L’arte del compromesso di George Lowe

Piolet d’Or 2014 a Slawinsky e Welsted + Steck
Per quanto un premio, sia pur planetario come il Piolet d’Or, possa sorrogare nell’immaginario l’essenza dell’alpinismo stesso, per quanto una giuria possa essere imparziale, competente e carismatica, restiamo dell’opinione che una competizione sia per definizione limitata, anzi limitante la grandiosità di ciò che invece annualmente viene prodotto dai giovani (e meno giovani) alpinisti di tutto il mondo.

Ueli Steck intervistato al Piolet d’Or 2014. Foto: Gianluca Maspes
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Ciò nondimeno ce ne stiamo occupando, perché di certo parlare di Piolet d’Or significa parlare di imprese in territori lontani, a volte su montagne sconosciute, e soprattutto significa parlare di imprese che sono partite e sono state condotte in stile amatoriale. Sì, qualche sponsor, un po’ di collegamento mediatico… ma siamo nei limiti degli addetti ai lavori, o meglio siamo nel campo di quell’inesplorato che non può essere oggetto di film professionali, quelli per intenderci dove la salita viene fatta più per il film che per la salita stessa.
Ce ne siamo occupati nei post precedenti a questo perché stimiamo la giuria, perché c’è stato segreto totale sugli orientamenti, alla fine perché anche questo è un gioco.

Quella che era stata salutata come l’impresa dell’anno, sulla quale si è tentato di sollevare qualche dubbio, più che altro allo scopo di fare polemica sulla necessità o meno che lo statuto del Piolet d’Or debba o meno prevedere che gli alpinisti forniscano qualche prova completa (cosa che al momento non è contemplata): ebbene, quella ha vinto. Alla fine la giuria si è trovata d’accordo nello scegliere l’incredibile impresa dello svizzero Ueli Steck all’Annapurna come vincitrice di questi Piolet d’Or 2014. Ma che qualche discussione ci sia stata è evidente, visto che il premio è andato ex-aequo anche alla via sull’inviolato K6 West, aperta dagli americani Raphael Slawinsky e Ian Welsted. Due salite per la verità assai diverse.

Il K6 West. Foto: Gianluca Maspes
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Su queste pagine abbiamo dato notizia, speriamo dettagliata, di tutte le imprese nominate, anche quella della menzione speciale. Nonché del Piolet d’Or alla carriera (premio Walter Bonatti) a John Roskelley.
Chi volesse, può andare a leggersi (o rileggersi) i post sulle tre salite escluse dal podio più alto:

Marek Holecek e Zdenek Hruby sulla parete nord del Talung (Himalaya);

Simon Anthamatten e i fratelli Matthias e Hansjorg Auer sul Kunyang Chhish East (Karakorum);

Mark Allen e Graham Zimmermann, via nuova sul Mount Laurens (Alaska).

Oltre all’acceso dibattito sulle prove da fornire, quest’anno la giuria ha avuto a che fare con l’eredità lasciata dall’anno precedente 2013, quando si è ritenuto opportuno premiare ex-aequo tutte le salite nominate, cioè cinque. Cinque imprese a pari merito è difficilmente credibile… Da più parti si chiedeva (sponsor, opinione pubblica, ecc.) che non si ripetesse quello che molti avevano considerato un errore. In più c’era anche la considerazione che molti non vedevano di buon occhio dare per favorito il solitario Ueli Steck, come se il premio dovesse essere esclusivo appannaggio di qualche cordata.

