Parliamo della vicenda che vede protagonisti gli interventi di “messa a punto” della pista da sci approntata sui ghiacciai del Monte Rosa, che ospiterà le gare di discesa libera di Coppa del Mondo dall’11 al 18 novembre 2023. Quella che segue è una trascrizione ampliata della chiacchierata andata in onda il 1 novembre 2023 tra Giovanni Baccolo e i conduttori della trasmissione radiofonica Il giusto clima di Radio Popolare, Gianluca Ruggieri ed Elena Mordiglia. Bella occasione per affrontare questi temi, delicati e assurdi allo stesso tempo.
Raschiare la superficie di un singolo ghiacciaio con i bulldozer non ha un impatto tangibile sulla condizione dei ghiacciai alpini. Sebbene quei bulldozer all’opera a quasi 4000 metri non spostino di una virgola gli equilibri globali, essi sono un simbolo. La vicenda della pista scavata nei ghiacciai è emblematica di una sensibilità ambientale che in certi contesti fa molta fatica a radicarsi. Intervenire sui ghiacciai, sempre più compromessi a causa del cambiamento climatico, in modo così pesante, significa considerarli come un ennesimo elemento da spremere e plasmare per rispondere a specifici interessi economici. Crediamo che al tempo del cambiamento climatico i ghiacciai, meravigliosa e minacciata manifestazione del mondo naturale, andrebbero prima di tutto protetti e tutelati.
L’assalto alla montagna
(riflessioni sull’adeguatezza di costruire una pista da sci sventrando i ghiacciai)
intervista a Giovanni Baccolo
(pubblicato su storieminerali.it il 3 novembre 2023)
Riassunto della vicenda
Domanda: Pietro [Lacasella, intervistato in precedenza sulla questione della pista da bob di Cortina] ci parlava di questa possibilità che le Alpi diventino un terreno di condivisione transfrontaliero, tu ne sei un esempio virtuoso da italiano che lavora in Svizzera. Ci sono però anche esempi piuttosto critici, come le gare di apertura della Coppa del Mondo di Sci Alpino di Zermatt-Cervinia, in programma dall’11 al 19 novembre prossimi. Ci vuoi spiegare qual è il problema?
Certamente. La questione riguarda una nuova pista da sci che è stata costruita nel comprensorio Zermatt-Cervinia. La pista, chiamata Gran Becca (antico nome del Cervino), è stata preparata per ospitare le gare di discesa libera della Coppa del Mondo di sci in programma per metà novembre. Come hai ricordato, si tratta di una pista transfrontaliera. Parte dai 3800 metri della Gobba di Rollin, in territorio elvetico, e raggiunge i 2800 del Plan Maison, in territorio Italiano.
La pista si sviluppa per due terzi su ghiacciaio, con la parte svizzera tracciata sul ghiacciaio del Teodulo, e quella italiana che comprende una parte sul ghiacciaio di Valtournanche e una parte su terreno deglacializzato. La pista è stata in realtà realizzata già l’anno scorso, ma la mancanza di neve ha reso impossibili le gare. Quest’anno, per limitare questa possibilità, le date delle competizioni sono state spostate in avanti di circa tre settimane.
Il caso mediatico legato a questa pista ha fatto il giro del mondo grazie all’impegno di un giornalista svizzero, Sebastien Anex. Intorno a metà ottobre Sebastien ha effettuato un reportage sulla parte della pista che percorre il ghiacciaio del Teodulo in Svizzera. Ha fotografato e documentato quanto stava accadendo lassù. Le fotografie ritraggono grandi bulldozer intenti a scavare il ghiaccio per fare spazio alla pista, movimentando la neve e alterando la condizione naturale del ghiacciaio. Oltre al lavoro di documentazione, Sebastien ha anche approfondito il discorso sulla legittimità di tali interventi. Grazie ai suoi solleciti, è emerso che nella parte svizzera della pista i lavori abbiano in parte sconfinato rispetto all’area individuata dalle autorità. Per il lato italiano, dove i lavori coinvolgono il ghiacciaio di Valtournenche, gli accertamenti sono ancora in corso, ma la procura di Aosta ha intanto aperto un fascicolo e sta indagando.
Ricordiamo infatti che i ghiacciai nel nostro paese sono tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 42 del 2004), dove essi sono riconosciuti come beni paesaggistici soggetti a vincoli di tutela. Intervenire sui ghiacciai richiede quindi l’ottenimento di specifiche autorizzazioni. Aggiungo che se anche tutte le disposizioni di legge fossero state rispettate, rimarrebbe il fatto che intervenire in quel modo sui ghiacciai è del tutto anacronistico, viste le condizioni in cui versano i ghiacciai alpini. Si parla in continuazione di cambiamento climatico e declino del glacialismo. Impattare in quel modo su uno dei ghiacciai più in quota delle Alpi è inconcepibile.
