Oggi mi sono ricordato un episodio del lontano 1984: a suo tempo mi ero davvero infuriato.
La nostra civiltà sfrutta le altre, questo è un dato di fatto. Che al colonialismo siano seguiti i piani di investimento ed il turismo può essere normale. Ma perché, invece di andare a dipingere per esempio i massi della foresta di Fontainebleu, il pittore Jean Vérame si è recato fino in Marocco per andare a verniciare dodici massi di granito con l’uso di 19 tonnellate di vernice?
Jean Vérame è un artista francese, d’origine belga ma vivente in Francia, nato a Gand (Belgio) il 30 novembre 1939.
Pittore, scultore e anche incisore, dopo i primi lavori tra il 1970 e il 1974 Vérame dipinge un chilometro di pareti, spiagge rocciose e fondali in un fiume delle Cévennes, sia sotto il livello dell’acqua che sopra. Nel 1976 dipinge su due km e mezzo la costa del Désert des Agriates, in Corsica. Dopo altri lavori, dal Texas alla Normandia, nel 1981 va nel Sinai e dipinge dodici zone, ripartite su 80 kmq, nell’altopiano di Hallaoui.
E’ del 1984 il suo “capolavoro” delle Rocce Blu dell’Anti-Atlante.
Quindi riesce a stuprare altri luoghi bellissimi, sulle Alpilles (Saint-Rémy-de-Provence), nel Tibesti. Nel 1995 altra “bravata” artistica: presenta mille bronzi al Musée de l’Homme a Parigi e in seguito, con cinque voli successivi, li lancia dall’aereo e li disperde nelle sabbie del Sahara.
Le Rocce Blu, sparpagliate nel giro di 5 km, sono in pieno terreno montagnoso e arido nel Sud marocchino, circa a 1200 m di altezza, non lontano dalla città di Tafraout, qualche km a sud del piccolo villaggio di d’Ageid Oulad. Una logistica all’altezza del progetto: ci voluti viaggi e viaggi di camion per portare in luogo le 19 tonnellate di vernice!
C’è chi tutti i giorni lotta oscuramente per il rispetto della Natura. Gli indios e i pellerossa ci ricordano che 500 anni fa abbiamo incominciato a massacrare le espressioni naturali e quindi sacre; abbiamo passato anni, noi alpinisti, a discutere sul chiodo più o sul chiodo meno, sullo spit, sulle ferrate, sulle funivie. Da un po’ abbiamo a che fare anche con le costruzioni di grandi architetti. Mi ero dimenticato che abbiamo pure gli episodi “artistici”.
Io avrei tanto desiderato dire a Vérame che la sua mania dell’inutile prima o poi avrebbe dovuto passare per il rispetto dell’inutile, per avere un senso qualsiasi. Vorrei dire ad Alain Le Mouellic che non ne possiamo più di quel genere di espressioni artistiche che per essere tali hanno bisogno di una macchina fotografica che le “immortali” e che i suoi versi poetici mi provocano la nausea. Vorrei dire al fotografo Laurent Leguéré che del suo genere di foto siamo tutti molto stanchi, che voglio vedere com’era Joe Brown in abiti sudici di un mese, o Warren Harding ubbriaco, i ricordi della cresima di René Desmaison e le maestre d’asilo di Adam Ondra.
Ma soprattutto avrei voluto che le istituzioni, le riviste, l’informazione avessero condannato senza mezzi termini quelle orrende immagini di rocce blu, o almeno ne avessero parlato in chiave critica, sulla scia di quell’operazione educativa che da tanti anni viene portata avanti da gente meno desiderosa di apparire.
Nel lontano Marocco abbiamo lasciato insudiciare dei bellissimi massi di granito rosa e qualcuno se ne vanta, accampando ragioni artistiche. E Cathy Leguéré era dispiaciuta a pensare che l’azione eolica prima o poi avrebbe liberato dalla vernice i massi nel deserto: secondo lei per fortuna nel deserto non piove.
Rubando ore al lavoro, rubando soldi al portafoglio, perfino elemosinando il tempo degli amici, giorno per giorno qualcuno lotta per salvare una foresta, una valle, un sentiero, una via alpinistica o una qualunque manifestazione naturale in montagna. In pochi contro il potere, contro l’arroganza, contro la corruzione: per vedere poi che neppure i più accreditati mezzi di comunicazione cedono alla tentazione di far del colore, senza che c’entrino neppure i soldi e il potere.
Ho l’impressione che non via sia più un senso in tutto ciò. Ricordo che mi hanno ferito più le foto delle rocce blu e l’indifferenza che i piloni dell’autostrada della Val d’Aosta, il cui destino è ormai segnato senza rimedio. Mi hanno ferito di più la leggerezza e la banalità della ricerca artistica di Vérame che il disastro delle cave sulle Alpi Apuane. Ora non ci basta più distruggere la roccia per necessità: ora la massacriamo per diletto.
postato il 25 maggio 2014
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Sicuramente è un uomo da curare, non credo si riesca a recuperarlo ma abbiamo il dovere di provarci.
caro Sandro, sono perfettamente d’accordo con te. Andando ad arrampicare nella zona dove vi sono innumerevoli vie, lunghe fino a 800 metri senza un chiodo ne una sosta attrezzata, sono andato a visitare la cosiddetta opera d’arte. con Elisabetta ci è venuto il pensiero che se “l’artista” avesse provato a farlo in Yosemite sicuramente lo avrebbero incarcerato per lungo tempo. Si è permesso l’obbrobio per una sorta di neo colonialismo. Solo da deprecare, certo non da scriverci libri. Un saluto
Giorgio
Mi viene in mente solo una cosa, Jean Verame sei un grandissimo Coglione!!
“persona poco avveduta che non prevede le conseguenze dei propri atti per insufficiente intelligenza”
“Io avrei tanto desiderato dire a Vérame che la sua mania dell’inutile prima o poi avrebbe dovuto passare per il rispetto dell’inutile, per avere un senso qualsiasi. Vorrei dire ad Alain Le Mouellic che non ne possiamo più di quel genere di espressioni artistiche che per essere tali hanno bisogno di una macchina fotografica che le “immortali” e che i suoi versi poetici mi provocano la nausea.”
E DIGLIELO… !!!
Io lo farei senza mezzi termini se ne avessi l’indirizzo…
La sindrome da immuno deficienza cerebrale nel frattempo, come immagino ben saprai, si è trasferita anche sulle Dolomiti dove, non so se gli stessi “acefali” di cui racconti le gesta “epiche” o qualche emulo ha colorato anni fa dei grandi massi sul Sass de Stria in Falzarego… la Stria (strega) probabilmente è in ferie o visti i tempi ha cambiato mestiere e non li ha presi/o a calci sull’appartato gengivale ma basta una parola della signora e credo molti potrebbero sopperire a questa carenza…
Ricordo anni addietro il caso di Cattelan (a Milano appese ad un albero tre finti bambini impiccati, sembravano veri): per lui ed altri sarà arte, io piuttosto pensai che qualche passante – magari di quelli anziani, che di cose simili ne avevano viste davvero – si sarebbe potuto spaventare, anche se solo per poco; oppure penso ai residenti nei dintorni di piazze pubbliche, ove altri fanno concerti, magnano e bevono, anche se in ipotesi lì qualcuno non vorrebbe sentire, non ha motivi di allegrezza, sta male.
Il fatto è che impongono, e non è che non chiedono il permesso, è che non gliene importa.