Oltre il limite
di Julie Ellison e Jonathan Siegrist (tradotto da Climbing n. 329, www.climbing.com)
Ciò che Jonathan Siegrist ha imparato facendo il suo primo 5.15 (9a+)
di Julie Ellison
– Volevo quella via più di qualsiasi altra cosa – mi diceva Jonathan Siegrist mentre ci stavamo prendendo un caffè (il suo era decaffeinato) a Chamonix, esattamente due settimane dopo che gli era riuscita l’ottava ascensione di Biographie (9a+), chiamata anche Realization, a Céüse (Francia). Era stato Chris Sharma a farla per primo, nel 2001: e aveva scelto di non graduarla, anche se era chiaro (poi fu ampiamente confermato) essere la prima via di 9a+ al mondo.
Siegrist, 29 anni, è stato un punto di riferimento nella scena dell’arrampicata negli scorsi cinque anni, avendola spuntata su parecchie vie d’interesse mondiale, facendone di nuove fino al 5.14 e portando una brezza di atteggiamento sorridente e positivo in ogni luogo che visitava.
Sebbene il padre, Bob Siegrist (che tra l’altro a 64 anni è riuscito a fare nello scorso luglio 2014 il suo primo 5.13), avesse spinto il figlio all’arrampicata fin da quando era bambino, Jonathan incominciò solo a 18 anni. Ben presto gli arrampicatori del Colorado’s Front Range cominciarono a vederlo ovunque, era normale che si facesse tutte le vie più difficili. Giunse all’attenzione internazionale nel 2009 quando visitò la Kentucky’s Red River Gorge: in quell’occasione fece tre 5.14, tre flash di 5.14a, tre 5.13c onsight e più di una dozzina di altri 5.13 e 5.14, tutte “chiuse” in brevissimo tempo. Secondo il suo sito web (www.jstarinorbit.com), Siegrist ha circa 150 5.14 riusciti (molti dei quali flash o prime) e più di 400 5.13 sotto la cintura.
Siegrist pensava che chiudere Biographie fosse molto importante per la sua credibilità, in quanto era lì che si sarebbe giocato il salto di livello.
– Volevo dare del mio nell’evoluzione dell’arrampicata sportiva negli USA: pensavo che le mie due vie, La Lune e La Rêve, potessero essere di 5.15, ma non sapevo di preciso – mi disse – pensavo che Biographie potesse essere il mio passaporto per poter dare un giudizio. Così posso dire “Ok, ora so cosa vuole dire quella roba lì, il 5.15”. Era anche incoraggiante sapere che climber più piccoli di me l’avevano fatta, come Ramon Julian Puigblanque oppure il giovanissimo Enzo Oddo, attualmente ben più cresciuto.
Siegrist è alto 1,67.
Voleva anche un obiettivo che potesse davvero ispirarlo e motivarlo ad allenarsi sempre più duro. “La sfida mi costrinse ad allenarmi in modo nuovo, adattare il mio stile di vita, approcciarmi all’arrampicata in modo differente, dunque migliorare davvero” – mi disse. Quell’ostinazione ha voluto dire mesi di trazioni, pesi e vita concentrata: grazie ai quali poté misurare quello che secondo lui era il primo apprezzabile risultato dal 2010, ciò da quando aveva fatto il suo primo 5.14d (Kryptonite, nel Colorado occidentale).
– Quando, su Biographie, realizzai di avercela fatta sentii che quello era il coronamento non solo degli ultimi sei mesi, era il premio dei miei undici anni di arrampicata.
Jonathan Siegrist su Biographie
Come scalare rotpunkt da professionista
di Jonathan Siegrist
Fallo!
Scalare in libera e riuscire in una rotpunkt (redpoint) è la parte migliore dell’arrampicata. Ti permette di crescere come individuo perché ti costringe ad aver a che fare con i fallimenti, con la frustrazione, con il dialogo interiore, lo stress e l’ansia. Non è sempre divertente quando succede questo, ma è sempre portatore di valori ed esperienza significativa. Non dovresti essere stressato ogni giorno per il tempo atmosferico o per lo stato della pelle delle tue dita: ma ogni tanto ci vuole, ed è un processo che ti migliora come persona.
Sii positivo
Talvolta è meglio rinunciare, ma dipende da quanto la via significhi per te. Io mi sono preparato dicendomi che avrei provato per 11 settimane, ma che sarebbe andato bene ugualmente se fossi tornato a casa in aereo senza aver combinato nulla. L’obiettivo era di migliorare e imparare qualcosa, più che riuscire ad afferrare un 9a+. Guardare indietro e sapere che hai dato tutto ciò che avevi, anche se non ce l’hai fatta. Se diventa un’esperienza negativa, meglio andarsene subito.
Smorza la debolezza
Non ho talenti di mio, se li ho è perché ci ho dato dentro. Mi sono allenato per mesi e ho provato la via per 30 giorni. Ogni cosa che facevo, giorno e notte, era per la via. Facevo in modo di avere la pelle a posto, mangiavo sano, bevevo quasi quattro litri di acqua al giorno, dormivo bene. Mi piace correre, ma non lo facevo perché volevo concentrare tutte le energie sulla scalata. La mia più grossa debolezza è la forza, così mi allenavo due ore al giorno solo per quello, più volte la settimana.
Adàttati
È duro non riuscire nel proprio intento. È importante che io mi ricordi continuamente che sto andando a provare. Invece di mettermi in ansia per ciascun tentativo, cerco di pensare: “Ok, ho compagni per martedì, giovedì e venerdì. Come sarà la via quando arriveremo a fine giugno e farà più caldo?”. Mettiti nell’ottica generale del “questo potrebbe voler dire metterci un po’” invece di sentire la pressione e tentare tutti i giorni. Lascio perdere anche la caffeina, perché mi fa diventare nervoso!
Come sulle montagne russe
Passare attraverso ogni sfumatura d’emozione è obbligatorio, una delle cose più frustranti. Mi emoziono. Sono lì alla partenza e penso “ce la sto facendo”; subito dopo diventa “non ce la farò mai”. Non importa fino a che punto sei arrivato, alto o basso, senti di non farcela. Puoi sperare invece di riuscire solo quando, nella fase dopo, riuscirai a dirti “sto solo provando… magari un giorno riesco”.
Jonathan Siegrist su Biographie
postato il 12 novembre 2014
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