Le cosiddette Alpi del Sole

Le cosiddette Alpi del Sole

Le Dolomiti hanno visto nascere la mia passione per la montagna: le salivo come solo i camosci fanno, scoprendo in una decina di estati come quella fosse la mia dimensione. Ma sono state le Alpi Marittime a vedermi muovere i primi passi da alpinista, quell’uomo cioè che non sale in alto solo per istinto ma persegue un disegno di ricerca e di conoscenza.

Liguri e Marittime sono montagne assai strane. Non potrebbero essere più diverse tra loro, il geologo vede subito che le prime sono in maggioranza calcaree, un biancore che cela gli oscuri abissi di migliaia di grotte, mentre nelle seconde ha preponderanza il fulvo gneiss. Ma c’è un elemento che le accomuna, impalpabilmente emozionale: l’atmosfera che ne pervade le valli, quindi anche i paesi, per poi salire in alto e occupare sia i versanti in ombra che quelli solatii con la stessa sensazione malinconica.

Massiccio dell’Argentera, versante ovest

Stiamo parlando di sensazioni, non di bellezza. Il bello e il sublime sono ovunque l’uomo voglia trovarli: ciò che mi preme dire è che il bello non è necessariamente solare. Anche il cupo può essere ineffabilmente estetico.

Ebbene, le montagne delle Alpi Liguri e Marittime, al pari delle lontanissime Giulie, esprimono la bellezza dell’autunno anche quando ci sono i primi bucaneve, anche quando splende un nitido solleone, perfino quando piove o nevica. Colori, temperature, forme e dimensioni perdono le loro preziosità di giudizio per lasciare luogo all’emozione di un ritrovarsi in un preciso momento della propria vita, quell’ora che appunto siamo soliti chiamare “malinconica”, quando ci raccogliamo in meditazione divisi tra i ricordi del passato e un presente che nulla chiede di più oltre a se stesso.

Andare in gita in queste valli, raggiungere queste cime, lottare sulle pareti o divertirsi sulle arrampicate moderne sono azioni che qui hanno in comune una precisa modalità, anche se non conscia o conclamata. Per tutti è così. E i racconti che seguono alle avventure hanno la stessa tonalità, anche le quattro chiacchiere con i contadini o i montanari del posto, perfino i personaggi che ne hanno fatta grande la storia alpinistica sono continuamente illuminati dalla luce dell’autunno.

Eppure queste montagne sono state chiamate le Alpi del Sole, con riferimento al fatto che sono le più meridionali di tutto il lunghissimo arco alpino. Io le avrei chiamate le Alpi dell’Autunno, con riferimento all’esplosione di colori, ma anche alla leggerezza con cui le foglie cadono a terra e alla serena attesa del lungo inverno.

Avete mai provato a risalire interamente una qualsiasi valle delle Alpi del Sole? Le quattro stagioni si avvicendano, cambiano i colori, le forme, le dimensioni. Costante è solo una vaga sensazione di malinconia, in un modo d’essere che va ben oltre il fastidio o il piacere, la felicità o la tristezza.

Giugno, valle Gesso. Lasciamo l’automobile alla fine della strada. L’afa pomeridiana ci appesantisce; la camicia si appiccica sulle spalle sudata, ci dà fastidio la costrizione di calze e calzature. Un ronzio insistente d’insetti, un frinire di cicale, campanacci in lontananza: forse vengono da quel “gias”, laggiù, basso, largo, sporco.

Camoscio nei pressi del Rifugio Questa, Parco Naturale dell’Argentera, Alpi Marittime. Foto: Federico Raiser.

Ci aspettano due ore di cammino per arrivare al rifugio. Di solito mi adat­to sempre malvolentieri alle sfacchinate, ma oggi, per quanto lo condizioni climatiche non siano del tutto riposanti, oggi, è con piacere che salgo su questo sentiero, ormai fuori dai pini; mentre appoggio ora l’uno ora l’altro degli scarponcini sui sassi lisci che ingombrano il cammino, mi sento leggero.

Quanti colori intorno! Ci sono veramente tutti, e il cielo è azzurro. Ci circonda una natura viva, al culmine del suo splendore: l’erba, verde e cosparsa di fiori; il torrente, grosso e spumoso di neve sciolta. La sgargiante t-shirt del mio compagno, il suo zaino, giallo. Ecco il colori del supermercato, i colori umani. Né l’industria né l’arte potranno mai creare un insieme così armonico, come invece la natura ha potuto in queste valli.

