Le montagne non ricrescono
a cura di Collettivo Athamanta
Athamanta è il nome di un fiore endemico delle Alpi Apuane, la cui sopravvivenza è messa in pericolo dall’attività di estrazione del marmo, che sta inesorabilmente distruggendo queste meravigliose montagne. Da alcuni anni, abbiamo scelto proprio il suo nome per rappresentare il nostro percorso contro l’estrattivismo locale, le cui famose cave di Carrara sono sempre più sinonimo di devastazione ambientale. Nonostante le Alpi Apuane siano considerate un “unicum non riproducibile di eccezionale valore paesaggistico riconosciuto tale a livello internazionale”, ogni anno vengono estratte milioni di tonnellate di materiale marmifero, il ché significa milioni di tonnellate di montagna che spariscono per sempre. Per chi le sa guardare, ogni mattina le montagne cambiano, non sono mai quelle del giorno precedente, mancano dei pezzi, e questo fa male. Il caso delle Alpi Apuane è riconosciuto come uno dei più grandi disastri ambientali europei, ma di tutto questo nessuno parla, nascondendosi dietro la retorica del valore culturale e artistico del marmo (la verità è che meno dell’1% del materiale estratto viene destinato all’arte). Noi scegliamo di smascherare questa narrazione, chiamando l’estrattivismo con il suo vero nome: devastazione. Con le nostre azioni sul territorio, rivendichiamo la necessità di decostruire la percezione di un paesaggio che ormai è esclusivamente una zona estrattiva, per promuovere invece una relazione intima con la montagna. E così come il fiore Athamanta continua a crescere e resistere nel suo ambiente, sentiamo il bisogno di riappropriarci dei nostri spazi. Per questo nasce A•traverso, una pratica collettiva di attraversamento della montagna con cui, mettendo in gioco i nostri corpi, Athamanta vive e si prende cura di un territorio devastato dall’escavazione, unendo escursioni a momenti di riflessione sulla montagna, sulla sua accessibilità e sulla sua salvaguardia.
È la mattina del 23 aprile 2023, e proprio in occasione di un’escursione di A•traverso riceviamo diverse comunicazioni intimidatorie da parte di Henraux, azienda di estrazione e lavorazione del marmo che lavora alcune cave sul monte Altissimo, la quale ci diffida a “stazionare in aree estrattive senza autorizzazione al di fuori dei sentieri di fruizione collettiva” e, in generale, a non violare la sua “proprietà privata”. Considerando la gravità dell’accaduto e della messa in discussione della possibilità di attraversamento della montagna, decidiamo comunque di effettuare l’escursione, avendo cura di mettere in atto quanto possibile affinché fosse accessibile e sicura per tutti i partecipanti. L’uscita si è svolta, infatti, proprio lungo il tratto di sentiero CAI 31 che dal Castellaccio conduce al picco di Falcovaia, da cui poi siamo tornati al punto di partenza percorrendo il sentiero CAI 142, che attraversa l’area estrattiva di Fondone. Vale la pena menzionare il fatto che il sentiero CAI 31 è una storica via di comunicazione tra la costa versiliese e le valli garfagnine e che proprio l’attività di estrazione della ditta Henraux nell’area delle Cervaiole, sull’ex picco di Falcovaia, ne rende impossibile la percorrenza integrale, poiché un taglio di cava ne ha mangiato un tratto.
