Le “Antiche Sere” in pericolo
di Marco Blatto
Non ricordo esattamente quando fu la prima volta che misi piede nel vallone di Sea. Dovevo avere circa dieci anni ed ero con mio nonno. Ricordo però molto bene la sensazione che provai a transitare tra quel caos di blocchi rocciosi, rinserrato tra pareti che mi parevano altissime. Profondamente colpito, una volta giunto a casa disegnai sul mio quaderno-diario un curioso bozzetto dettato dalla memoria, forse un po’ amplificata, di quell’incredibile giornata. Ecco che lo spirito evocativo delle forme e della pietra aveva fatto breccia nel mio senso estetico e nella mia percezione del paesaggio. Era il 1975 e l’esplorazione di quelle rocce doveva ancora attendere qualche anno.
Ma in realtà non è proprio così: in quei giorni, lo sconosciuto Olivero Toso con due amici attaccava la bella Guglia Verde che sovrasta l’inizio del pianoro del Massiet, risolvendo le maggiori difficoltà della parete ma fermandosi dopo tre tiri. Oliviero sulla guglia non tornerà più a terminare la salita, e nemmeno immaginava che pochi anni dopo Isidoro Meneghin avrebbe ripreso quella linea battezzandola Sorgente primaverile. E nemmeno che Gian Piero Motti avrebbe visto nelle forme di quella guglia le fattezze di Gandalf, il buon “mago della sera” della saga di John Ronald Reuel Tolkien. Era il 1975 e Gian Piero Motti viveva un momento di profonda riflessione, forse di crisi. Nel giugno di quell’anno scomparve per alcuni giorni sulle montagne a cavallo tra la Valle Orco e la Val Grande, destando la preoccupazione non solo degli amici, ma l’apprensione di tutti i valligiani. Quando ritornò, quasi come in una favola un po’ visionaria, era profondamente cambiato. Nel vallone di Sea trovava il suo “luogo dell’anima”, quello di cui, fin da ragazzo, anch’egli aveva subito il forte spirito evocativo. Nulla di che stupirsi però: l’anima di Sea aveva rapito per sempre l’immaginario di viaggiatori e scrittori già nel XVIII secolo: dal conte Luigi Francesetti a Clemente Rovere e a Maria Savi-Lopez.
In un altro contesto geografico, lungo le rotte dei viaggiatori nord-europei, il vallone di Sea avrebbe di certo suscitato l’ispirazione di poeti e pittori di rango. Il piano del Massiet è stupendo. Qui la fioritura di rododendri nella stagione “buona” è un incanto della natura, posta com’è fra i blocchi di roccia e i margini delle pietraie. Sembra quasi che la mano sapiente di un arredatore botanico ne abbia decisa la sistemazione. Sedendosi su uno dei tanti massi disseminati nel pianoro si ode il richiamo d’allarme delle marmotte, mentre sulle rupi gli stambecchi danno prova di abilità “arrampicatorie”. Intorno a questo sacrale silenzio, risparmiato per ora dall’incauta azione dell’uomo moderno, si assiste a una messe di forme rocciose disordinate e caotiche, rigate da occasionali cascate d’acqua di fusione e piovana, dove antiche paleofrane ricordano titanici sconvolgimenti. Come non comprendere, allora, quelle giornate solitarie che Gian Piero Motti passerà sdraiato al Massiet a penetrare con lo sguardo ogni più piccola piega dei versanti! La fantasia corre lontano e il gioco è fatto. La fantasia visionaria e romantica dell’ideologo del “Nuovo Mattino” corre lontano per rimbalzare di parete in parete, ed ecco che, poco più in là, inventa la “Reggia dei Lapiti” e il “Droide”. Ecco che le pareti del Massiet diventano rispettivamente lo “Specchio di Iside”, la “Parete dei Titani” e il “Trono di Osiride”…
Mitologia nordica, classica ed egizia determinano un’anima e una vitalità improvvisa alle grigie e repulsive pareti del vallone. Sarebbe però riduttivo pensare che la fantasia di Gian Piero fosse riferibile soltanto a visionarie letture giovanili: egli di certo aveva letto i Discepoli di Sais di Novalis (al secolo Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg) e la Filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer.
Il crepuscolo di quelle giornate autunnali parve riportare un po’ di pace e serenità in Gian Piero, mitigando quella crisi esistenziale che verso la fine degli anni ’70 l’aveva colto in modo rilevante, allontanandolo dal grande alpinismo e dall’arrampicata.