Ma guardiamo bene, cerchiamo di vivere una volta, almeno una volta sola. Lasciamo stare un istante i nostri progetti, i ricordi, i sentimenti, le scorie culturali, gli interessi. Basta comportarci da gitanti! Basta con l’alpinismo. Basta con la geologia, la botanica; lasciamoci sorreggere da immagini e suoni, da forme e colori. “Sentiamo” questa natura!

Vedi quelle rocce? Non dar loro alcun nome, non classificarle. Che t’importa, per un attimo solo… Vedi come sono brune, vestite di lichene? E quel pendio scosceso, sopra a noi. Guarda come sono scheletriti gli alberi, secchi, come è giallastra quell’erba, ispida, pungente.

No, aspetta, ancora un poco. Prova a mischiarti a quelle erbe, a quelle gramigne, che fasciano i piedi delle rocce. Senti che profumo diverso, con che cortese freddezza ti accolgono. Si sono accorte di te, che le osservi. Forse questa natura non è poi così fredda, forse è solo dimessa. E ora guarda ancora in su, in giù, ai lati. E chiudi gli occhi. Cosa ti è rimasto, ora che hai chiuso le luci? Non ti sembra di vedere una diapositiva a colori, forse un po’ smorti, perché timidi, ma belli, di un’eleganza riservata? E ora guarda te stesso, prova a capire se ti hanno regalato qualcosa. Non sei un po’ malinconico? Non sei pieno d’amore per questo incantesimo, non senti in fondo al cuore come una forte nostalgia, un attaccamento particolare a questa terra, umile, povera, severa?

Il Corno Stella e il versante occidentale del Monte Argentera, Alpi Marittime. Foto: Nanni Villani.

Ora vai pure al rifugio, fai pure una bella cena, e domani divertiti sulla via che hai scelto. Ritorna domani sera, stanco, con l’unica voglia di un bel gelato. Non importa se domani sera non sentirai più niente. Avrai tempo per vivere ancora ciò che hai già vissuto. Te ne ricorderai nelle occasioni più impensate, raramente nei momenti di gioia, più spesso quan­do lo sconforto ti prende alla gola. Allora soltanto ti meraviglierai di aver trovato una natura amica.

Novembre, ancora valle Gesso. Scendiamo ancora dall’auto, e questa volta fa freddo. Abbandonate le ultime case entriamo nel bosco. L’autunno trasforma queste montagne, le rende ineguagliabili. Un’esplosione violenta di rosso, di giallo… E’ l’essenza, il tripudio della malinconia.

I piemontesi sono gente pratica. Il ligure traffica e commercia, il piemontese lavora sodo e produce. Differenze di carattere e di formazione. Abitudini. Non preoccupatevi. Non voglio iniziare argomenti che esulano: molto semplicemente, quando devo occuparmi di come sono di­versi gli uomini uno dall’altro, mi rifaccio a quelli che più conosco, e cioè agli alpinisti.

Un numero enorme di piemontesi va in montagna (Il CAI è nato a Torino, il CAAI pure) e tutti hanno una fondamentale caratteristica: sono particolarmente avversi a ogni forma di esibizionismo e reclamizzazione. In loro non c’è mai stata alcuna mentalità da élite. Sono uomini che agiscono egregiamente e senza chiasso: ma soprattutto sono le montagne che salgono a non sopportare certi spettacoli. Sono montagne malinconiche. Grandi imprese si compiono, lotte terribili a volte. Quasi sempre l’uomo vince; a volte torna indietro in un sacco; allora le Alpi del Sole si trasformano e sembra che piangano un amico scomparso.

Ma sono le montagne alla fine che fanno gli uomini, dunque l’esame storico deve spaziare sui nomi dei protagonisti a prescindere dalla loro provenienza: francesi, liguri, cuneesi, monregalesi, liguri. Uomini come Emilio Questa, Lorenzo Bozano, Victor de Cessole, Bruno Salesi, Gianni Ellena, Matteo Campia, Giovanni Guderzo, Jean Plent, Sandro Comino, Carlo Aureli, Michel Dufranc, Jean Gounand ma anche i ben più moderni Andrea Parodi, Fulvio Scotto, Gianni Comino, Sandro Nebiolo, Enrico Manna, Giovanni Badino, Cesare e Vincenzo Ravaschietto, Manlio Motto e Patrick Berhault, seppero tenere fede a quanto quelle montagne gli hanno sempre suggerito. E ho nominato solo una piccola parte di coloro che avrei potuto e dovuto nominare.

Ricordo il giorno in cui feci la prima di tante ascensioni con Gian Piero Motti. Ancora stanco per una difficile ascensione nei giorni precedenti, lo seguivo un po’ automaticamente. E lui mi guidava all’attacco, di una via che lui co­nosceva a memoria. Ricordo con quanta precisione, senza annoiarmi, mi raccontava ciò che era successo su quella parete affocata.