Arriva il giorno dell’escursione. Quasi increduli, troviamo le forze dell’ordine ad attenderci all’imbocco del tratto di sentiero che avevamo scelto di percorrere. Da lì a poco ci sembra di essere in una vera e propria distopia, immersi nel contesto lunare che circonda il sentiero 31. Nonostante l’intimidazione, scegliamo di proseguire dopo aver affisso uno striscione all’accesso sbarrato del sentiero, con la scritta: “le industrie parlano di proprietà, le montagne sono della collettività”. Nel tratto tra Fondone e Picco di Falcovaia, veniamo seguiti dai fuoristrada della polizia e dei carabinieri, accompagnati dai mezzi di Henraux. Ma non finisce qui: poco più avanti, troviamo anche il tratto di sentiero che dà accesso al Picco di Falcovaia, una delle vette “capitozzate” delle Apuane, sbarrato da alcuni blocchi movimentati per l’occasione e da una volante della polizia. Ci ritroviamo, insomma, di fronte a un vero e proprio illecito (l’impedimento di accesso ad una cima) legittimato dalla presenza della polizia, mentre noi – un gruppo di escursionisti – veniamo rappresentati come dei potenziali criminali.
Questa è una di quelle situazioni assurde a cui la realtà apuana ci ha abituati. In Apuane, infatti, così come su molti territori montani, si combatte quotidianamente contro il concetto stesso di privatizzazione e di proprietà individuale a favore del più antico tema delle proprietà collettive. E questo è un momento in cui il dibattito sulla proprietà della montagna rivendicata da Henraux – e quindi anche sulla possibilità di “fruizione collettiva” delle aree di montagna occupate da aree estrattive – è nel vivo della discussione. Ricordiamo che la sentenza n. 39 – 8/07/2020 emessa dal Commissario agli Usi Civici di Roma ha definito come la gran parte dei territori dichiarati di proprietà da Henraux sul monte Altissimo fossero in realtà appartenenti al demanio civico e pertanto di “fruizione collettiva”. Su gran parte della proprietà rivendicata da Henraux sono infatti in atto dei controlli, sia da parte di associazioni e comitati sia da parte dei tribunali sugli usi civici, per definire quali proprietà, e a quale titolo, siano attribuibili all’azienda. Eppure, pochi giorni dopo, con trionfale annuncio del sindaco di Seravezza, si è dato il via libera al processo di accordo che legittimerebbe la proprietà privata rivendicata da Henraux anche su quelle zone che la sentenza n. 39 – 8/07/2020 definisce al momento parte del demanio civico. Durante il consiglio comunale in cui si è deliberata tale decisione, svoltosi online per “ragioni di ordine pubblico”, un folto gruppo di comitati, associazioni ecologiste e comuni cittadini si è riunito sotto il comune (emblematicamente) chiuso.
Da questo episodio passano alcuni mesi, e si arriva a metà settembre 2023. Come Athamanta, scegliamo di annunciare una nuova escursione di A•traverso: questa volta il tragitto prescelto è un anello che, a partire da Foce di Pianza alle pendici del Monte Sagro, si sviluppa lungo un versante del Monte Borla per poi tagliare verso i famosi “pratoni” di Campocecina e concludere il ritorno. Un’attraversata dal forte valore simbolico. Ci troviamo infatti esattamente sopra a Carrara, il centro gravitazionale dell’estrattivismo apuano: da qui viene circa l’80% del materiale estratto in tutta la catena montuosa, il numero di cave attive è nell’ordine delle centinaia e l’identificazione del territorio con il settore estrattivo è profonda.
Come nel mese di aprile, annunciamo questa escursione perché il primo tratto percorre il martoriato sentiero 174 che attraversa le cave del Monte Borla, di proprietà della ditta Walton. Da anni ormai l’espansione di queste cave ha inglobato un tratto del sentiero trasformandolo in strada di cava. Il sentiero è sempre rimasto aperto ed accessibile, anche se spesso i segni CAI venivano occultati, e impedimenti come sbarre o segnali di divieto d’accesso comparivano qua e là. Negli ultimi mesi, tuttavia, la ditta Walton ha iniziato a fare pressioni per la chiusura del sentiero 174, adducendo motivi di sicurezza. In contemporanea, l’annuncio di autorizzazioni ad espandere l’estrazione in quella zona hanno aperto all’aumento di mezzi pesanti e a un ulteriore aggravarsi dell’impatto ambientale. Eppure, tanto per sottolineare ancora una volta i livelli di assurdità, il luogo di cui stiamo parlando, in cui coesistono svariate cave e il sentiero 174, si trova all’interno del Parco Regionale delle Alpi Apuane, in zona di protezione speciale B. Proprio così: in Apuane le cave sono anche dentro il parco. Ce ne sono a decine, ma questa è un’altra storia, quella delle convergenze tra industria estrattiva e politica a cui siamo tristemente abituati.
