L’esempio del bivacco Corradini
Una nuova struttura è stata montata poco tempo fa (luglio 2019) sulla Cima Dormillouse 2908 m, una montagna delle Alpi Cozie tra il comune di Cesana Torinese, in Piemonte, e quello francese di Cervières nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Montagna.tv titola (21 luglio 2019): Un bivacco sostenibile sulla Cima Dormillouse.
Si tratta dell’ennesimo bivacco posto su una vetta, voluto dai familiari che conoscevano l’amore del congiunto per quel luogo. Questa volta si tratta di Matteo Corradini, giovane appassionato di alpinismo deceduto nel 2017 a 21 anni dopo 4 anni di lotta contro il linfoma di Hodgkin.
Il padre, Paolo Corradini, è entrato in contatto con l’architetto Andrea Cassi. “Andrea è un collega con cui avevo collaborato spesso in passato” dice Michele Versaci, messinese, anche lui architetto e ingegnere. “Con Andrea ci eravamo sempre trovati bene, così ha pensato di coinvolgermi anche in questo lavoro. Con lui e Paolo Corradini abbiamo fatto il primo sopralluogo il 1̊ novembre 2017. Paolo Corradini è una persona eccezionale. Aveva subito da poco la perdita più drammatica che esista, ma trasmetteva grande forza. E naturalmente grande generosità, perché anche se non ha gli stessi costi di costruzione di una vera e propria casa, quello di un bivacco è un investimento importante. Regalarne uno agli appassionati è un gesto davvero notevole”.
Prima di iniziare il lavoro, Versaci ha dovuto documentarsi a fondo. “Il concetto di bivacco non rientra propriamente nella cultura mediterranea. Si tratta di costruzioni che si sono diffuse verso la fine dell’Ottocento. Di fatto sono degli avamposti usati per fare delle tappe verso la conquista di vette che superano i duemila metri. Sono particolarmente utili nei posti isolati, lungo itinerari escursionistici che superano la singola giornata. Bisogna tenere presente che in montagna il tempo può cambiare improvvisamente, ed essere protetti da una costruzione solida, in certi casi, può salvare la vita. La cima scelta da Paolo Corradini, oltre a essere amata dal figlio, era sprovvista di un bivacco. La sua presenza, oggi, rende l’area più frequentabile”.
Racconta Cassi: “La Cima Dormillouse tocca quasi i tremila metri, altezza che non poteva non condizionare la logistica dei lavori. I moduli sono stati pre-assemblati in officina, e portati sul luogo in elicottero. Lì una squadra di bravi operai della ditta “Abitare Legno” ha completato il montaggio in circa una settimana. Naturalmente non avrebbero potuto farlo nei mesi più freddi, perciò si è optato appunto per luglio”.
A forma di parallelepipedo rettangolo rastremato verso le due estremità, dal punto di vista strutturale, il bivacco è un involucro di metallo nero che ricopre un nido interno di pino cembro, la classica essenza con cui si costruivano le culle sulle Alpi. Continua Versaci: “Il progetto si è fondato su tre aspetti: sostenibilità, comunità e paesaggio. Guardando al primo punto, abbiamo ridotto al minimo il consumo di suolo. Solo il 25% del bivacco, infatti, appoggia sul terreno. La sostenibilità ha influito naturalmente anche sulla scelta dei materiali. Bisogna anche dire che una caratteristica del pino cembro è il tipico odore, capace di trasmettere una sensazione di calma. Venendo invece al concetto di comunità, questo è molto radicato nelle zone alpine. Volevamo che il bivacco fosse uno spazio accogliente, caldo e conviviale. Utile per le emergenze ma anche per l’incontro. I gradoni di legno al suo interno permettono sia di distendersi per la notte che di raccogliersi insieme intorno al tavolo. Da ultimo, l’importanza del paesaggio. Paesaggio come qualcosa da rispettare, da un lato, e di cui godere, dall’altro. A tal fine, le grandi vetrate creano un rapporto tra le due vallate”.
Luca Gibello, di Cantieri d’Alta Quota, annota nel suo post Una volta era il modello Apollonio: “Lasciando per ora tra parentesi la questione della reale utilità di un punto di appoggio su una vetta, che è un punto d’arrivo. Dopo il Gervasutti (il bivacco Gervasutti, sito nel gruppo del Monte Bianco di fronte alla parete est delle Grandes Jorasses, ha sdoganato per primo la nuova concezione funzionale ed estetica dei bivacchi moderni, NdR), il tipo della struttura-cannocchiale (qui addirittura in un’inedita versione raddoppiata, con aperture su entrambe le terminazioni dell’asse longitudinale) va per la maggiore. È ormai superata l’idea del bivacco come attrezzatura rigorosamente minima per il ricovero estemporaneo (estremo), a favore dell’idea di un dispositivo di valorizzazione paesaggistica (da dentro verso fuori e viceversa), che all’interno possa anche innescare dimensioni contemplative. Analogamente, le misure trascendono lo stretto necessario e si fanno più generose: altro che i 3 x 2 metri con 9 posti letto del modello Apollonio! D’altro canto, se guardiamo ad altri abitacoli minimi, pensiamo a come si siano “gonfiate” le nostre automobili negli ultimi tempi: sembra infatti impensabile che, in una vecchia Fiat 500, una volta stessimo in quattro… L’alpinismo cosiddetto “eroico”, con tutti i suoi miti e le sue retoriche, riposi pure in pace. E con esso, anche l’idea di mettere a punto strutture standard da installare indifferentemente ovunque, come erano i modelli Ravelli e Apollonio”.