Il periodo del “Nuovo Mattino” è lontano e con esso le sue contraddizioni, così come le critiche spesso a buon mercato e gratuite di chi non ha capito o ha frainteso. E’ giunta l’ora delle “Antiche Sere”. Queste sere solitarie di Sea hanno sapore d’antico e lo riportano agli anni più genuini della sua passione giovanile. Le “Antiche Sere”…
Non si tratta ancora una volta del geniale riferimento al romanzo di Norman Kingsley Mailer, quanto di un personale e intenso momento di maturità, di lucidità e di riflessione. “Nuovo Mattino” e “Antiche Sere”.
E’ al “mattino” che un individuo si sveglia avendo di fronte a sé un intero giorno ricco di aspettative e speranze, durante il quale potrà costruire un “nuovo” piccolo tassello della propria esistenza. E’ però la “sera”, alla fine del giorno, che ciascuno potrà riflettere sull’“antico”, su ciò che è stato fatto e ciò che è stato detto.
Quell’universo di roccia contorta dal forte spirito evocativo, che prende forma, non è solare come lo sono le rocce della Valle dell’Orco, al contrario, l’atmosfera è qui più intima e cupa senza però indurre alla tristezza d’animo.
Il periodo delle “Antiche Sere” è forse l’ultimo nella storia dell’alpinismo italiano in cui si possano individuare tutti gli elementi di un movimento di pensiero romantico: riviviscenza, fantasia, sentimento, visione. Ecco la particolarità di Sea, un’anima, un carattere che va oltre il gesto “sportivo” della scalata. Ne influenza il carattere, certo, ma diviene parte importante del milieu di questo luogo.
La storia alpinistica di questo meraviglioso vallone delle Alpi è ben nota. Dopo le “Antiche Sere” ci sarà l’indimenticabile parentesi del Sogno di Sea. Un decennio negli anni ’80 dove sarà un sensibile Gian Carlo Grassi a trovare tra queste rocce il genius loci. Le vie di arrampicata si moltiplicano a decine e l’amore del fuoriclasse condovese è forgiato nei chiodi di ferro ritorto ancor oggi presenti nelle fessure del vallone. Sea è “strega” e non risparmia coloro che vi si avvicinano con empatia. Dopo la morte del “Re di Sea” toccherà ai suoi amici e ai suoi estimatori tentare di divenire i custodi di questo piccolo mondo, come Elio Bonfanti e il sottoscritto, negli anni ’90. In questi venticinque anni ho vagato spesso sopra le pareti del Massiet o sulle alte vette che le sovrastano. Non ho cercato solo vie nuove che forse, considerando la non facile accessibilità, nessuno ripeterà mai. Ho tentato di fare mia, sempre di più, quella meravigliosa e misteriosa forza che regola il rapporto dell’uomo con l’essenza del paesaggio naturale che, nel caso di Sea, ha fatto sì che un pugno “d’irriducibili” frequentatori lo eleggesse quale “luogo dell’anima”.
E’ difficile spiegare che il carattere di un luogo è strettamente legato alla percezione del suo senso estetico e che questo è un valore davvero grande, ed è di tutti. E’ scritto: “Il paesaggio è una tela senza cucitura (Yan Mc Harg, 1969)” per cui “ogni nostra azione è destinata a ripercuotersi nel tempo (Boca e Oneto, 1986)”, con conseguenze negative che non sono subito manifeste. E’ quindi necessario tutelare il paesaggio per il valore senso-percettivo e storico- culturale, dopo averne colta davvero l’essenza in profondità.
Oggi, il progetto della costruzione di una strada a uso pastorale che dovrebbe risalire il vallone fino agli alti piani di Sea, a 1800 metri, mette in serio pericolo l’integrità del vallone. Una strada dai dubbi benefici economici (voluta dal Comune di Groscavallo con i finanziamenti previsti dal PSR 2014 -2020) ma dal certo effetto devastante sul carattere e sull’anima del luogo. Uno dei più incredibili valloni delle Alpi, il cui rilancio concepito in altro modo troverebbe senz’altro riscontri maggiori. E’ difficile spiegare il valore del “bello” e del “sentimento” quando vi sono interessi economici. Sedetevi allora al Massiet, quando il sole inizia e calare dietro i contrafforti di Mombran, osservate le pieghe delle rocce e ascoltate il silenzio irreale rotto soltanto dal vociare delle acque. Capirete, allora, perché è importante che le “antiche sere” sopravvivano.