Oggi però siamo in tanti. Di fronte all’annuncio del rischio di chiusura del 174 si desta grande attenzione: la comunità degli escursionisti e appassionati di montagna si indigna, nel CAI locale nasce un intenso dibattito sul da farsi. E proprio in questo contesto lanciamo pubblicamente, per domenica 1 ottobre 2023, l’escursione. Ma ecco che, sfruttando l’ultimo momento buono, la sera di venerdì 29 settembre 2023, esce la notizia: il sindaco di Fivizzano, comune su cui ricade il sentiero, emana un’ordinanza di chiusura immediata del 174 per motivi di sicurezza. Così, tutto d’un tratto, senza attendere nemmeno l’ipotetica variante al sentiero di cui si stava già discutendo pubblicamente. La questione viene chiusa in fretta e furia, proprio in tempo per minacciare la nostra escursione. Un caso fortuito, chiaramente…
L’indignazione si moltiplica. La mattina dell’1 ottobre 2023 sono decine e decine di persone a rispondere al nostro appello e a ritrovarsi a Foce di Pianza, pronte per una semplice escursione collettiva su un sentiero segnato, all’interno del parco regionale. E visto che in Apuane nulla va mai come dovrebbe, ci ritroviamo per la seconda volta in sei mesi di fronte ad una sbarra chiusa e due macchine delle forze dell’ordine ad accogliere un’escursione e a presidiare un sentiero. Di fronte a questo ennesimo atteggiamento prevaricatore, non potevamo far altro che procedere pacificamente oltre quella sbarra su quello che fino a 36 ore prima era un sentiero, il quale dal giorno alla notte si è trasformato in una mera strada di cava, accessibile ai soli addetti ai lavori.
Ancora una volta si manifesta pubblica indignazione, la stampa dà risalto alla notizia, le associazioni del territorio manifestano solidarietà e rabbia, e il sindaco è costretto a rispondere ai cronisti nascondendosi dietro a questioni di pubblica sicurezza, mentre la Walton tace.
Ma perché scegliamo di raccontare queste storie? Purtroppo, stiamo assistendo a un cambio di prospettiva nella gestione del territorio, e questi due esempi lo raccontano in modo drammatico. Se Carrara e le Apuane sono forse il più emblematico caso di estrattivismo classico in Italia, ciò che ancora pareva lontano era l’elemento militare di questo modello di sfruttamento del territorio che vediamo applicato nei quattro angoli del pianeta. Siamo chiaramente distanti da quel che avviene nelle frontiere estrattive latino americane o africane, dove estrattivismo significa anche costante violenza armata contro le comunità in lotta per la difesa della terra, e dove essere attivista spesso significa firmare la propria condanna a morte. Siamo molto distanti da questo e ci auguriamo che mai si possa presentare qui una situazione del genere, almeno quanto ci auguriamo che smetta laddove esiste.
Eppure, ci domandiamo anche qui quale sia il limite da raggiungere prima che l’indignazione si trasformi in una forza capace di invertire la rotta su queste montagne. Da decenni, ormai, i padroni delle cave (così si fanno chiamare gli imprenditori del settore) fanno il bello e il cattivo tempo nelle terre alte. Sbarre e segnali di divieto del tutto illegittimi compaiono come funghi, mostrando un atteggiamento di superiorità che riduce la montagna a spazio industriale e privatizzato. Spesso capita di camminare in vere discariche dell’archeologia industriale: macchinari di grande taglia abbandonati da decenni, accompagnati da scarti inquinanti lasciati a degradarsi all’aria aperta dentro il perimetro di un parco regionale. “Le Apuane come il Far West”, capita sempre più spesso di sentir dire; e in effetti è difficile trovare equivalenti contemporanei vicini nei quali sia allo stesso tempo così evidente e così impunito un reiterato atteggiamento criminale che pesa sulle spalle di tutti.