Considerazioni
Le mie opinioni personali sui bivacchi fissi e sulla costruzione di nuovi rifugi sono note, dunque per qualcuno ciò che qui andrò a ribadire suonerà come noioso e scontato, in ultimo forse provocatorio.
Anzitutto la questione del “sostenibile”. Ormai questo aggettivo è usato a profusione (vanvera?), ma spesso è solo una maschera per giustificare opere del tutto inutili quando non apertamente dannose. In questo caso, sottolineato perfino dal titolo del post su montagna.tv, “sostenibile” sarebbe giustificato dal fatto che il consumo di suolo è di pochi metri quadri (il 25% della superficie in pianta della struttura) e dal fatto che si sia usato il pino cembro (il cui profumo trasmetterebbe calma e serenità). Mi sembrano due motivazioni debolucce, soprattutto se ci mettiamo a paragonare la calma e la serenità trasmesse da un luogo assolutamente privo di manufatti oppure ragioniamo sull’evidenza che il consumo di suolo non può che essere pari alla superficie in pianta di qualunque struttura.
Interessanti sono anche le due motivazioni fornite da Versaci: il bivacco può salvare delle vite e “favorisce la frequentazione di un luogo.
E’ vero che un ricovero fisso può aver salvato delle vite: ma a me piacerebbe che si riflettesse su quanti non rinunciano alla salita verso una vetta anche in presenza di sfavorevoli previsioni meteo solo perché si dicono “tanto in cima c’è il bivacco”. Andando a spulciare la cronaca degli incidenti sulle montagne che in vetta hanno una struttura fissa (per esempio il Crozzon di Brenta, oppure il Pizzo Badile), a mio parere per una vita salvata c’è stata anche una vita in più persa.
Quanto alla frequentazione di un luogo, solo una mentalità sprovvedutamente colonialista può oggi pensare che sia un bene. L’ambiente non ha alcun bisogno d’essere frequentato! Al contrario, DEVE essere vissuto. Stiamo andando verso la consapevolezza che la nostra esigenza continua di svago e di nuovi giocattoli (naturali o no) dovrà presto subire una contrazione più o meno volontaria.
Una terza affermazione di Versaci riguarda il paesaggio: a suo dire questo risulta esaltato se osservato con il tramite di una struttura a vetri e comodamente seduti sui gradini di pino cembro. Perfino “si viene a creare un rapporto tra le due vallate”. Bene, io preferisco osservare il paesaggio senza filtri né orpelli umani, magari anche scomodamente seduto su qualche inodore sasso dalla superficie fastidiosamente irregolare. Non si dovrebbe solo rispettare e godere il paesaggio: si dovrebbe viverlo in profondità. Preferisco immaginare un rapporto tra due vallate che io stesso sto alimentando con la mia presenza provvisoria. Preferisco che i rapporti tra due nazioni siano creati senza lasciare traccia alcuna.
Infine, il pensiero di Gibello. Ben venga il dubbio che lui stesso pone, cioè: è davvero utile un bivacco posto esattamente nel punto di arrivo? Ognuno potrà rispondere come crede, io non ho dubbi sul NO. Le strutture, oggi in verità antiquate quando non cadenti o semi-dirute, dei bivacchi modello Ravelli o Apollonio, sono il segno storico di un’epoca che non c’è più. Personalmente però non azzarderei paragoni con la Fiat 500 e le nuove berline: per il motivo che a me sta a cuore una montagna che abbia ancora un senso per tutti e non solo per coloro che lo assimilano a cose tipo l’innegabile progresso che si è avuto nelle automobili. Io non sono di quelli che augurano l’eterno riposo all’alpinismo eroico, anzi al contrario mi aspetto una rifioritura di quegli aspetti di una cultura che possa ancora essere definita “del padre” e non messa definitivamente “in sicurezza”.
