Lorenzo Molinari, istruttore di canoa FICK (Federazione Italiana Canoa Kayak), si è appassionato alla canoa in giovanissima età e ha gareggiato per la squadra nazionale italiana. Ha pagaiato per oltre 60.000 km, discendendo fiumi in quasi tutti i continenti e dedicandosi al trekking marino. È un osservatore d’eccezione, studioso di storia e in contatto con molti dei canoisti più noti al mondo, che hanno contribuito all’opera con fotografie e con la loro testimonianza.
Presentazione dell’opera L’arte del pagaiare: storia illustrata (Canoe, Kayak, Périssoire, SUP, Surfski, Outrigger, Raft, Dragon Boat), di Lorenzo Molinari, Casa editrice Finisterrae, Vancouver, B.C., Canada.
di Lorenzo Molinari
Da appassionato canoista, avendo praticato la canoe in molte delle sue espressioni: sprint, slalom, discesa, alto corso, esplorazioni fluviali, trekking marino e fluviale, con kayak, canoe, raft, cataraft, dragon boat, SUP, surfski, outrigger, alcuni anni fa mi venne la curiosità di conoscerne la storia.
Cercai libri sull’argomento e scoprii che non esisteva neppure un libro al mondo che trattasse la storia della canoa in modo completo e approfondito, se non sommariamente o limitatamente a un tema specifico. Mi parve incredibile che nessuno avesse mai scritto la storia del mezzo di navigazione più antico del mondo, essendoci libri di storia su qualunque oggetto o argomento, anche i più disparati. Ebbi, così, la pessima idea di scriverlo io per primo.

Pessima idea perché non potevo immaginare la fatica, l’impegno, la mole di tempo che questo progetto avrebbe richiesto.
Il lavoro di ricerca e stesura mi ha occupato per oltre sette anni, quasi a tempo pieno. La consultazione di archivi documentali e fotografici, la lettura di libri, riviste, articoli, siti e blog, la visione di filmati, lo scambio di informazioni e la testimonianza di molti tra i più famosi canoisti al mondo, la selezione del materiale, la stesura del testo in italiano e la traduzione in inglese (circa 1500 pagine in grande formato), la correzione delle bozze, la ricerca delle immagini da inserire (oltre 1300), l’autorizzazione dei fotografi a pubblicarle, quando non di dominio pubblico, la correzione delle bozze nelle due lingue, la fallimentare ricerca di una casa editrice e, di conseguenza, l’impaginazione del mio lavoro in quattro volumi, ciascuno in tre formati (Kindle, cartaceo copertina flessibile e rigida) e in due lingue (per un totale di 24 versioni diverse), non prima di aver imparato come impaginare, la creazione delle 4 copertine con il fondamentale aiuto del grafico Stefano Robotti, che le ha poi declinate nelle 24 copertine dei singoli formati, finalmente l’interesse di una piccola casa editrice di Vancouver, Finisterrae, la pubblicazione delle 24 versioni e, infine, l’attività promozionale sono state un lavoro ciclopico. Tuttavia, non ho demorso e sono arrivato alla pubblicazione, stupendo molti canoisti che avevo contattato durante le mie ricerche, convinti che non avrei portato a temine il progetto.
Un’opera estremamente vasta, perché, man mano che andavo avanti, scoprivo quanto fosse complesso e articolato il mondo della canoa e quanto poco ne sapessi, pur praticandola con passione da oltre cinquant’anni.
Un’opera che ripercorre una storia che in parte avremmo perso, soprattutto quella più antica, o si sarebbe diluita nel grande marasma di Internet.
Un’opera che colma una grossa lacuna culturale ed editoriale.
Un’opera che sfata alcune credenze diffuse, come quella che i kayak siano stati inventati degli Inuit o che tutti gli Inuit siano stati abili nelle tecniche del roll (la manovra con cui si raddrizza un kayak o una canoa senza uscirne in caso di ribaltamento).
Un’opera in cui avanzo delle ipotesi, ricostruisco tessere del mosaico della sua storia più antica, che forse mancheranno per sempre.
Veniamo al contenuto dell’opera: la narrazione si sviluppa in quattro volumi, che si prestano anche alla consultazione, lasciandosi guidare dalle numerose immagini e aneddoti:
Volume 1. La canoa nell’antichità
Volume 2. Dal 1800 al 1954. Canoe in legno e pieghevoli
Volume 3. Dalla vetroresina al polietilene. Imprese estreme
Volume 4. Rafting e canoe gonfiabili. Canoa agonistica e campioni
I singoli volumi sono pubblicati in formato Kindle, Copertina flessibile e Copertina rigida e sono disponibili solo su Amazon, in lingua italiana e inglese.
Volume 1. La canoa nell’antichità

