. Personalmente è dal tempo dell’adolescenza alpinistica che rifuggo qualunque competizione e in più ritengo che le gare siano dannose all’ambiente, perché la montagna è costretta sullo sfondo.
SellaRonda Ski Marathon
Mi guardo attorno e vedo che tanti vedono la montagna come teatro di ambizione. Una volta gli ambiziosi si ritagliavano uno spazio con la ricerca, l’esplorazione, la conquista personale; oggi, coloro che sono privi di fantasia non trovano più “novità” e quindi non gli rimane che esaurire il loro protagonismo nella competizione.
Tutti siamo o siamo stati un po’ competitivi, ancor più i giovani con qualcosa dentro. Credo però che sia importante non porre mai la montagna sullo sfondo, lasciandola invece al nostro fianco come compagna ideale.
Credo anche che occorra lasciar fare, condannando gli eccessi organizzativi di qualche manifestazione e limitandoci a dare il nostro esempio. Chi sa di essere nel giusto non vuole neppure passare per fanatico.
A vent’anni, nel 1966, scrivevo questa fantasia, senza immaginare quanto dovesse approssimarsi alla realtà:
L’Alpinismo è uno sport?
(scritto nel 1966)
Qualunque sport, dal calcio alla pallanuoto, dal ciclismo alle bocce, ha le sue regole, istituite perché con esse si è voluto circoscrivere una particolare attività sportiva e distinguerla dalle altre.
Un passaggio del Misurina Ski Raid 2012
Se queste regole non sono rispettate, gli effetti possono essere due: o la prova è nulla oppure rientra in un’altra categoria di sport. Non si può dire ciò dell’alpinismo, che non ha mai avuto regole fisse, ma è bensì in continua evoluzione.
Negli sport invece le regole sono semplici: tempo o stile sono i soli criteri di misura. Chi impiega meno, o chi è più aderente a uno stile ideale e perfetto, vince. Anche in alpinismo esiste lo stile, come pure il tempo. Esiste anche la smania competitiva, contro la montagna e contro gli altri, ma ciò non è sufficiente per affermare che l’alpinismo sia uno sport.
Dimostriamolo, senza fatica, per assurdo.
Il Lunarally di Pontedilegno
Ognuno di noi, per quanto a volte si possa essere digiuni in materia, può confrontare le proprie idee sulla montagna e sull’alpinismo con le situazioni, sia pure un po’ caricate, ma comunque ugualmente assurde, che si verrebbero a creare se l’azione dell’andare in montagna fosse caratterizzata solo dallo stile e dal tempo.
Questi dunque potrebbero giustificare da soli l’esistenza di un ipotetico «sport alpinistico». Fermo restando che lo sport alpinistico equivarrebbe a un qualsiasi altro sport, senza alcun ideale aggiunto, ma nudo nella sua essenza atletica e ben delimitato nelle sue regole codificate, si potrebbero benissimo organizzare le gare a cronometro. Non si avrebbe nessuna difficoltà, né tecnica né umana, specie con l’aiuto di un’organizzazione sapientemente diretta nella classica direzione del ricavo economico.
I concorrenti dovrebbero partire con uguale materiale, presenti i giudici di percorso, di partenza e di arrivo. Potrebbe verificarsi qualche spiacevole caso di squalifica per irregolarità; ci sarebbe anche il tempo massimo, oltre il quale gli atleti sarebbero senz’altro eliminati dalle successive prove.
I giudici provvederebbero ad assegnare i premi ai vincitori, dopo un attento esame dei punti ottenuti e del tempo migliore. Da considerare nella dovuta importanza anche la sicurezza e la prudenza usata dai concorrenti. Alla base della parete ci sarebbero le squadre di soccorso, pronte con le barelle per eventuali infortuni, come pure in vetta; e su tutto il percorso fiorirebbero le installazioni di teleferiche modernissime per il pronto invio del ferito a valle racchiuso in speciali sacchi Gramminger. Ci sarebbero pure, abbarbicate alle cenge, ove possibile, speciali stazioni di ristoro.
Lo sport alpinistico sarebbe ammesso alle Olimpiadi e per i fanatici delle invernali ci sarebbero pure i Giochi alpinistici invernali. L’iniziativa olimpica non mancherebbe di favorire lo sviluppo dello sport alpinistico: la partecipazione infatti sarebbe assai vasta, visto che «alle Olimpiadi non importa vincere; l’importante è partecipare». Va da sé che lo sport alpinistico sarebbe ammesso al CONI e il CNSA (Commissione Nazionale Scuole d’Alpinismo) assorbito.