Infine, l’amara considerazione di non essere in sintonia con la famiglia Corradini. Pur rispettando l’infinito dolore che l’ha travagliata per anni fino alla conclusione finale, pur rispettando l’amore che di certo Matteo aveva proprio per la cima della Dormillouse, sostengo senza mezzi termini che qualcuno doveva consigliare il padre ad individuare un modo diverso per ricordare il figlio. Oggi questo non è più accettabile, perché la vita di coloro che abitano e lavorano in montagna è più importante, e le iniziative atte a favorirla non aspettano altro che essere riconosciute e finanziate.
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Evidentemente, i molti detrattori del bivacco Corradini di cui leggo i commenti in questo blog, non conoscono a fondo la zona in cui esso è stato costruito…
Al di là dell’immensità e della “connessione” che si può avere da lassù in una notte stellata.. al di là di ciò che ricorda ai familiari.. al di là del fatto che una persona continua a vivere nella mente delle persone che la ricordano.. (credo sia questo il motivo principale per cui è stato costruito in quel luogo) sebbene sia stato costruito in prossimità dell’anticima sci-alpinistica della Dormillouse (la vetta è leggermente più avanti e più alta..), occorre ricordare che su quella dorsale sono presenti altre magnifiche mete sci-alpinistiche come La Terra Nera la fantastica Merciantaira, perciò, grazie al Corradini, è possibile concatenare queste vette in due gg senza essere costretti ad affrontare questi percorsi “a testa bassa” senza mai guardare il paesaggio circostante o scattare qualche fotografia solo per poter tornare in tempo utile alla macchina.
Il buon Gogna, gestore di questo blog, ogni tanto, anziché ergersi come unico detentore della verità alpinistica, dovrebbe considerare alcuni aspetti innovativi tipo il fatto che da nessuna parte è scritto che un bivacco e/o rifugio debba essere per forza di cose posto alla base di una montagna altrimenti se ne sminuirebbe il valore intrinseco…
Magari, (come in questo caso) potrebbe essere posto a un terzo di un percorso sci-alpinistico di incomparabile bellezza come lo è questo (poiché ritengo che questa dorsale dia il meglio di sé in condizioni invernali), ma, anche durante la stagione estiva/autunnale (prima che sopraggiungano le nevicate), può dare l’opportunità a chi fa trekking di godere di un belvedere di prim’ordine rimanendo in quota per più giorni senza dover necessariamente scendere al rifugio di fondovalle (peraltro non proprio vicino al Corradini.. non faccio nomi..) trasformatosi in un costoso ristorante/albergo d’alta quota (come ormai sta accadendo un po’ in tutti i rifugi alpini) dove lo spirito iniziale per cui erano stati costruiti è andato perso da tempo…
Carissimo Carlo Crovella, ho letto i suoi commenti con attenzione…volevo rassicurarla che quando avverrà la sua dipartita NESSUNO dico NESSUNO le intitolerà un bel niente….ne un bivacco inutile ne una via di arrampicata o una toilette a Porta Nuova. Stia sereno
Maria cristina Masera
Il Bivacco Corradini è una struttura molto tecnica che si inserisce bene in un percorso circolare di trekking. In inverno lo rende una meta molto bella e godibile in sicurezza per gli appassionati dello sci alpinismo . Complimenti alla Famiglia Corradini che ha donato e dona attimi di felicità a tanti ragazzi appassionati dello sport e della natura.
Un articolo statico al posto che costruttivo, e a tratti presuntuoso. Grande opera interamente finanziata da una famiglia che ha sofferto, decisamente sostenibile, ma che SOPRATTUTTO attira persone verso le località montanare, in un secolo in cui la montagna si è svuotata. Perché tutti conoscono il rifugio Corradini in Piemonte (per la sua bellezza), e il solo fermarsi in val di Susa a comprare pane e salame per la scampagnata aiuta le attività commerciali. Non esiste un solo e giusto modo di vivere la montagna, e proprio chi non è capace a vederne altri perde la filosofia di condivisione che la montagna dovrebbe insegnare. A prova di quello che dico tornerò a breve per l’ennesima volta su una gita che altrimenti non ripeterei solo perché tanti amici vogliono andarci!
Un bivacco a d’or poco STUPENDO.
Da amante e frequentatore della montagna, escursionista, bivaccatore e via dicendo, trovo il bivacco sulla cima di una montagna una possibilità di vivere ancora di più, quanto di bello tale ambiente ci possa offrire.
Idea bellissima, realizzazione notevole. È comodo, confortevole, caldo… quanto basta per una notte diversa dal solito. Ne avevo lette di cose in giro, ma queste… non intacca assolutamente il paesaggio (ma poi, perché dovrebbe intaccare il paesaggio?😂) anche perché non si vede nemmeno finché non arrivi a meno di 10 metri da esso. La gente non sale in cima perché C’è il bivacco, troppa fatica ugualmente per i sedentari da Costa smeralda, non vi preoccupate signori. La montagna continuerà ad essere frequentata da chi sa frequentarla. La gente continuerà a morire in montagna come moriva prima senza bivacco… luoghi comuni no grazie dai… insomma, una gran bella opera per ricordare un figlio che amava questi luoghi. Complimenti alla famiglia: GRAZIE.