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Sondaggio LA STAMPA su strada Vallone di Sea
http://www.lastampa.it/2016/12/15/cronaca/nel-vallone-di-sea-non-servono-strade-ma-il-vero-turismo-outdoor-wJQiunTEWzlItsXZYnIh8I/pagina.html
VOTATE NO!!!!
E FATE GIRARE
In nome di un non ben precisato e molto dubbio ritorno economico e turistico il Comune di Groscavallo presenterà un progetto per costruire una strada nel Trione e una nello stupendo Vallone di Sea, cercando di sfruttare una pioggia di fondi europei che potranno essere erogati entro il 24 dicembre 2016. Il Vallone di Sea è uno degli ultimi luoghi incontaminati delle nostre Alpi: un lungo sfregio rischia di percorrerlo dai 1290 m di Forno Alpi Graie ai 1800 m dell’Alpe di Sea!
FIRMA ANCHE TU CONTRO!
https://www.change.org/p/comune-di-groscavallo-da-sea-a-dove
Chi può, vada a firmare la petizione, per ora messa all’Albergo Savoia di Forno, Albergo Pialpetta di Pialpetta e Pizzeria Amici di Cantoira.
Grazie
sollecitato dalla lettura di questo articolo, finalmente dopo anni, mi sono deciso di venire a vedere il Vallone di Sea. Sabato con mia moglie siamo partiti e venuti a Forno Alpi Graie.
Pernotatto all’albergo Savoia, la domenica mattina, dopo aver firmato la petizione contro questa assurda e inutile inizitiva, petizione promissa da Montain Welderness, abbiamo risalito quasi tutto il vallone fin quasi al bivacco Soardi. La giornata è stata bellissima , c’era un sole magnifico.
Che dire ? Siamo rimasti estasiati dalla bellezza del vallone. Dai colori, dai suoni, dai rumori, dai profumi, dalla tranquillità, dal senso di mistico che si respira.
Giampiero Motti ci aveva visto giusto.
Il vallone non ha bisogno di nessun intervento umano.
HA SOLAMENTE BISOGNO DI ESSERE LASCIATO COSI’ COME E !!!
L’unica cosa che potrebbe essere fatta è il restauro delle bellissime baite . Ma niente di più!
Tanto meno, una strada realizzata sul fianco del vallone che farebbe solo danni irreparrabili e distruggerebbe una natura bellissima.
Non distruggiamo quello che di più bello ha questo paese e che molti altri ci invidiano. Non distruggiamolo solo perchè a QUALCUNO… fanno gola i finanziamenti europei.
Il futuro di questo paese, sta anche nel mantenere integro quello che di più bello ha: dall’arte alla natura. E che tutto il modo ci invidia!
Risalendo la val Grande verso Forno Alpi Graie, mi sembra che ci sia bisogno di molti altri ungenti interventi di manutenzione da fare. Prima di tutto la strada , che è veramente ridotta male.
Che il Comune di Groscavallo si prenda l’impegno di fare questi interventi e non cose assurde che sono solo speculazioni che faranno danni irreparabili. E faranno riempire di soldi le sole tasche di alcuni.
In Val Grande di Lanzo non è solo il vallone di Sea ad essere minacciato da progetti di infrastrutturazione molto discutibili, lanciati dalla Regione Piemonte grazie ai fondi dell’Unione Europea.
Il primo giro di qusti fondi, nel periodo 2014-2016, ha gia disseminato piste inutili che hanno smembrato sentieri storici e modificato la fisionomia dei paesaggi costruiti dalla civiltà che camminava.
Se ne volete sapere di più, suggerisco questo post: “Nuova ondata di piste nelle Valli Lanzo” https://camoscibianchi.wordpress.com/2016/09/13/nuova-ondata-di-piste-nelle-valli-lanzo/
Sono d’accordo quasi su tutto, facendo presente qualche aspetto forse sottovalutato :
1) I paesaggisti, quasi sempre architetti, non sanno, o se lo sanno lo scordano, che le praterie alpine tra i mille e i 1800 metri di quota (come ad es. quelle in cui sono immerse molti massi e rocce di Sea) non sono naturali bensì conseguenza dell’utilizzo pascolivo, sempre più ridotto. Non per nulla in molte valli alpine si pagano persone affinchè sfalcino o tengano animali pascolanti. Pertanto il “paesaggio”, così come lo percepiamo noi oggi, fruitori escursionisti o alpinisti, senza una presenza pastorale sarà destinato a mutare nel volgere di qualche decennio in arbusteto e in qualche area a bosco. Per inciso, la biodiversità è molto più elevata in aree pascolate intercluse in altri tipi di copertura vegetale, rispetto a situazioni di abbandono, dove predomina il bosco continuo.
