Le cose si muovono

In tempi brevi si sono succedute una quantità di vicende che hanno scioccato la generazione da sacrificare, affinché i nascituri trovino la realtà apparecchiata dal maître di sala e la scambino per la sola cosa che possa esserci. Ma non tutto è perduto. Non per infantile ottimismo, ma perché le cose si muovono.

Le cose si muovono
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt 1 maggio 2022)

Il ’68|77 era stato mordace. C’erano più che promesse. Ma nessuno ne parlava. Erano nella carne e nei sentimenti, erano in realizzazione. Non c’era necessità di dichiararle. Tutti erano sul pezzo. A sentire oggi le canzoni di certi cantautori, pare di ascoltare la colonna sonora di un percorso coerente, in cui attori e comparse erano espressioni di un solo spirito. La trama era nota. La destinazione, anche.

Ma si trattava di un inconsapevole fermo immagine. Le cose si muovono. Le Brigate rosse e anche quelle nere non riuscirono ad impedirlo.

Seguirono, infatti, nientepopodimeno che l’edonismo reaganiano, la Milano da bere e l’affermazione della cultura dell’individualismo: in un colpo solo, l’affermazione del neoliberismo. Investire in borsa era diventato pop. E chi non ne sapeva nulla non era invitato alle feste, dove le strisce di cocaina marcavano il campo di quelli al passo coi tempi.

Chi era stato mordace gradualmente apriva il pugno per afferrare le briciole di opulenza che cadevano dal tavolo dove banchettavano le stelle del momento e dove c’erano anche le strisce. Sotto l’egida dell’esigenza di sopravvivenza, il pugno divenne mano aperta, strumento ideale per arraffare l’arraffabile. Seguì, infatti, Mani Pulite. E poi anche Bossi, la cui idea di lasciare l’Italia, per quanto solo dettata da ragioni economiche, aveva moventi che oggi anche gli extra-padani possono riconoscere nel loro significato profondo.

Ma la via era aperta. La globalizzazione proclamava dividendi mai visti prima. Se si potesse darle una psicologia e una fisionomia, si potrebbe dire che i porta a porta la vendevano con la garanzia di una nuova età dell’oro. Cos’altro sarebbe servito per soddisfare le fameliche fauci degli uomini satanizzati dal dio denaro?

In coerenza con lo spirito del globalismo, si avviò la messa in vendita dell’Italia? Il fatto che proprio a noi toccasse fare i portabandiera europei delle sovranità d’ordine vario aveva certo a che fare con la cospicua quantità di basi americane qui residenti e con la centralità italiana nel Mediterraneo, la terra più prossima all’Africa e al Medio oriente. A loro volta, dentro il progetto di mantenimento egemonico americano del mondo. Il globalismo annunciato come facilitazione commerciale e unificazione di forze era un cavallo di Troia, dal quale, al momento giusto, sarebbero sbarcate armi e truppe.

Si era all’epoca in cui quelli dei palazzi vantavano un’economia nazionale da primi della classe globale. Chi avrebbe potuto mai farli desistere dalla corsa alla globalizzazione, dall’essere parte della squadra che, come da pronostico, certamente avrebbe vinto tutti i campionati del mondo da allora in poi? Le incertezze russe e cinesi non si erano ancora affacciate e neppure quelle islamiste. Anche se questa non è che una leggenda popolare, sotto la quale è facile trovare il tessuto intriso di progetto egemonico americano. Quelli, sembrano cialtroni in ritardo, ma sono sempre almeno una mossa avanti.

Alle privatizzazioni corrispondeva una riduzione di investimenti strutturali e culturali. Come in Afghanistan, il servizio era garantito a chi pagava. Gli altri, sssst! In coda. Il solo faro considerato dall’ammiragliato di stato era quello che puntava al mondo. Sotto, sulle rocce dalle quali si ergeva la torre di luce, era buio, sempre più intensamente popolato da naufraghi sociali in lotta tra loro per un posto asciutto.