Non male l’idea di dedicare un sentiero, magari già esistente occupandosi del recupero e della manutenzione periodica. Apponendo una targa ricordo all’inizio del percorso che dia modo a tutti di ricordare chi non c’è più.
Proprio non capisco.
La parola sostenibilità mi sembra usata come la parola verginità, sempre a sproposito e senza fondamento.
Poi di solito fanno dei bei lavori, ma chiamarli rifugi a me sembra essere proprio fuori luogo e più diventano grandi più richiedono organizzazione, come fossero delle caserme per le reclute.
https://www.montagna.tv/145994/rifugio-quintino-sella-al-felik-lavori-di-ampliamento-nel-rispetto-della-sostenibilita/
Mie sulle CONSIDERAZIONI dell’AUTORE:
RIBADIRE: repetita iuvant!! Anche in questa occasione a beneficio dei molti, troppi opportunisti “sordi, ciechi e muti”
NOIOSO E SCONTATO: Nemmeno per sogno!! Troppi, ahimè, non conoscono l’enorme valore anche venale dell’ambiente (vedi politici e pubblici amministratori)
PROVOCATORIO: Spero vivamente che lo sia e così venga percepito per stimolare una presa di coscienza collettiva che consideri ogni nuova struttura in simili luoghi come una subdola cellula “cancerogena”
Chi veramente ama la montagna dovrebbe “concedere” anche a chi verrà dopo di non trovare le pesanti tracce del nostro passaggio.
https://www.montagna.tv/145743/monte-rosa-il-nuovo-bivacco-emiliano-lantDimostrazii-in-val-quarazza/
Dimostrazione di grande intelligenza e gusto estetico questa costruzione rossa di fianco a una in pietra… e lo chiamano bivacco…. come era chiamato il vecchio in pietra?
Con la scusa del pastore, invece che del socio cai?
9 persone potranno soggiornarci in sicurezza e comodità
Soldi spesi male!
È un modo giusto di andare in montagna.
Raggiungere una vetta e pretendere di trovare una costruzione perchè poverino ha feddo alle sue manire è bene che frequenti altri luoghi.
Magari quelli da vip della costa Smeralda con aperitivi a refenero.
Mha! In tutti i luoghi in cui sia stato possibile io mi sono affidato a una buona tendina e un buon sacco a pelo. Certo! È peso in più. È valutare per bene cosa si sta affrontando. Sono stato anche un po’ sbeffeggiato per quel mio zaino carico, la velocità ridotta. Ma me la sono cavata sempre, Perché l’esperienza, oltre al materiale, è stata la mia bisaccia supplementare.
Ma capisco che è un altro modo di andare in montagna. Forse non va più.
Dunque, da parte mia niente bivacchi sulle vette. Invece porte aperte a nuovi piccoli rifugi (orientativamente 30 posti circa), purché situati in luoghi “logici” per far funzionare le strutture come punti di appoggio per ascensioni/escursioni o posti tappa per traversate e trekking. Questa deve essere la linea guida per il futuro. Meglio ancora se (contesto geografico permettendo) tali strutture restano aperte anche d’inverno, come predica da tempo l’amico Giorgio Daidola: in tal modo avremmo un (contenuto e maturo) approccio anche alla montagna invernale, non solo con gli sci, ma anche con le ciaspole. Queste strutture sì che alimentano un consapevole flusso turistico e costituiscono la base per iniziative “impreditoriali” che danno un contributo all’economia valligiana (i bivacchi invece non alimentano un bel niente, non essendo gestiti).
In tale contesto, segnalo il progetto di un costruendo rifugetto nel Vallone del Grauson (Cogne, Valle d’Aosta): https://www.rifugiograuson.it/.
Un tempo in quella location esisteva un bivacco che è poi andato distrutto, credo una ventina di anni fa, per un incendio (giuro che non c’entro!).
Con tutto il ripetto per il dolore della famiglia Corradini, sono totalmente d’accordo con l’articolo.
Non sarebbe forse stato meglio invece di costruire l’ennesima struttura su una cima, spendere quei soldi per la manutenzione di qualcosa di già esistente o per la manutenzione di qualche sentiero disastrato?
Avevo letto il commento di Umberto Pellegrini su “Voglio il tuo sudore” e non l’avevo capito. Qui lo ri-cita, quindi l’ho riletto e posso serenamente dire che sono completamente d’accordo a metà con il mister.
Un bivacco, una ferrata o una centrale nucleare non sono solo e tanto un mezzo, ma anche (e forse soprattutto) degli oggetti per cui è stata operata una modifica permanente dell’ambiente.
