L’assalto alle rocce sarde

Da qualche tempo è in corso il folle assalto alle rocce sarde. Manipoli di “scalatori” che bucano ovunque per costruire percorsi adrenalinici, molto più spesso in discesa, ma anche tramite via ferrata. Iniziative senza alcun permesso sulle rocche di San Pantaleo (Balbacanu, Punta Scala m’Predada, lu Lurisincu, in un’interpretazione tutta isolana e radicale del famoso detto “là dove c’è una volontà, c’è una via”. Mettendo corde fisse, tronchi, catene, appigli in resina. Stessa cosa sul Monte Pulchiana, senza alcun rispetto per vecchi percorsi storici, mettendo appigli artificiali e catene là dove c’era solo qualche cordino a indicare la via e il modo di proteggersi. Questo per ciò che riguarda il granito della Gallura, ma certamente la zona dei Supramonti con il suo calcare non è da meno.

Tutto il mondo della montagna dovrebbe condannare senza appello queste iniziative, tutte le associazioni, dal CAI alla FASI, UISP, TAM e chi più ne ha ne metta. Ma queste voci tardano a levarsi e, quando lo fanno, sono sempre troppo isolate.

Per questo diamo voce a un sardo, Elio Aste, che sfidando la folla osannante ai luna park si è esposto in prima persona.

Il problema dei Supramonti
di Elio Aste
(dal suo profilo facebook, 26 febbraio 2020)

Attualmente i Supramonti sono soggetti ad un forte impatto antropico, prodotto da un devastante turismo di massa.
Le regioni supramontane, un tempo naturalisticamente integre, di difficile raggiungibilità ed attraversamento, già da qualche anno sono diventate accessibili e percorribili, giacché sono state aperte nei loro territori nuove rotabili e nuovi sentieri, che hanno facilitato l’ingresso di migliaia di persone, molte delle quali sono spinte, non da amore per la natura, ma da altri intenti: esibizionismo, curiosità, passatempo adrenalinico, ecc.
I Supramonti son diventati in tal modo dei giganteschi luna-park. Gli effetti di tali massicci assembramenti, orientati per la gran parte a un tipo di turismo superficiale e fugace, senza regole né vigilanza, si possono ormai osservare ovunque: spazzatura persino nei siti più intatti e remoti; antichi ovili inceneriti per incuria e incompetenza; trafugamento di specie vegetali, rare e protette; costante disturbo ai selvatici, che stazionavano indisturbati in quei luoghi, un tempo deserti e silenti, ecc.
A tale genere di “escursionisti” si aggiungono certi “scalatori”, che attuano inutili ferrate e ponti tibetani, piantando in modo permanente fittoni, catene di calata e altra ferraglia su falesie ove spesso stazionano e nidificano rari rapaci. Qualcuno di essi si dedica, addirittura, a depredarne le uova e i nidacei a scopo di lucro.
Insomma, i Supramonti sono diventati per molti “terra di nessuno”, da usare a proprio piacimento, senza il minimo rispetto per il loro ambiente, caratterizzato da un ecosistema piuttosto fragile.

Da un post di Leo Fancello su facebook: Personalmente (!) non credo che questo sia il modo corretto di frequentare il Supramonte e le sue immense risorse. Il Supramonte NON è un Parco giochi, occorre rispetto per l’ambiente, il paesaggio e per chi lo frequenta. Occorre rispetto!!! Questi signori da chi hanno ricevuto l’autorizzazione di impiantare un ponte tibetano sul Flumineddu/Kaddaris (Dorgali)? Cosa ne pensano il Corpo Forestale e l’Amministrazione Comunale? Se qualcuno pensa sia corretto questo approccio, mi faccia la santa cortesia di levarsi dai piedi, non lo voglio neanche come amico virtuale in FB.