La premiazione: da sinistra, Ueli Steck, Ian Welsted e Raphael Slawinsky
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Leggiamo le motivazioni:
“Dopo aver raggiunto la crepaccia terminale Ueli Steck ha dovuto accettare il fatto che il suo compagno riteneva la salita troppo rischiosa. Scalando la parete da solo, Ueli si è esposto lui stesso moltissimo. Nonostante non sapesse cosa lo aspettasse oltre i 6500 metri di quota, è riuscito a completare la via iniziata da Pierre Béghin e Jean-Christophe Lafaille nel 1992. La nuova via scalata in solitaria, in un velocissimo stile alpino sembra aprire a una nuova dimensione dell’alpinismo in alta quota… Raphael Slawinsky e Ian Welsted hanno affrontato una scalata molto difficile tecnicamente con alte difficoltà su ghiaccio e misto e superando passaggi strapiombanti. Al quarto giorno hanno capito di non poter continuare in cresta e sono tornati indietro spostandosi sul versante opposto della montagna e trovando un’altra possibilità per continuare fino alla cima. La loro spedizione è inoltre stata un bellissimo esempio di attenzione per la popolazione locale. Dopo aver saputo del massacro al Nanga Parbat, hanno deciso di restare, perché sarebbe un disastro per la popolazione pakistana perdere l’entrata economica proveniente dal turismo. Ian e Raphael anzi, vogliono incoraggiare altri alpinisti a non fare di tutta un’erba un fascio del Pakistan”.

Secondo la giuria dunque le due salite sono lo specchio dell’alpinismo di oggi:
“Le due salite che abbiamo scelto rappresentano i due estremi nella gestione del rischio. Raphael Slawinsky e Ian Welsted hanno pianificato attentamente la loro salita al K6 West, calcolando bene il tempo in modo da avere le migliori condizioni in parete (partendo prima dell’arrivo del bel tempo, con neve fresca per ridurre il pericolo di scariche di sassi e le difficoltà della scalata), e hanno pianificato i giorni in modo da poter riposare abbastanza ai bivacchi per mantenersi in forza. Al contrario con la salita in solitaria della parete sud dell’Annapurna Ueli Steck ha accettato un grande rischio. Per 28 ore è rimasto completamente concentrato, sapendo che un passo falso lo avrebbe portato alla morte. Ueli stesso ha detto di aver scalato al limite delle possibilità”.

George Lowe

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Per la cronaca citiamo comunque il parere del presidente di giuria, George Lowe, che ha esplicitamente dichiarato che, fosse stato per lui, avrebbe dato la vittoria a tutti.
“Personalmente avrei preferito dare il premio a tutte e cinque le nomination, ma la decisione della giuria è stato un democratico compromesso”.

La giuria 2014: Lim Sung Muk, Karin Steinbach, Denis Urubko, Catherine Destivelle, Erri De Luca, George Lowe e la presentatrice Kay Rush

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Per notizie sulla giuria 2014

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L’arte del compromesso di George Lowe ultima modifica: 2014-03-30T11:28:45+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “L’arte del compromesso di George Lowe”

  1. Mah… che Steck sia inviso agli americani si è capito, dopo l’esperienza assieme a Simone Moro che ha reso pubblica la condizione sociale degli Sherpa ed ha puntato il riflettore su ciò che le spedizioni commerciali, americane perlopiù, stanno combinando in Nepal c’era da aspettarselo ed i dubbi sulla sua realizzazione, non sono stati che il preludio a quanto accaduto al Piolet d’or… ma la via l’ha completata e volenti o nolenti c’è una linea dritta sulla parete… i due americani saranno pure bravissimi ma non son riusciti nell’intento e la linea dritta non c’è… mi sa che più che l’alpinismo al Piolet d’Or ormai viene premiato lo sponsor ed in queso particolare caso si sia voluto togliere la palma d’oro assoluta quasi a riequilibrare una situazione…
    Che i partecipanti siano tutti degni di nota è indubbio ma se questo è un concorso per decidere quale sia la prestazione più prestigiosa, un vincitore va scelto, altrimenti meglio cambiare ed al posto del concorso istituire un meeting internazionale senza vincitori né vinti…!

  2. Senza nulla togliere alle “straordinarie” salite, in questi due anni, sto perdendo l’interesse per il Piolet, premiamo tutti, premiamo a pari merito… mi sembra un po’ tutto confuso e quasi poco stimolante, si è cominciato con le polemiche con i Russi per il loro Jannu, poi i vari “ritiri”… e da all’ora è sempre pieno di “perché” e “per come”… poco scorrevole!

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