Ora, è ben vero che vivendo tutti noi modifichiamo permanentemente l’ambiente (l’entropia non la ciuli: alla fine vince lei), però ci sono modifiche e modifiche e devono essere valutate e giudicate.
E quelle inutili e dannose evidenziate, stigmatizzate e combattute. Se poi sono anche mezzi di una visione deleteria e volta ad aumentare a dismisura le modifiche devastanti anche di più.
Che ognuno sia alienato dalle sue passioni non lo so, ma di certo ognuno di noi non è destinato a un mercato: è il mercato. Si tratta di capire come ci si rapporta.
In questo senso la frase “se non sei capace, stai a casa” può certo essere antipatica (ma se applicata realmente, anche e soprattutto su se stessi) denota un modo di rapportarsi all’universo mondo ben differente dal pretendere che tutti debbano arrivare comunque dappertutto (e trovare pure la doccia calda in rifugio).
E’ lo stesso discorso dello spit. Senza, si faceva il VI (più o meno) e ammazzandosi spesso; con, si fa il 9b e si muore molto meno: quindi è buono ed è giusto spittare tutte le vie che si può. Questo ragionamento sottende il giudizio: devo poter fare ciò che voglio e quando voglio, quindi vale tutto.
Per me (e per fortuna anche per qualche altro) non è così.
E su un blog di montagna appare evidente che ci si incazzi di più per una ferrata che per altre cose anche peggiori.
(Marsaglia è decisamente in montagna e fa parte dell’Unione Montana della val Trebbia)
La mia posizione, molto chiara, è la seguente: rifugi, bivacchi, malghe riattate, ex casermette ristrutturate hanno senso solo come “punto di appoggio” per successive ascensioni/escursioni. Di conseguenza non ha senso un bivacco in vetta. Questo vale anche per quei bivacchi che storicamente sono stati posti sulle vette decine di anni fa (Gogna ne ha citati due – famosi – ma ne esistono altri). Non pretendo di smontare questi ultimi, dato il loro valore storico, ma posizionare un “nuovo” bivacco su una vetta (fino ad allora intonsa) non ha nessun senso alpinistico. Tale bivacco non è un punto di appoggio per spezzare la gita in due: in vetta la gita finisce. Quindi un bivacco su una vetta serve solo per finalità “non” alpinistiche: passare una notte al chiaro di luna, far quattro ciance sulle panche di pino cembro, oppure, come nel caso dei commenti precedenti, rintanarsi se c’è tempo brutto. Stiamo parlando di una vetta di poco superiore ai 2900 m, a 3-4 ore di marcia dall’auto, anzi d’estate anche meno (si arriva in auto a Rhuilles, 1650 m circa: sono 1250 m D+). Tutte queste argomentazioni (dei sostenitori dei bivacchi) fanno ridere i polli. E se anche fosse fondata una cosa del genere, allora dovremmo mettere un bivacco su ogni vetta (se tira vento gelido alla Dormillose, c’è lo stesso vento al Terra Nera, che si trova poco più in là) e poi ancora sulle anticime e magari su ogni spuntone delle creste e poi sui colli, e poi ancora, perché no?, lungo l’itinerario, perchè magari ci si ferma per fare merenda. E’ questa mentalità che è sbagliata e fa male alla montagna. Non è una questione di essere più o meno bravi, di saper fare l’8a o 2500 m di dislivello: è una questione di forma mentis. Chi immagina che sia meglio un bivacco in vetta, così può fare foto nonostante l’eventuale vento gelido, non ha la testa per andare in montagna, neppure a fare una scialpinistica di medio livello come la Dormillouse innevata.
Quindi: bivacchi in vetta concettualmente sbagliati. Occorre non farli, se possibile smontarli. Per ogni altro luogo, occorre prendere atto che, dopo 200 anni abbondati di alpinismo (inteso come frequentazione delle montagne), ormai i luoghi “logici” per costruirci un punto di appoggio sono stati in gran parte sfruttati. Qualcuno resterà ancora, ma sono davvero da ricercar col lanternino. Quindi anche in tal caso, ci andrei piano a piazzare bivacchi e rifugi qua e là.
Concludo con due esempi, geograficamente vicini al bivacco in questione. Uno positivo: in fondo alla Val Thuràs (la stessa della Dormillouse) da 12-15 anni circa c’è un bivacco (chalet di legno, molto gradevole) che serve per spezzare la lunga escursione alla Ramière. Questo lo trovo sensato, specie in stagione scialpinistica. Invece in Valle Argentera, poco sotto le pendici del Sestriere, da circa 5 anni esiste un bivacco che, seppur non in vetta (ma in un valloncello a metà del versante vallivo) non serve proprio a niente. Gli itinerari di quella zona sono tutti fattibilissimi in giornata (sia in sci che a piedi d’estate) anche da un “lentone” come me.