I tempi sarebbero misurati al centesimo di secondo, i concorrenti dovrebbero partire con il numero sulla schiena e non avrebbero con loro chiodi, essendo già in posto quelli necessari. La partenza e l’arrivo sarebbero misurati da una speciale cellula foto-elettrica, mentre i giornalisti in vetta, protetti da un apposito bivacco-stampa collocato dalla benemerita Fondazione Berti, batterebbero nervosamente i tasti della macchina da scrivere per stendere il pezzo prima dell’ultima corsa della funivia.
Bardonecchia 1985: Jerry Moffat e Wolfgang Güllich
Sulla vetta, o sulle staffe in mezzo alla parete, sarebbero dislocati in gare particolarmente importanti gli operatori televisivi e i radiocronisti. Sui monti circostanti si provvederebbe alla sistemazione (tribuna o gradinata) del pubblico pagante, mentre il servizio d’ordine non permetterebbe lo spettacolo ai portoghesi e la polizia conterrebbe l’eccessivo entusiasmo dei tifosi. Mentre sui piazzali adiacenti ai rifugi, ormai tutti serviti da un’ottima rete stradale, si adopererebbero i posteggiatori abusivi e non; elicotteri speciali sorvolerebbero la zona e le sue adiacenze per avvertire atleti e pubblico di eventuali perturbazioni atmosferiche.
Ai concorrenti sarebbe vietata ogni azione che potesse danneggiare i successivi: proibito schiodare, proibito spaccare gli appigli a martellate, otturare le fessure, bagnare la roccia con liquidi di qualsiasi genere, provocare frane; vietati gli urti, gli ostruzionismi, i catenacci. Prudenza nei sorpassi, anche se permessi sia a sinistra che a destra. Vietato provocare e insultare gli arbitri.
A gara terminata si provvederebbe come di consueto al controllo antidoping. A giudizio della giuria se i tempi registrati possano o meno essere omologati nell’albo d’oro di ogni via.
Le guide a riposo potrebbero così impegnare il loro tempo facendo gli allenatori o massaggiatori, e gli anziani campioni, o gli incorruttibili accademici, coronerebbero la loro brillante carriera da giudici o arbitri.
Nelle gare per solitari sarebbe severamente proibita ogni forma, anche elementare, di autoassicurazione; le atlete non dovrebbero assolutamente indossare, in nessun caso, abiti succinti o comunque offensivi alla morale e alla “tipica” austerità dell’ambiente alpino.
Al di fuori delle competizioni si potrebbe anche assistere al puro esercizio di stile, all’essenziale estetica dell’arrampicata: atleti che amino concepire il passaggio come una serie di movimenti accordati da un fluire logico e leggero degli arti, che trascorrano i loro pomeriggi a salire e risalire su un masso, fare e rifare lo stesso passaggio, fino alla plastica perfezione del movimento, forza e grazia non disgiunti, in sobrio equilibrio.
Alla fine dell’esibizione, ultimo tocco, non mancherebbe il coro frenetico di battimani e strida da parte degli ammiratori.
(1966)
Bardonecchia 1985: Stefan Glowacz e Marco Pedrini
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Insomma, avete presente gli “Orizzonti conquistati” del vecchio Gastone?
Io sono cresciuto con quei valori.
Bravo Furly!
Le emozioni e le situazioni dell’alpinismo non sono quelle di una partita di calcio. E neppure quelle della finale dei cento metri alle Olimpiadi.
Esiste – è vero – una componente sportiva nell’alpinismo, intendendo però la parola sport nel suo significato originario di attività fisica per gioco. Tuttavia essa è presente insieme a tante altre: l’avventura, la natura, la vita all’aria aperta, il silenzio, la poesia, la bellezza, la sfida con se stessi, il rischio e l’autocontrollo, l’amicizia, l’ideale, la libertà, la purezza, ecc. Bastano?
…
O sono forse diventato un vecchio ‘parruccone’?
Ma no! Queste cose le pensavo anche a vent’anni.
Da allora non è cambiata una virgola.
Domanda :L’alpinismo è uno sport?
Risposta del Furly : NO
Alberto, sono d’accordo.
Giando, vado in montagna da una vita e sarei bugiardo se non riconoscessi di avere rischiato la pelle.
Con tutta la preparazione e prudenza possibile e immaginabile , a volte basta veramente poco per fare un errore fatale.
Se poi ci metti il fatto che in diverse occasioni mi sono impegnato in salite decisamente pericolose: roccia rotta, protezioni dubbe, discese che te le raccomando, ect. ect.
Quindi mi domando? come si fa a dire che mi sono svagoto ??