Il primo volume narra la storia delle prime tipologie di canoe impiegate nell’antichità e termina all’inizio del 1800, quando nei paesi occidentali la canoa da mezzo impiegato per la caccia, la pesca o il trasporto iniziò a essere utilizzato per svolgere attività ricreativa, sportiva ed esplorativa.
Prima di addentrarsi nella storia più antica, è stato necessario cercare di definire cosa sia una “canoa”, problema apparentemente semplice ma, a ben vedere, di non facile soluzione. Nessuna delle definizioni proposte dai più autorevoli dizionari ed enciclopedia italiane ed estere è sostanzialmente corretta o esaustiva. La canoa, infatti, paradossalmente, si definisce per quello che non è, più che per quello che è. Le canoe, per esempio, non sono dotate di scalmi, differiscono, quindi, dalle barca a remi. Ciò appare banale, ma non lo è affatto; tant’è che molti confondono la canoa col canottaggio, il pagaiare col vogare o il remare.

La difficoltà nel definirla nasce anche dal fatto che il termine “canoa”, in realtà, raccoglie numerose tipologie d’imbarcazioni molto diverse tra loro, che, per quanto diverse, sono considerate discipline canoistiche dall’International Canoe Federation (ICF), la più importante federazione di canoa al mondo e l’unica federazione di canoa riconosciuta dall’International Olympic Committee (IOC).
Canoe sono le zattere (se propulse con pertiche o pagaie), le piroghe, le canoe in senso stretto, i coracle, le royal barge, le war canoe, i dragon boat, i va’a, gli outrigger, i kayak, i sandolini, i podoscafi, i pattini a pagaia, i Sit On Top e i surfski, gli Stand Up Paddling, i raft, i cataraft, i packraft… Tutte queste imbarcazioni sono propulse prevalentemente con pagaie a pala singola o doppia pala, talvolta con pertiche, vele, pedali o palette, ma anche con piccoli motori.
Di ciascuna tipologia sono esaminate le origini e la diffusione geografica, sono accennate le tecniche costruttive e i materiali utilizzati ed è illustrata la varietà di imbarcazioni a essa appartenenti. La tipologia “kayak”, per esempio, comprende scafi specifici per usi differenti: acqua piatta, mare e fiume, ciascuno con proprie caratteristiche.
Per ciascun tipo di utilizzo possono esserci dei sotto-tipi, ciascuno sviluppato per un uso particolare. I kayak da fiume, per esempio, si classificano a loro volta in: river running, creek, river crossover, playboot e freestyle, squirt, slalom, down river racing, marathon, training, kids.
Insomma, il mondo della canoa è variegato e complesso e non si può liquidare in due paginette; infatti, pur cercando di essere sintetici, l’opera conta circa 1.500 pagine!

Volume 2. Dal 1800 al 1954. Canoe in legno e pieghevoli

Nel 1800, in Occidente, la fascia sociale borghese, cresciuta numericamente, disponeva di tempo libero e denaro da poter spendere in beni voluttuari, al pari di quella nobile e aristocratica. Le persone di queste fasce sociali più abbienti iniziarono a viaggiare per turismo e a intraprendere attività sportive, anche acquatiche, come il nuoto, la vela e il canottaggio; una minoranza si dedicò alla canoa, praticata a livello ricreativo, sportivo ed esplorativo, con scafi in legno e, successivamente, anche pieghevoli.
Fu allora che i pionieri della canoa moderna si avventurarono nelle prime discese fluviali, anche di più giorni, facendo campeggio nautico, affrontando correnti e rapide, o realizzarono le prime crociere marine, inizialmente sottocosta, anche in mari esotici, fronteggiando tempeste e altri pericoli del mare (immagine 6).