Beninteso, in montagna le regole del gioco sono quelle imposte dalla Natura.
Non da regolamenti umani.
Se io non sono capace di scalare lo sperone nord del K2, allora me ne sto a casa. Non pretendo che lungo la via venga installata una serie di bivacchi fissi pressurizzati, non pretendo una squadra di portatori e sherpa a mia disposizione, non pretendo corde fisse dal campo base alla vetta, non pretendo elicotteri, non pretendo agi e facilitazioni a mia discrezione.
Accetto le regole del gioco. Se non ne sono capace non vi partecipo e mi dedico a un altro gioco, che sia al mio livello. Tutto qui.
È cosí difficile da accettare?
Come volevasi dimostrare. Discussione su un metodo (costruzione di un bivacco), passione alpinistica medio-alta, battibecchi, ed infine motivazioni fideistiche (ed antipatiche, francamente) di merito (“se non sei capace stai a casa“), forti contro brocchi. Divide et impera?
Ancora una volta: cosa è più importante, culturalmente, un mezzo od un fine? Se non avessi già scritto cose simili a commento dell’articolo “voglio il tuo sudore”, le dovrei scrivere adesso. Tant’è.
Invece chiederei all’autore di esplicitare meglio l’unico periodo interessante dell’articolo: “Oggi questo non è più accettabile, perché la vita di coloro che abitano e lavorano in montagna è più importante, e le iniziative atte a favorirla non aspettano altro che essere riconosciute e finanziate”. Chiedo cioè di conoscere quali iniziative devono essere riconosciute per favorire la vita di chi e dove (montagna è un po’ generico, se dico Marsaglia in val Trebbia è montagna?) e finanziate da chi, quanto, e perché.
Grazie.
Bello è bello, non ho nulla da dire dal punto di vista puramente estetico.Però per me nell’ambiente montano è un altro pugno negli occhi.Ma oggidì bisogna apparire in maniera provocatoria, altrimenti nessuno si accorge e prende in considerazione.
Era meglio un buco super confortevole con una tettoia in pietra per coprire l’ingresso, almeno si vedeva poco e non mi veniva ancora un occhio blu 🙂
Magari volerà via a pezzi.
Io d’inverno sono stato sulle vette del Rondinaio, Giovo, Alpe di Succiso, M. Prado, Cima Tauffi, Libro Aperto, Punta Buffanaro, M. Sillara, M. Alto, M. Orsaro, Cima dell’Altaretto, ecc. ecc.
C’era freddo, c’era la neve, a volte il vento. E non vi ho mai trovato nemmeno un bivacco dove trovare riparo e scattare un “selfie” (per il volgo ignorante: “autoscatto”). Non è giusto!
Per non parlare dello Schreckhorn (la “Montagna del Terrore”!). Con quel po’ po’ di nome non vi pretendo un rifugio di vetta, con lenzuola e doccia calda, ma almeno un umile bivacco. Un bivacchino. Magari sponsorizzato. Col marchio in bella vista. 😂😂😂
Condivido pienamente la riflessione sulla costruzione dell’ennesimo bivacco. Pur essendomi in passato impegnata in un’impresa simile con le stesse motivazioni, con il senno di poi mi sento in piena sintonia con il pensiero dell’autore.
anche con il marmo apuano si fanno belle costruzioni se non “opere d’arte” .
A Pietrasanta vengono “artisti” da tutto il mono a scolpire il marmo apuano.
Marmo che viene da questi personaggi acclamato per la sua bellezza…ma intanto le Apuane vengono distrutte.
Quindi su quello che affermano certi artisti, architetti sulle opere da loro progettate e/o create, ci farei la tara.
Certi ambienti e bello viverli nella loro naturalezza, nella loro DUREZZA ambientale.
Umanizzarli con infrastrutture, anche se poco impattanti, ne cambia le emozioni che si possono provare.
Cambia anche la capacità di scelta e di preparazione da parte di chi decide di impegnarsi in una certa gita. Tanto c’è il bivacco, tanta c’è il cellulare, tanto c’è il soccorso alpino.
Una vetta deve essere libera .
Concordo con quanti ritengono che continuare a realizzare strutture fisse in posti bellissimi quali le vette delle montagne più alte sia uno sfregio alla bellezza della natura. Come del resto piantare Croci sulle cime…
La vetta di una montagna è un bene demaniale, dunque è della collettività, di noi tutti. Non dovrebbe venire permesso a un singolo cittadino di disporne in modo personale. Tutt’al più, se si ritiene di ricordare un proprio caro in un certo modo, si dovrebbe richiedere a un organismo tecnico competente, come per esempio il Club Alpino, di indicare un luogo adatto per la sistemazione del manufatto sulla base delle esigenze dei frequentatori della montagna. Aggiungo che le considerazioni dell’architetto nell’articolo in questione mi paiono inquinate da una buona dose di quella vuota retorica corrente, quella che ben conosciamo e che talvolta ci viene ammannita da certi critici d’arte quando, per esempio, devono presentare una mostra d’arte figurativa. In quel testo c’è anche qualche stupidaggine, come quando ci si viene a dire che il bivacco consuma “solo il 25% del terreno”, come se nel restante 75%, sovrastato dal bivacco stesso pochi centimetri sopra il terreno, ci si potesse fare qualcosa o si potesse utilizzarlo in qualche modo.