Gli stessi della nuova età dell’oro si trovarono a disquisire sulla migliore modalità di applicazione del nuovo ordine mondiale e, perciò, a delineare le sorti di noi tutti sul panfilo Britannia. Non è escluso se estesero l’invito anche a dei fuoricatalogo della crème dell’economia e della finanza. Del resto, conoscere il nemico è meglio che non sapere chi sia e come pensi. Non serviva Clausewitz, bastava l’arboresco filosofo Catalano. Ma, a bocce ferme, anche questa versione dei fatti ha la foggia della leggenda. In realtà Grillo, che era in grado di controllare un crescente malcontento – presente o no sulla motonave regale – fu utilizzato per fare in modo che quel dominio restasse sotto il controllo del progetto in corso. Un intento tale per cui la popolazione, da detentrice della democrazia e dello stato, sarebbe stata esclusa a suon di assegni di cittadinanza e trasformata in massa ondivaga, da controllare appunto. Sennò come si spiega Di Maio Ministro degli esteri?

La parabola dei 5Stelle alla quale abbiamo avuto la sorte di assistere era dunque stata concepita tra le onde tirreniche? Il fervore del cosiddetto populismo, fomentato dalla critica alla politica e alla democrazia parlamentare, dalla messa in prima fila dei temi ambientali e in ultima di quelli militari e anche da qualche accenno di critica al materialismo, generò la diffusa emozione della partecipazione alla vita sociale. I cani, in numero crescente andati sciolti da Berlinguer in qua, erano stati radunati in un unico punto, attirati dall’osso della sfiducia nelle istituzioni e dalla polpa della fine degli schieramenti ideologici. Dopo decenni di mortificazione a più livelli, non si poteva chiedere niente di meglio per ritrovarsi di nuovo nel branco a godere della cagnara.

La demonizzazione piddina nei confronti del nuovo movimento fu istantanea. Come erano tutti fascisti quelli che non si adeguavano alla sua becera e monopolistica narrazione, così tutti quei cosi (1), prima gialli e poi giallo-verdi, erano diventati “populisti”, termine che, guarda a caso, affiancato a titoli dispregiativi, divenne a sua volta declassatore, squalificatore, eccetera. Come in Afghanistan i pashtun non possono concepire di non essere loro a guidare il paese, così qui, i piddini non hanno altro che la ghigliottina per ogni pensiero che non si confaccia al loro gradimento. No-vax e pro-Putin seguirono lo schema. Un fatto di misera dialettica politica al quale si era abituati, che però scendeva da una cupola culturale, sulla quale voler discutere era essere fascisti.

L’entusiasmo di chi non ne poteva più delle élite e del loro gergo angloamericano, a sua volta svendita della cultura nostrana, comportò una partecipazione elettorale degna dei trascorsi anni ’70. Per inciso, gergo angloamericano per il quale, più che di svendita, si trattava di rinnegazione del linguaggio materno. Un fatto risibile per chi voleva e vuole stare in sella al cavallo atlantico.

Ma le cose si muovono. La parabola dei 5Stelle perse sostegno e precipitò tra gli scranni dell’emiciclo, ai quali si serrarono a mezzo di tradimenti ripetuti nei confronti degli elettori e di prostrazioni, altrettanto ripetute, nei confronti della politica globalista, materialista, atlantista. Le cose si sono mosse così tanto che ora non contano più niente, salvo che per qualche personale opportunismo. Forse gli storici, dopo profondi studi e ricerche, potranno confermare quanto il banale empirismo ha osservato: nessuno aveva mai tradito come e quanto hanno fatto i 5Stelle. Un dato di fatto che, anestetizzati dal pelo della macina del Transatlantico, neppure ritengono li riguardi. Il secondo mandato non glielo toglie nessuno e cambiare casacca è ormai mossa ordinaria. Come le meretrici, lo fanno per mangiare.