La progettazione di scafi in legno sempre più leggeri o muniti di un telaio in legno ricoperto di tela impermeabilizzata (le cosiddette canoe pieghevoli), lo sviluppo di nuovi modelli di pagaie, l’affinamento del gesto della pagaiata, l’esperienza e l’apprendimento sul campo delle tecniche di navigazione nelle acque impetuose dei fiumi, o tra le onde, le maree e i venti marini, lo sviluppo dei primi dispositivi di sicurezza e delle modalità d’intervento per soccorrere un compagno finito a bagno, consentirono di intraprendere avventure fluviali e marine sempre più impegnative.
Una delle imprese più straordinarie, non solo della storia della canoa, ma della nautica in generale, fu la traversata in canoa dell’Oceano Atlantico, realizzata dal ventinovenne, tedesco, capitano d’altura Franz Romer (1899-1928). Per l’impresa optò per una canoa pieghevole della ditta Klepper propulsa a vela e a pagaia a doppie pale, a cui apportò alcune modifiche. Nel 1928, partì da Lisbona con circa una sessantina di lattine di cibo e altrettanti litri d’acqua. Dopo una sosta a Las Palmas nella Gran Canaria, ripartì diretto in America. Arrivò all’isola caraibica di Saint Thomas dopo 58 giorni e circa 5.800 km di navigazione. Quando scese dalla canoa non riusciva a reggersi in piedi, a causa della posizione seduta che fu costretto a tenere per tutta la traversata. Riprese il mare dopo 40 giorni: voleva assolutamente approdare in Florida e, da lì, risalire fino a New York. Giunto a San Juan in Puerto Rico, perse per un’ora l’allarme di un uragano categoria 5 in arrivo, che causò la morte di 4.000 persone. Non arrivò mai in Florida e non furono mai più ritrovati né lui né la sua canoa (immagine 7).

Dalla seconda metà del 1800, gruppi di amici con la passione per la canoa costituirono i primi circoli di canoa in Europa e nel Nord America, organizzarono le prime gare in acqua piatta e in acqua bianca e fondarono le prime federazioni di club: nel 1880 l’American Canoe Association (ACA), nel 1900 la Canadian Canoe Association (CCA) e, un secolo fa, nel 1924, l’Internationale Repräsentantenschaft Kanusport (IRK), poi rinominata International Canoe Federation (ICF). Queste federazioni organizzarono le prime competizioni a livello internazionale, fino all’ingresso della canoa tra le discipline previste dalle Olimpiadi di Berlino del 1936.
La storia della canoa, così, si arricchì dei primi campioni mondiali e olimpici, oltre a quei canoisti che si cimentarono in imprese temerarie.
Da ricordare anche gli artigiani, che con la loro inventiva, seppero sviluppare imbarcazioni, pagaie ed equipaggiamenti che consentirono agli atleti di disporre di mezzi sempre più competitivi e agli esploratori di lanciarsi in imprese fino a prima ritenute impossibili.
Uno tra questi artigiani fu Johann Klepper (1868-1949), che, nel 1907, a Rosenheim in Germania, iniziò a costruite kayak pieghevoli, tra i primi al mondo. La balzana idea di produrre canoe pieghevoli gli venne da un amico, che si lasciò sfuggire quella che poi si rivelò una profittevole opportunità. Inizialmente, Johann Klepper fu deriso per la sua idea anche nell’azienda sartoriale in cui lavorava. Tuttavia, non si scoraggiò e, nel 1919, fondò la ditta Klepper nella soffitta di casa sua, per poi avviare una produzione in serie di canoe pieghevoli.
Nel 1929, impiegava circa 2.500 persone e produceva 90 kayak pieghevoli al giorno. Alle Olimpiadi di Berlino del 1936, furono vinte con canoe Klepper tutte le medaglie delle gare per canoe pieghevoli singole e doppie. Le canoe Klepper furono vendute in tutto il mondo e diventarono sinonimo di canoe pieghevoli (immagine 8).

Volume 3. Dalla vetroresina al polietilene. Imprese estreme

A metà degli anni 1950, venne introdotta la vetroresina per la costruzione di scafi, che risultarono molto più rigidi, robusti e leggeri di quelli pieghevoli. Questa innovazione consentì di ottenere kayak e canoe con cui poter affrontare sezioni di fiumi fino allora impensabili, elevando di un grado le difficoltà superabili con una relativa garanzia di non compromettere l’integrità della barca, oltre a quella del canoista (almeno finché non si trovava a bagno). Per quanto, allora, fosse frequente che i cosiddetti fiumaroli trascorressero le serate a imbrattarsi le mani con pennello, resina e pezze di fibra di vetro, cercando di riparare alla bell’e meglio le magagne delle ultime discese, per rendere utilizzabile la canoa il giorno successivo: crepe dovute a urti contro le rocce, rotture delle saldature di congiunzione dei due gusci dello scafo a causa della pressione dell’acqua sulla coperta, essendo finiti in rulli, buchi o sotto grosse onde.
Tra i primi cantieri a produrre canoe in vetroresina tra la fine degli anni 1950 e l’inizio degli anni 1960 si ricordano: Klepper, Baschin, l’italiana ASA Canoe di Andrea Alessandrini (1939), Prijon e Lettmann (immagine 10).