Sinceramente non mi sono mai svagato a fare queste cose. Anzi sul momento mi sono cagato nei calzoni e mi sono domandato ma che cazzo me l’aveva fatto fare di essere li ?
E’ in un momento successivo che subentra la soddisfazione di avere fatto quella cosa. Però è soddisfazione magari di avere avuto le palle, di essere riuscito, di avere controllato la paura.
Ma non è divertimento o svago.
Beh allora Paolo e Alberto venite dalla mia parte 🙂 , le difficoltà contano poco, ciò che conta è l’esperienza più o meno a 360 gradi.
Indubbiamente, ripensando a ciò che ha scritto Alberto sullo svagarsi quando si rischia la pelle, ci sarebbe da fare una bella riflessione.
Comunque sì, alla fine mi pare che siamo tutti d’accordo.
Aggiungo che per me ALPINISMO è mettersi in “gioco” con tutte le proprie capacità, fisiche, mentali e culturali, senza codifiche se non la propria etica.
L’andar per svago, o divertimento, per gareggiare o altro sono belle cose, ma non fanno vivere l’esperienza alpinistica.
Penso che anche andare in barca a vela sia similare come “gioco”….il bretone che ha girato il mondo da solo in barca in 59 giorni potrebbe essere assimilato ad un “fortissimo alpinista”, ma chi va sul lago a veleggiare di corsa per me fa un’altra roba, se codificata è uno sport.
Altre attività così non ne conosco.
“Alberto, per quanto rispetti l’idea di alpinismo espressa da Paolo e da te condivisa ritengo che si tratti di una visione estrema, tipica di un alpinismo estremo
Giando non sono certamente un alpinista estremo. Però mi sento un alpinista che sicuramente non ha raggiunto il proprio limite tecnico ma sicuramente quello psicologico si ! e pertanto anche quello tecnico gli va dietro.
Non sono mai stato un sportivo, nel senso dell’amare la pratica sportiva. Mi ha sempre fatto una fatica enorme allenarmi, correre, fare le trazioni. Insomma mi sono sempre allenato andando in montagna. A casa ho una tavola per fare le trazioni è li appesa sopra la porta da un mucchio di anni. E’ bella nuova , usata pochissimo, per non dire nulla. Che fatica, che palle fare le trazioni.
L’arrampicata indoor la trovo decisamente noiosa. Poi arrampicare stando al chiuso….ma come si fa???
Se mi fossi allenato come si dovrebbe fare avrei sicuramente avuto risultati migliori , ma come ho detto non sono uno sportivo e forse non sono competitivo.
Più che la difficoltà pura , la gestualità, mi interessa l’esperienza che si vive sulla parete. Da qui la scelta di fare un tipo di alpinismo a 360° che va dalla roccia al ghiaccio al misto, alle ripetizioni, alle aperture, alle solitarie (assicurato perchè diversamente non ho le palle e non credo nella “bolla” come invece diceva Roberto Iannilli).
Dalla vie (per me) difficili e belle (ci sono vie belle o brutte??) a quelle facili, dimenticate perchè bruttine, che però hanno un interesse storico o ti fanno scoprire una parete, un luogo ho ti fanno conoscere chi le ha create.
Non mi interessano i tempi. Aste diceva che senso ha correre per andare via prima possibile dalla montagna quando per tanto tempo ho desiderato essere qui. Lo trovo un ragionamento sensato che ti fa vivere in sintonia con l’ambiente che ti circonda invece che pesarti addosso.
Questo per me è alpinismo e non può essere sport al di là delle definizioni da Treccani o da vocabolario.
“Per me non è un alpinista solamente colui che scala le montagne in condizioni sempre più difficili bensì colui che scala le montagne punto o, per meglio dire, colui che si muove in ambiente tipicamente alpino (non solo sulle Alpi naturalmente).”
Giando sono d’accordo con te.
Non ho inteso dire che l’alpinismo è fare solo cose diffici e pericolose. Per quanto mi riguarda è lo stile che fa la differenza. Nel senso che la ricerca della difficoltà non deve essere la sola ragione per impegnarsi in una salita ma è solamente un aspetto dell’esperienza.
La competizione è chiaro che c’è ma non nel senso della ricerca della gara o della prestazione più veloce possibile o difficile possibile. Ma vale come stimolo a superare le personali aspirazioni nella ricerca del confronto con la parete , con la montagna, con l’avventura.
Alpinismo non è sinonimo di sola difficoltà , pericolo o cose estreme sulle montagne più remote del mondo. Si può fare alpinismo anche sulla montagna dietro casa. E’ lo stile che fa la differenza. E’ come mi pongo difronte alla parete che fa la differenza.