Evidentemente avevano imparato bene dai maestri di tradimento piddini che, con un salto temporale più ampio, senza dire un cazzo, hanno lasciato lo spirito d’origine per saltare nel cavallo troiano di chi conta. Dove ovviamente non c’è posto per tutti quelli che gli avevano dato retta. I lavoratori avevano perso il padre e gli individui avevano trovato una balia giuridica e robotica. Il discorso non è innocuo. Stiamo correndo il rischio di una conversione imposta alla nuova religione asessuante, salvapunti e verde. Con tanto di decalogo: Non avrai altra religione fuori di me, Non lamentare la condizione sociale invano, Ricordati di partecipare alle riunioni, Onora il partito e il governo, Non protestare, Non commettere atti antigovernativi, Goditi in pieno il reddito di cittadinanza, Ripeti pedestremente le istruzioni ricevute, Adoperati per scalzare il posto di altri, Non desiderare oltre il concesso.

Di tutti gli altri schieramenti politici, non c’è niente da segnalare, se non qualche dichiarazione che nulla toglie alla loro navigazione al seguito della corrente atlantica.

Sempre per il famoso detto catalano, le cose si muovono e, alla mercifica parabola che tutto ha trascinato con sé, v’è da aggiungere l’informazione. Se il governo del cambiamento, se l’auto-autorevole voce che dice fascisti a tutti perché altre idee non ha, sono esempi cristallini della pochezza, ciò che hanno saputo dimostrare i media d’informazione ha del sorprendente. Che dire dei governo-collusi che per denaro fotocopiano veline, invece di denunciare per tentata corruzione i latori degli oboli di Stato a loro riservati? Oboli sbalzellati dal nostro portafoglio. Ho consultato la Treccani e i miei amici eruditi. Ho chiesto loro un aggettivo che radunasse la vigliaccheria, la sottomissione, la menzogna, l’affiliazione, gli interessi personali e il tradimento. Mi hanno risposto “inventalo”. Mediatricio può andare? Cesserei almeno di chiamarli veri esperti della comunicazione come amano auto-definirsi per differenziarsi da tutti gli altri, ovvero dai “miserabili del web”, come un noto su citato direttore di venduta testata ha definito chi lo smascherava nelle sue menzogne da otto colonne.

Le cose si muovono e quello che c’era non c’è più. Non ci sono più il genere sessuale, la famiglia, l’identità nazionale, la sovranità nazionale, quella monetaria, l’indipendenza politica, la cultura nel solco della grandezza passata sfregiata in consumo. Perfino dire cieco, frocio e ciao bella è fascismo. Fino a quando non ci toglierà punti fare l’albero di Natale? Non c’è più niente del terreno sul quale siamo cresciuti. Un fatto normale per chi crede che solo il cavallo alato garantirà di condurlo verso la nuova età dell’oro. Un fatto esiziale per chi è in grado di vedere cosa significhi buttare via il bambino con l’acqua sporca. Lo spirito pesa più della pietra.

Ma le cose si muovono. Dalle macerie cultural-socio-politiche tra le quali complottiamo, emerge rafforzata l’idea che per lungo tempo, in particolare dall’epoca covid – quello che se ti ammali muori e se non muori ci pensiamo noi con l’ossigeno o la vigile attesa –, girovagava triste, consapevole di non essere stata ancora all’altezza di radunare la moltitudine di popolo che non voleva stare ai diktat governativi. L’unione delle forze era anelata. Era un’esigenza diffusa, veniva citata da più parti con desiderio e impotenza, ma la capacità di compierla è ancora da dimostrare. Tuttavia, quel germoglio si sta facendo foglia e le fronde si sono intanto moltiplicate.

Nota
(1) – Massimo Giannini scrisse un pezzo: “La minaccia della Cosa gialloverde” (la Repubblica, 17 maggio 2018). L’intento dispregiativo, la scelta di sottrarre dignità politica alla nuova formazione governativa non erano dissimili da quanto sta facendo ora in merito alla vicenda Russo-Nato e, precedentemente, a quella Covid-filogovernativa.