A questo, si aggiunge l’ancor più evidente distruzione massiva delle montagne stesse, i cui numeri di estrazione sono anno dopo anno sempre più impressionanti. Il più importante bacino idrico del centro Italia viene martoriato e smembrato con costanza, le vie carsiche dell’acqua distrutte e otturate dalla marmettola prodotta dal taglio, il sistema linfatico da cui dipendono interi territori costantemente ridimensionato proprio nel mezzo di una crisi climatica che si traduce, soprattutto per il nostro paese, in reiterate siccità estreme. E tutto questo per cosa? Per l’arte, l’estetica e per i grandi monumenti? Non proprio. Sono ormai decenni che circa l’80% del materiale estratto viene polverizzato e ridotto in carbonato di calcio. Una materia prima – di cui il marmo di Carrara è quasi esclusivamente composto – dai mille utilizzi e gestita come un oligopolio da una multinazionale svizzera, Omya SPA, e da Kerakoll S.p.A.
Del 20% che rimane, invece, la stragrande maggioranza del marmo prende immediatamente il largo in forma di blocchi grezzi destinati ai mercati esteri, Arabia Saudita su tutti (ricordiamo che la famiglia Bin Laden è proprietaria dal 2014 del 50% della Marmi Carrara, una delle più importanti aziende del settore) per finire nei mercati del lusso in giro per il mondo. Mentre del famoso marmo bianco di Carrara, in arte, finisce meno dell’1%.
E per quanto riguarda il lavoro? “Vabbè, ma almeno dà occupazione alle persone”, ci dicono e si pensa. Ma anche in questo caso, la narrazione è falsa. Grazie all’automazione dell’estrazione si è passati in un solo secolo da oltre ventimila cavatori a circa seicento, e la filiera locale è stata al contempo quasi completamente distrutta dalla tendenza all’esportazione incontrollata. Si pensi che in soli 40 anni si è estratto più marmo dei precedenti duemila grazie agli avanzamenti tecnologici. Insomma, facendo una semplice equazione si scopre il significato della parola “estrattivismo”: l’esponenziale guadagno di pochi, rispetto ai molteplici danni e ai costi sociali, economici e ambientali di tutti.
Per queste ragioni, abbiamo sentito la necessità di aprire uno spazio di confronto ampio in questi ultimi mesi e a seguito di questi gravi episodi. Nasce così la “Assemblea per l’accesso alla montagna” in cui si sono riuniti svariati movimenti locali, comitati, associazioni e la totalità delle sezioni dei CAI apuani. Dall’aprile scorso ci siamo incontrati con costanza per tenere vivo un confronto ormai non più rimandabile. Da questo confronto è nata l’esigenza di costruire un momento di mobilitazione nazionale, il 16 dicembre 2023 a Carrara, che finalmente accenda un faro su questo territorio martoriato. Con lo svilupparsi di questo confronto ci siamo però resi conto che le Apuane non erano soltanto un drastico esempio di attacco alla montagna ma un vero e proprio emblema. L’estrattivismo come modello di governo del territorio e delle popolazioni, qui è una triste e consolidata realtà ma sempre più diventa anche l’esempio a cui rifarsi nel progettare il futuro di molti altri territori montani.