Ad esempio in Apuane , piccole montagne per nulla remote facilmente raggiungibili, ci sono ascensioni facili tecnicamente, facilmente raggiungibili, con discesa tranquilla ma la scalata in se stessa è alpinistica, richiede una ottima preparazione alpinistica. Dove non conta essere dei buoni sportivi, dove non conta essere dei buoni atleti . Conta invece avere senso della montagna, avere fiuto del pericolo, sapere in anticipo questo lo prendo questo no!
Alberto, per quanto rispetti l’idea di alpinismo espressa da Paolo e da te condivisa ritengo che si tratti di una visione estrema, tipica di un alpinismo estremo.
Per me non è un alpinista solamente colui che scala le montagne in condizioni sempre più difficili bensì colui che scala le montagne punto o, per meglio dire, colui che si muove in ambiente tipicamente alpino (non solo sulle Alpi naturalmente).
Questo perché il solo muoversi in ambiente alpino necessita di competenza specifica. Questo appellarsi alle difficoltà ha fatto sì che col passare del tempo si creasse una spaccatura fra alpinismo ed escursionismo col risultato che oggi vengono spacciati per escursionistici i cosiddetti sentieri alpinistici (contraddizione evidente). Quante persone si fanno male su questi sentieri? Forse non un’esagerazione ma nemmeno poche e ciò si verifica sovente per mancanza di cultura alpinistica.
Immagino sia capitato anche a te d’incontrare, talvolta, maggiori difficoltà nell’affrontare lo zoccolo piuttosto che la parete e ciò a testimonianza del fatto che andare in montagna necessita di un insieme di competenze che iniziano con la preparazione a valle della salita per finire alla sera quando si fa la doccia (stando attenti a non scivolare nel piatto per eccesso di calo d’attenzione).
Credo che la ricerca della difficoltà, per quanto comprensibile e forse scontata, abbia col tempo deviato il senso di un’attività nata probabilmente con motivazioni ben diverse, dando così luogo alla competitività a cui assistiamo continuamente.
“Per me ALPINISMO è cercare di scalare le montagne, provando a salirle per vie sempre più difficili in qualsiasi stagione, partendo dal basso e arrivando in cima per poi scendere da un’altra parte.”
concordo totalmente in questa definizione data da Paolo.
La componente sportiva c’è ma non può essere quella dello – svago-
Come si fa a…svagarsi… quanto si rischia la pelle , ho quando non è possibile interrompere il gioco in qualsiasi momento?
Concordo con quanto scritto da Giando.
L’alpinismo non è uno sport, per quanto sia spesso praticato con un approccio sportivo: misurandosi con gli altri, con se stessi, col cronometro, allenandosi progressivamente per raggiungere risultati che altrimenti non si otterrebbero, curando il gesto atletico, l’alimentazione, talvolta qualcuno – temo – anche dopandosi (che ovviamente è l’antitesi dello sport, della salute e della lealtà, ma è un dato di fatto che il doping sia diffuso nello sport a molti livelli).
E in alcuni casi particolari il modo con cui l’alpinismo viene praticato è del tutto assimilabile allo sport.
Penso che alcune discipline dell’alpinismo oggi siano affrontate più di altre con un approccio sportivo. Mi riferisco allo sci alpinismo, dove lo spirito competitivo all’interno del gruppo è spesso evidente (almeno questa è la mia esperienza) o alla roccia, dove il miglioramento o il mantenimento oltre certi livelli necessita di preparazione specifica e metodica.
Per me ALPINISMO è cercare di scalare le montagne, provando a salirle per vie sempre più difficili in qualsiasi stagione, partendo dal basso e arrivando in cima per poi scendere da un’altra parte.
Però è bello aprire e chiudere cantieri, fare corse e competizioni su sassi o su plastica, provare a salire pareti per vie attrezzate anche difficilissime e poi discenderle velocemente affidandosi a calate predisposte.
Per me l’ALPINISMO è una impegnativa avventura rischiosa della cordata, con regole solo di etica personale, più o meno condivisibili da altri.
Tutto il resto è un bellissimo gioco fra tanti che si vogliono svagare, ma lo fanno con grandissimo impegno.
Ciò che dice Alberto corrisponde al vero. In effetti la parola “sport” sarebbe apparsa per la prima volta nel 1532 ed è un’abbreviazione dal francese antico della voce “desport”, da cui derivano lo spagnolo “deporte” e l’italino “diporto” (svago, divertimento, ricreazione).
Originariamente la parola significava divertimento gratuito mentre oggi indica quell’insieme di gare ed esercizi fisici che vengono praticati per svago ma anche per competizione, a livello amatoriale o professionale.