Ci tengo a precisare che non sono il solo a pronunciarsi in tal senso. Il Comitato Glaciologo Italiano, che raccoglie le principali studiose e studiosi di glacialismo italiani, si è espresso in modo simile.
Bulldozer al lavoro sui ghiacciai: è normale?
Domanda: Le immagini delle macchine escavatrici sul ghiacciaio sono oggettivamente impressionanti, ma segnalano un effettivo problema per la sopravvivenza del ghiacciaio, o tutto sommato non è niente di diverso da quello che si fa abitualmente per preparare una pista?
Preparare una pista su ghiacciaio non è uguale a farlo sui classici terreni non glacializzati dove si sviluppa la maggior parte delle piste. Questo perché il ghiaccio di ghiacciaio, a differenza della roccia o dei sedimenti, è qualcosa di dinamico, in continuo movimento. I ghiacciai sono vivi. Per mantenere una pista su ghiacciaio è necessario compiere continui interventi di manutenzione. L’obiettivo è chiudere i crepacci, livellare la superficie ed eliminare qualsiasi imperfezione prodotta dal movimento del ghiaccio. Questi sforzi stanno diventando di anno in anno più intensi poiché le condizioni dei ghiacciai alla fine dell’estate sono sempre peggiori. A causa del cambiamento climatico che danneggia i ghiacciai, è necessario utilizzare sempre più combustibile per addomesticarli, contribuendo alla causa scatenante di tutto.
Insomma, si tratta di un cortocircuito, un cane che si morde la coda. Si tenta di risolvere un problema aggravando la causa primaria che lo sta producendo. La situazione mi ricorda un’altra vicenda che riguarda i ghiacciai: ovvero la posa dei teli per rallentarne la fusione. Anche in quel caso si interviene per diminuire il ritiro glaciale ma, al netto di tutto, quegli interventi hanno impatti ambientali tali da aggravare ulteriormente la causa primaria che sta provocando l’aumento delle temperature: le emissioni di carbonio in atmosfera.
Sia chiaro, scavare un singolo ghiacciaio con i bulldozer non ha un impatto reale sulla quantità di anidride carbonica presente in atmosfera, si tratta letteralmente di una goccia nell’oceano. La questione è simbolica. Il cambiamento climatico e il ritiro dei ghiacciai sono problemi sempre più gravi e impattanti. Allo stesso tempo, però, una maggiore consapevolezza ambientale si diffonde tra la popolazione, rendendo questi interventi sempre piò difficili da digerire. Osservare bulldozer che sventrano dei ghiacciai per fare spazio a una pista da sci, è come assistere a un camion che butta a mare un carico di provviste in tempo di carestia.
Lo stato dei ghiacciai alpini nel 2023
Domanda: Tu nella tua attività di ricerca ti occupi di ghiacciai. Che anno è stato fin qui il 2023 e quali sono le tendenze che state osservando nei ghiacciai alpini?
Purtroppo gli ultimi due anni sono stati i peggiori mai registrati per i ghiacciai alpini. Inverni siccitosi poveri di neve ed estati con temperature molto al di sopra della media hanno fatto sentire i loro effetti sui ghiacciai. Da un lato le scarse precipitazioni hanno prodotto manti sottili, che ai primi calori estivi sono fusi lasciando esposto il ghiaccio già da fine maggio l’anno scorso e da inizio luglio quest’anno. Le temperature poi sono state particolarmente alte. Tanto per dire, l’estate 2022 è stata la più calda mai vissuta per molti dei paesi alpini.
Quest’anno è andata un filo meglio perché in tarda primavera ha nevicato un po’ di più. Ma l’estate calda ha vanificato quegli accumuli e alla fine i bilanci di massa dei ghiacciai sono stati decisamente negativi. L’anno scorso è stato il peggiore, quest’anno il secondo peggiore. Negli ultimi due anni il ritiro glaciale sembra aver messo una marcia in più. Per rappresentare i tassi di fusione di 2022 e 2023 è stato necessario aggiornare le scale dei grafici.
In generale, i ghiacciai alpini superstiti stanno vivendo una fase molto critica. La loro forma e dimensione è completamente fuori equilibrio rispetto al clima attuale. Questo si traduce in tassi di fusione estremamente intensi, che coinvolgono non solo gli strati superficiali, ma anche il ghiaccio in profondità. Il problema è che mentre il monitoraggio di quello che avviene in superficie è relativamente semplice, ciò che avviene in profondità è quasi del tutto inaccessibile. Quando l’acqua di fusione inizia a lavorare all’interno dei ghiacciai, possono accadere eventi improvvisi difficili da prevedere, come quello accaduto sulla Marmolada nel 2022.