Con queste canoe furono realizzate discese di sezioni di fiumi sempre più impegnative e si avviò la corsa alla scoperta dei fiumi himalayani, sulla scia e il fascino di quanto era accaduto in alpinismo. Era nata una sorta di alpinismo al contrario: si cercavano imbarchi sempre più prossimi alle sorgenti, a quote sempre più elevate, risalendo impervie valli, anche con lunghi trasferimenti a piedi, talvolta con l’aiuto di portatori per il trasporto del materiale. Furono imprese epiche.
Non sempre era possibile osservare il fiume dall’alto per valutarne le difficoltà e decidere a priori quali sezioni discendere. Non di rado, i canoisti si trovavano costretti a lunghi, faticosi e anche pericolosi trasbordi durante la discesa, trovandosi all’imbocco di una gola profonda e verticale, senza possibilità di perlustrazione a piedi. Se, invece, il letto del fiume consentiva delle soste lungo le rive, anche se molto precarie, si poteva decidere di entrare nell’abisso, sapendo di non poter più tornare indietro, senza vie d’uscita, senza poter contare su un aiuto esterno in caso d’emergenza, fermandosi qui e là in una morta della corrente per una breve ricognizione dall’alto di un masso, per studiare le linee d’acqua, i passaggi da superare, per fornire alternativamente assistenza e sicurezza ai compagni, che man mano affrontavano un passaggio insidioso o una rapida estrema, o per evitare degli impraticabili con trasbordi laboriosi, anche con l’uso di corde e manovre alpinistiche.
Pietra miliare di queste esplorazioni e imprese fu, nel 1976, la British Canoe Expedition, guidata da Mike Jones (1952-1978), che discese il Dudh Kosi e stabilì il record di altitudine in canoa a 5.300 m, pagaiando sul Lobuche, tra i ghiacci del Khumbu alla base dell’Everest (immagine 11).

Dopo la metà degli anni 1970, furono commercializzati i primi kayak in polietilene e si assistette a una seconda grande rivoluzione. Questo materiale plastico consentì di produrre imbarcazioni praticamente indistruttibili, per quanto assai più pesanti di quelle in vetroresina.
Come nel caso della vetroresina, anche per il polietilene vi fu una certa ritrosia iniziale alla sua adozione non solo da parte dei cantieri di canoe, ma anche da parte dei canoisti più anziani ed esperti. I primi cantieri che fecero storia, comprendendo i vantaggi del polietilene per scafi d’alto corso, nonostante il peso elevato, furono: Hollowform, Perception, Pyranha Mouldings, Prijon, Lettmann ed Eskimo (immagine 12).

Con le canoe in polietilene si elevò ulteriormente la soglia dell’estremo nelle discese fluviali: furono affrontate rapide tra le più difficili del pianeta e superate cascate alte decine di metri, che fino a pochi anni prima erano ritenute mortali.
La nuova generazioni di kayaker si preparò a queste imprese in modo metodico, curando gli allenamenti, l’alimentazione, collaborando con i cantieri allo sviluppo di scafi e attrezzature specifiche per ciascun genere d’impresa, elaborando nuove tecniche e dispositivi di sicurezza, studiando approfonditamente la logistica delle spedizioni. Furono d’aiuto anche le immagini satellitari, per studiare il corso dei fiumi e valutarne la fattibilità. S’iniziarono a impiegare elicotteri per ricognizioni, spostamento di canoe, attrezzature e persone fino all’imbarco in luoghi remoti, per le riprese video e per assistenza in caso di emergenza.
Alcuni aziende ebbero interesse a sponsorizzare i canoisti più abili, offrendo loro la possibilità di vivere di canoa, di pagaiare 365 giorni l’anno in giro per il mondo, alla scoperta di nuovi fiumi, nuove rapide e cascate, in cambio d’immagini spettacolari e della loro partecipazione a eventi e spot pubblicitari.
Tra i più noti fuoriclasse d’acqua bianca in attività, si ricordano: Aniol Serrasolses (1991), Dane Jackson (1996) e Nouria Newman (1991) (immagine 13).

