Le vette inviolate

Lo scalatore figlio di Reinhold racconta a La Stampa la prima ascensione dello Yernamandu Kangri, in Karakorum, compiuta a luglio 2023 in stile alpino con Martin Sieberer. “Tremila metri di scalata in tre giorni”.

Le vette inviolate
(sono l’odierno senso dell’alpinismo per Simon Messner)
di Enrico Martinet
(pubblicato su lastampa.it/montagna il 19 agosto 2023)

Un cuoco, un gallo, un paio di galline, due alpinisti e un leopardo delle nevi. Tutto in una notte: il leopardo, sorpreso troppo tardi dal cuoco svegliato dal trambusto, se ne va con il gallo nelle fauci, gli alpinisti hanno il tempo di vederlo in fuga e sparire nel buio. E’ accaduto in Pakistan. I due alpinisti, Simon Messner, figlio di Reinhold, e l’austriaco Martin Sieberer, erano al campo base alle spalle del Masherbrum 7821 m, punta acuminata affacciata sul Baltoro, il ghiacciaio chilometrico che sale fino al K2. Sopra di loro la montagna che hanno come obiettivo, lo Yernamandu Kangri, inviolata dall’altitudine incerta, fra i 7163 e i 7180 m. Nessuno ha mai raggiunto la sua vetta e pochi l’hanno tentata. Nel 1981 il tedesco Volker Stallbohm e il pakistano Abdul Karim arrivarono fino ai 6800 metri del colle che separa il Masherbrum, che ha fama di montagna impossibile, e lo Yernamandu Kangri. Distano un chilometro l’uno dall’altro. Simon e Martin sono arrivati in cima, scalando la montagna sconosciuta e inviolata. «Soddisfazione immensa, finalmente in cima a un Settemila e per di più mai salito», dice Messner che è atleta Salewa.

15 luglio 2023: Simon Messner e Martin Sieberer in vetta allo Yernamandu Kangri 7180 m, in Pakistan

Tremila metri di scalata in tre giorni, forzando il proprio fisico, superando un dislivello doppio del normale su queste montagne. Tre anche i bivacchi, due a salire e uno a scendere. E tre erano i giorni della finestra di bel tempo che hanno avuto a disposizione. Stile alpino e più leggeri possibile, zaini con lo stretto necessario e neanche una corda, soltanto dieci metri di cordino per superare con più sicurezza i crepacci. Un viaggio nel bianco di ghiacciai gonfi di neve, irti di seracchi.

Simon, eravate ispirati da…
«Avventura, esplorazione e rispetto per la montagna».

Perché proprio lì?
«Avevamo in testa di andare in Karakorum per esplorare una delle montagne mai salite. Forse ci sono stati due tentativi allo Yernamandu Kangri, anche una cordata inglese oltre a quella del 1981, ma non c’è racconto, si trovano informazioni scarse. Insomma, una montagna che faceva per noi, sempre in cerca di luoghi inviolati».

Ma non un Ottomila.
«No. Il nostro sogno, e il mio in particolare, era poter scalare una vetta di settemila metri mai raggiunta. L’alpinismo di oggi sugli Ottomila non ci piace. Ha visto che sta succedendo: oltre all’Everest ci sono file di persone su K2, Annapurna, sui Gasherbrum I e II. Almeno cinquemila l’anno. L’interesse per gli Ottomila dev’essere per le pareti ancora inviolate, ma ci sono innumerevoli montagne di seimila metri mai scalate, molte senza nome. Il fatto è che anche il giornalismo non fa che parlare e intervistare quelli che raggiungono gli Ottomila metri. L’interesse degli alpinisti è altrove».

È questo il vostro interesse?
«Certo, l’esplorazione del nuovo ha un fascino straordinario».

Simon al lavoro nel maso altoatesino avuto da papà Reinhold, vicino a Castel Juval in Val Venosta

Simon al lavoro nel maso altoatesino avuto in eredità da papà Reinhold, vicino a Castel Juval in Val Venosta

Tremila metri in tre giorni, perché?
«Non c’era tempo, dovevamo fare in fretta prima del maltempo. Appena tornati al campo base ha ricominciato a nevicare. È stato molto faticoso, complesso. Tantissima neve sulla montagna e sprofondavamo a ogni passo. Non pensavamo di farcela. Dopo il secondo bivacco ci siamo trovati su grandi blocchi di ghiaccio… E poi ci siamo trovati, increduli, in cima. Non abbiamo neppure detto una parola. Siamo rimasti immobili a guardare e a guardarci. In silenzio».

Commossi, felici?
«Certo, ma entrambi non volevano dire neppure una parola. C’erano due cose, oltre alla bellezza della vetta e di quanto c’era intorno, il pericolo e la stanchezza. Sapevamo di aver il tempo contato. Siamo scesi e abbiamo dovuto ancora fare un bivacco».

Quanto conta l’estetica nel suo alpinismo?
«Tanto, sia della via sia del luogo. Abbiamo impiegato due giorni per attraversare due ghiacciai e raggiungere il Yernamandu Kangri. Di rara bellezza e anche di pericolo per seracchi».

Incontro ravvicinato con il leopardo?
«A proposito di bellezza, animale bellissimo. Ma l’abbiamo appena intravisto, era intorno a noi di notte, aveva avvertito la presenza di gallo e galline. E’ svanito dopo aver compiuto la sua predazione».

Simon Messner con la moglie Anna

Altre spedizioni?
«Intanto torniamo alle nostre Dolomiti, poi al lavoro. Martin ed io vogliamo fare una spedizione ogni due anni. Sempre con lo spirito dell’esplorazione. Progetti? Tantissimi».

Lavoro in montagna?
«Sì, con mia moglie nel maso che ho avuto da papà Reinhold, vicino a Castel Juval in Val Venosta all’imbocco della Val Senales. Lavoriamo la terra e abbiamo capre e pecore. Non pensavo di fare il contadino e l’allevatore. Lavoro bello, ma difficile. Abbiamo anche cinque stanze da affittare, altrimenti sarebbe difficile fare anche l’alpinista».

Dei tantissimi progetti con Martin ce n’è uno in cima ai vostri desideri?
«Una spedizione in Tibet, nella parte occidentale. È difficile avere i permessi ma lì ci sono montagne bellissime. Poi c’è l’India e ancora il Karakorum dove affrontare picchi senza nome».

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Le vette inviolate ultima modifica: 2023-10-15T05:39:00+02:00 da GognaBlog

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1 commento su “Le vette inviolate”

  1. Storia semplice. Bella.
    Certo, lui ha delle facilitazioni. 
    Mi piace lo stesso.

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