E’ ormai giunto il momento di mettere ordine a questo scempio. Ad oggi le autorità preposte, salvo qualche rara eccezione, si sono inspiegabilmente distinte per il loro silenzio e disinteresse; ma non si può più procrastinare.
A suo tempo era stato osteggiato il costituendo “Parco del Gennargentu”, poiché dovevano essere gli enti locali a gestire la ricchezza ambientale delle loro regioni. Oggi, per salvare il salvabile, quegli stessi enti locali debbono con sollecitudine regolarizzare le presenze; debbono far pagare l’accesso a ciascuno per le spese di gestione; debbono vigilare maniacalmente il massiccio traffico, che attraversa i loro territori.
L’anarchia deve finire, perché è distruttiva e senza prospettive. Uno dei più grandi scalatori di questo secolo, l’alpinista Hervé Barmasse, ha detto in una sua intervista: “L’uomo deve essere cavaliere nei confronti delle montagne… Il problema è che costui ragiona a breve termine. Non riesce, cioè, ad essere lungimirante, soprattutto per quando riguarda l’ambiente“.
La presidentessa del Fondo Ambiente Italiano, Giulia Maria Crespi, in una recente intervista, rivolta ai sardi, esorta: “Difendete il vostro paradiso!”.
Per i Supramonti, dunque, è tempo di mettere fine a un tipo di turismo effimero, puntando invece sulla qualità e la durata dei suoi beni ambientali, unici e irripetibili.
Vogliamo trasmettere il loro prezioso patrimonio naturalistico, antropologico e archeologico ai nostri figli, oppure lo vogliamo stupidamente dilapidare? E’ questo il problema!

Elio Aste

Chi è Elio Aste?
di Luca Pinna (segretario regionale del WWF Sardegna)

Già dal lontano 1972 Elio Aste, scrittore naturalista, fotografo e speleologo, iniziò un’efficace e attiva opera di divulgazione, collaborando per diverso tempo al quotidiano La Nuova Sardegna con accurate relazioni sulle sue lunghe escursioni ed esplorazioni, descrivendo luoghi di straordinaria valenza ambientale, paesaggistica e archeologica, allora sconosciuti, che successivamente diventarono veri e propri capisaldi per un certo tipo di turismo sportivo e d’avventura, oggi definito trekking.
Elio Aste è dunque un precursore che ha aperto in Sardegna inediti e assai interessanti itinerari. Sulle sue orme successivamente si mossero altri appassionati, alcuni dei quali volenterosi, sensibili e capaci, che hanno contribuito anch’essi alla cognizione di queste regioni di eccezionale valore naturalistico, ma di difficile e faticoso attraversamento.
Egli è, dunque, fra i pochi che ha penetrato realmente i segreti della natura superba e selvaggia nel cuore della Sardegna. Con i suoi articoli, i suoi libri e le sue foto ha portato in visione nuove e singolari prospettive al grosso pubblico, soprattutto a tutti coloro che vogliono conoscerla più profondamente. Da buon barbaricino, fortemente attaccato alla sua terra, ha saputo trasmettere questa grande passione per la natura sarda a tantissime persone, sardi e non, che leggendo le sue opere hanno potuto conoscere luoghi, storie e misteri di una terra unica al mondo. Dalla dolina di Tìscali alle splendide spiagge di Cala di Luna, dalla grotta Sa Prejone ‘e S’Orcu alla vetta quasi inaccessibile di Punta ‘e Su Nurache, dalla vallata del Gòlgo all’Aguglia di Goloritzè, dalle sorgenti di Su Gologòne alla gola di Su Gorròpu, i suoi viaggi e le sue avventure si leggono tutti d’un fiato.
Il lettore rimane rapito dalle straordinarie descrizioni dei luoghi che Elio Aste ha attraversato, spesso in completa solitudine, contemplando i silenzi, ammirando i paesaggi, assaporando i profumi e i colori della natura più autentica e selvaggia della Sardegna. Egli si sofferma anche su quei particolari che il visitatore distratto non sarebbe in grado di cogliere: le contorte forme di un ginepro, le tecniche costruttive degli ovili, la fioritura delle peonie selvatiche, il volteggiare dell’aquila reale in cerca delle sue prede. A dar forza ai suoi racconti sono anche le splendide immagini che caratterizzano le sue opere. Panorami mozzafiato, grotte inaccessibili, elementi rari della flora e della fauna, documentati da una quantità impressionate di diapositive, rivelano anche l’altra passione di Elio Aste: la fotografia naturalistica, di cui egli è maestro.