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Le cose si muovono ultima modifica: 2022-05-22T04:47:00+02:00 da GognaBlog

52 pensieri su “Le cose si muovono”

  1. Il post sulle zecche ha fatto danni e portato a doppi sensi che mi paiono non rimediabili. 

  2. Beccatevi anche questa “Fiera di san Lazzaro”, a opera del duo Francesco Guccini e Andrea Mingardi.
    https://youtu.be/CVquiINN0gU
     
    P.S. Alessandro, perdona il fuori tema. Gustati pure tu un po’ di allegria fra tante tristezze dei tempi moderni e fatti quattro sane risate. La traduzione è “allegata” alla musica, ma se servono chiarimenti io sono qui. 😂😂😂

  3. Questa avrebbe dovuto essere presentata in occasione di qualche dibattito serioso su inquinamento e progresso malefico, ma ve la propongo qui perché fa il paio con la precedente.
    https://youtu.be/ubRsA0cw7oU
     
    P.S. Sono disponibile per traduzioni.
    Castelfranco Emilia, mio paese natale, ora si trova in provincia di Modena ma fino al 1929 era bolognese: il Duce cosí decise. Il dialetto locale è misto, ma molto piú simile a quello di Bologna.

  4. @40
    Pasini, grazie per l’augurio e buone ferie anche a te.
     
    Il soggetto della frase di Vasco me lo ricordavo diverso, ma forse la memoria mi fa difetto 🙂
     
    I Bolognesi sono buffi: al citofono ti chiedono di “dargli il tiro” anche se non fanno uso di sostanze da fumo, e quando il negoziante gli chiede se hanno bisogno d’altro, rispondono “altro” per dire che hanno finito la spesa.
    Per non parlare del loro intercalare preferito, il mitico “soc’mel”, che mettono dappertutto senza pensarci troppo: per il bolognese l’irrisione nei confronti dei tabù e del politicamente corretto è un atteggiamento istintivo.

  5. Chiuso per Ferie. (Precisazione entomologica da dilettante: i Fasci sono Tafani, ben altro rostro doloroso, le Zecche sono Tafani “aspirazionali” si direbbe oggi, hanno una brutta fama ed effettivamente danno ogni tanto un po’ fastidio ma in fondo, tranne una infima minoranza, non fanno del male a nessuno, sono parte integrante del pacchetto “bosco”). I shall return. 

  6. Arioti. Anto’ tengo caldo 😀  ! (Hai presente lo Spot? ). Un saluto anche a te. Ad maiora.

  7. Almeno ci sei arrivato. Dire “Fascista” rende ridicoli. Fai tu con “zecca”.
    Una vita di superficie.

  8. Ma voi siete fuori! Uno commenta alle 00:13, un altro alle 6:54 e un altro ancora alle 7:44. Questa è dipendenza pura! Meritevole di psicoterapia disintossicante 🙂

  9. Caro Balsamo (per le punture di zecca).  Penso tu abbia ragione. Il nostro parassita di elezione esprime probabilmente il nostro lato ombra, il nostro Mister Hyde. Direbbe uno junghiano 😀 io devo avere un lato oscuro Zecca, ma anche Vipera (Viperetta dai, non esageriamo) perché fin da bambino ne incontro un sacco e “apparentemente” le trovo orribili nella loro inquietante eleganza.,In realtà…. Ora mi prendo un periodo di ferie per tornare in settembre con forze rinnovate per la nuova stagione della Serie, qui su T&T TV. Ti auguro un’estate “gloriosa”. E viva la Zecca come dice il Vate di Zocca, o forse sbaglio la citazione dall’ultimo megaconcerto? Mi sono permesso il dotto e raffinato  riferimento, politicamente scorretto in linea con le indicazioni di Ridolfi tanto apprezzate dagli alternativi, perché mi sembra tu appartenga al popolo ER, popolo che io ritengo una razza (pagana) eletta, dopo aver passato due anni a Bologna im epoca di specializzazione post-laurea). In ogni caso, cerea (come ho chiarito a Bertoncelli, formula sabauda che esprime familiarità rispettosa verso l’interlocutore). 

  10. @35 & 37
    Pasini, grazie per il link. Interessante e appropriato.
     