Insomma, i ghiacciai alpini non stanno affatto bene e questo è soprattutto vero per gli ultimi anni.
Quale il futuro degli sport invernali?
Domanda: Gli impatti dei cambiamenti climatici che state osservando sono compatibili con un prosieguo dell’attività degli sport invernali? Devono semplicemente adattarsi, magari prevedendo attività più ad alta quota o per periodi più limitati dell’anno, o dobbiamo rassegnarci al fatto che tra un po’ non ci saranno più olimpiadi invernali?
Questa non è una domanda facile. Sono coinvolti tanti interessi. Per cercare di vederci chiaro partiamo dai presupposti scientifici. Gli sport invernali dipendono da due fattori: precipitazioni nevose e temperature. I modelli e le osservazioni sono concordi nell’indicare che le precipitazioni non stanno modificandosi in modo sostanziale sulle Alpi. Discorso diverso per la temperatura. Sulle Alpi dall’epoca pre-industriale essa è aumentata di circa 2 gradi. Per paragone a livello globale l’aumento si ferma a 1.2 gradi. Le Alpi sono un punto caldo climatico e questa è una caratteristica di diverse zone montuose del pianeta.
Il fatto che la temperatura aumenti fa sì che parte delle precipitazioni che in passato cadevano nella forma di neve, ora cadano come pioggia. Ovviamente il discorso cambia a seconda della quota considerata. Più andiamo in quota e più questo fenomeno si smussa. I grandi cambiamenti stanno avvenendo alle quote comprese tra i mille e i duemila metri, dove tra l’altro si sviluppa parte rilevante degli impianti per lo sci alpino. Ovviamente in un mondo sempre più caldo ci sarà sempre meno spazio per la neve e per i ghiacciai. I modelli ci dicono che entro la fine del secolo la stagione “buona” per lo sci alpino sulle Alpi si accorcerà di circa un mese all’inizio dell’inverno e di circa due mesi tra inverno e primavera. Questo è lo scenario che le stazioni turistiche invernali devono considerare. Non si scappa.
Uno studio dell’anno scorso ha appurato che entro la fine del secolo l’ultima località che potrà ospitare le olimpiadi invernali sarà probabilmente Sapporo in Giappone. Tutte le altre località, comprese quelle nel nostro paese, saranno molto probabilmente inadatte per la pratica degli sport invernali. Discorso analogo vale ovviamente per le attività turistiche legate a questi ambiti. Meno spazio per la neve implicherà sicuramente anche meno spazio per gli sport invernali.
Quale turismo invernale per il futuro?
Domanda: Più in generale che impatti può avere sul turismo di montagna e anche sulle prospettive economiche e sociali di quei territori che hanno sacrificato tanto alla possibilità di ottenere profitti dalle attività turistiche? E’ necessario un ripensamento complessivo?
Secondo me la capacità di adattamento gioca un ruolo chiave e questo vale non soltanto per questo specifico ambito, quando si parla di cambiamento climatico. Da questo punto di vista oggi può essere ancora conveniente, almeno da un punto di vista economico, fare di tutto per salvare il modello turistico invernale che si è sviluppato in passato. Ma al cambiamento climatico non si scappa, prima o poi bisognerà per forza di cose cambiare paradigma. Condizioni sempre più difficili, spese crescenti legate all’innevamento artificiale e stagioni sempre più brevi stanno erodendo sempre più i profitti generati dallo sci alpino.
Chi si adeguerà per primo al nuovo clima avrà la possibilità di compiere una transizione dolce, limitando i danni. Chi invece farà finta di niente – per usare una metafora- non frenerà prima del muro e si schianterà a tutta velocità. Adattarsi al cambiamento climatico diventerà presto un’opportunità anche economica, perché permetterà in prospettiva di risparmiare e trovare nuove soluzioni di profitto meno dipendenti dalla neve. Speriamo che in tanti siano lungimiranti e cerchino di avviare questa transizione il prima possibile, non soltanto in questo campo.
Da dove nasce la consapevolezza per l’ambiente?