Cara Aurora, la prossima volta vai a prenderti il caffè nel calduccio di un bar. In pianura, ovviamente. Non sei fatta per andare in montagna, se hai “bisogno” di rintanarti in un bivacco solo perché c’è un vento gelido.
Io ci sono stata sulla vetta in inverno con un vento più che gelido, tanto da non essere nemmeno riuscita a fare una foto, dopo aver spellato, quindi sono favorevolissima. Grazie di cuore.
i bivacchi sono utilissimi .
Alcuni trasudano di storia, altri sono in luoghi romantici e bellissimi.
Ne ho frequentati tanti. In particolare ricordo il bivacco Carnielli sotto lo Spiz di Mezzodì, posto in un luogo bellissimo, a sbalzo sulla valle. Sarà il mega temporale che ci ho preso, che ci ha costretto a fermarci per una seconda notte, ma mi nè rimasto nel cuore. Le sue lamiere cigolavano sinistramente sotto la furia del temporale, da tutte le parti fiumi d’acqua. Diciamo pure che se non ci fosse stato il bivacco l’avremmo vista brutta.
Bello tutto questo, romantico, umano, magari alla luce di una candela che rende tutto più misterioso . Ma ciò non vuol dire che ci dobbiamo sentire autorizzati a installare bivacchi o altre attrezzature dove più ci aggrada.
Penso che certi luoghi sono da assaporare nella loro naturalezza e così dovrebbero restare.
Dobbiamo definitivamente oltrepassare il tabù del fatto che il bivacco sia dedicato a un ragazzo scompaso. Altrimenti non si possono esprimere liberamente le considerazioni oggettive. Personalmente sono contrario, anzi contrarissimo al trend di proliferazione dei nuovi bivacchi, in generale e in particolare sulle cime, e nella fattispecie trovo decisamente poco azzeccata questa iniziativa. Se avessi tempo andrei a smontare il bivacco di persona, portandomi a valle il materiale sulle spalle. Frequento l’alta Val Susa da 50 anni e ho perso il conto di quante volte ho raggiunto la vetta della Dormillouse, sia con gli sci che d’estate. Forse più di 100. Spesso, li’ in cima o nei pressi, mi sono preso neve, pioggia, bufera e anche grandine e non ho mai, dico MAI, sentito la necessità di un bivacco per ripararmi. Ma che modo di concepire la montagna è questo??? Le vette non sono delle piazze cittadine dove si trova il bar… Se poi ci saranno addirittira degli escursionisti che sceglieranno di salire in vetta alla Dormillouse proprio per fare pic nic con le gambe sotto la tavola, facendosi assorbire da “una sensazione di calma grazie al profumo del pino cembro” (ma il tipo si sarà reso conto della sconsideratezza che ha detto?)… beh…gente così meglio perderla che trovarla: che si dedichi pure ad altre attività, le montagne ci guadagneranno solo.
qualcuno caro CLAUDIO per caso ti ha offeso?
Quindi non offendere chi ha un pensiero diverso dal tuo .
Comunque i PAGLIACCI sono la più bella attrazione del circo.
Te forse invece sei un DOMATORE …ogni tanto però le povere bestie imprigionate hanno uno scatto di orgoglio e se li mangiano.
Grande Visentini!!
Ma chiunque può realizzare un bivacco ovunque lo desideri?
Non sono necessarie autorizzazioni di alcun tipo?
Nemmeno se il terreno è pubblico o demaniale?
Il nuovo bivacco sarà certamente apprezzato da sci-alpinisti ed escursionisti. L’iniziativa della famiglia è lodevole e umanamente comprensibile. Tuttavia condivido ampiamente le osservazioni di Alessandro Gogna sulla necessità/opportunità di realizzare una nuova struttura. La scelta di realizzare un bivacco in prossimità di una cima appare discutibile, così come la sostenibilità ambientale dell’operazione.
Tutti che parlate e fate i moralisti…
…se siete li e inizia a piovere o grandinare vi ritrovate li dentro in 50 dentro 20 metri quadrati per non bagnarvi…PAGLIACCI SIETE E PAGLIACCI RESTERETE…!!!!!