    Evidentemente le zecche non mi trovano soggetto degno d’interesse, finora ne ho prese soltanto due.
    Invece mi prodigano di ben più attenzioni le zanzare.
    A ciascuno il suo parassita! 🙂
     
    Tuttavia, essere parassitati non è detto che vada percepita come cosa negativa di per sè.
    Possiamo anche vederla come una forma di relazione simbiontica e occasione di evoluzione personale (o …di una risata 🙂 ).
    Altrimenti ci sono sempre le pinzette (o la ciabatta).

  11. Trovarsi vecchi e scoprire d’essersi concentrati sul niente. Opera tua. 

  12. Le zecche. Le zecche sono ovunque e non mollano mai 😀 Ma ce ne siamo fatta una ragione e non ci arrabbiamo più. Non sono così tossiche. Poverelle. Vivono del nostro sangue. Sono anche loro parte della grande Madre Natura e hanno diritto ad un loro spazio (senza esagere però, neh). Lunga vita alla Zecca. Nel caso, usare la pinzetta.

  13. Balsamo. Uela! Dici che avremo una stagione estiva della saga “Gogna Wars”  con il cast abituale e magari l’intervento o il ritorno di qualche “special guest”?Non sarebbe utile un periodo di ferie estive per far riposare il pubblico e riprendere con rinnovata lena in settembre? Io non amo linkare, ma faccio un’eccezione estiva  perché ti percepisco come intellettualmente curioso e attento ai dettagli, oltre che compagno di disgrazia, perché condivido con te una forma cronica e ormai irreversibile di scientismo, dalla quale ho cercato di liberarmi invano con sostanze psicotrope che invece hanno avuto effetti prodigiosi su tante persone che conosco. La categoria  “paranoia” è un po’ in disuso. Così mi dicono. Oggi è compresa dentro una famiglia più generale chiamata “delusional disorder” (disturbo delirante).  In sostanza la profonda, intima e radicata convinzione in idee non provate e dichiaratamente false. La potenza di questa convinzione ha un impatto emotivo profondo sugli altri e un effetto prodigioso di influenza e di proselitismo. Infatti è di solito una patologia dei capi di sette di vario genere. Si tratta di una patologia che nei casi meno gravi e ben compensati non impedisce un funzionanento efficace dell’individuo in altri campi della vita sociale e può convivere con comportamenti “normali” esternamente. Buona lettura e buona estate. Stammi bene.
    https://my.clevelandclinic.org/health/diseases/9599-delusional-disorder

  14. Analizzalo tu e manda il referto ai capi di stato e governo di oltre tre quarti del mondo. Saranno felici di essere illuminati e di andare a braccetto della Nato.
    Dice nuovamente quello che ha sempre detto, da prima del 2014. E lo dice in cossesso nuovo che senza il tentativo di sopprimerlo non avrebbe potuto esistere.
    Se riesci (forse) trova il vero pazzo.

  15. Tra pazzo e paranoico c’è un mare.
    Analizza senza pregiudizi il suo discorso e te ne renderai conto (forse 🙂 ).

  16. Purtroppo è così. E un pazzo – come detto – con le “sue paranoie”.
    CVD

  17. Dubito che proiettare sugli altri le proprie paranoie possa essere di qualche utilità per superarle.
    Ma finchè troverà qualcuno (ancora) disposto a credere alla sua propaganda, è ovvio che continuerà a farla.