Domanda: Abbiamo parlato di due vicende diverse ma emblematiche, come quella della pista da bob per le olimpiadi prevista inizialmente a Cortina e quella delle gare di sci previste tra due fine settimana sui ghiacciai di Zermatt e Cervinia. Due vicende emblematiche delle contraddizioni del nostro tempo. Uno dei segnali secondo me interessanti è che anche alcuni sportivi professionisti, direttamente impattati da queste due vicende, si sono sentiti di poter e dover esprimere le loro perplessità, anche a costo di farsi parecchi nemici. Anche nella società civile si sono sentite tante voci di dissenso, ma sembra che per molti versi i decisori, sia i decisori politici che quelli delle federazioni sportive e anche quelli degli sponsor coinvolti, fatichino ad abbandonare approcci superati: è una lettura che condividi? Cosa possiamo fare perché anche loro si adattino?
La condivido al cento per cento. Sebbene mi sembri che la sensibilità verso l’ambiente e la consapevolezza del cambiamento climatico siano temi sempre più diffusi nell’opinione pubblica, spesso colgo anche io uno scollegamento tra questa base diffusa e i decisori politici. Il problema credo siano essenzialmente gli interessi economici in gioco. Purtroppo molte decisioni che andrebbero nella direzione della maggior tutela ambientale non sono ancora convenienti da un punto di vista economico e questo rende la transizione molto più lenta. Sappiamo però che il profitto economico non è tutto. Inoltre, più aspettiamo ad intervenire in modo serio e più gravi saranno le conseguenze del cambiamento climatico, anche a livello economico.
Presto o tardi la transizione diventerà conveniente anche in termini meramente economici a causa delle crescenti risorse che sarà necessario investire per rimediare ai danni prodotti dalla crisi climatica. Il problema principale è la mancanza di lungimiranza del mondo politico. Dovremmo agire oggi per migliorare la condizioni da qui ai prossimi decenni.
Al netto di ciò, osservo che l’attenzione del pubblico per questi temi è sempre maggiore. Vedere tante persone alla manifestazione per la pista da bob di Cortina è stato importante e testimonia il crescente radicamento di questi temi nell’opinione pubblica. Speriamo che presto tale attenzione si trasferisca anche nel mondo politico.
11
Confesso che quando ho letto il titolo di questo articolo non sono riuscito a trattenere una risatina:
I veri cannibali sono i capitalisti
Ambientalista “intelligente”: colui che non infastidisce i benpensanti.
Stucchevole: che dà fastidio.
A qualcuno dà fastidio che si parli della differenza tra l’ambientalismo realistico – ovvero che tiene conto della realtà dei fatti, del mondo, della società, dell’economia e delle possibilità effettive, e propone soluzioni praticabili – e quello integralista, che fantastica beato sul pianeta Papalla.
P.S. La Marmolada 2005 è un esempio di ambientalismo pragmatico. Gli ecovandali che imbrattano monumenti o bloccano strade sono un esempio di ambientalismo integralista, per di piú fuorilegge, idiota e controproducente.
Stucchevole la discussione su ambientalismo intelligente o meno. Qualcuno non sa proprio come passare il tempo.
Riguardo la rimozione del ghiaccio sui ghiacciai ricordo quanto avvento in Marmolada nel 2005. Una pista impressionante, uno sc avo ampio fino a nove metri e alto fino a 10 – 12 metri. Mountain Wilderness ha denunciato la società, ha vinto i tre gradi di processo, Cassazione compresa. Ha fatto avere (immeritatamente) alla Provincia di Trento 50 mila euro di danni. Perchè piemontesi e valdostaani invece di chiacchierare tanto non denunciano la società riprendendo i contenuti della sentenza della Cassazione (Marmolada) 2010?
Crovella, 18: “io scrivo per esprimere le mie opinioni oggettive”. Mi spiace, sbagli: le tue opinioni SOGGETTIVE. Infatti sono le TUE opinioni, come è giusto che sia. Sulla questione “cognettate”, sei sempre a riportare giudizi di qualcun altro: con me erano i tuoi amici del CAI Milano, con Cognetti addirittura “l’ambiente editoriale”…
Dai ragazzi che anche oggi il meteo ha bloccato la gara. Leggo gli articoli che riportano “ meteo beffardo”. Davvero beffardo, chi avrebbe mai detto che a metà’ novembre a Plateau Rosa’ avrebbe potuto nevicare forte, con vento e bufera. Davvero uno scherzo del destino beffardo…..Confido che anche domani il Plateau regali una delle sue migliori tempeste, di quelle che ti si congelano i piedi solo a vederle in fotografia. Se anche quest’anno non se ne facesse nulla chissà’ che qualche neurone sano rimasto nella testa di qualche organizzatore non faccia pensare che forse è’ meglio piantarla li.
Ma questi vecchi che anziché morire per il bene dell’ambiente non hanno di meglio che contestare il modo come protestano i giovani cui toccherà la rogna lasciatagli???