Mi sembra si faccia molta filosofia di facciata. Vado in montagna da 60 anni e amo la montagna in modo smisurato e credo che i problemi della montagna siano ben altri a cominciare dai cambiamenti climatici per finire alla ignoranza di molti.
Esempio: Macugnaga valle anzasca. Negli anni 80 rinomato posto turistico, un po’ modaiolo forse ma sempre molto attento al paesaggio e all’ambiente. Da anni non si fa più nulla. Gli impianti invernali sono gli stessi di 30 anni fa. Non si sono curate le attività a impatto zero, tipo mountain bike o percorsi a piedi invernali Resta un posto molto curato ma la metà degli alberghi sono chiusi e fatiscenti, molte abitazioni in vendita. In che modo questo favorisce lo sviluppo e la sussistenza delle comunità montane?
Tirerò le gambe nel sonno a quanti volessero dedicarmi un nuovo manufatto in montagna dopo la mia dipartita.
Condividendo l’articolo, ma riflettendo sulle critiche allo stesso, mi domando perché pochissimi sembrano pensare alla possibilità di un bivacco notturno in tenda. Mi spiegate perché? Sono curioso non polemico.
Tutto muove dallo spirito o, illuministicamente, dalla filosofia.
E tutto muove secondo binomi, capi opposti del lungo filo della realtà.
In questa circostanza, uno è dedicato alla preservazione, l’altro allo sfruttamento.
Entrambi adottano gli argomenti che possono per autoreferenziarsi.
Quindi non si è contro un bivacco, il cui servigio è noto a tutti, ambientalisti radicali inclusi che non lo eviterebbero in una notte buia e tempestosa.
Si è contro l’idea, lo spirito che trova giusto realizzare un’opera in mome di qualsivoglia motivo.
Si è a favore dell’idea che con quella modalità siamo arrivati ad aver devastato le coste, le pianure, le valli.
Le differenze sono solo quantitative.
Lo spirito è lo stesso.
Sul lungo filo della realtà c’è posto per tutti.
In che punto vogliamo vivere?
“Questa sorta di ambientalismo miope e estremista, sta riducendo intere comunità montane all’estinzione o alla solitudine. ”
Esempi concreti dove le scelte ambientaliste hanno prevalso sulla speculazione ed hanno ridotto intere comunità all’estinzione? Grazie.
Mah! Il colore NERO non si sposa con l’ambiente. E’ anche poco visibile. Rispetto i gusti.
Questa sorta di ambientalismo miope e estremista, sta riducendo intere comunità montane all’estinzione o alla solitudine. Posso forse discutere sulla creazione o meno di impianti sciistici ma anche su quelli tendenzialmente, se fatti con criterio, sarei d’accordo. Ma accanirsi contro un bivacco che è certamente sostenibile, non è costato nulla alla comunità e può essere d’aiuto in situazioni di emergenza, lo trovo assurdo.
Non posso che condividere pianamente le parole dell’articolo che con assoluto equilibrio e rispetto colgono pienamente l’essenza dell’argomento. Complimenti all’autore.
con tutto il rispetto per Matteo e per la sua famiglia.
Ma se per ricordare una persona cara che non c’è più dovessimo riempire di strutture, bivacchi, croci, lapidi, ect. le montagne cosa diventerebbero?
Penso che ci possano essere altri modi , più discreti e rispettosi di un ambiente ancora integro e non umanizzato, dove si possa respirare a pieni polmoni il contatto con la natura, per ricordare una persona cara.
Uno ad esempio può essere quello che ha suggerito Giulia, un’altro può essere dare il nome ad un’itinerario, oppure un libro, una manifestazione, un concorso letterario, ect.
Insomma ci sono tante possibilità. Di bivacchi e strutture varie ce ne sono già anche troppi.
Con tutto il rispetto, non capisco dove sia il problema di costruire un bivacco. Invece di considerare questi lavori come un punto di forza si riesce a considerarli come uno sfregio alla montagna. Boh, io personalmente non capisco e frequentando il Colle di Chabaud e quella zona (Dorlier e Dormillouse), fin da ragazzino, apprezzo di aver un punto tappa dove passare una notte in quota.
“Oggi questo non è più accettabile, perché la vita di coloro che abitano e lavorano in montagna è più importante, e le iniziative atte a favorirla non aspettano altro che essere riconosciute e finanziate.”
Appunto, specialmente l’alta Valle di Susa che, nel periodo estivo, non ha praticamente attrattive se non per coloro che amano il trekking. Costruire dei punti di appoggio penso sia una cosa formidabile per portare turismo in una zona che al di fuori del periodo invernale boccheggia.
Dalla foto sembra una struttura discreta e bellissima, un piccolo gioiello di architettura… però sì, è un peccato averlo realizzato in un’area vergine (lo si poteva creare come sostituzione di qualche altro brutto bivacco sulle Alpi)