Quindi è vero, etimologicamente parlando l’alpinismo praticato per svago sarebbe più sport dell’alpinismo praticato a livello professionistico. Sottolineo etimologicamente parlando, perché è chiaro a tutti cosa si intenda oggigiorno per sport.
Il punto della questione risiede nella nascita della parola “alpinismo”. Quando è stata utilizzata per la prima volta? Onestamente non sono riuscito a trovare nulla al riguardo. Il suffisso “ismo” si applica a molti vocaboli astratti, derivanti dal greco o di orgine posteriore, e relativi in genere a sostantivi o aggettivi. In genere si vuole con ciò indicare movimenti religiosi, filosofici, letterari, artistici, politici, sociali, ecc..
Sappiamo che l’uomo va in montagna da millenni. Inizialmente non si andava in montagna per diporto e gli stessi Balmat e Paccard, considerati pressochè unanimemente i primi alpinisti moderni, non arrivarono in cima al Bianco per diporto (le motivazioni furono altre).
Quindi rimane un problema da risolvere, accertare quando e se la parola “alpinismo” sia stata utilizzata inizialmente per indicare un’attività di svago e, quindi, un sport (sempre stando al significato etimologico del termine) oppure un movimento avente connotazioni più profonde e, perché no, anche più elevate.
Tutto ciò, ribadisco, se ci rifacciamo al significato etimologico del termine.
Cosa possiamo dire sulla base dell’odierno significato attribuito alla parola sport? Beh, a mio avviso, diventa molto difficile considerare l’alpinismo uno sport. Con questo non voglio dire che si debba attribuire all’alpinismo un significato così elevato ed astratto da farlo rientrare nell’ambito della filosofia o della religione (sebbene diversi praticanti la vedano in tal senso), dico semplicemente che la maggior parte delle persone ad una domanda diretta del tipo “che sport pratichi” ben difficilmente risponderebbe “l’alpinismo”. Viceversa se la stessa domanda venisse posta ad un qualsiasi nuotatore da diporto (classico soggetto da due-tre volte alla settimana in piscina) la risposta sarebbe secca: “nuoto”.
La lingua ha una sua evoluzione che dipende dall’evolversi degli usi e dei costumi. Se una determinata parola aveva in passato un certo significato non è detto che tale significato sia stato mantenuto nei secoli successivi.
Pertanto, alla luce di ciò, ritengo che l’alpinismo non sia uno sport ma che possa essere praticato come uno sport, a prescindere da un’organizzazione sportiva e da un insieme di regole che ne disciplinino la pratica. Il fatto che non esistano competizioni è a mio avviso assolutamente irrilevante perchè se il nuotatore da diporto si considera uno sportivo pur non partecipando ad alcuna gara e non assoggettandosi a regole particolari non vedo per quale motivo lo scalatore da diporto non possa considerarsi uno sportivo. Tutto risiede alla fine nelle modalità con cui un soggetto approccia il problema. Ci sono alpinisti che in montagna competono, con sè stessi e con gli altri (ricerca di record di vario genere, dai tempi di salita al numero dei concatenamenti), e alpinisti che vanno in montagna con spirito di ricerca esteriore ed interiore. Alpinisti che vanno in montagna per puro diletto e alpinisti che vanno in montagna a scopo scientifico.
In buona sostanza, che l’alpinismo sia o meno uno sport è a mio avviso una questione d’interpretazione personale. Per come lo pratico io sicuramente non lo è, per come lo pratica Ueli Steck.. Bah, ognuno faccia le sue valutazioni.
La parola “sport”, che deriva dall’Inglese significa inizialmente svago. E’ dubbio quindi che attività professionali anche se legate a prestazioni fisiche possano ricadere all’interno di una definizione rigorosa di sport. Tanto è vero che per molti anni le Olimpiadi erano riservate ad atleti non professionisti.
Una degenerazione del concetto di sport si è generata sotto la spinta dello sfruttamento a fini commerciali.
Sotto questo aspetto l’Alpinismo classico sarebbe più sport che non le gare di Climbing o Scialpinismo, dove prevale la presenza di atleti professionisti.
“Regole codificate da appositi enti”. Anche in questo caso secondo me si va troppo nel tecnicismo.
Prendiamo il body building. Per molti non è uno sport perché manca una competizione, almeno secondo i canoni ortodossi (perché in realtà esistono gare a tutti i livelli: regionali, nazionali, continentali e mondiali). In compenso è considerato sport il tiro a segno, attività nella quale la componente fisica è estremamente bassa rispetto a alla componente psicologica.
Ribadisco, o si considera sport la sola attività svolta a livello agonistico, e allora sì che le regole assumono un valore differenziativo, oppure dobbiamo basarci su altri parametri.