La protesta ha senso e possibità di essere ascoltata se crea disturbo. Come lo sciopero, se non disturba e non crea disagio, non se lo fila nessuno. Gli scioperi o le proteste autorizzate, incanalte, previste e preannunciate, non disturbano nessuno, e non servono praticamente a nulla.
Cognetti: le definizioni sulle caratteristiche personali sono sempre soggettive. Tu mi “vedi” così. Non è detto che io sia così in assoluto. Ma poco rileva, non scrivo per sviolinare né Tizio né Sempremio e nemmeno per offendere Tizio o Sempronio. Io scrivo per esprimere le mie opinioni oggettive, su ogni risvolto della vita, dai libri alle devastazioni e all’atteggiamento critico, più o meno fondato, che si può tenere di fronte a tali devastazioni. Non ho obiettivi personalizzati, tuttavia, se le mie opinioni infastidiscono qualcuno, non sarà certo questo a frenarmi, neppure se si trattasse del Papa in persona.
Tra l’altro, dai l’impressione di avere quella che si dice la coda si paglia: io non ho mai pensato a te come “ambientalista NON intelligente”, né ti ho nominato né ho alluso a te. Dico invece che un ambientalista NON lo è ciecamente, tirando pietre (metaforicamente) contro ogni progetto, ma lo fa selettivamente. Altrimenti si scade nella categoria stile Ultima Generazione che inondano di vernice i monumenti o si incollano all’asfalto per bloccare il traffico in autostrada. Non considero questi ultimi atteggiamenti come “intelligenti” e quindi lo dico pubblicamente, senza voler coinvolgere nessuno né volerlo offendere per partito preso. (Quanto alla definizione di “cognettata”, ti ricordo ancora una volta che è definizione NON coniata da me, ma che gira abbondantemente nell’ambiente editoriale…)
Scusate, io sono Paolo, quello che ha postato il mio articolo non ero io. Per favore non usate il mio nome così. L’articolo è stato copiato e incollato da Repubblica, dov’è uscito.
Carlo Crovella sei insopportabile. Dopo la cognettata pure l’ambientalista intelligente.
Buona giornata
Paolo
L’ambientalista intelligente “caspisce” da solo cosa deve fare. Se uno pone la domanda, significa che non ci arriva da solo, per cui già è fuori strada sin dall’inizio…
7, per amor di precisione. In italia è solo la superfice bene demaniale, infatti tutte le sorgenti dove attingono le acque demaniali sono private e recintate in cambio di una tassa….non c’è limite ne al prelievo ne tassa al m³
Nel caso il ghiacciaio è demaniale, ma i prelievi di acqua a valle da parte degli imbottigliatori non sono soggette ne a tasse ne a concessione. Si paga solo la concessione per il terreno soprastante la sorgente. Legge Andreotti azionista principale delle acque minerali lora-recoaro
Corsi di scialp del CAI Torino?
E chi dà la patente di ambientalista intelligente? Chi decide chi lo è e chi no? E in base a quali “criteri”?
Ma certo, l’ambientalista intelligente deve concentrarsi sullo scavo di 500 mc di ghiaccio, invece sulla costruzione di una nuova linea ferroviaria deve lasciar fare a quelli che sanno, ché non è roba per ambientalisti. La vedi solo come contestazione intransigente, senza nessuna possibilità di essere anche un contributo costruttivo. E difatti lo sci alpino lo cancelleresti dalla faccia della terra, per te no c’è altra posizione che questa: e questo è il tuo contributo al dibattito. Forse hai paura della complessità, riduci tutto a “pietre contro, pietre schivate”, “inchiappettare, essere inchiappettato”. Impianti da sci: No. Linea ferroviaria: Sì. (come un mantra)
ma certo che la “protesta” del caso di specie è simbolica. E’ ovvio, non c’è bisogno di specificarlo. Ma proprio per questo, l’ambientalista “intelligente” deve saper distinguere fra azione devastante e azione devastante. Sennò tira le pietre a casaccio e fa solo del male alla vera causa ambientalista.
Crovella (9): non so se hai letto l’articolo ma la questione, qui, è più che altro simbolica (nel senso che l’impatto dei lavori è risibile). Il valore della protesta invece è indiscutibile, nel senso che è arrivato il tempo, per gli sport invernali (e per la Coppa del Mondo di sci alpino, in particolare), di guardare in faccia alla realtà. Ben venga l’azione di qualcuno che gliela sbatte davanti, se da soli non riescono a vedere.