  18. Di Natale. Ognuno ha le sue esperienze. Io ho notato nella vita e nel lavoro che tutti, piccoli e grandi, eroi e codardi, aspiranti santi e merde umane, uomini di potere e ultime ruote del carro  hanno il bisogno di raccontare a se stessi e agli altri una qualche storia (uno schema, un’idea, un modello) per giustificare, comprendere, dare un senso al loro comportamento. Quelle che tu chiami “pippe filosofiche”. Possono essere semplici o complesse ma pochi riescono a farne a meno, compresi quelli che comandano. Difficile che uno dica semplicemente: si, mi comporto come una merda, sono violento, avido, arrogante ho un ego smisurato etc (oppure anche la versione “positiva” della virtù) non so bene perché, forse casualmente, ma mi sta bene così e zitti tutti. Succede ma raramente. “Io so io e voi non siete una c..zzo” lo diceva il Marchese del Grillo di Sordi, ma era un film. Nella realtà il Marchese avrebbe probabilmente fatto un discorso più articolato a se stesso e agli altri, magari sul ruolo della nobiltà, sul governo dei migliori etc…e non solo per ipocrisia. Finzione certo, ma finzione necessaria per vivere. Guarda anche qui. I racconti su cose montagnarde sono sempre “storie” personali o collettive. Grondano di “umanità”. Non sono relazioni tecniche, solo sul chiodo, il passaggio, la staffa….anche quelle che lo sembrano di più. Poi di nuovo, le “visioni” come le chiama Gogna possono essere elementari o sofisticate. Ma è quello che ci attira, ci commuove, ci fa sognare o irritare,  altrimenti dopo qualche riga ci addormenteremmo. Siamo sempre uomini, tutti, anche i caporali. Buona domenica.

  19. Come spesso accade Pasini non ci capiamo…io la vedo come il replicante da quando sono ragazzo, ma più invecchio e più maturi la convinzione che chi ha meno scrupoli arriva al comando e non gli frega un cazzo della di tutti i tuoi ragionamenti filosofici, almeno che non ne abbia un tornaconto.
    Poi ognuno cerca un suo senso nella vita…c’ é chi crede in un Dio cosí come descritto in libro scritti da uomini….

  20. Roberto, le parole del replicante in punto di morte hanno marchiato a fuoco la mia mente.
    “Ma tutti quei momenti finiranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.”
    … … …
    Già da allora, nonostante la giovane età, sensibilissimo a questi temi, io mi porterò quella frase nel cervello finché campo. Tempus fugit, vita brevis.

  21. Bertoncelli. È inevitabile. Tutti, o quasi, diventiamo alla fine come il replicante di Blade Runner nella scena della colomba. Apprezziamo non solo la nostra vita ma la Vita in generale e ci poniamo delle domande sugli “sprechi” e sui “prezzi” che un tempo ci sembravano accettabili, anche in montagna, tema spesso rimosso nella comunità montagnarda, soprattutto nelle fasi “testosteroniche”.  Saluti.

  22. Ebbene – incredibile ma vero (sto scherzando!) – io oggi concordo in toto col buon Pasini. Da vecchio saggio qual è, ci dispensa la sua saggezza e noi dobbiamo solo meditarci sopra: uccidere un innocente è una porcheria, la guerra è una porcheria.
     
    Però, purtroppo, quasi sempre tutti noi del popolo valiamo quanto il due di coppe quando briscola è denari.

  23. Non è un caso che violenti e guerrafondai cerchino di far sparire volti, identità e storie delle vittime. Sanno bene che la maggior parte degli uomini è dotata di empatia e che il dolore provocato da morti evitabili di altri esseri umani può diventare un serio ostacolo ai loro progetti. Farli diventare dei puri numeri, come nelle cronache di guerra, riduce l’impatto emotivo e li rende più “accettabili”. 

  24. Di Natale. Pensala come vuoi. I morti ammazzati con le armi da fuoco, in casa, in guerra, a scuola, per la strada non sono seghe mentali. Sono tanti, ogni giorno, anche qui da noi, tragici destini spezzati, uno per uno, almeno una parte dei quali potrebbe essere evitata. Sbatterli in faccia con durezza a chi li considera dei numeri, a volte “danni collaterali” accettabili, è un comportamento che merita rispetto. Anche così si costruisce un mondo migliore.

  25. Mario. Non tutti i pesci abboccano cosi’ facilmente come tu pensi. Soprattutto se hanno visto nel corso del tempo molte esche, alcune anche molto sofisticate e hanno avuto dolorose esperienze in proposito. Io apprezzo comunque un professionista che chiede all’interlocutore di metterci la faccia in modo diretto, senza sconti.  Io penso che la trasparenza sia un valore da presidiare per un minimo di decenza nella vita sociale, magari anche usando il proprio nome e cognome in un blog e gestendone le conseguenze, come qui fanno molti. 