Considerando che lo sport può essere praticato anche a livello non agonistico, e questo è assodato oltre che sostenuto dagli usi e dalle consuetudini, è evidente che tutto risiede nella motivazione con cui un determinato gesto atletico viene intrapreso.
Quindi l’alpinismo non è uno sport non tanto per la mancanza di regole e per l’assenza di enti certificatori bensì perché le motivazioni che stanno alla sua base non sono di matrice sportiva. Se però qualcuno si mette in testa di battere dei record, allenandosi fisicamente e psicologicamente di conseguenza, diventa difficile non inquadrarlo in uno sport, sebbene non agonistico.
Ma tutto questo riguarderà si e no l’1% dei praticanti.
“Attività …praticata nel rispetto di regole codificate da appositi enti”
Direi che la citazione riportata da Lorenzo, esclude che l’alpinismo sia uno sport.
Semmai un gioco, magari anche molto competitivo, ma un gioco.
Concordo poi con le considerazioni di Alessandro, che dopo questo post, oltre che “Capo” potrà anche essere apostrofato col termine di “Profeta”!
Caro Lorenzo, mi sembri un po’ polemico però metti il dito nella piaga. In effetti, aldilà dei luoghi comuni, non è molto chiaro cosa sia l’alpinismo ma non è nemmeno tanto chiaro cosa sia lo sport. Proviamo a fare alcuni esempi.
Andare al lavoro in bicicletta può essere considerato uno sport? Andare in piscina e fare vasche su vasche senza gareggiare può essere considerato uno sport? Giocare a calcio ai giardinetti pubblici, come fanno i ragazzini, può essere considerato uno sport?
Io credo che alla base di tutto debba esserci una motivazione e che, quindi, il voler inquadrare le svariate attività in base a regole, contesti, ecc.. abbia un valore relativo.
Gli sport si possono suddividere, a grandi linee, in due macroclassi, la macroclasse A, ricomprendente giochi o comunque attività che possono essere svolte anche sotto la forma di gioco (calcio, pallavolo, pallacanestro, tennis, ecc.) e la macroclasse B, ricomprendente gesti della vita quotidiana e non (corsa, nuoto, canottaggio, canoa, ciclismo, automobilismo, ecc.).
Pertanto, si può giocare a calcio, a pallavolo, a tennis, oppure si può praticare lo sport del calcio, della pallavolo, del tennis, ecc., così come si può andare in bicicletta, correre, nuotare, ecc. o praticare lo sport del ciclismo, della corsa, del nuoto, ecc..
Dove sta’ la differenza? La differenza risiede nella motivazione di fondo del praticante, motivazione che sfocia nell’allenamento ed eventualmente anche nella competizione. Se sono al mare e mi faccio una nuotatina non sto’ certo praticando uno sport ma se vado in piscina tre volte alla settimana evidentemente sì. Se poi gareggio pure significa che sono anche un agonista.
Alla luce di ciò possiamo anche inquadrare l’alpinismo. Se vado sulla cima di una montagna posta a 3000 metri di quota per godere del panorama non sto’ certo praticando uno sport ma se ricerco dei risultati cronometrici come Ueli Steck, allenandomi scientificamente, in che modo posso definirmi?
A ciascuno il suo, c’è spazio per tutti. Quindi la definizione della Treccani non mi pare molto corretta.
Pur avendo una componente sportiva, l’alpinismo ritengo sia una passione…
ALPINISMO è un termine che copre una varietà di attività talmente vasta e ciascuna di questa attività può essere a sua volta intrapresa in modalità talmente differenti, che è naturale che l’ALPINISMO possa anche essere praticato come SPORT agonistico o semplicemente per puro piacere o divertimento, arricchito da ciò che offre l’ambiente in cui si svolge.
Tuttavia se si vuole innalzare l’ALPINISMO alle sommità più pure delle attività che esso rappresenta, ok, circoscriviamolo a quella piccola manciata di “puri Alpinisti”, mentre i rimanenti, la stragrande maggioranza, come li chiamiamo? “MONTAGNINI OCCASIONALI”?
Comunque non si scappa. La Treccani definisce ALPINISMO: “L’attività SPORTIVA e la tecnica dell’ascensione in montagna…”, ma è naturale – diranno in molti alpinisti – chi scrive la Treccani è un incompetente, un ignorante, un montagnino della domenica! L’avessero chiesto a me, gli avrei detto io cos’è ALPINISMO e, infatti, siamo qui a discuterne…
Forse il problema non sta solo nel definire cosa sia o non sia l’ALPINISMO ma anche cosa sia o non sia l’altro termine tirato in ballo: lo SPORT, che sempre la Treccani definisce: “Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui tale attività si realizza, praticati nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (accompagnandosi o differenziandosi, così, dal gioco in senso proprio), sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, proprio di ogni attività lavorativa.”.