Il paragone con le proteste no-TAV è forzato. Resta il fatto che le stesse proteste contro la Torino Lione hanno prodotto consapevolezza e persino, a ben vedere, qualche risultato concreto: il cambio di progetto è arrivato anche in seguito agli appelli e alle manifestazioni, e non è un caso se chi si oppone ai lavori metta da sempre in luce il fatto che la latitanza di un’analisi costi/benefici trasparente e seria. Si veda, a questo riguardo, l’articolo di un sito non esattamente antagonista come lavoce.info: https://lavoce.info/archives/27576/cosi-cambia-la-tav-torino-lione/
Questo intervento qui (sui ghiacciai) è il classico esempio di azione demenziale e dannosa per l’ambiente, oltretutto figlia di una visione consumistica e consumatrice (Circo Barnum). Produce solo danni e devastazione (anche strutturale: meno ghiaccio in quota uguale meno acqua in pianura, anche se il transfer ha un arco temporale lungo). Questi sono scempi veri e propri, i cui risultati economici si esprimono in termini di profitti individuali (o al massimo di poche persone, di “cricche” ben definite) e si estinguono, ormai, nel giro rapidissimo di poco tempo. Infatti fra dieci anni, quando NON ci sarà più del tutto quel ghiacciaio, sia per gli effetti del riscaldamento globale planetario sia per le azioni devastatrici specifiche, i profitti di “pochi” umani non ci saranno più neppure per quei pochi.
Altre forme di intervento sull’ambiente, come la TAV (tanto per non discostarsi da un argomento trattato ieri l’altro), hanno caratteristiche molto differenti. Comportano, è vero, dei “danni” ambientali nell’immediato (= scavi per costruite i tunnel), ma poi non li rinnovano anno dopo anno e, anzi, comporteranno “profitti” ambientali nel medio lungo termine (il trasporto su rotaia dovrebbe eliminare i TIR, certo dipenderà da noi riuscire a concretizzare questa possibilità con adeguate decisioni politiche).
Infine v’è un’altra differenza basilare: i profitti di azioni, come questa degli scavi in ghiacciaio, sono profitti prettamente economici (= maggior business nel brevissimo) e sono incassati da una cerchi ristrettissima di individui. Viceversa i profitti di opere come la TAV (e altre: pensiamo a nuove dighe, case di espansione ecc ecc) sono di natura “ambientale” e saranno goduti dall’intera collettività.
Un ambientalista intelligente deve quindi saper distinguere le caratteristiche di ogni progetto, in modo tale da “tirare le pietre” solo a quei progetti veramente dannosi e non tirare le pietre a casaccio contro ogni nuova idea.
E’ vero che non si riesce a tirare un sospiro di sollievo per qualcosa, che qualcos’altro di più mostruoso balza all’orizzonte.
Sembra non possa esserci fine agli obbrobri che l’umanità sta producendo, che non ci possano essere limiti alla distruzione e alla cecità.
Ho scoperto da qualche settimana che il vivaio del Flascio sui Monti Nebrodi, in Sicilia, versa in cattive acque perché il suo maggior cliente, l’Azienda Foreste, non sta più piantumando come una volta. Non ho saputo fermare le lacrime che si sono affacciate a fior di ciglia al pensiero che il piccolo lavoro del movimento Permacultura di cui faccio parte servirà a ben poco quest’anno, visto anche il dilagare degli incendi.
@4 , per amor di precisione:
– il referendum per riconoscere l’acqua bene comune, svoltosi nel 2011, ha raggiunto il quorum e la maggioranza dei votanti (94%) ha votato si. Sono poi i governi successivi che non son stati capaci di mettersi d’accordo per formulare una legge che tuteli l’acqua come bene pubblico.
– i ghiacciai sono concordemente considerati bene demaniale in quanto sono la fonte principale delle sorgenti e quindi dei fiumi
L’articolo di Paolo Cognetti meriterebbe un altro spazio e, come i commenti di Carlo, a mio avviso è troppo lungo per lo scambio in un forum.
MONTAGNA. CAVERI: DEVE ESSERE ADOPERATA, COME È SEMPRE STATO FATTO
COMMENTANDO POLEMICHE SU COLLEGAMENTO CIME BIANCHE E GHIACCIAIO TEODULO15:23 – 09/11/202
La lungimiranza dei decisori politici
Solo due appunti: i ghiacciai non si squagliano ne si sciolgono ….si fondono.
L’acqua non è bene pubblico visto anche che al referendum per renderla tale non è stato raggiunto il quorum.
È bellissimo leggerti qui, Paolo!