Analogamente agli scafi d’alto corso, la vetroresina e, successivamente, il polietilene vennero introdotti nella costruzione di canoe da mare, lago e fiumi facili. In particolare, nel 1970, in Inghilterra, il cantiere Valley Sea Kayaks produsse il primo kayak da mare in vetroresina, ispirato a quelli Inuit, l’Anas Acuta, a cui seguì il Nordkapp, uno scafo che fece storia, impiegato per leggendarie imprese marine, come quelle del neozelandese Paul Caffyn (1946) (immagine 14).

Nel settore delle canoe d’acqua piatta d’agonismo (tema trattato nel Volume 4), dove la rigidità è premiante, gli scafi in materiale composito, a base di tessuti in carbonio e aramide, impregnati di resine epossidiche, sostituirono progressivamente gli scafi in legno.
Il libro presenta alcune tra le imprese fluviali e marine più significative e incredibili, realizzate dalla metà degli anni 1950 a oggi, oltre a cercare un parallelismo tra l’alpinismo e il canoismo fluviale, dove alcuni noti alpinisti si sono distinti anche con per la loro attività canoistica:
- Yvon Chouinard (1938), fondatore del marchio Patagonia, noto per le sue ascensioni a Yosemite, per aver promosso il clean climbing, per aver inventato i dadi eccentrici e per il suo contributo allo sviluppo dell’arrampicata su ghiaccio. Yvon Chouinard discese in prima la Clark Fork dello Yellowstone River nel Montana nordoccidentale insieme, tra gli altri, all’amico Douglas Tompkins;
- Douglas Tompkins (1943-2015), fondatore dei marchi The North Face ed Esprit e attivo ambientalista, scalò El Capitan per la via Salathé Wall a il Fitz Roy per la nuova via The Californian Route, insieme a Yvon Chouinard. Douglas Tompkins discese in prima la Middle Fork del San Joaquin, il Kern River e la Middle Fork del Kings, che insieme formano la cosiddetta mitica Triple Crown of California Whitewater. Douglas Tompkins morì tragicamente d’ipotermia dopo essersi capovolto in canoa;
- Royal Robbins (1935-2017), fondatore dell’omonimo marchio di abbigliamento outdoor, noto per aver aperto vie di roccia di difficoltà allora estreme tra la fine degli anni 1950 e gli anni 1970, come Regular Northwest sullo Half Dome e Salathé Wall, anch’egli precursore del clean cllimbing. Royal Robbins si avvicinò al Kayak d’acqua bianca non più giovanissimo, a 43 anni, a causa di un’artrite alle mani che gli impediva di arrampicare come avrebbe voluto, e firmò diverse prime di fiumi, tra i quali, nel 1983, il Tuolumne River, insieme, tra gli altri, a Lars Holbek;
- Lars Holbek (1957-2009), appassionato di Big Walls a Yosemite, uno tra i kayaker più attivi in acqua bianca, con oltre 60 prime discese tra la metà degli anni 1970 e gli anni 1980 (immagine 15).

Diverso è il caso di Matteo della Bordella (1984) e di pochi altri alpinisti che, anziché alternare l’alpinismo alla canoa, mantenendo le due discipline separate, impiegano i kayak come mezzo di avvicinamento alla zona d’arrampicata, percorrendo anche centinaia di chilometri, come fece Matteo della Bordella nei mari della Groenlandia. Questi alpinisti, coniugando la canoa all’alpinismo, realizzano imprese complete e pulite, non solo nello stile d’arrampicata (immagine 16).

