Sono una risposta efficace e sostenibile al fabbisogno di realtà locali come famiglie, condomini o piccole imprese. Ed una efficace alternativa al caro-bollette. Si tratta di ricorrere a fonti rinnovabili, e di condividere l’energia sotto forma di “autoproduzione”. A indicare la svolta è stata l’Unione europea, che con alcune direttive ha permesso una legislazione favorevole anche in Italia per queste realtà emergenti. Un gruppo di “utenti finali” dà vita a un soggetto giuridico che è comunità: autoproduce e gestisce per sé l’energia, senza scopo di lucro, escludendo così i grandi operatori. Che naturalmente non gradiscono questa “invasione” nel loro terreno di profitti: anche quando si ammantano di green e di sostenibilità hanno come obiettivo quello di massimizzare gli utili vendendo sempre più energia: il che è fisicamente insostenibile, a prescindere dalla natura della fonte che si utilizza.
Le comunità dell’energia
(piccola guida all’autoproduzione)
di Angelo Tartaglia
(pubblicato su italialibera.online il 4 gennaio 2023)
Il tema delle comunità dell’energia e, in particolare, dell’energia rinnovabile (Cer) è oggi di discreta attualità. Vi sono esperienze avviate o in preparazione in diverse parti d’Italia; personalmente ne sto seguendo alcune nel Piemonte occidentale. Conviene chiarire, prima di qualsiasi dettaglio tecnico o amministrativo, quale sia, o dovrebbe essere, l’obiettivo principale di questa formula. La definizione più generale di “comunità dell’energia” è quella di gruppo di utenti finali (famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni, associazioni) che si uniscono per procurarsi da sé, nel territorio in cui operano, l’energia di cui hanno bisogno, usando fonti “rinnovabili” locali.
Questa impostazione corrisponde ad una produzione di energia da impianti (non particolarmente grandi) distribuiti sul territorio, piuttosto che da poche megacentrali, quale che sia la fonte. La logica interna di una comunità non è quella di mercato: i soci si preoccupano di soddisfare, collaborando, il proprio fabbisogno, non di fare utili. Se dunque le Cer (Comunità di energia rinnovabile) prendono piede e si generalizzano, l’autoproduzione diffusa toglie spazio al mercato dell’energia; i grandi operatori debbono così in larga misura riconvertirsi. Questo aspetto della transizione non è particolarmente gradito alle imprese specializzate del settore che, anche quando si ammantano di green e di sostenibilità hanno come obiettivo quello di massimizzare gli utili vendendo sempre più energia: il che è fisicamente insostenibile, a prescindere dalla natura della fonte che si mira ad utilizzare.
Lasciando quanto sopra sullo sfondo, veniamo al punto. Oggi abbiamo una normativa che promuove la costituzione di Cer e altre forme di aggregazione simili, come i gruppi di Autoconsumatori che agiscono collettivamente (Auc) all’interno di uno stesso condominio. È comunque il caso di precisare che per costituire una comunità dell’energia non c’era ne c’è bisogno di una legge ad hoc. In realtà era da sempre possibile costituirsi in una delle varie forme previste dal Codice Civile, solo che poi ci si doveva confrontare coi meccanismi di mercato, senza tutele né incentivi, con un’elevata probabilità di finire “strangolati” dagli operatori maggiori che con offerte ad hoc non ci metterebbero nulla a dividere i volonterosi associati e porre fine ad ogni velleità. Oggi c’è un quadro normativo favorevole promosso da direttive europee (in primo luogo la RedII); da leggi regionali (la prima approvata in Piemonte nell’agosto 2018); dalla legge nazionale 8/2020 nel suo articolo 42bis; dal decreto legislativo D.Lgs 199/2021 che recepisce la RedII, che è stato pubblicato il 15 dicembre 2021 e di cui è imminente la piena operatività (si attende in novembre la pubblicazione di un provvedimento tecnico da parte di Arera; provvedimento che in realtà avrebbe dovuto essere adottato entro la metà di giugno).

In concreto, un gruppo di utenti finali, del tipo già menzionato, dà vita ad un soggetto giuridico (semplice associazione “non riconosciuta”, oppure cooperativa o consorzio). Gli operatori dell’energia sono esclusi perché la comunità, per legge, non deve avere fini di lucro, ma possono legarsi contrattualmente alla Cer per realizzare o gestire per suo conto degli impianti al servizio del gruppo. Un requisito necessario è che tutti i soci siano collegati alla stessa cabina della rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica. In base all’art. 42bis il riferimento è alla cabina secondaria, cioè a un trasformatore da media a bassa tensione: con questo vincolo l’ambito territoriale è piuttosto ristretto di modo che le corrispondenti possibili Cer sono piccole (negli esempi concreti si sta intorno alla decina di contatori). Con la piena funzionalità della nuova normativa (DLgs. 199) si passa alla stessa cabina primaria (trasformatore da alta a media tensione) col che l’ambito territoriale è decisamente più ampio ed in una stessa Cer, se non si considerano le città, possono convergere anche utenze che si trovano materialmente entro i confini di comuni contigui ma diversi.