Luca Pinna

Personalmente, ho tratto grande insegnamento dalla lettura delle sue opere, le quali hanno rappresentato le linee guida per la realizzazione di molti miei documentari televisivi, di innumerevoli servizi giornalistici che ho spesso dedicato alle aree più belle e selvagge della Sardegna. Ed ogni qual volta scrivo su questi ambienti, ricordo con grande piacere i momenti e le emozioni provate durante le varie escursioni in Barbagia effettuate in sua compagnia.
Ad Elio Aste va dato anche il merito di aver contribuito, attraverso le sue opere, a favorire la conoscenza ed il rispetto per l’ambiente naturale della Sardegna, troppo spesso trascurato, alterato e violentato da interventi sbagliati, dettati da una politica miope e poco rispettosa dell’ambiente e delle sue risorse. I suoi testi descrivono luoghi unici che vanno salvaguardati a tutti costi, mediante la creazione di parchi, di riserve naturali marine e terrestri e attraverso una loro gestione accurata e rispettosa.

Bibliografia di Elio Aste
Supramontes, ultima natura, Edizioni Della Torre, 1993
Sardegna selvaggia, SAGEP, 1985
Sardegna nascosta, Edizioni Della Torre, 1984
Fra mondi sotterranei e sentieri d’avventura, formato Kindle, 2018
Tiscali, Edizioni Della Torre, 2008

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L’assalto alle rocce sarde ultima modifica: 2020-04-27T05:46:55+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “L’assalto alle rocce sarde”

  1. Dirò senz’altro delle cattiverie, ma non dirò nulla di falso.L’escursionismo in Sardegna è arrivato da relativamente poco tempo. Intendo come attività di massa. Fino a pochi anni fa se ti aggiravi con uno zaino in spalla eri additato come deficiente dai soliti occupanti del bar del paese, fino a quando, pure questi ultimi, si sono accorti che assieme a quelli con lo zaino in spalla arrivavano anche dei soldi, si creava una piccola economia, insomma, che oggi in certe zone è divenuta tutt’altro che piccola.
    La pigrizia mediterranea ha alimentato schiere di personaggi che si gratificano al solo mettersi un casco in testa. Non parliamone se indossano un’imbragatura!!! Non è raro vedere escursionisti impegnati in facili passeggiate bardati come dovessero affrontare il Changabang. Quando a qualcuno è venuto in mente di far fare a costoro una calata appesi a una corda si è scatenato il finimondo! C’era emozione, esibizione (sui social e nella possibilità di vestirsi in un certo modo e attrezzarsi di conseguenza) e riconoscimento sociale. A quel bar di paese si poteva arrivare abbigliati da escursionisti continentali, da alpinisti (anche se le Alpi in Sardegna non ci sono) a bersi la birra.
    Solo lei (la birra) era rimasta la stessa.
    Anche la pigrizia del dover salire si era potuta annientare con il “rappelling” ,ovvero la discesa lungo una corda in successione ad altre creando itinerari dedicati in luoghi spettacolari che regalano emozione e gloria senza alcuno sforzo fisico. Ma fin qui tutto bene, nessun danno irreparabile. Solo qualche spit e semmai un anello di cordino intorno a un ginepro o a un leccio.
    Purtroppo è facile farsi prendere la mano e gli ancoraggi hanno iniziato a diventare più massicci e numerosi. Si sa, la sindrome da penetrazione della roccia è una malattia che prende tanti, anche oltre mare. Gli itinerari si sono moltiplicati senza nessun criterio se non il: si potrebbe passare anche di qui, e anche di là, e anche di qua, lassù, laggiù…. Si può passare dappertutto volendolo, un po’ come negli anni ’60 quando sulle Alpi si espanse sconsideratamente la rete delle funivie deturpando per sempre alcuni luoghi. Ma chi può dire dove si può deturpare e dove no? La deturpazione non è solo estetica e ambientale ma anche mentale, garantendo all’attrezzatore ogni discrezionalità e criterio d’azione e di luogo. 
    Qualche Comune tra i più frequentati da tempo si è dotato di regole e sanzioni (l’unico sistema che pare funzionare in Italia, visto che l’educazione, intesa come istruzione, non è quasi mai perseguita. Figuriamoci in questi casi…) ma nella più parte dell’isola c’è libertà d’azione, anche sconsiderata, sostenuta dalla totale disinformazione in ambito ambientale in relazione a infissi  metallici su pareti rocciose per attività outdoor. C’è veramente poco occhio critico sulle esperienze fatte da altre località alpine o appenniniche, si agisce perché conviene sul breve termine. Ma sul lungo?