Volume 4. Rafting e canoe gonfiabili. Canoa agonistica e campioni

La storia del rafting e delle canoe gonfiabili ebbe inizio nel 1840, quando venne realizzato il primo battellino a pagaia. Sulla base di questo modello vennero sviluppate molteplici imbarcazioni, fino alle attuali: raft, cataraft, packratf, kayak, canoe e SUP gonfiabili.
Una sezione del libro è dedicata al Colorado River nel Grand Canyon negli Stati Uniti, dove vennero scritte celebri pagine della storia della navigazione fluviale a remi e a pagaia, su imbarcazioni rigide e gonfiabili, come quelle delle imprese dell’alaskano Dick Griffith (1927). Nel 1951, questo esploratore realizzò la prima discesa assoluta delle Lava Falls, considerata la rapida più impegnativa dell’intera discesa, con un raft a remi e in solitaria, impresa che ripeté anche a 89 anni. Dick Griffith è considerato il padre del packrafting, ovvero del trekking equipaggiato con packraft (i packraft sono piccoli e leggeri battelli pneumatici mono o biposto). Dick Griffith ha una lunga e affascinante storia di avventure, realizzate nel corso della sua vita, anche in tarda età. Tra queste, un’attraversata a piedi a tappe di circa 9.700 km dell’Alaska e dell’Artico canadese, trascinandosi una slitta sulla neve (immagine 18).

Infine, l’opera ripercorre la storia della canoa agonistica, delle imbarcazioni impiegate, dei più celebri costruttori, primi tra tutti Struer Kajak, Nelo e Plastex, e dei campioni che si sono distinti nelle varie discipline canoistiche:
- Canoe Sprint;
- Paracanoe;
- Canoe Marathon;
- Canoe Ocean Racing;
- Canoe Slalom;
- Extreme Canoe Racing/Kayak Cross;
- Wildwater Canoeing;
- Canoe Freestyle;
- Rafting;
- Dragon Boat;
- Stand Up Paddling;
- Canoe Polo;
- Canoe Sailing;
- Waveski Surfing e Surf Kayak;
- War Canoe;
- Multisport.
Uno tra i più celebri campioni è senz’altro il britannico Richard Fox (1960), tra i canoisti più vittoriosi di tutta la storia della canoa mondiale: dieci volte campione del mondo in K1 Slalom tra il 1979 e il 1993, e a oggi il più medagliato in Canoe Slalom K1 maschile individuale. Al termine della carriera agonistica diventò allenatore della nazionale australiana di canoa e vice presidente dell’International Canoe Federation.
Richard Fox sposò Myriam Jerusalmi (1961), campionessa mondiale di Canoe Slalom, dalla quale ebbe le figlie Noemie (1997), medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi nel 2024 in Kayak Cross femminile, e Jessica (1994) una tra le canoiste più vittoriose di tutta la storia della canoa mondiale: tre medaglie d’oro olimpiche e dieci medaglie d’oro a campionati del mondo in K1 Slalom e Kayak Cross, e a oggi la più medagliata in Canoe Slalom K1 femminile individuale. Le due sorelle Fox sono tutt’ora in attività (Immagine 19).