Nella definizione di ALPINISMO entra in gioco l’ambiente: la MONTAGNA. La definizione di SPORT prescinde dall’ambiente, che può essere qualunque, ma riguarda le MODALITA’ con cui si realizza tale attività; modalità che superano qualunque limite codificato nel caso del DIVERTIMENTO.
Di conseguenza ALPINISMO e SPORT sono due insiemi che s’intersecano, che vivono e alimentano uno spazio comune.
Chiunque può fare sport, non tutti possono fare alpinismo…
Da facebook, 9 gennaio 2016, ore 8.15
L’ alpinismo per me non è uno sport, anche se può essere vissuto con agonismo. E’ l’ escursione portata ai livelli più estremi, per vivere appieno la passione della montagna.
Da facebook, 8 gennaio 2017, ore 22
L’alpinismo non è uno sport. Alcuni lo vivono come se lo fosse ma secondo me si perdono qualcosa d’importante. Massimo rispetto per Steck, a cui non sono degno di pulire le suole degli scarponi, ma vogliamo paragonare le sue imprese cronometriche ai 17 giorni di Casarotto sull’Huascaran? Naaa..
“Credo che occorra lasciar fare, condannando gli eccessi organizzativi di qualche manifestazione e limitandoci a dare il nostro esempio”
Penso sia la giusta conclusione da trarre. In ognuno di noi si mescolano un carattere competitivo ed uno di pura passione, ognuno di noi è unico, pertanto i due caratteri si possono manifestare in tutti i modi, dal prevalere della competitività al prevalere della passione. Benvenuta la possibilità di esprimersi liberamente, basta che si rispetti la sensibilità altrui senza voler imporre la nostra visione.
No, l’Alpinismo non è uno sport, ma una Passione, salutare, che vivi nel corpo, nel cuore. Questo per me, è quello che la montagna mi offre.
Da facebook, 8 gennaio 2017, ore 19.26
Per il CAI la montagna deve essere il fine, dunque l’alpinsmo non può essere uno sport competitivo per che crede nel cai e nei suoi ideali. Sono stato atleta e ritengo che, seppur praticati nello stesso ambiente, la parte agonistica e quella di passione per la montagna vadano divise e praticate con due spiriti e intenti diversi… Altrimenti non si può percepire il senso di entrambe le cose. Ovviamente opinione personale!
Da facebook, 8 gennaio 2017, ore 18.20
Allo stadio quando iniziano le partite di calcio si sente dire: sportivi ora….
E si incitano i tifosi che di solito nulla hanno a che fare col gioco del calcio.
Penso lo stesso per i tifosi dell’alpinismo che nulla hanno a che fare con l’alpinismo, ma fanno il tifo ora a questo ora a quello “sportivo” da bravi tifosi: ance loro poco capiscono di ciò che succede.
Ma le ore dei “media” e i vari business sono enormi.
Non vedo perché l’alpinismo non possa essere “anche” uno sport competitivo.
L’alpinismo ha una componente sportiva ma non e’ uno sport: L’alpinismo e’ l’arte di salire una cima, una parete, nel rispetto della montagna , della roccia, della natura.
Sì. Purtroppo parte della profezia si e’avverata .
Tra l’altro per molti partecipanti ai vari trail in ambienti fantastici ,se non la maggior parte di essi, del contesto alpino non interessa alcunche’ .
..In tempi ( odierni ) in cui la skirunner-mania è sempre più dilagante, e in cui le terminologie atte a fissarla il meglio possibile in quello che realmente è, cioè mera attività agonistico/sportiva, si sprecano…eri veramente stato preveggente! Anche per me esiste la corsa in montagna, a volte, magari per arrivare il prima possibile in alto, oppure al ritorno, come pura espressione di felicità e soddisfazione ( correre come un camoscio nel proprio ambiente familiare …) Alias è il sentirsi in sintonia con morene pareti canaloni, senza competizione alcuna.