2) Il termine paesaggio non esiste nella cultura contadina, avendo significato solo per chi non fa parte fisicamente, con la propria presenza attiva, degli elementi che lo costituiscono. Per coloro che vivevano, per nascita e necessità, nella dura realtà montana, un’integrazione che salvaguardasse le risorse era l’unico modo per garantirsi una produzione annua di sussistenza: per loro esisteva “la terra” , “il prato”, “la riva”. In questo senso il paesaggio è un’astrazione elitaria i cui valori, quali la bellezza, la diversità biologica, i servizi ecosistemici, stentano ad affermarsi, perché invisibili e privi di valore di mercato, come si vede dalla massiccia presenza di barbecue al bordi della strade asfaltata tra Cafasse e Lanzo .
3) Non penso che un Comune possa credere veramente che si possa realizzare un rilancio dell’economia locale, a quella quota, aprendo una pista silvopastorale che probabilmente fornirà utili (di mercato) inferiori a quanto costerà in manutenzione e in interventi riparatori del probabile dissesto che ne conseguirà se i lavori non saranno realizzati più che a regola d’arte, (cosa difficile anch’essa da credersi).
Penso che prima di schierarsi, escludendo a priori le ragioni degli altri, occorre disporre di tutti gli elementi al contorno, valutando costi e benefici delle alternative e poi, con cognizione di causa e fermezza, motivare perché no o perché sì.
Il mio nickname nella maggior parte dei forum di montagna è “Antiche sere”, una scelta meditata in cui Sea gioca un ruolo fondamentale. Non solo perché la mia visione della montagna è sempre stata molto vicina a quella romantica di Motti, che in Sea non scalò mai con le mani e con i piedi, ma con le ali potentissime della fantasia, ma anche a causa di quel folletto di Gian Carlo Grassi che mi portò a salire, come “improbabile compagno” la mia prima cascata al Ghicet di Sea scatenando in me il morbo di Sea; quella roba lì che ti si incista e che non ti molla più.
In Sea sono tornato tante, tantissime volte. Anche adesso ci torno per le mie peregrinazioni solitarie, a scalare non più tanto; Sea è molto severa con i vekkifrakassati ed imbolsiti come me.
Mi auguro che Sea non venga profanata da una strada e nel caso si renda utile appoggerò fattivamente qualsiasi iniziativa per evitare questo.
Giù le mani da questi luoghi che appartengono a tutti !
Già, quel senso del “bello” e del “sentimento” sono cose troppo difficili da spiegare e troppo intime per essere coprese dinnanzi a una qualsiasi spiegazione. Molti di questi “teatri” sono crollati sotto la realizzazione di progetti che non hanno avuto seguito, simili a quello di cui qui si parla (strade, etc.). Mi auguro che almeno questo magnifico e mistico angolo possa essere conservato ma la battaglia sarà dura, proprio perchè un certo tipo di cultura manca alla maggioranza della massa (inclusa quella che spesso “decide”) e, come dice Blatto, è troppo difficile, se non impossibile, spiegare certe cose a chi non le ha mai vissute/provate in prima persona.
spero che ci sarà una forte mobilitazione contro questa che non sarà altro che un’altra “DISTRUZIONE” passata come valorizzazione.
Purtroppo questi amministratori rispondono solo a centri di potere economico. Non vedono altro e non vedono oltre . Ma spesso e volentieri non lo vogliono vedere.
Credo che lo sviluppo della montagna debba essere oggi, più che mai prima, sostenibile. Oggi dovremmo vivere nella consapevolezza della conservazione, non possiamo più permetterci di sfruttare l’ambiente a nostro piacimento. Come perderemo le antiche sere, potremmo perdere un giorno anche i nuovi mattini.
Da facebook, 23 settembre 2016 ore 8.08
Semplicemente, andate a Sea e ascoltate, non è necessario pensare.