Lo lascio fare. Con sicurezza, con movimenti lenti e misurati, sale il primo passaggio obliquo, difficilissimo. Poi tocca a me. Ora la parete si abbatte, prima di ricominciare ad essere verticale e strapiombante. Camminiamo, con la corda in mano, attorno a noi fischiano alcuni sassi. Sì, Gian Piero, sono anch’io emozionato nel vivere in questo mondo di rocce così diverse.

Ricordi la discesa, interminabile, su sfasciumi titanici, nel caldo più soffocante, senza un filo d’acqua? Io, stanco morto, e tu, in for­ma, a correre verso la valle. I pini arsi, le colate di pietra, visioni da socchiudere gli occhi, il pediluvio nel torrente. Ritornati a Torino, in quel pomeriggio afoso e grigiastro, mi hai fatto girare la tua città e il Monte dei Cappuccini. Ed io continua­vo ad ascoltare ciò che dicevi, ma nuotavamo assieme nell’acqua delle emozioni delle Alpi del Sole.

E’ qualche anno che non ho più il piacere di tornarci. Però mi sembra di vederle, le pareti. Le vedo vivere, e con loro le montagne che le cir­condano, le valli, le nevi, le pietraie. E i loro uomini.

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Le cosiddette Alpi del Sole ultima modifica: 2019-10-28T05:23:09+01:00 da GognaBlog

6 pensieri su “Le cosiddette Alpi del Sole”

  1. Ognuno ha il suo punto di partenza per la passione.Lo chiamano”imprinting”, ti marchia a vita.Pero’ partendo da centro  Predazzo…intorno con un raggio di massimo 3 decine di chilometri, si trovano rocce diverse, ( da graniti, porfidi, dolomite ,  sedimentarie ,calcare..lave..)e quindi diversi paesaggi e  terreni di arrampicata o solo escursioni  In Autostop, moto, pullman o auto propria,all’incrementarsi del soldo in tasca,  chi si annoia puo’ variare.

  2. Seduto al sole di una ormai lontana primavera, con il mio amico Stefano Debenedetti dopo una ripida scialpinistica, prendevo, fortemente istigato da lui, la decisione di dedicare tutta la mia vita all’alpinismo facendo, tra l’altro, la guida alpina lasciando per sempre la città.  Come non ricordare, grazie alle atmosfere risvegliate da questo racconto, quei bei momenti al Gias delle Mosche?

  3. Gogna Blog, mi imbarazzate. L’ho scritto di getto sballottato dal treno. Comunque sì, ho cose fatte come si deve, ma sono un piccolo alpinista come tanti. Non so quanto possano valere per altri i miei chiacchiericci montanari.

  4. Paolo, complimenti… Questo si chiama scrivere!!

    (Non è che hai a disposizione qualcosa del genere, ma più “sviluppato”?)

  5. Trasportato dalle belle parole di questo articolo, su un treno che attraversa una nebbiosa pianura emiliana, ancora immersa nell’oscurità, mi permetto di ricordare…
    Era il dicembre di quel 1984, della grande neve che sarebbe venuta poco dopo. Ma le Marche erano già imbiancate e accompagnati mio cugino ad Amatrice, allora allegra e vitale. Ricorderò per sempre una grande luna piena, sopra cime innevate che risplendevano nella stessa oscurità che mi circonda ora.
    Stefano Ardito, in una vecchia guida dedicata a quelle montagne, diceva che gli alpinisti erano soliti etichettare con “ah, quelle, no non sono niente, quella è la Laga”.
    Quante avventure, quanta profonda unione, quanto silenzio, quanti colori mi scaldano il cuore quando, come ora, viaggio nella nebbia e nel buio.
    So che in questo momento, il vento soffia forte, prima dell’alba. Le foglie sono ormai colorate e pronte a ricoprire il terriccio argilloso, bagnato, freddo. I picchi tondeggianti, già ricoperti dalla prima neve, attendono di accendersi quando il sole sorgerà dal mare poco lontano. Intorno, il rumore ovattato di cento ruscelli e cascate, sembra un canto remoto che si confonderà presto con i suoni del giorno.
    Ma sempre, guardandomi intorno durante i tramonti o prima di un’alba, mi fa fremere il ricordo di un mondo scuro, privo di luci umane, anche lontane.
    A giorni di cammino dal più vicino paese, la Natura è signora di quell’infinito nulla, che per me è sempre stato e sarà tutto.

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