Paolo Cognetti (da repubblica.it)
È dura, la vita dell’ambientalista. Non fai in tempo a sospirare di sollievo per la pista da bob scampata a Cortina, a passare in Val Susa a tirare un petardo sui cantieri della Tav, e scopri che sono spuntate le ruspe sul ghiacciaio sopra a casa tua. Riponi la bandiera, posi il sampietrino, e vedi che il ghiacciaio che frequenti fin da bambino, che si squaglia a vista d’occhio di anno in anno, viene arato dagli escavatori per fare una pista da sci.
Quello è il ghiacciaio per cui d’estate ti chiamano le televisioni. Ti chiedono: Quand’è che scomparirà del tutto? E chi lo sa, rispondi, si diceva 2100, ma qui sembra che la cosa stia accelerando, non so mica se arriva al 2050. Vedi questa foto che non pensavi mai di vedere e ripensi ad altre immagini che hai impresse in testa.
Ricordate Filippo Timi che spiega il ghiacciaio ai due bambini delle Otto montagne? «Il ghiacciaio è la memoria degli inverni passati che la montagna custodisce per noi». Poi c’è uno zoom che va verso una magnifica seraccata, che si chiama Ghiacciaio di Ventina e poi Gobba di Rollin dalla nostra parte, o Plateau Rosà dall’altra (metto l’accento solo per semplificare la lettura). Eh sì, è proprio quello lì.
Cosa sta succedendo, ti chiedi? Svuoti la molotov nel serbatoio della macchina e ti informi. Anche un estremista sa informarsi. Eccoci, in breve: hanno inventato una nuova pista da sci che si chiama la Gran Becca. Sai che quello è il soprannome del Cervino perché te lo raccontava tuo papà da piccolo. La pista è transfrontaliera, ovvero parte nel comune di Zermatt (Svizzera) e arriva in quello di Valtournenche (Italia), che tanti conoscono con il nome di Cervinia. Dai 3.800 metri della cosiddetta Gobba di Rollin ai 2.800 dei cosiddetti Laghi di Cime Bianche (scusate la pignoleria, ma ci tengo sempre a ricordare che i nomi alla montagna li abbiamo dati noi, lei ne fa tranquillamente a meno).
Questo vanto dell’internazionalismo è bizzarro, per te che sei appena tornato da Cortina con il treno del Leoncavallo. Perché là si vergognavano di andare a Innsbruck a fare il bob — Cortina-Innsbruck, che umiliazione! — e qua invece vanno orgogliosi della pista Zermatt-Cervinia, la prima pista transfrontaliera di una gara di Coppa del Mondo di sci. Sono solo le ipocrisie della propaganda, pensi, accendendoti la pipa del subcomandante Marcos. Ti affacci alla finestra e guardi se per caso lassù ha nevicato — perché già l’anno scorso era prevista questa gara ma non nevicava mai, e non si può mica sciare sul ghiacciaio nudo e crudo — e vedi che sì, la pioggia di novembre lassù è neve e si festeggia. Anche tu festeggi per la neve, beninteso. Vuol dire che forse l’anno prossimo riavrai l’acqua in casa. La tua casa ecologica, di legno, coi pannelli fotovoltaici da sovversivo. E allora cosa ci fanno le ruspe lassù?
Ci fanno le “misure di contrasto al cambiamento climatico”. Per l’assessore agli impianti di risalita vuol dire che, se non si può più sciare a 2.000 metri, non resta che salire a 4.000, almeno per un altro po’. Quelle ruspe stanno riempiendo i crepacci. Non può uno sciatore professionista precipitare nel crepaccio in diretta televisiva. La ruspa — su cui probabilmente sta lavorando un tuo amico — porta via il ghiaccio da una parte del ghiacciaio, riempie i crepacci dall’altra, poi passa la palla al gatto delle nevi, che fresa e spiana il fondo della pista. Comunque per sicurezza quest’anno hanno fatto l’impianto di innevamento, anche a 3.800 metri. La gara, al via da oggi, si farà, in un modo o nell’altro. Perfino alcuni sciatori professionisti stanno cominciando a ribellarsi. A chiedersi: scusate, ma il nostro sport fatto in questo modo, che senso ha?
Oh ambientalista: nell’attesa che ti venga a prendere la Digos, lassù in baita, leggi che il presidente degli albergatori valdostani ha parlato in pubblico di voi. Ha detto: c’è gente che spera che la Valle d’Aosta venga inselvatichita, che i suoi 120mila abitanti se ne vadano in Piemonte, in Lombardia, all’estero, che qui torni tutto un bosco scorrazzato dai lupi e dagli orsi. Noi dobbiamo lavorare! Che futuro avete in mente per noi, black block? E tu ripensi a quella funivia Cervinia-Zermatt che ha inaugurato proprio l’anno scorso. Non tutti sanno di questa funivia: ora si può andare dall’Italia alla Svizzera a volo d’angelo, a 4.000 metri. Andata e ritorno costa 240 euro. Il presidente degli impianti di Zermatt ha detto: è perché vogliamo evitare il turismo di massa. Tradotto: a noi non interessano le famigliole che vengono su con il panino nello zaino, ci interessano gli arabi, i russi, gli inglesi, gli americani. Vogliamo lasciar fuori le famigliole e fare i soldi con i milionari.