La nuova corsa alle materie prime, così presente oggi anche in Europa, andrà a incidere maggiormente proprio sulle montagne. E’ infatti in questi territori che si concentra la stragrande maggioranza delle materie prime critiche e strategiche di cui c’è sempre più fame. Non si tratta però solo delle tante, vecchie o nuove, miniere che intaccheranno le montagne a preoccuparci: si moltiplicano gli attacchi alla montagna in ogni dove, dalle grandi opere inutili e dannose ai mega eventi insostenibili come le prossime Olimpiadi Invernali Milano-Cortina, dal turismo di massa alle speculazioni di ogni forma e colore.
Le montagne si presentano oggi come frontiera della vita, dalle cui risorse tutti dipendiamo, e come nuova frontiera speculativa: difenderle è anche difendere noi stesse e il nostro futuro.
Per questo la mobilitazione nazionale lanciata a Carrara per il 16 dicembre 2023 rappresenta non solo un’occasione per esprimere solidarietà verso il territorio apuano, ma anche e soprattutto per aprire un fronte ampio di difesa delle montagne e dei territori.
“Le montagne non ricrescono. Fermiamo l’estrattivismo, in Apuane e ovunque”. Così recita la chiamata per il 16 dicembre 2023 e in questo spirito facciamo appello a tutte e tutti per la partecipazione.
Presto lanceremo per il giorno successivo, domenica 17 dicembre, una giornata di tavoli tematici, gruppi di lavoro e workshop a titolo “Il futuro delle montagne”. Per questa occasione invitiamo le tante differenti realtà italiane che si occupano di montagna a inviarci proposte di gruppi di lavoro e temi d’indagine su cui verterà la giornata. Ci occuperemo di accogliere ed ordinare le varie proposte, così che quella possa essere l’occasione per tanti territori di incontrarsi, raccontarsi e organizzarsi.
Si apre così la nostra scommessa: le Apuane, montagne dimenticate e irripetibili, chiamano a raccolta le loro tante sorelle sparse per l’Italia. Da questo incontro molto può nascere e per scoprirlo non v’è altro da fare che esserci. Quella delle Apuane è la storia di tutte e tutti.
Per conoscere tutti i dettagli di questi due giorni di iniziative è da poco online il sito www.16dicembrecarrara.it, il profilo IG @16dicembrecarrara, l’evento FB https://www.facebook.com/events/361223386408549
Per leggere l’appello completo e inviare adesioni: https://16dicembrecarrara.it/appello-16-dicembre/
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Una giornata di tavoli tematici, gruppi di lavoro e workshop. Per immaginare e costruire insieme un futuro desiderabile per i territori montani.
17 dicembre 2023 – Il futuro delle montagne
a cura di Collettivo Athamanta
Il 17 dicembre 2023, a seguito della manifestazione a tutela delle Alpi Apuane e contro l’attacco alle montagne, desideriamo costruire una giornata di confronto animata da una pluralità di soggetti e realtà.
L’idea generale è quella di costruire una serie di momenti orizzontali, in forma di tavole rotonde, gruppi di lavoro e workshop, dove fotografare il presente dei territori montani e immaginarne insieme il futuro.
Mentre il convegno del 16 dicembre 2023 sarà un momento informativo e frontale, incentrato principalmente sull’estrattivismo apuano, la giornata del 17 vorrebbe essere un’occasione per accogliere contributi e confrontarsi attivamente.
E’ per noi importante che questa occasione non serva semplicemente a manifestare solidarietà al caso apuano, quanto a cogliere gli elementi emblematici che esso offre. L’estrattivismo qui ha forgiato un intero territorio, costruito un’identità collettiva, spossessato comunità e condannato al dissesto economico, ecologico e sociale la popolazione e l’ecosistema. Tutto questo garantendosi un sostegno diffuso attraverso la costruzione di mitologie socialmente imposte e beneficenza al ribasso.
Siamo però ben coscienti che le montagne tutte sono al centro di una spirale speculativa che non farà altro che intensificarsi: la corsa alle materie prime di cui le montagne sono ricche, l’acqua che da esse sgorga e che ormai è ridotta a commodity finanziaria, i vecchi modelli di turismo massivo oggi del tutto insostenibili, le grandi opere, i grandi eventi e lo sviluppo delle reti logistiche che sempre più le colpiscono.