Un altro vincolo è che il gruppo deve disporre (in proprietà oppure avendolo contrattualmente a disposizione) di almeno un impianto di produzione da rinnovabili “nuovo” cioè allacciato alla rete dopo la data di entrata in vigore della norma (1 marzo 2020 oppure 15 dicembre 2021). Ogni singolo impianto non deve avere una potenza di picco superiore ai 200 kWp (nel caso del 42bis), ma la stessa comunità può avere a disposizione più di un impianto. Col DLgs. 199 il limite superiore sale ad 1 MWp per impianto e inoltre diviene possibile asservire alla comunità anche degli impianti “vecchi” purché la loro potenza non sia più del 30% della potenza complessiva a disposizione della Cer. Soddisfatti questi requisiti e comunicati al Gestore dei Servizi Energetici (Gse) i parametri relativi alla Cer, il Gse leggendo i contatori (oppure usando profili standard di utenza) verifica quando vi è corrispondenza temporale, entro la stessa ora, tra produzione dello o degli impianti della Cer e consumo da parte di qualcuno dei soci e provvede ad accreditare alla Cer stessa: 1) una quota pari a circa 8€/MWh così scambiato, a titolo di rimborso per non aver corrispondentemente gravato sulla rete di distribuzione ad alta tensione; 2) una tariffa incentivante pari a 110€/MWh scambiato. Sta poi alla Cer stabilire come ridistribuire tra i soci questi ristori. Nel caso degli Auc, che si costituiscono non in soggetto giuridico, bensì stipulano e firmano semplicemente una scrittura privata tra di loro, la tariffa incentivante è un poco più bassa: 100€/MWh scambiato. In realtà tutte le cifre che ho menzionato sono quelle dell’art. 42bis oggi ancora vigente, ma il DLgs. 199/2021 prevede che il ministro dello Sviluppo economico, con proprio decreto, provveda ad aggiornarle. Anche in questo caso il decreto attuativo doveva essere emanato entro metà giugno scorso: ora, dopo elezioni politiche e formazione di un nuovo governo, siamo ancora in attesa.
Se la Cer (o l’Auc) si organizza in modo da massimizzare lo scambio ora per ora, cioè la corrispondenza oraria tra produzione e consumo di energia, riesce anche ad ottimizzare il ritorno dell’incentivo. È poi ancora il caso di precisare che i consumi delle utenze elettriche collegate direttamente a valle dell’inverter (il dispositivo che trasforma la corrente da continua ad alternata) ma a monte della connessione in rete dell’impianto (o degli impianti) della Cer, quando soddisfatti dallo stesso impianto, non rientrano in nessuna bolletta e quindi in ogni caso c’è il non trascurabile risparmio derivante dall’uso diretto dell’energia lì prodotta. Questo fa sì che sia comunque conveniente realizzare un nuovo impianto, in quanto i tempi di recupero dell’investimento sono oggi ragionevolmente brevi.
In generale comunque la norma dice che i soci della comunità conservano le loro prerogative di utenti finali. In concreto, ogni socio continua ad acquistare da qualche operatore commerciale l’energia che assorbe e di conseguenza a pagare la bolletta, con annessi oneri di trasporto e di sistema. Senonché, quando il Gse constata che una parte di quell’energia era virtualmente scambiata all’interno della Cer, provvede ad accreditare al gruppo i corrispettivi menzionati prima. Questo particolare doppio regime è visibilmente orientato a tutelare gli operatori commerciali più che i soci della Cer, in quanto procedendo come dice la norma il socio della comunità finisce per pagare a tariffe commerciali anche una quota di energia che il venditore non ha prodotto, salvo a ricevere poi quota parte della tariffa incentivante riconosciuta dal Gse. L’attesa operatività del DLgs. 199 offre però una nuova opportunità riservata agli utenti domestici. Una volta che il Gse avrà misurato l’entità dello scambio, l’utente domestico socio di una comunità potrà optare (a sua discrezione) per lo scorporo in bolletta, potrà cioè chiedere allo stesso Gse di comunicare l’entità dell’energia scambiata al fornitore al dettaglio prescrivendo semplicemente che essa venga tolta dalla bolletta. In questo modo il risparmio per l’utente sarà più consistente (essendo a prezzi di mercato) e verrà anche risparmiato il denaro dell’incentivo che potrà più proficuamente essere destinato ad altre forme di investimento nel campo dell’efficienza energetica e della riconversione ecologica.
Fin qui, per sommi capi, la struttura e i meccanismi previsti per le Cer e gli Auc. Va però anche detto che permangono molti aspetti burocratici e regolamentari che in concreto finiscono per frenare il cammino verso l’autoproduzione e l’autoconsumo energetico di gruppo. In generale, per esempio malgrado il tetto, ora di 200 kWp, presto di 1 MWp, per i nuovi impianti al servizio della Cer permane in apparenza l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Dogane, per ottenerne la licenza di esercizio, per ogni impianto con potenza superiore ai 20 kWp. Un altro punto riguarda una non chiarissima situazione concernente la compatibilità fra il regime degli incentivi per le Cer e quelli per la realizzazione degli impianti al servizio delle Cer. Sul piano materiale, ancora, va detto che la struttura della rete pubblica di distribuzione è sostanzialmente gerarchica e piramidale, quindi poco adatta alla produzione e all’autoconsumo diffusi. Quando poi si passa ai comuni, le incertezze e i dubbi manifestati dalle strutture amministrative si moltiplicano: riguardo alla commistione pubblico-privato, alla modalità di percepimento e erogazione della tariffa incentivante e altro, ostacolando e frenando il ruolo che le pubbliche amministrazioni potrebbero svolgere nel fare da apripista sul cammino delle comunità. A prescindere da tutto ciò, comunque, ritengo che convenga promuovere delle Cer dovunque possibile, perché così facendo si stimola la responsabilizzazione di fronte ai problemi dell’energia e si aiuta lo sviluppo di un approccio di comunità.
Angelo Tartaglia
È ingegnere nucleare e fisico. Già professore di Fisica presso il Politecnico di Torino, è attualmente membro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. Si occupa di impatto delle attività umane sull’ambiente, di effetto serra e di perturbazioni dell’atmosfera generate da immissioni di gas.
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