  2. Dopodiché non si può permettere che pochi “pirla” colonizzino e deturpino ambienti unici e di una bellezza inaudita

    Quanta ragione aveva Pascal: “Non è giusto avere troppa libertà. Non è giusto che uno abbia tutto ciò che desidera.”

  3. In casi come questi, prima si cerca un confronto per far capire che il territorio va rispettato, che valorizzazione non vuol dire riempirlo di ferraglia senza senso e che si può godere di tutto questo in modo più rispettoso e armonico con la natura e la storia di quei luoghi.
    Si deve far tutto per far capire questo, il dialogo e il confronto non devono mai prescindere per fare capire che, in altri luoghi dove ciò è avvenuto, si sono create condizioni di sviluppo per tutti: local, visitatori, turisti, ecc.
    Dopodiché non si può permettere che pochi “pirla” colonizzino e deturpino ambienti unici e di una bellezza inaudita….Se si rimane sordi e incapaci di vedere che il futuro non passa per una nuova “Gardaland”… poche balle, ci si organizza per smontare tutto…

  4. In Sardegna ci sono stato da poco (zona Ulassai). In quella zona non ho visto disastri del tipo descritto qui (forse perchè non li ho cercati) A me pare che una o più file di piastrine non abbia lo stesso impatto di un ponte tibetano o cose del genere ed anche i frequentatori non sono gli stessi. Ad Ulassai invece ho visto alcune piccole attività commerciali aperte per i climber che danno lavoro a parecchie persone. Per quanto attiene la chiodatura mi è sembrata “giusta” ne poco ne troppo, col mio parametro di giudizio che dice  di non farsi male in caso di volo e si sa che non tutti vanno sul 8a. Ovviamente chi ha scritto l’articolo conosce le zone e quindi gli credo, ma ho visto decine e decine di pareti inaccessibili e selvagge. Poi i maleducati esistono dappertutto ma questa è un’altra storia.
    Dino Marini

  5. Non sono mai andato in Sardegna, dovevo andarci ad aprile per la prima volta, ora ho un buono viaggio da usare entro un anno 🙂 
    Da quello che ho letto non mi sembra che la roccia sia diversa dalla solita che salgo, se scelgo bene dovrebbe essere bella e mi sembra sia chiodata come ormai più o meno, bene o male si fa dappertutto.
    Sono dispiaciuto per il vizio di bucare a raffica, ma da decenni tutti sembrano avere il diritto di sentirsi qualcuno e di sfogare le proprie frustrazioni per l’incapacità di saper arrampicare, che io chiamo carenza di testa e di coraggio.
    E l’insegnamento viene da lontano, dagli anni 80, durante i quali pochissimi sapevano salire alzando il grado senza bucare e trafficare come carpentieri: oggi se non c’è un bello spit pochissimi van lontani (anche solo sopra il 5b 🙂 ).
    A me sinceramente spiace per tanti giovani che non capiscono.

  6. Esattamente quello che accade nelle nostre Prealpi e a volte anche nelle Alpi, sono arrivati anche lì. Frequento la Sardegna da venti e più anni e sono stato uno di quelli che ha scritto sul libro di vetta della ferrata a Capo Caccia che era una vergogna devastare un posto così bello e unico, poi meno male che l’hanno dismessa, però sono restati sul posto maggior parte degli infissi. Purtroppo queste opere, a volte, sono finanziate da enti pubblici, se non da sezioni del CAI. Passare sopra itinerari storici senza neanche studiare la storia della montagna in questione e le sue tradizioni è una sciagurata abitudine di questi ambigui personaggi che dicono di voler valorizzare i siti e favorire lo sviluppo dell’arrampicata. Probabilmente però dalla loro parte c’è l’incapacità di passare dove sono passati altri decenni prima. Cerchiamo di sensibilizzare più gente possibile su questi problemi che sono fondamentali per la sopravvivenza della montagna stessa.
     

  7. Sia per principio assoluto (via tutti i luna park da ogni forma di montagna) sia nei confronti specifici del Supramonte (cui sono legato da uno specifico affetto), sottoscrivo in pieno queste posizioni e relative applicazioni. Non mollate!

  8. l’uomo il più pericoloso e mutante  VIRUS che sia apparso sulla faccia della terra.

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