  26. Di Natale. Il tema è sempre quello della responsabilità individuale, del metterci la faccia e del gestirne le conseguenze.  E del bilanciamento sempre complesso tra responsabilità personali e responsabilità verso la società e la comunità di cui si è parte. Un tema difficile che si ripropone costantemente di fronte agli eventi importanti, individuali e collettivi,  che sta sotto tante discussioni ricorrenti anche su questo blog e non solo riferite a temi politici e sociali ma anche a temi montagnardi che vanno al di là di alcune futilità, peraltro sempre divertenti, di diatribe interne alla parrochia o alla parrocchietta. 

  27. 14@Matteo, possiamo andare a scalare e trovare un giorno  molto lungo e penoso, poi possiamo scrivere che e’ stata una bella giornata di liberta’ e divertimento. Non mentiremmo. Le parole addomesticano il vero, e testate  di lungo corso come il Nyt o  the Guardian od il Corriere trovano sempre una maniera convincente  per  mimetizzare quello che sono, servi prezzolati , mi dirai tu di chi\cosa  . Quanto citato da Pasini ( ed il suo  candido abboccare all’amo del ‘grande giornalismo’ ) ne e’ un esempio.  🙂

  28. Di Natale. Soesso paga o costringe gli specchi a rimandargli un’immagine accettabile per lui. Ci sono anche specchi che lo fanno senza neppure essere pagati o costretti. Però non sempre riesce a comprarli tutti e un po’ di scelta c’è, non ovunque. Le scelte sono legate agli orientamenti dei consumatori,  non tanto dai soldi, perché l’abbonamento al NYT costa meno di quello alla Gazzetta di Vattelapesca nel Texas. 

  29. Mario, non riesco a capire cosa vuoi dire con: “Esempio di come le chiacchiere ‘democratiche’  possono torcere la verita’.”
     
    Me la spieghi?

  30. Pasini  mi piacerebbe che le cose stessero come dici tu.
    Secondo me chi gestisce il potere negli specchi ha messo dei bei filtri, in modo da vedere sempre riflessa l’immagine che più gli aggrada.
    Da sempre.

  31. Mario. Miseria e nobilta.  Appunto. Le responsabilità delle scelte editoriali sono sempre individuali. Vale per tutti quelli che fanno informazione. Anche nei social. 

  32. PS. Contemporaneamente il NYT pubblica il ritratto e un sinterico profilo dei 19 bambini e delle due maestre. Freddo, duro e senza retorica: sogni e futuro infranti. Un pugno. Perché i morti si pesano, uno per uno, e non si contano. Come in guerra, e a chi governa andrebbe ricordato da chi fa informazione ogni giorno, perché comunque anche chi gestisce il potere alla mattina si guarda allo specchio, magari dopo aver letto il giornale. 

  33. Pasini, gli elettori delle contee rurali non leggono il NYT, leggono la Laramie Gazette ed hanno un fucile nella rastrelliera del pick up, piu’ in genere un coltellaccio nella cintola.. Esempio di come le chiacchiere ‘democratiche’  possono torcere la verita’.. Amen 

  34. Miseria e Nobiltà. Barbarie violenta e rigore quacchero (come disse Freud). Il New York Times ha chiesto, uno per uno, ai 50 senatori repubblicani se sono disponibili a votare due provvedimenti di legge su limitazioni al possesso e acquisto di armi da guerra che i democratici vogliono accelerare dopo l’ennesima strage. L’edizione di oggi riporta le risposte di tutti. Nome e cognome, fotografia e contributi ricevuti dalla American Rifle Association. Così si fa: di fronte a questioni cruciali un buon giornalismo chiede alle persone, una per una e non al partito, di metterci la faccia e assumersi la responsabilità individuale chiarendo le proprie motivazioni e da dove vengono i contributi ricevuti e a quanto ammontano. Contemporaneamente: la stragrande maggioranza non ha nessuna intenzione di votarli perché li ritiene una limitazione al diritto costituzionale di possedere armi. Un certo numero fa una patetica melina italiana. Almeno le cose sono chiare, spiattellate in prima pagina sul più importante quotidiano del mondo e di fronte ai propri elettori magari di una piccola contea di qualche stato rurale. 