Se andate sul sito di Zermatt vedete la proposta che questi fanno: una settimana da Milano a Parigi, le città dello shopping, passando per Cervinia, il Monte Rosa e Zermatt. È il grand tour del terzo millennio, lusso e natura, diamanti e ghiacciaio.
Povero ambientalista, sei appena tornato a casa e scopri pure che i compagni elvetici sono arrivati prima di te. Sempre svelti, là nella dolce terra pia. I compagni rossocrociati hanno denunciato la cosa. Pare che le ruspe abbiano sconfinato in una zona non autorizzata (ovvio che hanno sconfinato, dove lo doveva andare a prendere il mio amico il ghiaccio per riempire i crepacci, in mezzo alla pista?). Il governo cantonale del Vallese ha bloccato i lavori. Il governo regionale valdostano — qui è regione autonoma e l’Italia non mette il naso — si è veduto costretto ad andargli dietro. Stanno indagando. L’assessore agli impianti di risalita dice che è tutto normale. Il presidente degli albergatori: normalissimo. Non capiscono perché gli rompiamo le scatole, la Coppa del Mondo è tra due settimane, dà da mangiare a tutti.
Vi rompiamo le scatole, signori, perché nessuna fonte appartiene al proprietario del terreno. Magari ha il diritto di attingere l’acqua. Ma la fonte appartiene, in modi regolati dalla legge, anche a tutti quelli che vengono dopo. Altrimenti il proprietario delle fonti del Po potrebbe chiudere il rubinetto e lasciare la pianura padana all’asciutto. Vi rompiamo le scatole perché un ghiacciaio è un bene pubblico, è una falda acquifera, non lo potete usare come vi pare. È l’acqua che beviamo anche noi. Non potete accelerare il suo scioglimento triturandolo per fare una pista. Non è di Zermatt, non è di Cervinia, è di milioni di persone tra il Monte Rosa e la laguna veneta. È anche mio, che per altro sono un cittadino valdostano.
Mi scrive un caro compagno dalla clandestinità per spiegarmi che il decreto 8/9/2023 del governo Meloni stanzia ben 128 milioni di euro per la pista di bob che a Cortina non si farà. L’affitto della pista di Innsbruck, St. Moritz o dove altro costerà tra i 10 e i 20 milioni. Ne restano più di 100 da capire come usare. Sarebbe meraviglioso se il governo Meloni — nonostante la nostra aria hippy, l’ambientalismo non è di destra né di sinistra — li usasse per dare una ripulita ai moltissimi ruderi che imbrattano le nostre montagne. Impianti abbandonati, seggiovie arrugginite, piste da bob di Olimpiadi del passato, futuristici trampolini su cui il bosco, pietoso, ricresce. Con 100 milioni si fanno un sacco di cose, noi poi siamo abituati a essere sempre al verde. È il nostro colore preferito.
Vado a fare la doccia che il passamontagna mi ha fatto molto sudare. Un estremista, un bombarolo, un nemico del popolo, un ambientalista.
Un po’ di tempo fa, su Rai Storia, ho visto un bellissimo documentario sulla storia dello sci. Partendo dagli albori pionieristici e coraggiosi, da necessità di chi viveva in montagna fino ai primi sperimentatori di un possibile sport, il documento ne spiegava in modo approfondito l’arrivo alla grande industria del turismo invernale, verso la fine degli anni 50.
A quel punto il boom, le condizioni climatiche e le possibilità economiche del pubblico, ne decretavano il successo di massa, il cui picco furono gli anni 80.
Mi struggevo, guardando il documentario, perché ripercorreva l’epoca felice della mia giovinezza sulla neve, prima di darmi poi definitivamente allo sci alpinismo.
Ma continuando la visione, il film tracciava molto bene la lenta trasformazione e il lento declino. Per un clima che cominciava a cambiare, per un’industria sempre più rapace e costi per il pubblico sempre più inaccessibili, che le crisi economiche del nuovo millennio aggravavano.
Ne consiglio la visione, per ripercorrere la storia, una mentalità e interpretare un senso del nostro approccio ai ghiacciai.