Le montagne al tempo della crisi climatica si presentano contemporaneamente come terra di conquista e come frontiera della vita da cui tutti dipendiamo.
Crediamo che il tempo sia maturo affinché le montagne si sollevino, si confrontino e si interconnettano per comprendere come difendere se stesse e la vita tutta.
Lanciamo dunque un appello all’impegno collettivo e alla disponibilità al confronto che l’urgenza e la gravità della situazione ci richiede.
Ci appelliamo alle tante realtà che si occupano di montagna, che la vivono, che la raccontano e che la curano, per aiutarci a costruire insieme questa giornata di confronto il cui fine non è la sintesi tra posizioni diverse ma la fotografia dello stato di cose attuali.
Vorremmo provare a rispondere insieme a domande cruciali quali: come stanno le montagne? Quali minacce gravano su di esse? Quali esperienze organizzative sono nate per difenderle? Quali economie non estrattive è necessario immaginare per questi luoghi?
Ci immaginiamo che di questo confronto possa e debba rimanere traccia e che questo racconto collettivo possa divenire una delle basi su cui aprire una riflessione ampia sul futuro delle montagne e della collettività.
Proposta di metodo per la costruzione del 17 dicembre 2023
Il metodo organizzativo che proponiamo è quello della pianificazione partecipata. Il nostro ruolo principale sarà quello di apertura dello spazio di confronto e di gestione logistica della giornata. Ci faremo carico di coordinare uno o più tavoli ma vorremmo lasciare voce alle proposte di quante più realtà possibili.
Identificheremo, più sotto in questo documento, alcuni macrotemi di partenza all’interno dei quali proporre tavoli/gruppi/workshop, da considerarsi una mera suggestione: sappiamo che sono molte le persone e le realtà che da lungo tempo lavorano e si interrogano su questi temi e non abbiamo in alcun modo la presunzione di poterne offrire una mappatura risolutiva.
Fase 1
Elaborazione, invio e raccolta delle proposte. (Scadenza 1 dicembre 2023)
In questa fase vi chiediamo di elaborare e inviarci proposte che comprendano una descrizione dei contenuti, delle modalità, delle esigenze logistiche e delle eventuali preferenze di orario per lo svolgimento dell’incontro, specificandone la durata prevista.
Chiediamo di assumersi la responsabilità di coordinare e moderare il tavolo proposto, nonché di garantire la produzione di un report scritto o un contenuto multimediale di restituzione del confronto.
Sappiamo bene che i tempi sono stretti e la scommessa ambiziosa. Nonostante ciò, crediamo che sia possibile e desiderabile sperimentare forme di organizzazione orizzontale e decentrata. Affinché questo sia possibile vi chiediamo di inviarci la proposta quanto prima.
Fase 2
Mappatura delle proposte ed eventuali accorpamenti. (1-10 dicembre 2023)
In questa seconda fase ci faremo carico di sistematizzare le proposte pervenute e proporre eventuali accorpamenti laddove due o più proposte fossero intersecabili. In questo caso suggeriremo ai soggetti proponenti di confrontarsi tra loro per accordarsi sulla moderazione condivisa dell’incontro, lo svolgimento e la restituzione finale.
Fase 3
calendarizzazione della giornata e disposizione negli spazi a disposizione. (10 – 16 dicembre 2023)
Nell’ultima settimana porteremo a termine la definizione degli slot orari per i vari gruppi e la relativa disposizione in uno degli spazi del centro città.