  35. Le peggiori di tutte: genitore 1 e genitore 2, anziché madre e padre, mamma e papà.
    Qui siamo già sconfinati nella demenza.

  36. A proposito del linguaggio politicamente corretto, ricordo che fu il maestro delle scuole elementari a insegnarmi la parola negro. Cosí tutti dicevano a quei tempi, senza alcun intento dispregiativo; cosí sono cresciuto anch’io.
    Possiedo la raccolta completa di tutti gli scritti di Primo Levi, che non può certo essere accusato di razzismo. Ebbene, lui usò quella parola almeno fino al 1982.
    Sennonché, a metà degli anni Settanta qualche “anima bella” aveva sentenziato che essa era razzista e quindi da bandire. E con ciò costoro rivelarono la loro ignoranza, credendo che negro fosse il traducente dell’inglese nigger, questo sí carico di disprezzo e da censurare.
    Quindi io, assieme a decine di milioni di italiani, dovrei rinnegare il mio italiano perché qualche ignorante cosí pretende? Manco morto! Per di piú al posto di negro è stato coniato il termine di colore, quanto mai ridicolo e ipocrita. Almeno si dica nero, nettamente preferibile.
    Altri vocaboli nati da menti malate sono: non vedente, anziché cieco; operatore ecologico, anziché netturbino; non promosso, anziché bocciato. Per chiudere in bellezza con quel capolavoro di idiozia che è diversamente abile. Se io fossi disabile, mi sentirei preso brutalmente per i fondelli a sentirmi chiamare in quel modo.
     
    Ragazzi, queste non sono affatto questioni politiche! Qui non stiamo parlando dellarlecchino di memoria fascista. Usiamo le parole della nostra bella lingua col loro significato, senza paura.
     
    https://www.repubblica.it/cultura/2021/10/31/news/politicamente_corretto_le_cinque_varianti_delle_parole-324526175/

  37. L’America come male assoluto laddove prima stava l’Unione Sovietica e poi timidamente faceva capolino la Cina. Ma noi rimaniamo i seguaci fedeli del vero autentico fascismo dei nostri tempi, il vessilo a stelle e strisce  a ombreggiarci  la strada  e la mente. E’ la storia si dira’— e’ la  misera storia del declino di una civilta’ che continua a precipitare , direi. Non vedo foglia che possa muoversi finche’ non arriveremo alla sollevazione degli ultimi, uno per uno..e quanto ci vorra’ non so, semmai. 

  38. La storia dipende da noi?
    Constatiamo oggi gli effetti delle scelte politiche di ieri.
    Non si tratta si non riconoscere la Storia, si tratta di assumersene la responsabilità.
    O anche Pasolino era solo un frocio?

  39. “Non ci sono più il genere sessuale, la famiglia, l’identità nazionale, la sovranità nazionale, quella monetaria, l’indipendenza politica, la cultura nel solco della grandezza passata sfregiata in consumo. Perfino dire cieco, frocio e ciao bella è fascismo. Fino a quando non ci toglierà punti fare l’albero di Natale? Non c’è più niente del terreno sul quale siamo cresciuti.”
    Questi sono secondo Lorenzo gli effetti del complotto mondiale, da lui qui delineato nella sua salsa italiana. Quarant’anni di mutamenti profondissimi, certo, ma i mutamenti del passato erano buonissimi evidentemnte, mentre questi quarant’anni di mutamenti sono il male incarnato.
    Si chiama Storia con la S maiuscola, o più semplicemente Vita. Panta Rei diceva quel tal greco, e quelle cose lì, Storia o più semplicemente Vita, non ci chiedono se i mutamenti sono a noi graditi, o no. Càpita.

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