Commenti
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Note alle didascalie delle foto
[1] Fotografia tratta da “Wikimedia Commons” alla voce “File:Andrews Lodge.jpg”, 22 febbraio 2020, licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license, URL: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Andrews_Lodge.jpg
[2] Fotografia tratta da “Wikimedia Commons” alla voce “File:James Reeves kick-flip Uganda.JPG”, the original uploader was Jameswilliamreeves at “English Wikipedia”, GNU Free Documentation License, Version 1.2 or any later version published by the Free Software Foundation, licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license, URL: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:James_Reeves_kick-flip_Uganda.JPG
[3] Immagine tratta dal libro A Thousand Miles in the Rob Roy Canoe di John Mac Gregor, frontespizio, 1866, pubblicato da “Sampson Low, Son, and Marston, London”.
[4] Fotografia tratta dal sito “Expedition.com”, URL: http://www.expeditionkayak.com/chronology-of-sea-kayaking/
[5] Fotografia conservata da “Klepper Museum e.V.”, gentilmente concessa da Jasminka Harasic di “Klepper Faltbootwerft Aktiengesellschaft”, pubblicata dall’articolo “Klepper Faltboote – Firmengeschichte”, nel sito “Bezirk Oberbayern – Bayerischer Kanu-Verband e.V.” URL: http://www.kanu-oberbayern.de/klepper-faltboote2.html
[6] Poster promozionale della ASA Canoe degli anni 1970, gentilmente concesso da Andrea Alessandrini.
[7] Fotografia gentilmente concessa da Dave Manby e Christine Bailie, sorella di Mike Jones, conservata nei loro archivi.
[8] Fotografia tratta dall’articolo Der Taifun von Prijon, Rosenheim, pubblicato dal museo virtuale “kanugeschichte.net”, gentilmente concessa dalla dr.ssa Ilse Entner responsabile del sito e da Toni Prijon junior, salvo diversa indicazione del fotografo, URL: http://www.kanugeschichte.net/boote.html
[9] Fotografia tratta dalla pagina “Facebook” di Rok Sribar, pubblicata il 29 agosto 2020, gentilmente concessa da Rok Sribar, URL: https://www.facebook.com/photo?fbid=10157613231818527&set=pcb.10157613235213527
[10] Fotografia tratta dal sito “Sisson Kayaks”, gentilmente concessa da Grahame Sisson e Paul Caffyn, URL: http://www.sissonkayaks.co.nz/
[11] Fotografia tratta dall’archivio di Matteo Della Bordella, gentilmente concessa da Matteo Della Bordella.
[12] Fotografia tratta dalla pagina “Facebook” di “Canyons and Ice: The Wilderness Travels of Dick Griffith”, pubblicata il 3 dicembre 2013, gentilmente concessa da Dick Griffith, URL: https://www.facebook.com/canyonsandice/photos/a.331544043603722/552051268219664
[12] Fotografia gentilmente concessa da Richard Fox.
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Complimenti per l’amore e la precisione di uno sport che ha innumerevoli applicazioni, anche insospettate
Bravo Lorenzo, avendo una istitiva e insopprimibile paura dell’acqua anche in mare, non posso aggiungere nulla ai commenti di tanti e illustri canoisti
Il kayak praticato in torrente e in fiume, ha occupato una parte importante della mia vita. Mi ha fatto vivere tante emozioni ed amicizie è fatto scoprire ambienti naturali non raggiungibili in altro modo. Un altro aspetto da evidenziare è il soccorso reciproco in fiume,
.
Vista la sua età, propendo a credere che il Crovella conservi in cantina non un kayak degli anni ’80-90, ma la riproduzione del Kon Tiki, magari in scala 1:2 per ragioni di spazio.
😀 😀 😀
Carlo, come hai saggiamente notato, il tempo concesso a noi mortali è troppo poco, ma tu sei indistruttibile: vivrai fino a 120 anni.
Una vera e propria enciclopedia della pagaiata. Purtroppo il prezzo dei quattro volumi non è banale. Così è: oggi un cartaceo di qualità ormai ha costi di produzione piuttosto elevati, soprattutto se le tirature non sono stellari. Vedi anche discussione qui sul blog relativa alla chiusura di Pareti. Interessante la connessione tra montagna e pagaia. Effettivamente molti amano entrambi e alcune competenze necessarie sono comuni. Come per l’andare in montagna si possono distinguere tre aree di attività: l’estremo (dove prevale la difficoltà) ; la velocità (dove prevale la prestazione); la resistenza (dove prevale la scoperta/avventura/turismo). Come in montagna, c’è chi pratica tutte e tre, chi si limita a una o due aree di attività. Dipende dai gusti e dalle predisposizioni naturali. Comunque il rapporto con l’acqua sia in fiume che in mare regala sensazioni belle e intense come quello con la roccia. Non ultimo, essendo noi qui una comunità prevalentemente montagnarda, può anche essere una buona ruota di scorta (non si sa mai cosa può succedere alle ginocchia per la montagna 😁). Quindi fa bene Crovella a conservare in garage il suo kayak.
Il kayak da fiume è una delle attività che conosco, piu vicine all’alpinismo.
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Condizioni del fiume , rischi da valutare, preparazione , e un mezzo che solo ad un primo sguardo superficiale puo’ sembrare :”Una cosa di muscoli” , in realtà è tecnico e reattivo come un kart…
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Alcuni alpinisti sono diventati kayakers e viceversa , e il gusto dell’esplorazione resta lo stesso.
Bell’articolo, molto “complesso”, nel senso di molto articolato e completo, ma credo anche di non semplice fruizione per lettori non canoisti, perché la materia non è così immediata per chi non ha avuto esperienza diretta con le acque mosse. Non sono stato un canoista estremo, ma (sempre nell’ottica delle diversificazione degli interessi, anche in montagna) ho vissuto alcune piacevoli annate nei torrenti alpini con il kayak e conservo un bellissimo ricordo. Posseggo ancora un kayak anni ’80-90, ma ahimè giace in cantina da decenni: il tempo è troppo poco per fare tutte le cose belle della vita.