Fase 4
Svolgimento degli incontri
Gli incontri si svolgeranno nell’arco dell’intera giornata di domenica 17 dicembre. Contiamo di avere a disposizione per quell’occasione diversi spazi
cittadini utili a raccogliere un buon numero di persone, per quanto lo spazio non sia illimitato né i mezzi infiniti. Laddove esistano particolari esigenze logistiche (ad esempio dispositivi elettronici audio/video) si invita a dare il maggior apporto possibile in termini di autonomia. Questo è un evento autogestito, a renderlo possibile è lo sforzo collettivo e chiediamo di fare il possibile per esserne parte.
Alcune suggestioni tematiche
Proponiamo qui alcuni macro temi all’interno dei quali sviluppare proposte di tavoli. Queste sono da considerarsi suggestioni non vincolanti, restiamo apertissimə a ricevere proposte ulteriori che risultino inerenti alla giornata.
- La condizione in cui versano le montagne: proposte di mappatura delle aggressioni alla montagna, analisi di situazioni locali o complessive
- Le lotte nate nei territori montani
- Strumenti di monitoraggio dal basso: citizen science, monitoraggio autogestito, mappature, osservazione partecipata, conricerca di comunità
- Abitare i territori montani: la questione dello spopolamento, esperimenti di ripopolamento dei territori montani, economie rigenerative e autoproduzioni, reti mutualistiche territoriali
- Montagne e nuova corsa alle materie prime
- Montagne e questione dell’acqua
- Montagne al tempo della crisi climatica: ghiacciai che si sciolgono, gli impatti degli eventi metereologici estremi
- Pratiche di difesa dei territori
- Usi civici, beni comuni e lotta alla privatizzazione
- Sport e fruizione non impattante
- Cura dei territori montani
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- Approcci teorici e pensiero critico
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Ci sarò, come sono stato a Cortina a protestare contro la pista per il bob. Mentre il governo procede nello smantellare i vincoli normativi nazionali di tutela del territorio le amministrazioni locali si confermano supine asservitrici degli interessi di pochi in spregio a quelli della collettivitá e del banale buon senso. Nella mia Romagna, reduce da un gravissimo episodio alluvionale, la corsa al consumo di suolo sta vedendo un’accelerazione inaudita. Forlí ha appena realizzato un enorme polo commerciale, Forlimpopoli progetta un consumo di suolo di 24 ettari ad uso di un pollificio, a Ravenna si sta cercando di sventare il tentativo di eludere la tutela dell’unico area scampata alla cementificazione selvaggia (Ortazzo e Ortazzino). Occorre dire basta. Bisogna esserci.
Buongiorno a tutti.
Lancio una provocazione.
Ma voi che scrivete, sabato 16 sarete alla manifestazione?
O come spesso accade, sposate il detto “armiamoci e partite”?
Vivo molto lontano dalle Apuane, ma ci sono stato un paio di volte, facendo anche tutta l’Alta Via e, dopo aver letto molto sull’argomento, posso dire di conoscerle abbastanza bene.
Secondo me la partecipazione il 16 dicembre dovrebbe essere un dovere morale per tutti noi, perché non si può fare finta di niente davanti a cotanta nefandezza.
Certo che questo comporta un costo, bisogna sacrificare una preziosa giornata nel periodo dell’anno più denso di impegni, e spendere soldi per gli spostamenti.
Tra andata e ritorno farò, assieme ad altre persone motivate come me, quasi 1000km per partecipare alla manifestazione.
Ma sarà un sacrificio che affronterò con tutto l’entusiasmo di cui dispongo.
Lottiamo per le Apuane, sperando saremo in tanti alla manifestazione.
Trovo buffo che vengano cancellati post che contengono parole pseudoscabrose mentre imperversano post in cui gli estensori teorizzano l’estinzione della specie umana come soluzione ai problemi del pianeta.
Tristezza totale….ricordo da speleo quante minacce ricevevamo dai cavatori…le Apuane sono un paradiso stuprato. Ogni giorno ogni ora. Il popolo che le abita dovrebbe bloccare tutto, non c’è interesse economico che giustifichi una simile violenza. Ribellatevi Apuani e chi potrà vi seguirà, ma se non parte da voi gli altri non potranno combattere le vostre battaglie.