Semmai una sana e naturale ” competizione” la vivo sempre nel bisogno di superare i miei stessi limiti di abilità e/o coraggio, questo sì .Ma se ci penso è sempre e comunque secondaria all’obbiettivo principale : La scoperta della montagna, dei suoi volti e particolari ignoti visti solo da lontano a grandi linee o nelle relazioni. Da questa motivazione chiave nasce così anche la seconda, quella “sportiva” in senso lato: migliorare i tempi, affinare bravura e abilità anche e soprattutto per arrivare agli obiettivi sognati. E così diventa poi piacevole e gratificante anche questo sano “agonismo” ( prova di forza di volontà e capacità in essere ) ,ma che non è mai fine a se stesso come accade sempre più spesso nella degradazione della montagna a sfondo paesaggistico dei vari ultra trails ecc…
Può forse interessare un minimo ricordo familiare. Mio fratello Stefano, morto qualche anno fa e che disegnava benissimo, aveva colto anche lui questo filone; nel 1963, quando fu aperta da Peter Siegert, Reiner Kauschhke e Gert Uhner la diretta “super artificiale”, a “goccia cadente” alla Nord della Grande di Lavaredo, (la via detta dei Sàssoni ma il GR Rai disse allora che la via era stata chiamata, chissà perché, via dei sassòni…) fece dei divertenti disegni. Si vedono, ed io ancora li conservo religiosamente, alpinisti-testimonial, striscioni pubblicitari, sponsor, rifornimenti dal bassso per i concorrenti, corse per chi primo si avventa sul filo di lana posto in cima, radiocronisti e cronometristi che registrano i tempi delle salite; è un peccato non poterli qui riportare, ci sarebbe da ridere, di un riso amarognolo. Disegni profetici dunque, come questo post scritto nel ’66.
Detto questo, ci sarebbe tanto da dire pure sulla competitività nell’alpinismo vero e proprio, anche classico; sempre fortissima e sempre sotto traccia ma, come si dice, questa è un’altra storia…
Qui ci andrebbe il grande Andrea Gobetti, responsabile dell’annuario ROC e autore del libro che ne riassume i pezzi più significativi (edizioni Luca Visentini) a dire la sua sua. Anche lui profetico, anzi acerrimo nemico di una pratica delle gare di arrampicata (e non solo) ormai in pieno sviluppo, grazie all’aiuto della penna del povero Emanuele Cassarà! Che bei tempi. Allora almeno si combatteva, ci si scontrava. Adesso nel piattume insulso in cui viviamo il problema sembra non esistere più, tutto si risolve non pensando. Grazie Alessandro di averci ricordato che cosa sono le gare in montagna.
“L’alpinismo non è uno sport! E’ una disciplina complessa con una componente sportiva piuttosto elevata ma che comporta soprattutto livelli di concentrazione psicologica e di nozioni sull’ambiente circostante che vanno aldilà di una qualsiasi disciplina sportiva!”
Questo il “cappello” di apertura di tutti i miei corsi di alpinismo.
Diverso nei corsi di arrampicata, dove distinguo l’arrampicata in ambiente da quella indoor, in quanto la prima risente per sua natura, delle caratteristiche alpinistiche dalla quale è nata, ma entrambe sono discipline con una componente sportiva preminente.
Ricordo che nei primi anni novanta, credo in Gran Bretagna (ma potrei sbagliare perché il ricordo è un po’ confuso), si tentò di inventare un tipo di competizione alpinistica con 4 percorsi misti di più tiri, dove le cordate dovevano utilizzare le tecniche d’arrampicata (libera o artificiale) in base alle indicazioni del regolamento.
Non ebbe successo!
Anche i percorsi rally di scialpinismo a quanto ne so, stanno vivendo un momento di abbassamento dell’interesse in quanto la maggior parte degli atleti preferisce competizioni di skialp che non comportano i rischi alpinistici né la conoscenza delle diverse tecniche e vengono ogni anno sempre più facilitati.
Come ben evidenzia l’articolo, la competizione guarda l’orologio, l’alpinismo non ha orari e guarda l’ambiente circostante, non a caso conta statisticamente la differenza tra salita estiva o invernale…
Poi oggi troviamo il cronometro anche qui… con Steck che sembra una lepre saltellante in fuga lungo la Mord Wand… ma personalmente preferisco mille volte la salita di Cristoph Hainz che ci mise il doppio del tempo (4 ore e mezza nel 2003), partito non per un record ma per salire “il Mostro”da solo e goderne, si lego in autosicura sulla “fessura difficile” perché non se la sentiva ed alla domanda “Cosa ti è rimasto dell’Eiger?”, rispose: “Una bella salita veloce. Ma devo essere sincero: non dimenticherò mai il bivacco di 14 anni fa. Bagnati, incastrati in una fessura, con le luci di Grindelwald in fondo alla valle, il giorno che non arrivava mai. Ho rischiato molto di più, allora. Non dimenticherò mai quella notte, quell’alpinismo.”
Eri stato profetico su tutto o quasi: le atlete sono ora incentivate a indossare abiti succinti.