Una schifezza, putroppo questa è la classica dimostrazione che i soldi ( di pochi) valgono molto di più delle esigenze, desideri e proteste di molti.
Avrei un augurio, ma non lo posso dire …
“Hai mai fatto caso che come le lettere del nostro alfabeto anche gli aminoacidi che sono alla base di tutte le forme di vita della terra sono una ventina?”
In effetti non ci avevo mai pensato… però questo non significa necessariamente che anche le parole debbano essere usate a caso come gli amminoacidi!
🙂
In verità un tempo ho pensato che non avrei dovuto scrivere sotto il simpatico effetto di alcool o stupefacenti, poi mi sono accorto che non cambia nulla: il problema sono le infinite possibilità di combinazione delle lettere dell’alfabeto nel formare parole, frasi, periodi etc etc.
Hai mai fatto caso che come le lettere del nostro alfabeto anche gli aminoacidi che sono alla base di tutte le forme di vita della terra sono una ventina?
Ratman, hai cambiato il pusher?
Non c’è nulla di più precario e relativo a chi lo guarda di un “paesaggio”.
Arriviamo in un posto e vediamo il paesaggio attuale: ci piace, non ci piace, ci incanta, ci inquieta, di da pace, ci schifa.
Com’era prima che arrivassimo li non lo sappiamo: ormai ci paice quello e lo fogliamo così.
Sfido tutti a disegnare precisamente tornati a casa il paesaggio alpino che hanno visto nella gita che hanno appena fatto o che vedono tutti i giorni andando a lavorare passando sulla tangenziale di torino.
Il paesaggio, l’apertura infinita dell’orizzonte davanti ai nostri occhi, è una esperienza dello spirito, epr essere aulici, che ha una relazione minima con i dettagli da cui costituito. Quante casette ci sono nel borgo sulla costa della montagna? nessuno lo sa.
Questi sono personaggi che hanno i problemi, seri problemi che riguardano la loro collocazione fisica e spirituale nel mondo. Gente poveracci.
Questa devastazione va fermata.
Ogni volta che guardo le mie montagne provo rabbia e dolore profondo per la distruzione a cui sono sottoposte, tutto a vantaggio del benessere di poche persone.
La bellezza che abbiamo va protetta e salvaguardata per le generazioni future.
Ecco ho ritrovato una parte dello scritto del Sig. Ezio Bonsignore che ci ha definito fanatici.
Ogni volta che vado in Apuane oltre a ristorarmi fisico e mente,mi incazzo.
Se riesco anche se da Bologna cercherò di partecipare
Visto che la famiglia di Bin Laden e altri spianano montagne, chissà quante statue di marmo belle come il David ci saranno in giro per il mondo!
O no?
P.S. Non avevo mai letto di catene montuose devastate per dar lavoro a seicento persone…
Per seimila che si fa? Si spiana l’Himalaya?
Le foto sono impressionanti…rimango veramente senza parole!
Matte
e come non si fa a non essere pessimisti con questi ritmi e quantità di materiale estratto .
Forse ci ripenserebbe a quello che ha scritto,quando ha scritto che non bisogna essere estremisti. Domanda: ma chi estrae in questa maniera distruggendo tutto non è estremista…???
Albe’,
sei il solito pessimista.
ma non ti ricordi che lo coltivano il marmo ?!?!
il tutto per seicento posti di lavoro…e il tutto comprende un’acqua al limite del potabile in tutto il bacino di Massa-Carrara…
Gesù, che roba!
Sarebbe bene che leggesse e guardasse queste foto, forse capirebbe a che livello siamo e che i tempi in cui e stato estratto il blocco del David è roba da preistoria.
Dov’è quello che aveva scritto che con il marmo apuano c’è stato fatto il David…?